Far indossare al proprio cane il collare elettrico non basta per una condanna

Cade definitivamente l’accusa nei confronti di un cacciatore. Decisiva la constatazione che egli non aveva con sé il telecomando necessario per far funzionare il collare e che l’animale si presentava in buone condizioni di salute e senza cicatrici sul collo.

La decisione di mettere un collare elettrico – predisposto per la trasmissione di scosse elettriche – al proprio cane non è sufficiente a giustificare una condanna penale. A salvare l’uomo – un cacciatore, in questo caso – sono sufficienti due dati l’indisponibilità del necessario telecomando per infliggere i dolorosi impulsi, e le condizioni di salute dell’animale Cassazione, sez. III Penale, sentenza n 10758/21, depositata il 19 marzo . Sotto accusa un cacciatore toscano , beccato dai carabinieri forestali a portare con sé il proprio cane a cui aveva, però, precedentemente applicato un collare elettrico. Quest’ultimo dettaglio fa finire l’uomo sotto processo per presunti maltrattamenti ai danni dell’animale . Questa ipotesi è ritenuta corretta dai Giudici del Tribunale, i quali condannano il cacciatore a pagare 2mila euro di multa, poiché avendogli applicato un collare predisposto alla trasmissione di scosse elettriche, deteneva il proprio cane, che utilizzava per l’attività venatoria, in una condizione produttiva di gravi sofferenze . Il difensore del cacciatore contesta però la decisione del Tribunale, ritenendo non punibile la condotta tenuta dal suo cliente. In particolare, il legale pone in evidenza in Cassazione che il cane non ha riportato alcun segno di lesione sul collo e gode di ottima salute . Subito dopo egli aggiunge che il modello di collare rinvenuto sull’animale può essere utilizzato anche per l’emissione di soli impulsi sonori e per la localizzazione dell’animale medesimo, sicché, in mancanza dell’accertamento di un pregiudizio concreto per il cane, difetta l’elemento oggettivo del reato, che non può essere integrato dalla mera applicazione del collare . A sorpresa la visione proposta dal difensore del cacciatore viene condivisa dai Giudici del ‘Palazzaccio’. In premessa viene ribadito che l’utilizzo del collare elettrico, che produce scosse o altri impulsi elettrici trasmessi al cane tramite comando a distanza, integra la contravvenzione di detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze, poiché concretizza una forma di addestramento fondata esclusivamente su uno stimolo doloroso tale da incidere sensibilmente sull’integrità psicofisica dell’animale . A fronte di questo principio, però, bisogna tenere presente, precisano i Giudici, che la condotta vietata , oggetto di incriminazione, non è la mera apposizione del collare elettrico, bensì il suo effettivo utilizzo , nella misura in cui ciò provochi gravi sofferenze psico-fisiche all’animale. In questa vicenda, però, i carabinieri forestali hanno solo verificato che l’uomo stava utilizzando il proprio cane per l’attività venatoria e che l’animale indossava due collari uno per il richiamo acustico e uno munito di due elettrodi in grado di dare piccole scosse a distanza grazie a un telecomando, che però non venne rinvenuto . Inoltre, a seguito di visita veterinaria, il cane fu trovato in buone condizioni di salute e senza segni cutanei all’altezza del collo, né furono accertate problematiche di udito cagionate, in ipotesi, dagli impulsi sonori , annotano ancora i Giudici. Illogico , quindi, contrariamente a quanto deciso dal Tribunale, ravvisare la sussistenza del reato unicamente dal fatto che il cane indossava il collare elettrico, senza verificare che, tramite il suo concreto utilizzato, siano state cagionate all’animale gravi sofferenze . A smontare la condanna pronunciata in Tribunale e a salvare il cacciatore è non solo la constatazione che il telecomando con cui azionare a distanza il collare non è stato trovato nella sua disponibilità ma anche l’accertata assenza sia di cicatrici sul collo del cane, sia di problematiche dell’udito , elementi, questi, che, ove presenti, sarebbero stati indicativi non solo del concreto utilizzato del collare, ma anche, e soprattutto, delle gravi sofferenze patite dall’animale quale conseguenza di quell’utilizzo , concludono i giudici. Cade definitivamente, quindi, l’accusa nei confronti del cacciatore.

Cassazione, sez. III Penale, sentenza 11 febbraio – 19 marzo 2021, n. 10758 Presidente Ramacci – Relatore Corbetta Ritenuto in fatto 1. Con l’impugnata sentenza, il Tribunale di Siena condannava A. alla pena di 2.000 di multa per il reato di cui all’art. 727 c.p., comma 2, a lui ascritto perché, avendogli applicato un collare predisposto alla trasmissione di scosse elettriche, deteneva il proprio cane di razza inglese, che utilizzava per l’attività venatoria, in una condizione produttiva di gravi sofferenze. 2. Avverso l’indicata sentenza, l’imputato, per il tramite del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi. 2.1. Con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b , in relazione all’osservanza di principi di legalità e di determinatezza. Assume il ricorrente che la condotta sarebbe genericamente descritta dalla fattispecie incriminatrice, ciò che integra la violazione dell’art. 25 Cost Aggiunge il ricorrente che la condotta contestata, ossia l’utilizzo di un collare elettrico, non sarebbe inquadrabile in una normativa chiara e precisa, stente la successione di tre ordinanze ministeriali che hanno stabilito il divieto dell’utilizzo di tale collare, facendo riferito ai casi di abuso dello strumento, ordinanza che il T.a.r. del Lazio ha annullato il ricorrente, pertanto, non sarebbe stato in grado di conoscere con certezza e sufficiente precisione il contenuto del divieto penalmente sanzionato. 2.2. Con il secondo motivo si eccepisce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e con riguardo alla sussistenza dell’elemento oggettivo del reato. Ad avviso del ricorrente, la motivazione sarebbe inadeguata, in quanto il cane non ha riportato alcun segno di lesione sul collo e godeva di ottima salute sotto altro profilo, il modello di collare rinvenuto sull’animale può essere utilizzato anche per emissione di solo impulsi sonori e per la localizzazione dell’animale medesimo, sicché, in mancanza dell’accertamento di un pregiudizio concreto per il cane, difetterebbe l’elemento oggettivo del reato, che non può essere integrato dalla mera applicazione del collare sull’animale. 2.3. Con il terzo motivo si lamenta la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b , in relazione alle risultanze probatorie. Secondo il ricorrente, il Tribunale ha ritenuto funzionanti gli elettrodi del collare nonostante gli agenti non abbiano compiuto una verifica in tal senso, anche considerando che l’imputato non è stato trovato in possesso del telecomando, in grado di azionare gli elettrodi. 2.4. Con il quarto motivo si invoca l’applicabilità d’ufficio dell’art. 131-bis c.p., sussistendo i presupposti fattuali integranti la causa di non punibilità. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato in relazione al secondo motivo, ciò che ha carattere assorbente. 2. L’art. 727 c.p., comma 2, punisce, come ipotesi contravvenzionale, chiunque detiene anirriali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze . La norma è stata costantemente interpretata da questa Sezione nel senso che l’utilizzo di collare elettronico, che produce scosse o altri impulsi elettrici trasmessi al cane tramite comando a distanza, integra la contravvenzione di detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze, poiché concretizza una forma di addestramento fondata esclusivamente su uno stimolo doloroso tale da incidere sensibilmente sull’integrità psicofisica dell’animale Sez. 3, Sentenza n. 21932 del 11/02/2016, Rv. 267345 Sez. 3, 11/02/2016, Bastianini, Rv. 267345 Sez. 3, 20/06/2013, Tonolli, Rv. 257685 Sez. 3, 24/01/2007, Sarto, Rv. 236335 . 3. Va peraltro osservato che la condotta vietata, oggetto di incriminazione, non è la mera apposizione sull’animale del collare elettronico, ma il suo effettivo utilizzo, nella misura in cui ciò provochi gravi sofferenze evento del reato, da intendersi nell’insorgere nell’animale di patimenti psico-fisici, in assenza dei quali si fuoriesce dal perimetro della tipicità. 4. Nel caso di specie, secondo quanto accertato dal giudice di merito, i carabinieri forestali verificarono che l’imputato stava utilizzando il proprio cane per l’attività venatoria, il quale indossava due collari uno per il richiamo acustico e uno munito di due elettrodi in grado di dare piccole scosse a distanza grazie a un telecomando, che, nella specie, non venne rinvenuto. A seguito di visita veterinaria, il cane fu trovato in buone condizioni di salute e senza segni cutanei all’altezza del collo, nè furono accertate problematiche di udito cagionate, in ipotesi, dagli impulsi sonori. 5. Orbene, la motivazione è errata laddove ha ravvisato la sussistenza del reato unicamente dal fatto che il cane indossasse il collare elettrico, senza verificare che, tramite il suo concreto utilizzato, siano state cagionate all’animale gravi sofferenze . 6. Seguendo l’interpretazione del Tribunale, infatti, si trasforma il reato di cui all’art. 727 c.p., comma 2, da fattispecie di evento a fattispecie di mera condotta, ciò che confligge con il chiaro dettato normativo, che richiede, per l’integrazione del fatto, l’insorgere di gravi sofferenze nell’animale. Nella vicenda in esame, non solo tale accertamento è totalmente mancato, anche considerando che il telecomando con cui azionare a distanza il collare non è stato trovato nella disponibilità dell’imputato, ma emerge un elemento di segno opposto, stante l’accertata assenza sia di cicatrici sul collo del cane, sia di problematiche dell’udito elementi che, ove presenti, sarebbero stati indicativi non solo del concreto utilizzato del collare, ma anche, e soprattutto, delle gravi sofferenze patite dall’animale quale conseguenza di quell’utilizzo. 6. La sentenza impugnata deve perciò essere annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.