Mascherine generiche destinate a farmacie e case di riposo: la competenza dei clienti esclude la frode in commercio

Decisivo il riferimento alla professionalità dei compratori dei prodotti importati dalla Cina in Italia da una società. Essi non avrebbero potuto non avvedersi che quelle mascherine non erano veri presidi medici. Logico, quindi, revocare il sequestro.

Revocato il sequestro di migliaia di mascherine generiche, importate dalla Cina e cedute a seguito di un contratto riguardante, almeno sulla carta, mascherine chirurgiche. Impossibile, secondo i Giudici, ipotizzare la frode in commercio, soprattutto perché gli acquirenti italiani erano esperti del settore e non avrebbero potuto non rendersi conto di avere a che fare con mascherine non catalogabili come veri e propri presidi medici Cassazione, sentenza n. 10129/21, sez. III Penale, depositata il 16 marzo . All’origine della vicenda c’è il decreto, nel maggio del 2020, con cui viene convalidato il sequestro di 100.000 mascherine generiche, sequestro operato dall’Agenzia delle Dogane di Torino nei confronti di una società che le aveva importate dalla Cina. A sorpresa, però, Il Tribunale del riesame ritiene manchi il fumus commissi delicti in sostanza, è illogico parlare di frode commerciale, e di conseguenza viene annullato il sequestro della merce. A contestare questa decisione è la Procura, che presenta ricorso in Cassazione. Chiara la tesi proposta dinanzi ai Giudici del ‘Palazzaccio’ è configurabile in questa vicenda il delitto di frode nell’esercizio del commercio , poiché i compratori avevano ordinato mascherine a tre veli chirurgiche, mentre quelle importate non lo erano, per cui vi era una divergenza tra l’ordine di acquisto dei compratori, le fatture a loro rilasciate e la merce importata, costituita da mascherine non costituenti dispositivi medici . Sempre secondo la Procura, poi, è non pertinente per escludere la sussistenza del fumus il riferimento dei giudici cautelari al futuro atteggiamento psicologico dei compratori , cioè la loro capacità di riconoscere la qualità di mascherine generiche e la conseguente decisione di non venderle come mascherine chirurgiche. Dalla Cassazione arriva però la conferma del dissequestro delle mascherine. Prima di esaminare il ricorso della Procura, comunque, i Giudici tengono a richiamare i passaggi salienti della vicenda. In sostanza, si è appurato che nel maggio 2020 l’Ufficio Antifrode dell’Agenzia delle Dogane di Torino accertava che una società importava 100.000 mascherine dalla Cina, che la società dichiarava non costituire dispositivi di protezione individuale e che in effetti non lo erano, non presentando peraltro alcun marchio CE e alcuna scritta in lingua italiana. L’Ufficio Antifrode, accertato che la società non disponeva di un magazzino dove stoccare la merce, richiedeva al rappresentante della società di esibire le fatture pro forma emesse nei confronti degli acquirenti delle mascherine, appurando in tal modo che in esse effettivamente la società aveva indicato come oggetto dei contratti di compravendita semplici mascherine a tre veli . Poi nel prosieguo delle indagini venivano escussi i vari clienti della società costituiti da una cooperativa, che gestisce case di riposo per anziani in regime convenzionato, nonché da diverse farmacie , i quali dichiaravano di aver chiesto in gran parte alla società la fornitura di mascherine di tipo chirurgico. Da ciò scaturiva l’apposizione della cautela real e sulle mascherine e l’addebito al legale rappresentante della società del reato di tentata frode in commercio , per aver compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco a consegnare articoli diversi da quelli dichiarati o pattuiti con i clienti, che intendevano acquistare mascherine chirurgiche . A fronte di questo quadro, però, il Tribunale del Riesame ha escluso, anche a livello indiziario, la configurabilità del contestato reato, in base alla considerazione secondo cui i prodotti venduti non recavano il marchio CE e nelle fatture pro forma era indicato che si trattava di mascherine a tre veli, per cui era da escludere che i clienti, esperti professionali del settore, non si sarebbero accorti che le mascherine acquistate non erano veri e propri dispositivi medici . Tale valutazione è legittima e coerente con le risultanze investigative disponibili , sanciscono i giudici della Cassazione. In premessa, comunque, i magistrati ricordano che il reato di frode in commercio, nella forma consumata, si configura non solo quando si consegna una cosa diversa da quella pattuita aliud pro alio , ma anche quando, pur essendoci identità di specie, si consegna una cosa qualitativamente diversa da quella pattuita, fermo restando che tale divergenza qualitativa deve riguardare caratteristiche non essenziali del prodotto, relative alla sua utilizzabilità, al suo pregio qualitativo o al grado di conservazione. Nella forma tentata, in cui cioè non si verifica la traditio del bene, occorre invece avere riguardo all’idoneità della condotta, che deve essere univocamente diretta a realizzare l’evento del reato, ovvero la consegna di una cosa diversa per origine, provenienza, qualità o quantità da quella oggetto del contratto . In questa vicenda, però, la volontà di consegnare agli acquirenti un bene diverso da quello pattuito è stata ragionevolmente esclusa , atteso che la reale natura delle mascherine è emersa alla luce del sole, nel senso che in alcun modo è stata nascosta la mancanza della qualità di dispositivi medici della merce. I beni che stavano per essere consegnati agli acquirenti erano infatti palesemente difformi da quelli pattuiti, venendo quindi in rilievo non una condotta potenzialmente decettiva, ma al più una mera violazione contrattuale , spiegano i magistrati. A fronte di tale quadro, non è decisiva, sempre secondo i Giudici della Cassazione, l’obiezione mossa dalla Procura secondo cui uno degli acquirenti, titolare di una farmacia, vendeva di fatto le mascherine a tre veli come dispositivi medici di protezione . In sostanza, non si può affermare che questo grave comportamento, ascrivibile a un soggetto diverso dal rappresentante della ‘srl’, valga a proiettare la sua natura senz’altro illecita anche alle condotte precedenti, di per sé non contraddistinte da rilievo penale, in quanto prive del requisito dell’idoneità e univocità degli atti .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 6 novembre 2020 – 16 marzo 2021, n. 10129 Presidente Rosi – Relatore Zunica Ritenuto in fatto 1. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino ha proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del 23 giugno 2020, con la quale il Tribunale del Riesame di Torino ha annullato, per difetto del fumus commisi delicti, il decreto del 20 maggio 2020, con cui il P.M. di Torino aveva convalidato il sequestro di 100.000 mascherine generiche, operato dall’Agenzia delle Dogane di Torino nei confronti della società C.S.D. s.r.l., di cui è legale rappresentante X.Q. , che le aveva importate dalla Cina. 2. Il ricorso è affidato a un unico motivo, con cui il Procuratore deduce la violazione di legge, osservando che, a differenza di quanto ritenuto dai Tribunale, doveva ritenersi configurabile nel caso di specie il delitto di cui all’art. 515 c.p., atteso che i compratori avevano ordinato mascherine 3 veli chirurgiche , mentre quelle importate non lo erano, per cui vi era una divergenza tra l’ordine di acquisto dei compratori, le fatture a loro rilasciate e la merce importata, costituita da mascherine non costituenti dispositivi medici. Non poteva ritenersi in ogni caso pertinente, al fine di escludere la sussistenza del fumus, il riferimento dei giudici cautelari al futuro atteggiamento psicologico dei compratori, trattandosi di un profilo eventuale e irrilevante, tanto più ove si consideri che uno solo dei acquirenti delle mascherine avrebbe venduto mascherine generiche agli inesperti consumatori finali spacciandole per chirurgiche, ma non è provato che anche gli altri acquirenti avrebbero agito così. Considerato in diritto Il ricorso è infondato. 1. Prima di soffermarsi sulla tenuta argomentativa della parte dell’ordinanza impugnata dedicata alla qualificazione giuridica del fatto, appare utile una breve ricostruzione della vicenda, invero pacifica nel suo svolgimento. Risulta infatti dal decreto di sequestro e dall’ordinanza del Tribunale del Riesame che, nel maggio 2020, l’Ufficio Antifrode dell’Agenzia delle Dogane di Torino accertava che la società d. s.r.l., di cui X.Q. era legale rappresentante, importava 100.000 mascherine dalla Cina, che la società dichiarava non costituire dispositivi di protezione individuale e che in effetti non lo erano, non presentando peraltro alcun marchio CE e alcuna scritta in lingua italiana. L’Ufficio Antifrode, accertato che la società non disponeva di un magazzino dove stoccare la merce, richiedeva all’indagato di esibire le fatture pro forma emesse nei confronti degli acquirenti delle mascherine, appurando in tal modo che nelle stesse effettivamente la d. s.r.l. aveva indicato come oggetto dei contratti di compravendita semplici mascherine a tre veli. Nel prosieguo delle indagini, venivano escussi i vari clienti della d. s.r.l. costituiti dalla Coop. Il Margine che gestisce case di riposo per anziani in regime convenzionato, nonché da diverse farmacie , i quali dichiaravano di aver chiesto in gran parte alla d. s.r.l. la fornitura di mascherine di tipo chirurgico. Da ciò scaturiva l’apposizione della cautela reale sulle mascherine e l’addebito al ricorrente del reato di tentata frode in commercio, per aver compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco a consegnare articoli diversi da quelli dichiarati o pattuiti con i clienti, che intendevano acquistare mascherine chirurgiche. Tanto premesso, il Tribunale del Riesame ha escluso, anche a livello indiziario, la configurabilità del contestato reato di cui agli art. 56 e 515 c.p., in base alla considerazione secondo cui i prodotti venduti non recavano il marchio CE e nelle fatture pro forma era indicato che si trattava di mascherine a tre veli, per cui era da escludere che i clienti, esperti professionali del settore, non si sarebbero accorti che le mascherine acquistate non erano veri e propri dispositivi medici. Orbene, tale valutazione, coerente con le risultanze investigative disponibili, non presenta vizi di legittimità rilevabili in questa sede, dovendosi premettere che, come già affermato da questa Corte cfr. Sez. 3, n. 40271 del 16/07/2015, Rv. 265163 , il reato di frode in commercio, nella forma consumata, si configura non solo quando si consegna una cosa diversa da quella pattuita aliud pro alio , ma anche quando, pur essendoci identità di specie, si consegna una cosa qualitativamente diversa da quella pattuita, fermo restando che tale divergenza qualitativa deve riguardare caratteristiche non essenziali del prodotto, relative alla sua utilizzabilità, al suo pregio qualitativo o al grado di conservazione. Nella forma tentata, in cui cioè non si verifica la traditio del bene, occorre invece avere riguardo all’idoneità della condotta, che deve essere univocamente diretta a realizzare l’evento del reato, ovvero la consegna di una cosa diversa per origine, provenienza, qualità o quantità da quella oggetto del contratto. Ora, nel caso di specie, la volontà di consegnare agli acquirenti un bene diverso da quello pattuito è stata ragionevolmente esclusa, atteso che la reale natura delle mascherine è emersa alla luce del sole , nel senso che in alcun modo è stata nascosta la mancanza della qualità di dispositivi medici della merce i beni che stavano per essere consegnati agli acquirenti erano infatti palesemente difformi da quelli pattuiti, venendo quindi in rilievo nel caso di specie non una condotta potenzialmente decettiva, ma al più una mera violazione contrattuale. Nè appare decisiva l’obiezione secondo cui uno degli acquirenti, titolare di una farmacia, di fatto vendeva le mascherine a tre veli come dispositivi medici di protezione, non potendosi affermare che questo grave comportamento, ascrivibile a un soggetto diverso dall’indagato, valga a proiettare la sua natura senz’altro illecita anche alle condotte prodromiche, di per sé non contraddistinte da rilievo penale, in quanto prive del requisito dell’idoneità e univocità degli atti. - Alla stregua di tali considerazioni, si impone pertanto il rigetto del ricorso del P.M., non ravvisandosi violazioni di legge nel provvedimento impugnato. P.Q.M. Rigetta il ricorso.