50 grammi di hashish in casa: esclusa l’ipotesi della scorta personale

Condanna definitiva per un uomo, beccato ad avere in casa un corposo quantitativo di sostanza stupefacente. Respinta la tesi difensiva, mirata a sostenere il consumo elusivamente personale e ad escludere la messa in vendita.

Cinquanta grammi di hashish in casa. Esclusa l’ipotesi del consumo personale decisiva la constatazione che con l’utilizzo di due grammi al giorno – come ipotizzato del legale dell’uomo sotto processo – si sarebbe realizzato alla fine un deperimento della sostanza Cassazione, sentenza n. 9970/21, sez. IV Penale, depositata il 15 marzo . Fatale il controllo nell’abitazione di un uomo. Le forze dell’ordine rinvengono cinquanta grammi di hashish, corrispondenti a circa 780 dosi singole. Per i giudici di merito è inequivocabile il quadro probatorio a disposizione. Consequenziale la condanna dell’uomo per avere illecitamente detenuto nella propria casa sostanza stupefacente destinata a essere messa spacciata, con pena fissata in due anni di reclusione e 10mila euro di multa . Il difensore dell’uomo prova a ridimensionare la vicenda, sostenendo col ricorso in Cassazione l’ipotesi del consumo esclusivamente personale dell’hashish rinvenuto dalle forze dell’ordine. Più precisamente, il legale si duole dell’affermazione di responsabilità penale a carico del suo cliente, sostenendo che l’accertamento indiziario sulla finalità di cessione della sostanza stupefacente detenuta non può essere fondato unicamente sul quantitativo rinvenuto e aggiungendo che nella nozione di uso personale può rientrare anche un quantitativo più rilevante, ove sia dimostrato che il detentore ne abbia fatto provvista in relazione ad oggettive difficoltà di reperimento . Per dare solidità alla tesi del consumo solo personale, poi, il legale pone in evidenza, da un lato, la circostanza del mancato rinvenimento nell’abitazione del suo cliente di strumentazione atta al confezionamento in dosi della sostanza e, dall’altro, la grave condizione di tossicodipendenza in cui versa l’uomo – con annessa ridotta capacità di intendere e di volere –, rivelatrice di una destinazione dello stupefacente anche all’uso personale . Per i magistrati della Cassazione, però, come già per i giudici d’Appello, va esclusa la detenzione per uso personale dell’hashish rinvenuto nella casa dell’uomo. Decisivo il riferimento al considerevole quantitativo posto in sequestro, idoneo al confezionamento di 784 dosi medie singole di hashish, incompatibile con la dedotta destinazione della sostanza ad un esclusivo uso personale . Di conseguenza va esclusa la possibilità che l’uomo avesse fatto scorta della sostanza stupefacente . Questo ragionamento è assolutamente corretto, poiché, osservano i Giudici di terzo grado, la considerazione del solo parametro quantitativo, al cospetto della detenzione di un numero così rilevante di dosi ricavabili è sufficiente per ipotizzare la illecita detenzione. Peraltro, a fronte della tesi difensiva, secondo cui l’uomo è dedito ad un consumo quotidiano di circa due grammi di hashish al giorno , si deduce che sarebbero stati necessari venticinque giorni per consumare la sostanza acquistata e tale intervallo di tempo, per la facile volatilità del principio attivo, avrebbe potuto determinare il deperimento della sostanza , sottolineano i Giudici. Inoltre, a smentire l’ipotesi difensiva è la mancanza in atti di elementi certi in ordine alla quantità di sostanza quotidianamente consumata dall’uomo e alle prospettate difficoltà di reperimento della droga . Infine, impossibile parlare di condotta lieve , proprio alla luce della considerevole entità del dato ponderale , concludono i Giudici.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 3 febbraio – 15 marzo 2021, n. 9970 Presidente Fumu – Relatore Bruno Ritenuto in fatto 1. Con sentenza dell’8/11/2019, la Corte di appello di Roma ha confermato la pronuncia del locale Tribunale con cui T.A. è stato ritenuto responsabile del reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 4 e condannato alla pena di anni due di reclusione ed Euro 10.000 di multa. Era contestato al ricorrente di avere illecitamente detenuto nella propria abitazione sostanza stupefacente del tipo hashish da cui erano ricavabili n. 784 dosi medie singole. 2. Avverso la sentenza di cui sopra ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del difensore, deducendo, nel motivo unico proposto, erronea applicazione degli artt. 125, 187, 192, 533 c.p.p., art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e erronea applicazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, artt. 89, 95, 99, 133 e 133-bis c.p. contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla mancata riqualificazione del fatto ai sensi del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5. La difesa si duole dell’affermazione di responsabilità del ricorrente, sostenendo che l’accertamento indiziario sulla finalità di cessione della sostanza stupefacente detenuta non possa essere fondata unicamente sul quantitativo rinvenuto, dovendosi apprezzare altri concorrenti elementi dai quali sia desumibile un uso non esclusivamente personale della stessa. Rammenta come nella nozione di uso personale possa rientrare anche un quantitativo più rilevante ove sia dimostrato che il detentore ne abbia fatto provvista in relazione ad oggettive difficoltà di reperimento. La illogicità della motivazione espressa dai giudici di merito si ricaverebbe dalla circostanza del mancato rinvenimento nell’abitazione del ricorrente di strumentazione atta al confezionamento in dosi della sostanza. La Corte di merito avrebbe dovuto riqualificare i fatti ai sensi del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5. Sarebbe stata illogicamente esclusa l’applicazione del fatto di lieve entità sulla base del solo dato ponderale, senza che sia stata valutata la grave condizione di tossicodipendenza in cui versa il prevenuto, rivelatrice di una destinazione dello stupefacente anche all’uso personale, che comporterebbe un ridimensionamento del fatto ascritto al ricorrente. Sotto questo profilo sarebbe censurabile l’affermazione contenuta in sentenza in cui si assume che la certificazione contenuta in atti non sarebbe attuale, riferendosi al dicembre 2018. La motivazione della sentenza sarebbe inoltre carente relativamente alla questione posta in sede di appello circa il riconoscimento della seminfermità dell’imputato dovuta alla cronica intossicazione derivante dall’uso di stupefacenti. Su questo punto la Corte di merito non si sarebbe pronunciata il T. , che versa in un grave stato di tossicodipendenza, come documentato in atti, soffrirebbe di una ridotta capacità di intendere e volere. L’ardua individuazione di uno stadio di tossicodipendenza che si traduca in una permanente condizione di alterazione psichica non può tradursi in una pedissequa esclusione di qualsivoglia riconoscimento in ordine ad una ridotta capacità dell’imputato, suscettibile di riverberare i suoi effetti su una risposta sanzionatoria più attenuata. Anche in relazione alla richiesta di esclusione della contestata recidiva la Corte di merito non avrebbe offerto congrua risposta, ritenendo illogicamente dimostrata la contestata aggravante sulla scorta dei precedenti annoverati dal ricorrente. 3. Il P.G., nel rassegnare conclusioni scritte ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8 ha chiesto il rigetto del ricorso. Considerato in diritto 1. I motivi di doglianza sono infondati, pertanto il ricorso deve essere rigettato. 2. Quanto alla prima ragione di doglianza, relativa alla prospettata detenzione per uso personale della sostanza caduta in sequestro, si osserva come la motivazione della sentenza impugnata abbia puntualmente esposto le ragioni per le quali ha ritenuto di rigettare la richiesta difensiva di mandare assolto l’imputato dal reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 4. La Corte di merito, condividendo le ragioni espresse dal Tribunale, ha rilevato che il considerevole quantitativo posto in sequestro, idoneo al confezionamento di n. 784 dosi medie singole di hashish, fosse incompatibile con la dedotta destinazione della sostanza ad un esclusivo uso personale, escludendo logicamente la possibilità di ritenere che l’imputato avesse fatto scorta della sostanza. La considerazione del solo parametro quantitativo, al cospetto della detenzione di un numero così rilevante di dosi ricavabili, ai fini della ricorrenza della fattispecie della illecita detenzione, è stato costantemente ammesso dalla giurisprudenza di legittimità ex multis Sez. 6, n. 9723 del 17/01/2013, Serafino, Rv. 254694 - 01 In materia di stupefacenti, il considerevole numero di dosi ben può essere ritenuto un indice della destinazione della droga ad un uso non esclusivamente personale. In applicazione del principio, la Corte, in relazione ad un quantitativo di 88 grammi netti di marijuana, da cui erano ricavabili circa 200 dosi di sostanza drogante, ha valorizzato i dati della degradabilità della sostanza per la volatilità del principio attivo della canapa indiana e del tempo necessario all’imputato, circa due mesi, per esaurirla da solo ” . Peraltro, la Corte di appello nell’esaminare compiutamente gli elementi di dubbio prospettati dalla difesa, con ragionamento logico, non censurabile in questa sede, ha aggiunto che, pur volendo accedere alla tesi difensiva secondo la quale il ricorrente è dedito ad un consumo quotidiano di circa 2 grammi di hashish al giorno, sarebbero stati necessari venticinque giorni per consumare la sostanza acquistata. Tale intervallo di tempo, per la facile volatilità del principio attivo, avrebbe potuto determinare il deperimento della sostanza. Ha poi aggiunto che tale ipotesi deve essere comunque esclusa, mettendo in rilievo la mancanza in atti di elementi certi in ordine alla quantità di sostanza quotidianamente consumata dal ricorrente e alle prospettate difficoltà di reperimento della sostanza. La motivazione è immune dai vizi lamentati dalla difesa. Sul punto le censure proposte dal ricorrente, sia pure sotto il profilo del vizio di motivazione, in realtà appaiono rivolte a richiamare l’attenzione di questa Corte di legittimità su aspetti valutativi di merito. Si deve ricordare che in sede di legittimità è, invece, preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti e del relativo compendio probatorio, esaurendosi il compito del giudice di legittimità nella verifica della coerenza, logicità e completezza della motivazione Sez. U, Sentenza n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260 - 01 In tema di controllo sulla motivazione, alla Corte di cassazione è normativamente preclusa la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno ed invero, avendo il legislatore attribuito rilievo esclusivamente al testo del provvedimento impugnato, che si presenta quale elaborato dell’intelletto costituente un sistema logico in sé compiuto ed autonomo, il sindacato di legittimità è limitato alla verifica della coerenza strutturale della sentenza in sé e per sé considerata, necessariamente condotta alla stregua degli stessi parametri valutativi da cui essa è geneticamente informata, ancorché questi siano ipoteticamente sostituibili da altri . 3. Quanto alla fattispecie della lieve entità, la Corte d’appello ha adeguatamente motivato in ordine alle ragioni per cui non ha ritenuto applicabile il D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 attribuendo preponderante rilievo alla considerevole entità del dato ponderale. La motivazione non collide con i principi stabiliti nella recente pronuncia a Sezioni unite Sez. U n. 51063 del 27/09/2018, imp. Murolo , la quale ammette la possibilità che uno degli indici di valutazione da considerarsi, ai fini del riconoscimento o del diniego del fatto di lieve entità, possa assumere in concreto valore assorbente rispetto agli altri di segno contrario, ove la sua intrinseca espressività sia tale da non poter essere compensata da quella di segno eventualmente opposto, come per l’appunto affermato nei precedenti arresti. 4. La difesa sostiene di avere posto la questione della seminfermità dell’imputato dovuta alla cronica intossicazione derivante dall’uso di stupefacenti. Su questo punto la Corte di merito non si sarebbe pronunciata. Il rilievo è infondato. La lettura dei motivi di appello rivela come la difesa abbia addotto, in termini del tutto generici, la esistenza di una precaria capacità di intendere e volere dell’imputato, aggravata dallo stato di tossicodipendenza e da problemi psichici pregressi, richiedendo, in ragione di ciò, una mitigazione del trattamento sanzionatorio. La questione è stata sollevata in termini diversi da quelli risultanti dal ricorso, dove viene tematizzato il profilo dell’applicabilità al caso di specie della previsione di cui all’art. 95 c.p Pertanto, non ricorre la lamentata carenza motivazionale di cui si duole la difesa. Al motivo di appello la Corte di merito ha offerto adeguata risposta, ritenendo congrua la pena irrogata dal primo giudice in ragione della gravità del fatto e dei numerosi precedenti penali annoverati dal ricorrente, anche di natura specifica. Occorre rilevare come la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientri nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 c.p. ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione ex multis Sez. 5, Sentenza n. 5582 del 30/09/2013 Ud. dep. 04/02/2014 Rv. 259142 - 01 . Deve anche aggiungersi come il giudice, nell’esercizio del potere discrezionale per la determinazione della pena, non sia tenuto a prendere in considerazione tutte le circostanze o le deduzioni prospettate dall’imputato, essendo invece sufficiente che egli dia atto delle plausibili ragioni della sua determinazione in relazione agli aspetti ritenuti maggiormente rilevanti cfr. Sez. 2, Sentenza n. 19907 del 19/02/2009, Rv. 244880 - 01 Il giudice d’appello può trascurare le deduzioni contenute nei motivi dell’impugnazione in ordine alla determinazione della pena e alla mancata concessione delle attenuanti generiche quando abbia individuato, tra i criteri di cui all’art. 133 c.p., quelli che nel caso concreto possano assumere una rilevanza decisiva per connotare negativamente la personalità dell’imputato . 5. Parimenti infondata è la censura attinente alla motivazione espressa dalla Corte di merito in ordine alla mancata esclusione della recidiva. Attraverso il richiamo alla pluralità di precedenti penali, anche specifici, attestanti la spiccata pericolosità sociale del ricorrente, la Corte di merito ha ritenuto che il reato oggetto del presente procedimento costituisca indice di ulteriore pericolosità, sicché, contrariamente all’assunto difensivo, ha positivamente individuato e dato atto delle ragioni per operare l’aumento di pena previsto dalla menzionata aggravante, in ossequio ai principi stabiliti in sede di legittimità ex multis Sez. 6, n. 14550 del 15/03/2011, Rv. 250039 - 01 L’applicazione dell’aumento di pena per effetto della recidiva facoltativa attiene all’esercizio di un potere discrezionale del giudice, del quale deve essere fornita adeguata motivazione, con particolare riguardo all’apprezzamento dell’idoneità della nuova condotta criminosa in contestazione a rivelare la maggior capacità a delinquere del reo . 6. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.