Lui in carcere, lei si divide tra lavoro e figli disabili. Pandemia e chiusura dei centri di assistenza possono riportare a casa l’uomo

Riprende vigore la richiesta mirata a consentire ad un padre di ottenere la detenzione domiciliare speciale. Necessario valutare con attenzione la difficile situazione familiare, resa ancora più complicata dall’emergenza sanitaria.

Marito in carcere – condannato per appartenenza alla criminalità organizzata – e moglie che a casa deve dividersi tra il lavoro e i due figli disabili gravi. A complicare ancor di più la situazione, poi, la pandemia da Covid-19 e la conseguente chiusura delle strutture frequentate dai due ragazzi. A fronte di questo delicato quadro, è plausibile la concessione all’uomo della detenzione domiciliare speciale Cassazione, sentenza n. 4796/21, sez. I Penale, depositata l’8 febbraio . A chiedere la possibilità di poter tornare a casa è un detenuto – Dario, nome di fantasia – che dovrebbe rimanere in carcere a scontare la pena fino al novembre del 2024. L’uomo spiega di voler ottenere la detenzione domiciliare speciale per dare una mano alla moglie , che a casa deve dividersi tra il lavoro e l’assistenza ai due figli disabili entrambi con invalidità al 100% . Per il Tribunale di sorveglianza, però, non si può concedere all’uomo la detenzione domiciliare. Ciò per due ragioni in primo luogo per la mancata emersione della situazione di impossibilità di accudimento dei ragazzi disabili da parte della loro madre e in secondo luogo per la persistente tendenza alla recidiva mostrata dal detenuto. Questa visione viene ovviamente contestata dall’avvocato del detenuto. In particolare, il legale pone in evidenza le problematiche di salute dei due ragazzi e la condizione della madre in merito alla necessità di prestare loro assistenza . Inoltre, alla luce della decisione con cui la Corte Costituzionale ha sancito il diritto del disabile di ricevere assistenza nell’ambito della sua comunità di vita e della legge numero 112/2016 che si è preoccupata di assicurare il benessere, l’inclusione sociale e l’autonomia delle persone affette da handicap , il legale lamenta la mancata considerazione dello specifico fatto che la sindrome da cui sono affetti i due figli del detenuto, costituendo disabilità grave tendente a peggiorare con l’avanzare dell’età, necessita di un’assistenza che, vieppiù nel periodo dell’emergenza sanitaria, non risulta in alcun modo assicurata , anche tenendo presente che il centro diurno e la piscina frequentati dai due ragazzi disabili sono stati chiusi e alla riapertura, secondo la difesa, non potranno essere frequentati con modalità equali a quelle del recente passato. Per rendere ancora più chiara la situazione, poi, il legale sottolinea che i due figli del suo cliente sono persone disabili da assistere in grado tale che essi abbisognano, non di una ma di due persone sostegno uno ad uno e sostiene la tesi della impossibilità della madre, impegnata anche nell’attività lavorativa, di accudire i figli , soprattutto ricordando che al disabile vanno assicurate, oltre all’ordinaria assistenza, l’inclusione sociale e l’autonomia, obiettivi che, nella situazione venutasi a creare, non possono essere raggiunti da un unico genitore , chiosa il legale. Secondo la Procura Generale della Cassazione, però, le obiezioni proposte dal legale del detenuto vanno respinte. Ciò perché, come evidenziato dal Tribunale di sorveglianza, la pur difficile situazione familiare non ha determinato l’impossibilità della madre di accudire i figli . La posizione assunta dalla Procura Generale non è stata però condivisa dai Giudici della Cassazione, i quali ritengono invece almeno plausibile la richiesta avanzata dal detenuto, considerato il contesto familiare. Come detto prima, il detenuto ha posto in evidenza la sua condizione di paternità di due figli entrambi portatori di handicap grave, con invalidità al 100%, dei quali la sola madre non è in grado di occuparsi, essendosi oltretutto verificata una situazione di vera e propria insostenibilità a causa della emergenza sanitaria che ha determinato l’interruzione dei servizi di supporto e assistenza ordinariamente attivati . Per il Tribunale di sorveglianza, però, questa situazione non può essere ritenuta idonea a legittimare il provvedimento invocato , cioè la concessione all’uomo della detenzione domiciliare speciale . Per i Giudici della Cassazione, però, la lettura della vicenda non è così netta. In premessa viene ricordato ciò che si è appurato la famiglia, formata da moglie e tre figli, vive in un piccolo paese la figlia maggiore si è trasferita altrove e ha creato un suo nucleo familiare la moglie lavora da molti anni in una farmacia, occupandosi di pulizie anche come collaboratrice domestica a ore presso l’abitazione del farmacista, e ha riferito delle gravi difficoltà che si sono determinate nel periodo di emergenza sanitaria, non riuscendo a conciliare l’impegno di lavoro con quello di cura dei figli a causa della chiusura dei centri di riabilitazione e assistenza . Tuttavia, secondo il Tribunale, questa – pur difficile – situazione non configura i presupposti richiesti dalla norma, poiché non consente di ravvisare l’impossibilità per la madre ad accudire i figli, che di regola frequentano i centri di assistenza, solo temporaneamente chiusi, a fronte di un impegno lavorativo, di natura parziale, che, se gestito nelle sue modalità, permette di evitare il determinarsi di una situazione tale da precludere l’assistenza ai figli, pur se portatori di un grave handicap . Dalla Cassazione osservano però che la detenzione domiciliare speciale , finalizzata principalmente a tutelare il figlio, terzo incolpevole e bisognoso del rapporto quotidiano e delle cure del detenuto, deve estendersi al figlio portatore di disabilità grave , il quale si trova sempre in condizioni di particolare vulnerabilità fisica e psichica, indipendentemente dall’età . Corollario di questo ragionamento è che il Tribunale di sorveglianza, in sede di valutazione in concreto dei presupposti di concessione della misura e di determinazione delle concrete modalità del suo svolgimento, ha il compito di contemperare le esigenze di cura del disabile con quelle parimenti imprescindibili di difesa sociale e di contrasto alla criminalità, dal momento che questa misura è primariamente indirizzata, oltre che alla rieducazione del condannato, anche a consentire la cura dei figli e a preservarne il rapporto con la madre , ma, ovviamente, tali riflessioni si rifrangono sulla posizione del padre quando la madre sia deceduta, oppure quando ella sia impossibilitata e non vi sia modo di affidare la prole ad altri che al padre . In questa vicenda, però, il Tribunale di sorveglianza ha raggiunto la conclusione che la madre dei due figli del condannato, portatori di grave handicap, potesse svolgere un ruolo attivo adeguato nella funzione di loro assistenza, nonostante il carico lavorativo e l’avvenuta cessazione del supporto assistenziale delle strutture deputate, determinata dalla emergenza sanitaria connessa all’evento pandemico . Questa situazione è stata valutata come transeunte dai giudici di sorveglianza, i quali hanno affermato che la situazione venutasi a creare restava comunque gestibile dalla madre, con l’effetto che non si era determinata quell’impossibilità di adeguata assistenza, pur a fronte della gravità della condizione e della duplicità delle persone bisognose dell’assistenza . Questa conclusione è però forzata, secondo la Cassazione. Certo, il concetto di impossibilità a cui la norma si riferisce esige la severa condizione di carenza di potenzialità assistenziali in capo alla madre . In concreto, però, la madre deve essere assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole, dal momento che l’assistenza che la norma sottende non va intesa come una necessaria permanenza in tutte le ore della giornata vicino alla prole, situazione che non si determina neanche nelle famiglie con genitori non detenuti ed entrambi occupati in attività lavorativa. La situazione impediente viene intesa come l’impossibilità per il genitore non detenuto di garantire una presenza in famiglia che assicuri la continuità affettiva, avendo riguardo non solo al soggetto chiamato a prestare assistenza, ma anche, e soprattutto, alla situazione del figlio, in considerazione del rischio in concreto derivante per quest’ultimo dal deficit assistenziale, sotto il profilo della irreversibile compromissione del processo evolutivo-educativo . Difatti, si afferma in modo costante che non sussiste il divieto di custodia cautelare in carcere dell’imputato padre ove l’impedimento della madre ad assistere la prole sia costituito dalla sua attività lavorativa, giacché in condizioni normali l’attività lavorativa, in sé considerata, non impedisce al genitore di prendersi cura dei figli, potendo essa, sempre in situazione ordinaria, coniugarsi con le necessità di assistenza il figlio, laddove non risulti l’impossibilità di ricevere un supporto da strutture pubbliche o private, ovvero da altri familiari . Di conseguenza, si può ritenere, osservano i Giudici della Cassazione, che la situazione di impossibilità qui rilevante sia quella che – per emersione di oggettivi fattori impeditivi inerenti alla sfera di azione della madre – determina il concreto rischio per il figlio di un grave deficit assistenziale e, con esso, di un’irreversibile compromissione del suo processo evolutivo-educativo, processo che, nel caso di soggetto portatore di handicap, è contrassegnato dalle peculiarità e complicanze riconnesse alla sua disabilità . In questa prospettiva va collocata la situazione illustrata dal detenuto, situazione in cui la moglie si trova a dover assistere i due figli portatori di handicap grave, in grado tale da determinare la loro invalidità al 100 per cento, con la necessità di assistenza continua, non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani, situazione già implicante un impegno severo per la donna, risultata unica addetta alla loro assistenza, oltre che dedita necessariamente all’attività lavorativa funzionale al mantenimento del nucleo familiare . Logico, quindi, prendere nuovamente in esame la richiesta avanzata dal detenuto, anche tenendo presente che proprio il Tribunale di sorveglianza ha riconosciuto un serio e obiettivo deterioramento, a cagione dell’emergenza pandemica e della corrispondente chiusura dei centri di riabilitazione e assistenza, con la conseguente accentuazione del carico sulla madre dei due ragazzi , mentre non è stata segnalata la possibilità per la donna di fruire del concorso di eventuali concorrenti supporti, sia pure integrativi, nell’ambito familiare .

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 10 dicembre 2020 – 8 febbraio 2021, n. 4796 Presidente Di Tomassi – Relatore Siani Ritenuto in fatto 1. Con l'ordinanza in epigrafe, emessa il 19 maggio 2020, il Tribunale di sorveglianza di Firenze ha rigettato l'istanza di ammissione alla detenzione domiciliare speciale, ex art. 47-quinquies Ord. pen., avanzata da Ci. Gr., detenuto nella Casa di Reclusione di San Gimignano, in espiazione della pena con termine fissato al 19 novembre 2024, come da provvedimento di esecuzione delle pene concorrenti del 22 giugno 2018. Il Tribunale ha ritenuto non potersi ammettere il condannato alla detenzione domiciliare suddetta, in relazione alla mancata emersione della situazione di impossibilità di accudimento dei figli di Gr. da parte della loro madre e alla persistente tendenza alla recidiva mostrata dal medesimo. 2. Avverso questa ordinanza ha proposto ricorso il difensore di Gr. chiedendone l'annullamento sulla base di un unico motivo con cui prospetta la violazione dell'art. 47-quinquies Ord. pen. e la mancanza della motivazione in merito all'impossibilità della madre di accudire i figli disabili. La difesa premette che, con precedente pronuncia, la Corte di legittimità aveva già annullato con rinvio il provvedimento del Tribunale di sorveglianza di Firenze che aveva dichiarato inammissibile l'istanza di detenzione domiciliare ex art. 47, comma 1, lett. b , Ord. pen., rilevando che i giudici di sorveglianza non avevano fatto menzione delle problematiche di salute dei figli e non avevano considerato la condizione della madre e la verifica della sua impossibilità o meno di prestare loro assistenza era successivamente intervenuta la sentenza numero 18 del 2020 della Corte costituzionale che aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 47-quinquies Ord. pen. nella parte in cui non prevede la concessione della detenzione domiciliare anche alle madri di figli affetti da handicap grave ritualmente accertato ai sensi della legge n. 104 del 1992. La difesa, alla stregua della motivazione data dal Giudice delle leggi, che aveva sancito il diritto del disabile di ricevere assistenza nell'ambito della sua comunità di vita, e richiamata anche la legge n. 112 del 2016, che si era preoccupata di assicurare il benessere, l'inclusione sociale e l'autonomia delle persone affette da handicap, lamenta la mancata considerazione dello specifico fatto che la sindrome da cui sono affetti i due figli del detenuto, costituendo disabilità grave tendente a peggiorare con l'avanzare dell'età, necessita di un'assistenza che, vieppiù nel periodo dell'emergenza sanitaria, non risulta in alcun modo assicurata il centro diurno e la piscina frequentati dei due figli disabili erano stati chiusi e, quando sarebbero stati riaperti, non avrebbero potuto esserlo con eguali modalità. Attesa questa specifica situazione, il ricorrente evidenzia che i due figli sono persone disabili da assistere in grado tale che essi abbisognano, non di una, ma di due persone sostegno uno ad uno a questa tematica - si aggiunge - il Tribunale ha risposto in modo apodittico e mancando di tener conto che l'impossibilità della madre, impegnata anche nell'attività lavorativa, di accudire il figlio non è necessario sia assoluta, né ha valutato che, per effetto della legge n. 112 del 2016, al disabile vanno assicurate, oltre all'ordinaria assistenza, l'inclusione sociale e l'autonomia, obiettivi che, nella situazione venutasi a creare, non possono essere raggiunti da un unico genitore. Inoltre, la difesa fa carico ai giudici di sorveglianza della carente valutazione, sotto il profilo prognostico, di diversi elementi, fra cui il fatto che Gr. ha usufruito di permessi, ha ottenuto 360 giorni di liberazione anticipata e partecipa all'attività trattamentale, oltre ad avere già espiato il reato ostativo ed essere stato considerato immune da collegamenti con la criminalità organizzata. 3. Il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso osservando che il Tribunale ha indicato compiutamente le ragioni per le quali la domanda di detenzione domiciliare speciale non poteva essere accolta, atteso che la pur difficile situazione familiare non aveva determinato l'impossibilità della madre di accudire i figli, con mancata integrazione del presupposto previsto dalla norma applicata. Considerato in diritto 1. L'impugnazione è per quanto di ragione fondata e va accolta nei corrispondenti sensi. 2. I giudici di merito, onde pervenire al provvedimento negativo oggetto del presente esame, hanno, nella prospettiva già richiamata in parte narrativa, preso atto che il detenuto aveva addotto a base dell'istanza la condizione di paternità di due figli entrambi portatori di handicap grave, con invalidità al 100% in quanto affetti da sindrome del cromosoma X fragile, determinante un ritardo cognitivo di grado grave nonché disturbi secondari del linguaggio e dell'apprendimento , dei quali la sola madre non era in grado di occuparsi, essendosi oltretutto verificata una situazione di vera e propria insostenibilità a causa della nota emergenza sanitaria, che aveva determinato l'interruzione dei servizi di supporto e assistenza ordinariamente attivati. Tuttavia, questa situazione, secondo il Tribunale, non può essere ritenuta idonea a legittimare il provvedimento invocato. Posto che l'art. 47-quinquies Ord, pen. come inciso da Corte cost. n. 18 del 2020 stabilisce che la detenzione domiciliare speciale può essere concessa alle stesse condizioni previste per la madre anche al padre detenuto, se la madre è deceduta o impossibilitata e non vi è modo di affidare ad altri che al padre i figli, anche se questi sono gravemente disabili, a prescindere dall'età anagrafica, i giudici di sorveglianza, da un lato, hanno riepilogato la biografia penale di Gr. e sottolineata l'infruttuosità delle sue pregresse esperienze trattamentali con la persistente sua tendenza alla recidiva e, dall'altro, hanno considerato le sue condizioni familiari. E', in particolare, emerso che la famiglia, formata da moglie e tre figli, vive a San Tammaro la figlia maggiore si è trasferita altrove e ha creato un suo nucleo familiare la moglie lavora da molti anni in una farmacia occupandosi di pulizie anche come collaboratrice domestica a ore presso l'abitazione del farmacista quest'ultima ha riferito all'U.E.P.E. delle gravi difficoltà che si sono determinate nel periodo di emergenza sanitaria non riuscendo a conciliare l'impegno di lavoro con quello di cura dei figli a causa della chiusura dei centri di riabilitazione assistenza. Posto ciò, secondo il Tribunale, questa - pur difficile - situazione non configura i presupposti richiesti dalla norma, poiché non consente di ravvisare l'impossibilità per la madre ad accudire i figli, che di regola frequentano i centri di assistenza, solo temporaneamente chiusi, a fronte di un impegno lavorativo, di natura parziale, che, se gestito nelle sue modalità, permette di evitare il determinarsi di una situazione tale da precludere l'assistenza ai figli, pur se portatori del grave handicap suindicato. Nel provvedimento impugnato viene, quindi, considerato che il detenuto debba sperimentare la possibilità di accesso alle ordinarie misure alternative, previo raggiungimento di un adeguato grado di evoluzione della personalità e di rielaborazione del suo vissuto, per evitare ulteriori recidive. 3. Va ricordata la tradizionale linea esegetica secondo cui, ai fini dell'applicazione della detenzione domiciliare speciale di cui all'art. 47-quinquies Ord. pen., il giudice, dopo aver accertato la sussistenza dei presupposti formali e dopo avere escluso il concreto pericolo di commissione di ulteriori reati, deve verificare la possibilità del reinserimento sociale del condannato nonché la possibilità dell'effettivo esercizio da parte sua delle cure parentali nei confronti di prole, dalla norma originaria circoscritta a quella di età non superiore ai dieci anni, costituendo la prima condizione un requisito necessario per l'ammissione al regime alternativo e la seconda condizione la circostanza giustificatrice del maggior ambito applicativo della misura alternativa Sez. 1, n. 47092 del 19/07/2018, Barbi Cinti, Rv. 274481 - 01 . Deve immediatamente aggiungersi che l'art. 47-quinquies Ord. pen., essendo stato ripetutamente inciso dalla Corte costituzionale con pronunzie di illegittimità parziale, attualmente si connota per uno spettro applicativo più ampio. In particolare, risulta modificata l'originaria individuazione del minimum di espiazione della pena per i reati ostativi la detenzione domiciliare speciale prevista dall'art. 47-quinquies Ord. pen., in conseguenza delle dichiarazioni di parziale illegittimità costituzionale degli artt. 4-bis, comma 1, e 47-quinquies, comma 1-bis, Ord. pen. Corte Cost. n. 239 del 2014 e n. 76 del 2017 , può essere concessa anche in caso di condanna per uno dei delitti indicati dal predetto art. 4-ò/s, senza necessità di previa collaborazione con la giustizia, nonché alla madre, o, eventualmente, al padre, ai sensi del comma 7 del medesimo art. 47-quinquies, di prole infradecenne, che abbia riportato condanna per uno di tali delitti, senza necessità di previa sottoposizione all'esecuzione della pena detentiva per un periodo pari ad almeno un terzo della pena inflitta o, nell'ipotesi di condanna all'ergastolo, ad almeno quindici anni di reclusione Sez. 1, n. 1029 del 31/10/2018, dep. 2019, Pastura, Rv. 274791 - 01 . Successivamente il Giudice delle leggi Corte cost. n. 18 del 2020 ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 3, primo e secondo comma, e 31, secondo comma, Cost., l'art. 47-quinquies, comma 1, Ord. pen. nella parte in cui non prevede la concessione della detenzione domiciliare speciale anche alle condannate madri di figli affetti da handicap grave ai sensi dell'art. 3, comma 3, legge n. 104 del 1992, ritualmente accertato in base alla medesima legge il limite di età dei dieci anni previsto dalla disposizione censurata dalla Corte di cassazione per l'accesso alla detenzione domiciliare speciale della condannata madre contrasta, quando si tratti di figlio gravemente disabile, con i principi di eguaglianza e di protezione e pieno sviluppo dei soggetti deboli, unitamente a quello di tutela della maternità, cioè del legame tra madre e figlio che non si esaurisce dopo le prime fasi di vita del bambino. E' stato evidenziato che la detenzione domiciliare speciale, finalizzata principalmente a tutelare il figlio, terzo incolpevole e bisognoso del rapporto quotidiano e delle cure del detenuto, deve estendersi al figlio portatore di disabilità grave, il quale si trova sempre in condizioni di particolare vulnerabilità fisica e psichica ciò, indipendentemente dall'età. Si è tratto pertanto il corollario che, fermi restando gli altri requisiti stabiliti dalla norma, in particolare l'assenza di un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti con le ulteriori specificazioni stabilite dal comma 1-bis , il tribunale di sorveglianza, in sede di valutazione in concreto dei presupposti di concessione della misura e di determinazione delle concrete modalità del suo svolgimento, ha il compito di contemperare le esigenze di cura del disabile con quelle parimenti imprescindibili di difesa sociale e di contrasto alla criminalità, dal momento che questa misura è primariamente indirizzata, oltre che alla rieducazione del condannato, anche a consentire la cura dei figli e a preservarne il rapporto con la madre. Tali riflessioni si rifrangono, ai sensi del comma 7 dell'art. 47-quinquies cit, sulla posizione del padre quando la madre sia deceduta, oppure quando ella sia impossibilitata e non vi sia modo di affidare la prole ad altri che al padre. 4. Nel caso in esame, il Tribunale ha raggiunto la conclusione che la madre dei due figli del condannato, portatori di grave handicap, potesse svolgere un ruolo attivo adeguato nella funzione di assistenza dei medesimi, nonostante il carico lavorativo e l'avvenuta cessazione del supporto assistenziale delle strutture deputate determinata dalla notoria emergenza sanitaria connessa all'evento pandemico, situazione valutata come transeunte dai giudici di sorveglianze essi hanno affermato che la situazione venutasi a creare restava comunque gestibile dalla madre, con l'effetto che non si era determinata quell'impossibilità di adeguata assistenza, pur a fronte della gravità della condizione e della duplicità delle persone bisognose dell'assistenza stessa. Il Collegio osserva, però, che tale conclusione non risulta fondata su una motivazione congrua e coerente invero, il raffronto fra la motivazione resa dai giudici di merito e gli elementi emergenti dalla complessiva, specifica censura articolata dal ricorrente fa emergere decisive insufficienze del discorso giustificativo che ne determinano la complessiva carenza con riferimento specifico alla spiegazione della mancata integrazione delle condizioni legittimanti la detenzione domiciliare speciale, con riferimento, anzitutto, alla verifica dell'impossibilità della madre di prestare la necessaria assistenza. 4.1. Il concetto di impossibilità a cui la norma si riferisce esige, certo, la severa condizione di carenza di potenzialità assistenziali in capo alla madre. Non è superfluo considerare l'elaborazione ermeneutica sviluppatasi con riferimento ad altra norma, l'art. 275, comma 4, cod. proc. pen. che disciplina una situazione analoga in tema di divieto di disposizione o mantenimento della custodia cautelare in carcere per la madre di prole di età non superiore a sei anni, posizione si equipara quella del padre qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole. Nell'interpretare quest'ultima disposizione, si è puntualizzato che il divieto opera anche quando agli oneri familiari nei confronti del minore possa provvedersi esclusivamente mediante l'intervento di altri parenti o di strutture pubbliche, in quanto tale ausilio può assumere carattere soltanto integrativo e di supporto, ma non totalmente sostitutivo dell'assistenza genitoriale Sez. 6, n. 29355 del 30/04/2014, Astuccia, Rv. 259934 - 01 . Per altro verso, quanto al presupposto applicativo della disposizione in caso di istanza presentata dal padre, si sottolinea che la madre deve essere assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole, dal momento che l'assistenza che la norma sottende non va intesa come una necessaria permanenza in tutte le ore della giornata vicino alla prole, situazione che non si determina neanche nelle famiglie con genitori non detenuti ed entrambi occupati in attività lavorativa. La situazione impediente viene intesa come l'impossibilità per il genitore non detenuto di garantire una presenza in famiglia che assicuri la continuità affettiva, avendo riguardo non solo al soggetto chiamato a prestare assistenza, ma anche, e soprattutto, alla situazione del figlio, in considerazione del rischio in concreto derivante per quest'ultimo dal deficit assistenziale, sotto il profilo della irreversibile compromissione del processo evolutivo-educativo Sez. 4, n. 23268 del 19/04/2019, Rao, Rv. 276366 - 01, Sez. 6, n. 35806 del 23/06/2015, Pepe, Rv. 264725 - 01 . Per tale ragione, sempre con riferimento alla disposizione citata, si afferma in modo costante che non sussiste il divieto di custodia cautelare in carcere dell'imputato padre di prole avente età ricompresa nella fascia stabilita dall'art. 275, comma 4, cod. proc. pen. ove l'impedimento della madre ad assisterla sia costituito dalla sua attività lavorativa, giacché in condizioni normali l'attività lavorativa. In sé considerata, non impedisce al genitore di prendersi cura dei figli, potendo essa, sempre in situazione ordinaria, coniugarsi con le necessità di assistenza il figlio, laddove non risulti l'impossibilità di ricevere un supporto da strutture pubbliche o private, ovvero da altri familiari Sez. 4, n. 40076 del 03/06/2015, Tomaselli, Rv. 264516 - 01 . Anche tenendo conto di tale elaborazione e ferme restando le diverse sfumature, testuali e funzionali, che connotano l'art. 275 cod. proc. pen., da un lato, e l'art. 47-quinquies Ord. pen., dall'altro quest'ultima norma, per un verso, non affianca all'impossibilità il riferimento al suo carattere assoluto, ma, per altro verso, esige che non vi sia modo di affidare la prole ad altri che al padre , appare, dunque, conseguente ritenere che la situazione di impossibilità qui rilevante sia quella che - per l'emersione di oggettivi fattori impeditivi inerenti alla sfera di azione della madre - determina il concreto rischio per il figlio di un grave deficit assistenziale e, con esso, di un'irreversibile compromissione del suo processo evolutivo-educativo processo che, nel caso di soggetto portatore di handicap, è contrassegnato dalle peculiarità e complicanze riconnesse alla sua corrispondente disabilità. 4.2. Nella cornice così delineata, la valutazione della situazione illustrata - nella quale la moglie del detenuto si trova a dover assistere i due figli portatori di handicap grave, in grado tale da determinare la loro invalidità al 100%, con la necessità di assistenza continua, non essendo i medesimi in grado di compiere gli atti quotidiani, situazione già implicante un impegno severo per la persona onerata, risultata unica addetta alla loro assistenza, oltre che dedita necessariamente all'attività lavorativa funzionale al mantenimento del nucleo familiare - ha contemplato, per affermazione dello stesso giudice di merito, un serio e obiettivo deterioramento a cagione dell'emergenza pandemica e della corrispondente chiusura dei centri di riabilitazione e assistenza, con la conseguente accentuazione del carico sull'unica sfera soggettiva suindicata, senza che nel provvedimento impugnato venga segnalata la possibilità per la madre di fruire del concorso di eventuali concorrenti supporti, sia pure integrativi, nell'ambito familiare. La disamina dell'indicata situazione risulta essere stata compiuta dal Tribunale in modo che, per quanto emerge dalla richiamata motivazione, si appalesa astratto e non approfondito. La duplicità dei soggetti necessitanti di continua assistenza e l'impossibilità della moglie del ricorrente - unica persona gravata dell'attività di assistenza e cura, oltre che nel contempo nel lavoro necessario per il mantenimento della famiglia - di avvalersi, per tempo indefinito, del rilevantissimo supporto costituito dall'attività dei centri di riabilitazione e assistenza, ordinariamente chiamati a coadiuvare l'opera di sostegno al difficile processo educativo, curativo e, nei limiti del possibile, evolutivo delle suddette persone, integravano e integrano un complesso di fattori tali da richiedere una verifica e una conseguente valutazione - non generiche, bensì - contrassegnate dai caratteri della specificità e della concretezza in riferimento alle condizioni effettive in cui si sono trovati e si trovano i figli portatori di handicap di Gr. e, per conseguenza, dell'impegno assistenziale che chi li assiste è chiamato a profondere. 4.3. In secondo luogo, al suddetto rilievo deve affiancarsi la parallela esigenza di una valutazione da parte del Tribunale di sorveglianza della pericolosità del detenuto che sia parimenti aggiornata al tempo recente con precipuo riguardo al periodo susseguente al 2016 valutazione che nemmeno si profila adeguatamente esposta nel provvedimento impugnato. Soltanto alla luce di tale rinnovata valutazione il discorso giustificativo inerente alla prognosi di persistenza - o meno - della pericolosità formulata dal giudice di merito potrà formare compiuto oggetto del vaglio di congruità e logicità riservato al giudice di legittimità. 5. Il ricorso, per tali ragioni, deve essere accolto, con il corrispondente annullamento dell'ordinanza impugnata e il rinvio al Tribunale di sorveglianza per il nuovo esame sulla misura richiesta, da svolgersi - con piena libertà valutativa, ma - nell'osservanza degli indicati principi. 6. Secondo quanto stabilisce l'art. 52 D.Lgs. n. 196 del 2003, deve disporsi che in caso di diffusione del presente provvedimento dovranno omettersi le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Firenze. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 D.Lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge.