DASPO: l’obbligo di presentarsi alla polizia durante le partite ha una finalità di sicurezza pubblica

L’obbligo posto in capo al soggetto destinatario di Daspo di presentarsi presso gli uffici di polizia durante le partite non ha il solo scopo di impedire al tifoso di partecipare fisicamente alle competizioni, ma ha anche la finalità di consentire alle autorità di pubblica sicurezza un controllo, con chiare finalità di prevenzione speciale.

Così si è pronunciata la Cassazione penale con la sentenza n. 3565/21, depositata il 28 gennaio. La Corte d’Appello, confermando quando deciso dal Tribunale, condannava alla pena di giustizia un tifoso che, destinatario di DASPO e tenuto a presentarsi presso gli uffici di Polizia durante le competizioni calcistiche , si era recato davanti all’autorità solo in occasione del primo tempo della partita e non del secondo. Avverso la decisione propone ricorso in Cassazione il tifoso, lamentando che, alla luce della distanza geografica del luogo dell’incontro calcistico, sarebbe stato impossibile raggiungere l’impianto sportivo per assistere alla partita di calcio durante il secondo tempo. A dire del ricorrente, dunque, vi è parzialità e inoffensività nella condotta da lui posta in essere. Ritenendo inammissibile il ricorso, la Cassazione osserva che il ricorrente ha erroneamente ritenuto che la sola finalità dell’obbligo di presentarsi presso gli uffici di polizia in capo al soggetto attinto dal Daspo sia quello di impedire a questi di partecipare fisicamente alle competizioni sportive. La reale finalità di questo obbligo, invece, è quello di consentire alle autorità di pubblica sicurezza un controllo , con chiare e prevalenti finalità di prevenzione speciale, a carico di alcuni soggetti, la cui condotta ha già dimostrato di essere fonte di pericolo per la pubblica sicurezza. La circostanza che gli incontri si svolgano in un ambito territoriale prossimo o meno alla residenza del soggetto colpito da Daspo non è un fattore che giustifica un affievolimento dell’interesse pubblico al controllo die movimento dello stesso. Dunque, l’inottemperanza all’obbligo suddetto rappresenta un reato avente carattere formale di pericolo presunto che si realizza sulla base della violazione dell’obbligo. Chiarito questo, il ricorso viene rigettato.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 22 ottobre 2020 – 28 gennaio 2021, n. 3565 Presidente Ramacci – Relatore Gentili Ritenuto in fatto Con sentenza del 31 maggio 2019 la Corte di appello di Lecce ha confermato la sentenza, emessa in data 19 novembre 2015, con la quale il Tribunale di Lecce aveva dichiarato N.E. colpevole del reato di cui alla L. n. 401 del 1989, art. 6, commi 1 e 2, avendolo, pertanto, condannato alla pena ritenuta di giustizia, in quanto in più occasioni si parta infatti di tre distinte circostanze pur essendo egli destinatario di Daspo, corredata dalla prescrizione di presentazione di fronte agli ufficio della Polizia di Stato in occasione delle partite di calcio disputate dalla squadra del Lecce, ometteva di presentarsi dopo 15 minuti dall’inizio del secondo tempo dell’incontro di calcio, essendosi limitato a presentarsi, così ottemperando solo parzialmente alle prescrizioni a lui imposte, in occasione dell’inizio del primo tempo della competizione calcistica. Avverso la sentenza della Corte distrettuale ha interposto ricorso per cassazione il N. , articolando 3 motivi di impugnazione. Il primo di essi ha ad oggetto il vizio di violazione di legge che deriverebbe dal non avere il giudice del gravame rilevato che in due dei casi oggetto di contestazione penale la condotta del prevenuto era priva di qualsiasi grado di offensività. Infatti, avendo ritenuto che il reato in questione è volto a prevenire il pericolo che il N. , in ipotesi tifoso facinoroso, si rechi presso lo stadio ove sia in corso una partita di calcio disputata dalla squadra del Lecce, siffatto pericolo non sarebbe ipotizzabile ove il predetto abbia omesso solamente di presentarsi la seconda volta presso gli uffici della Polizia di Stato tutte le volte in cui, giuocando la squadra del Lecce in località geograficamente lontana dalla sede prima presentazione, l’imputato non avrebbe potuto materialmente presentarsi presso l’impianto sportivo di tale località in tempo utile per assistere alla partita di calcio dopo essersi presentato una prima volta alla Polizia di Stato. Nel caso in esame le due partite di calcio in relazione alle quali il N. aveva omesso la seconda presentazione, avendo ottemperato solo all’obbligo della prima presso gli uffici di Polizia di Stato di Lecce, si erano disputate a Milano ed a Verona. Con il secondo motivo di ricorso la difesa del N. ha lamentato il fatto che la Corte di Lecce abbia escluso la possibilità di qualificare la sua condotta non punibile ai sensi dell’art. 131-bis c.p., in quanto si sarebbe trattato di condotte reiterate al riguardo il ricorrente ha sostenuto che la condotta da lui posta in essere, per altro caratterizzata dalla parzialità considerato che delle 2 presentazioni impostegli per ogni partita disputata egli ne aveva omessa, solamente in 3 occasioni, una soltanto, non aveva il carattere della abitualità. Con il terzo motivo egli ha dedotto l’avvenuta prescrizione delle condotte delittuose poste in essere fin da un momento antecedente alla emissione della sentenza della Corte di Lecce, che, pertanto, non avrebbe dichiarato erroneamente l’avvenuta estinzione dei reati in relazione ad esse contestati. Considerato in diritto I motivi di ricorso proposti dal N. sono risultati o infondati o direttamente inammissibili, pertanto l’impugnazione da lui presentata deve essere rigettata. Esaminando per primo il terzo motivo di impugnazione - scelta che si giustifica in funzione della sua potenziale idoneità a definire, senza la necessità di ulteriori verifiche, il giudizio - si osserva che lo stesso, nei termini e nei modi in cui esso è stato articolato, è inammissibile in quanto manifestamente infondato. Parte ricorrente ha, infatti, sostenuto che alla data di presentazione del ricorso in grado di legittimità, cioè il 24 ottobre 2019, le contestate violazioni, commesse - secondo quanto incontestatamente indicato nel capo di imputazione - rispettivamente in data OMISSIS , già erano prescritte. Il rilievo è privo di qualsivoglia consistenza posto che, in ogni caso, secondo la stessa allegazione del ricorrente in ordine alla mancanza di cause di sospensione del relativo termine, siffatte prescrizioni sarebbero maturate rispettivamente in data 8 luglio 2019, in data 11 settembre 2019 ed in data 13 novembre 2019, quindi successivamente alla pronunzia della sentenza della Corte di appello, la quale è stata adottata il 31 maggio 2019 la Corte territoriale, pertanto, non poteva, nè doveva, evidentemente, tenere conto di tale prescrizione nè la stessa, seppure parzialmente maturata in epoca anteriore alla presentazione del ricorso per cassazione ma dopo la pronunzia della sentenza della Corte di appello può, di per sé, costituire la base per un valido motivo di impugnazione cfr. Corte di cassazione, Sezione III penale, 23 agosto 2016, n. 35278 idem Sezione VII penale, 17 settembre 2014, n. 38143, ord. . Tornando, a questo punto, al primo motivo di impugnazione, rileva la Corte che lo stesso è infondato. Esso attiene alla ritenuta inoffensività della condotta posta in essere dal Nocca il quale pacificamente destinatario di un provvedimento di cosiddetto Daspo emesso dal Questore di Lecce in data 8 agosto 2011, tempestivamente convalidato dal Gip del Tribunale di Lecce, con il quale gli era stato prescritto, fra l’altro, di presentarsi presso gli Ufficio della Polizia di Stato di Lecce in occasione degli incontri di calcio che vedevano impegnata la squadra del Lecce sia a distanza di 15 minuti dall’inizio della partita che a distanza di 15 minuti dall’inizio del secondo tempo dell’incontro , senza aver contestato il fatto materiale di non essersi presentato presso gli uffici della Polizia di Stato in occasione della disputa del secondo tempo di tre incontri di calcio ai quali aveva preso parte la ricordata squadra salentina, ha, in relazione a due di essi, contestato la concreta offensività del suo comportamento. Ha, infatti, egli messo in evidenza che, trattandosi di partite di calcio il cui luogo di svolgimento era posto a distanza di centinaia di chilometri dalla città di Lecce si trattava, in un caso, di una gara giuocata a Milano e nell’altro caso di un incontro tenutosi a Verona , la circostanza che lo stesso si fosse, comunque, presentato presso la Polizia di Stato di Lecce all’inizio della partita avrebbe escluso in radice la possibilità che egli, data la distanza geografica esistente fra le località indicate, potesse recarsi, rispettivamente, a Milano o a Verona in tempo utile per assistere alle due predette competizione sportive. L’argomento dedotto dal ricorrente è, sotto molteplici profili, difettivo. Esso, infatti, parte dal presupposto che l’unica finalità che l’obbligatorietà della prescrizione di presentazione presso gli uffici di pubblica sicurezza del soggetto attinto dal Daspo tenda a perseguire sia quella di impedire a costui di presenziare fisicamente a determinate competizioni sportive. Tale assunto è erroneo. Infatti, la finalità cui l’obbligatorietà della prescrizione di presentarsi all’autorità di pubblica sicurezza in occasione di determinate competizioni sportive non è semplicemente quella, cui non potrebbero che attribuirsi finalità punitive, di impedire a determinati soggetti di presenziare ad esse, me essa è preordinata a consentire in termini più generali alla autorità di pubblica sicurezza l’esercizio di una forma di controllo, con chiare e prevalenti finalità di prevenzione speciale, a carico di determinati soggetti, la cui condotta ha già dato prova di costituire una probabile fonte di pericolo per il mantenimento dell’ordine pubblico, in occasione di eventi, quali lo svolgimento di competizioni sportive, nel corso dei quali gli stessi hanno manifestato una preoccupante inadeguatezza comportamentale. In tal senso, infatti, si giustifica anche il divieto di frequentare, in talune determinate circostanza, anche gli ambiti territoriali che, vuoi per prossimità fisica ad impianti sportivi vuoi perché posti lungo le direttici di accesso a detti impianti, si prestano a vedere una concentrazione in essi di soggetti elettivamente interessati allo svolgimento delle predette competizioni il cui atteggiamento è spesso caratterizzato da radicali e deplorevoli polarizzazioni del tifo sportivo e che come tali appaiono più facilmente suscettibili di essere coinvolti in eventi, connessi a tali competizioni, fonte di pericolo per l’ordine pubblico. La circostanza, pertanto, che gli incontri in questione si svolgano in ambito territoriale prossimo o meno alla abituale sede di residenza del soggetto attinto dalle prescrizioni non è di per sé fattore che giustifichi un affievolimento dell’interesse pubblico al controllo dei suoi movimenti. Ma vi è di più vi è, in altre parole, anche un altro ordine di ragioni in base al quale ritenere non giustificata la doglianza formulata dal N. avverso la sentenza ora impugnata. Ed invero, ove il positivo perseguimento della finalità di controllo dianzi indicata abbia, sulla base di una valutazione discrezionale operata dall’Autorità di pubblica sicurezza, comportato l’adozione di una misura di prevenzione articolata attraverso un duplice obbligo di presentazione, una siffatta opzione è, indubbiamente, sindacabile in sede giurisdizionale, ma ciò può avvenire solo in occasione dell’avvenuta fase di convalida giurisdizionale del Daspo. Come, infatti, è stato affermato da questa Corte, l’obbligo di ripetuta presentazione ad un ufficio di polizia in coincidenza con una stessa manifestazione sportiva, ove imposto anche con riferimento a manifestazioni ce si svolgono in località distanti alla residenza del soggetto interessato, può essere ridotto ad una sola volta, o comunque costituire oggetto del sindacato di legittimità di questa Corte, quando lo stesso appaia, a cagione della situazione di fatto rinvenibile nel caso di specie, irragionevole Corte di cassazione, Sezione III penale, 16 novembre 2017, n. 52437 idem Sezione III penale, 3 giugno 2010, n. 20775 . Ma laddove, nel corso di tale fase, il soggetto interessato non abbia contestato tali modalità di esercizio della predetta scelta discrezionale ovvero nel caso in cui una siffatta contestazione non sia stata ritenuta meritevole di accoglimento nelle opportune sedi processuali, la disposizione con la quale è stata modulata la prescrizione dell’obbligo di presentazione è da considerarsi definitiva e non più suscettibile di una rivisitazione di carattere giudiziario. Pertanto, l’eventuale inottemperanza a tale obbligo, trattandosi di un reato avente carattere formale di pericolo presunto che si realizza sulla base della semplice violazione dell’obbligo in tal modo imposto, potrà essere valutata in senso positivo per il soggetto destinatario della prescrizione solamente ove la sua condotta non sia stata sostenuta da un adeguato elemento soggettivo, ovvero nel caso in cui la stessa debba essere scriminata per effetto della ricorrenza di uno degli elementi costituenti causa di giustificazione della condotta di cui all’art. 50 c.p. e ss Non sarà, invece, possibile riesaminare, essendosi già consumata la fase processuale preposta a tale eventuale incombente, la congruità del contenuto delle prescrizioni imposte, sicché, escluse le ipotesi sopra delineate, l’eventuale inottemperanza ad esse costituirà, in linea di principio, sempre illecito penale sui contenuti limiti del sindacato esercitabile in ordine ai reati formali di pericolo presunto Corte di cassazione, Sezione III penale, 19 settembre 2001, n. 33886 . Con riferimento, ora al caso di specie, atteso che l’ in sé della censura mossa dal ricorrente con il primo motivo di impugnazione presuppone proprio l’attuale, perdurante, suscettibiltà della condotta del N. - pacificamente violativa dell’obbligo a lui imposto in sede di adozione delle prescrizioni accessorie al Daspo emesso nei suoi confronti dal Questore di Lecce - di essere sindacata, sotto il profilo della sua concreta offensività, il motivo di ricorso è infondato. Manifestamente infondato, e pertanto inammissibile è, anche, il secondo motivo di impugnazione riguardante il vizio di motivazione in punto di mancata applicazione della causa di esclusione della punibilità di cui all’art. 131-bis c.p Al riguardo rileva questa Corte che la Corte salentina ha escluso la applicabilità della particolare ipotesi di non punibilità stante l’avvenuta reiterazione delle condotte criminose, verificatesi in momenti fra loro intervallati da un non trascurabile lasso di tempo, tale da non consentire di rappresentare le medesime, peraltro avvinte dal vincolo della continuazione, in termini di non abitualità. Al proposito si rileva che la motivazione riportata nella sentenza impugnata è in linea con la giurisprudenza di questa Corte in base alla quale, ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis c.p. la non ostatività della presenza di pìù reati legati dal vincolo della continuazione è subordinata al fatto che questi riguardino azioni commesse nelle medesime circostanze di tempo, di luogo e nei confronti della medesima persona, posto che da ciò emerge la unitaria e circoscritta deliberazione criminosa che si colloca in termini di incompatibilità con l’abitualità ostativa considerata dall’art. 131-bis c.p. Corte di cassazione, Sezione II penale, 7 aprile 2020, n. 11591 idem Sezione IV penale, 16 marzo 2020, n. 10111 sostanzialmente nello stesso senso, fra le altre anche Corte di cassazione, Sezione III penale, 16 aprile 2019, n. 16502, non massimata, ove è precisato che, premessa la necessità che le condotte incriminate siano almeno tre - come, peraltro, verificatosi nella presente fattispecie - ad escludere la compatibilità fra reato continuato e regime di cui all’art. 131-bis c.p., basta il fatto che le diverse condotte poste in essere non siano state realizzate in una effettiva unità di luogo e di tempo, sicché le stesse, pur espressive di un medesimo disegno criminoso, siano tuttavia rappresentative di una plurima volontà di violare la norma penale . Il ricorso è, pertanto, basato su motivi ora inammissibili, laddove è stata rispettivamente, dedotta la di già maturata prescrizione dei reati contestati al momento della presentazione del ricorso o la compatibilità di essi con la particolare causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis c.p., ora infondati, come rilevato quanto al restante motivo di impugnazione, lo stesso, pertanto, deve essere rigettato. Al rigetto del ricorso fa seguito, visto l’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.