“Mi hai fregato il cellulare…”: la vendetta vale una condanna per rapina

L’uomo ha reagito appropriandosi di alcuni oggetti di proprietà della persona che lui riteneva colpevole di avergli sottratto il cellulare. Respinta la linea difensiva mirata a inquadrare la condotta come esercizio arbitrario delle proprie ragioni.

Mi hai fregato il cellulare ”. E sottrae alcuni oggetti alla persona che considera colpevole della sparizione del suo telefonino. Questa reazione vale una condanna per rapina Cassazione, sentenza n. 3556/21, depositata il 28 gennaio . Semplice, secondo i Giudici di merito, la lettura della vicenda. Così l’uomo sotto processo viene condannato, sia in primo che in secondo grado, per i reati di rapina e lesioni , avendo aggredito una persona che, a suo dire, gli aveva sottratto il telefonino e avendole portato via alcuni oggetti per vendetta . Col ricorso in Cassazione, però, il difensore propone una visione diversa, sostenendo la tesi che il suo cliente si è reso colpevole di una condotta catalogabile come esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone . Secondo il legale, non si può ignorare che l’uomo sotto processo ha agito nella convinzione di esercitare un proprio diritto , cioè ha sottratto con la forza alcuni beni alla vittima perché convinto che quest’ultima gli avesse in precedenza sottratto un telefono cellulare . Per demolire la linea difensiva è sufficiente una sola considerazione l’azione compiuta dall’uomo sotto processo non ha avuto ad oggetto il cellulare, che si assumeva indebitamente sottratto, ma altri oggetti di proprietà della persona offesa , sottolineano dalla Cassazione. Questo dettaglio è fondamentale. Soprattutto alla luce del principio secondo cui i delitti di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone si caratterizzano – distinguendosi dalla estorsione e dalla rapina – in relazione al profilo della tutelabilità dinanzi all’autorità giudiziaria del preteso diritto cui l’azione era diretta . In sostanza, la dedotta pretesa di restituzione del cellulare non giustificava certamente l’appropriazione di altri oggetti di proprietà della parte offesa , sanciscono i Giudici della Cassazione, anche perché l’ordinamento non riconosce al creditore un’azione diretta all’apprensione di beni del debitore a saldo del dovuto, essendo a tal fine necessario non solo l’accertamento del credito ma, a fronte dell’inadempimento, l’espropriazione forzata nelle forme di legge mediante ufficiale giudiziario . Definitiva perciò la condanna per rapina.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 21 – 28 gennaio 2021, n. 3556 Presidente Gallo – Relatore Agostinacchio Fatto e diritto 1. Con sentenza dell’11/07/2019 la Corte di appello di Venezia, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Padova del 04/12/2013, confermava il giudizio di penale responsabilità dell’imputato appellante G.M.R. per i reati di rapina capo a e lesioni capo b a costui ascritti, riducendo la pena inflitta. 2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, tramite il difensore di fiducia, eccependo la violazione di legge art. 393 c.p. ed il vizio di motivazione, in relazione alla qualificazione giuridica dei fatti di cui al capo a per aver agito nella convinzione di esercitare un proprio diritto ossia di aver sottratto con la forza alcuni beni della vittima perché convinto che quest’ultima gli avesse in precedenza sottratto un telefono cellullare. 3. Il ricorso si basa su argomentazioni manifestamente infondate oltre che reiterative rispetto ai precedenti gradi del giudizio. Ha infatti correttamente sottolineato il giudice di merito con doppia pronuncia conforme di condanna che l’azione si sottrazione dell’imputato non aveva ad oggetto il cellulare che si assumeva indebitamente sottratto ma altri oggetti di proprietà della persona offesa. Orbene, per pacifica giurisprudenza, i delitti di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone si caratterizzano - distinguendosi dalla estorsione e dalla rapina - in relazione al profilo della tutelabilità dinanzi all’autorità giudiziaria del preteso diritto cui l’azione del reo era diretta, giacché tale requisito - che il giudice è preliminarmente chiamato a verificare - deve ricorrere per la configurabilità del primo, mentre, se manca, determina la qualificazione del fatto alla stregua degli altri reati Cass. sez. 2, sent. n. 52525 del 10/11/2016 - dep. 12/12/2016 - Rv. 268764 . 4. Nel caso di specie la dedotta pretesa di restituzione del cellulare non giustificava certamente l’appropriazione di altri oggetti di proprietà della parte offesa posto che l’ordinamento non riconosce al creditore un’azione diretta all’apprensione di beni del debitore a saldo del dovuto, essendo a tal fine necessario non solo l’accertamento del credito ma, a fronte dell’inadempimento, l’espropriazione forzata nelle forme di legge mediante ufficiale giudiziario. 5. Per le considerazioni espOste, dunque, il ricorso va dichiarato inammissibile. Segue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma ritenuta equa di Euro duemila a titolo di sanzione pecuniaria. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila alla Cassa delle ammende. Sentenza a motivazione semplificata.