False dichiarazioni nella richiesta del reddito di cittadinanza: condanna confermata

Il reato di truffa commessa al fine di ottenere il reddito di cittadinanza sussiste in caso di false indicazioni od omissioni di informazioni, anche parziali, dei dati di fatto riportati nell’autodichiarazione, indipendentemente dall’accertamento dell’effettiva sussistenza delle condizioni per l’ammissione al beneficio.

Sul tema la Corte di Cassazione con la sentenza n. 2402/21, depositata il 20 gennaio. Il GIP del Tribunale di Nocera Inferiore disponeva il sequestro preventivo di somme di denaro, beni immobili e mobili nella disponibilità di un soggetto indagato per il reato di truffa commessa al fine di ottenere il c.d. reddito di cittadinanza . A seguito della conferma della misura da parte del Tribunale di Salerno, l’indagato ha proposto ricorso per cassazione sostenendo l’insussistenza del dolo in quanto avrebbe comunque avuto diritto al benefico anche includendo nella dichiarazione ISEE le informazioni omesse. La Corte ricorda che il delitto di cui all’art. 7, d.l. n. 4/2019, conv. con modificazioni nella l. n. 26/2019, risulta integrato in caso di false indicazioni od omissioni di informazioni dovute, anche parziali, dei dati di fatto riportati nell’autodichiarazione finalizzata all’ottenimento del reddito di cittadinanza, a prescindere dall’effettiva sussistenza delle condizioni per accedere al beneficio. Nello specifico la norma citata al comma 1 prevede che salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di ottenere indebitamente il beneficio di cui all’art. 3, rende o utilizza dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero omette informazioni dovute, è punito con la reclusione da due a sei anni al comma 2, si legge invece che l’omessa comunicazione delle variazioni del reddito o del patrimonio, anche se provenienti da attività irregolari, nonché di altre informazioni dovute e rilevanti ai fini della revoca o della riduzione del beneficio entro i termini di cui all’art. 3, comma 8, ultimo periodo, commi 9 e 11, è punita con la reclusione da uno a tre anni . Si tratta di reati di condotta e di pericolo , in quanto relativi a condotte dirette a tutelare l’amministrazione contro mendaci e omissioni circa l’effettiva situazione patrimoniale e reddituale da parte dei soggetti che intendono accedere o già hanno acceduto al reddito di cittadinanza. In definitiva tale essendo la ratio delle due fattispecie incriminatrici della d.l. n. 4/2019, art. 7, deve ritenersi che le stesse trovino applicazione indipendentemente dall’accertamento dell’effettiva sussistenza delle condizioni per l’ammissione al beneficio e, in particolare, del superamento delle soglie di legge . In conclusione, avendo la Corte territoriale correttamente applicato tali principi, il ricorso viene rigettato con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 5 novembre 2020 – 20 gennaio 2021, n. 2402 Presidente Rago – Relatore Saraco Ritenuto in fatto 1. G.E. ricorre avverso l’ordinanza in data 18/6/2020 del Tribunale di Salerno che ha rigettato il riesame avverso il decreto di sequestro preventivo emesso in data 13.3.2020 dal G.i.p. del Tribunale di Nocera Inferiore, avente a oggetto in via diretta le somme di denaro nella sua disponibilità per un importo pari a Euro 2.100,00, nonché per equivalente i beni mobili e immobili nella sua disponibilità fino alla concorrenza dell’importo massimo pari a Euro 4.431,78, per il reato di truffa commessa al fine di ottenere indebitamente il c.d. reddito di cittadinanza. Deduce 1.1. Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b e lett. e , in relazione all’art. 640 c.p., comma 2, e art. 125 c.p.p. . Con il primo motivo si sostiene che il Tribunale ha motivato in maniera apparente e contraddittoria con riguardo al fumus commissi delicti. A tal proposito si osserva che lo stesso Tribunale ha rilevato che G. avrebbe avuto comunque diritto al reddito di cittadinanza anche con l’incremento di reddito provocato ove avesse inserito nella dichiarazione ISEE le quote di proprietà dei terreni omessi. Da ciò si argomenta circa l’insussistenza del dolo, in quanto -scrive la difesa se il dolo è il fine di ottenere il beneficio di cui all’art. 3 nel caso non può sussistere perché il beneficio si sarebbe ottenuto . 1.2. Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b e lett. e , in relazione all’art. 316 ter c.p., e art. 125 c.p.p. . Con il secondo motivo si deduce l’apoditticità della motivazione del tribunale, nella parte in cui nega che il reddito di cittadinanza possa rientrare nel novero dei contributi, finanziamenti, mutui agevolati o erogazioni dello stesso tipo, così escludendo la configurazione del reato di cui all’art. 316 ter c.p A supporto dell’assunto vengono illustrati i principi dettati dalla giurisprudenza di legittimità per definire i contributi, i finanziamenti, i mutui agevolati e le altre erogazioni dello stesso tipo. Secondo il ricorrente il reddito di cittadinanza deve farsi rientrare proprio nella nozione di altre erogazioni dello stesso tipo, così configurandosi il reato di cui all’art. 316 ter c.p Si nega, infine, la sussistenza di un artificio o di un raggiro, in quanto il controllo sull’atto falso non è stato preventivo, ma successivo all’erogazione del reddito di cittadinanza. 1.3. Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b e lett. e , in relazione al D.L. n. 4 del 2019, art. 7, e art. 125 c.p.p. . Con il terzo motivo la difesa sostiene trattarsi di un reato innocuo in quanto lo stesso Tribunale ha riconosciuto l’effettiva sussistenza delle condizioni richieste per l’ammissione al reddito di cittadinanza, con conseguente inoffensività del fatto. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato. 1.1. Il primo e il terzo dei motivi si risolvono alla luce del principio di diritto già affermato dalla Corte di cassazione e secondo il quale integrano il delitto di cui il D.L. 28 gennaio 2019, n. 4, art. 7, convertito con modificazioni dalla L. 28 marzo 2019, n. 26, le false indicazioni od omissioni di informazioni dovute, anche parziali, dei dati di fatto riportati nell’autodichiarazione finalizzata all’ottenimento del reddito di cittadinanza , indipendentemente dalla effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio , Sez. 3, Sentenza n. 5289 del 25/10/2019 Cc. dep. 10/02/2020 -, Sacco, Rv. 278573 . Nella sentenza ora menzionata si spiega che viene in rilievo il D.L. n. 4 del 2019, art. 7, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 26 del 2019, il quale prevede al comma 1, che salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di ottenere indebitamente il beneficio di cui all’art. 3, rende o utilizza dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero omette informazioni dovute, è punito con la reclusione da due a sei anni al comma 2, che l’omessa comunicazione delle variazioni del reddito o del patrimonio, anche se provenienti da attività irregolari, nonché di altre informazioni dovute e rilevanti ai fini della revoca o della riduzione del beneficio entro i termini di cui all’art. 3, comma 8, ultimo periodo, commi 9 e 11, è punita con la reclusione da uno a tre anni . Entrambe le fattispecie la prima delle quali caratterizzata dal dolo specifico si configurano come reati di condotta e di pericolo, in quanto dirette a tutelare l’amministrazione contro mendaci e omissioni circa l’effettiva situazione patrimoniale e reddituale da parte dei soggetti che intendono accedere o già hanno acceduto al reddito di cittadinanza . Si tratta, cioè, di una disciplina correlata, nel suo complesso, al generale principio antielusivo che, come più volte affermato da questa Corte ex plurimis, Sez. 4, n. 18107 del 16/03/2017, Rv. 269806, e la giurisprudenza ivi richiamata , s’incardina sulla capacità contributiva ai sensi dell’art. 53 Cost., la cui ratio risponde al più generale principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. per cui, la punibilità del reato di condotta si rapporta, ben oltre il pericolo di profitto ingiusto, al dovere di lealtà del cittadino verso le istituzioni dalle quali riceve un beneficio economico. Tale essendo la ratio delle due fattispecie incriminatrici della D.L. n. 4 del 2019, art. 7, deve ritenersi che le stesse trovino applicazione indipendentemente dall’accertamento dell’effettiva sussistenza delle condizioni per l’ammissione al beneficio e, in particolare, del superamento delle soglie di legge. Nè la necessità di un tale accertamento emerge dalla formulazione letterale della disposizione, nella misura in cui questa si riferisce, al comma 1, al fine di ottenere indebitamente il beneficio e, al comma 2, al complesso delle informazioni dovute e rilevanti ai fini della revoca o della riduzione del beneficio . Entrambi i riferimenti devono essere, infatti, intesi come diretti a qualificare i dati che sono in sé rilevanti ai fini del controllo, da parte dell’amministrazione erogante, sulla sussistenza dei presupposti per la concessione e il mantenimento del beneficio e a differenziarli da quelli irrilevanti, senza che possa essere lasciata al cittadino beneficiario la scelta su cosa comunicare e cosa omettere. E ciò, perché come visto il legislatore ha inteso creare un meccanismo di riequilibrio sociale, quale il reddito di cittadinanza, il cui funzionamento presuppone necessariamente una leale cooperazione fra cittadino e amministrazione, che sia ispirata alla massima trasparenza, come emerge 3 anche dai successivi commi del richiamato art. 7, che disciplinano, non a caso, un’ampia casistica di fattispecie di revoca, decadenza e sanzioni amministrative. Tale conclusione interpretativa si pone, del resto, in armonia con quanto già affermato da questa Corte in relazione alla fattispecie penale di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 95, in materia di patrocinio a spese dello Stato, a norma del quale La falsità o le omissioni nella dichiarazione sostitutiva di certificazione, nelle dichiarazioni, nelle indicazioni e nelle comunicazioni previste dall’art. 79, comma 1, lettere b , c e d , sono punite con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da Euro 309,87 a Euro 1.549,37. La pena è aumentata se dal fatto consegue l’ottenimento o il mantenimento dell’ammissione al patrocinio la condanna importa la revoca, con efficacia retroattiva, e il recupero a carico del responsabile delle somme corrisposte dallo Stato . In particolare, secondo Sez. U, n. 6591 del 27/11/2008, dep. 16/02/2009, Rv. 242152, integrano il delitto di cui al richiamato art. 95, le false indicazioni o le omissioni, anche parziali, dei dati di fatto riportati nella dichiarazione sostitutiva di certificazione o in ogni altra dichiarazione prevista per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, indipendentemente dalla effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio. E tale orientamento ha trovato conferma nella giurisprudenza successiva delle sezioni semplici ex multis, Sez. 4, n. 40943 del 18/09/2015, Rv. 264711 , la quale ha anche precisato che si tratta di un’interpretazione che non si pone in contrasto con la Costituzione e, in particolare, con gli artt. 2, 3, 24 e 27 perché attinge al generale dovere di lealtà dei cittadini verso l’amministrazione, che consente l’anticipazione della tutela penale attraverso l’utilizzazione dello strumento del reato di pericolo Sez. 4, n. 18107 del 16/03/2017, Rv. 269806 , fatta evidentemente salva l’esclusione della punibilità di condotte nelle quali manchi l’elemento del dolo, sia pure eventuale Sez. 4, n. 37144 del 05/06/2019, Rv. 277129 Sez. 4, n. 7192 del 11/01/2018, Rv. 272192 . Si tratta di affermazioni che possono trovare applicazione, in via analogica, anche in relazione alla disciplina fissata dal D.L. n. 4 del 2019, art. 7, la quale non si differenzia in maniera essenziale da quella del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 95, in quanto entrambe appaiono dirette a sanzionare la violazione del dovere di lealtà del cittadino verso l’amministrazione che eroga una provvidenza in suo favore e non prevedono, perciò, la necessità di accertare la sussistenza in concreto dei requisiti reddituali di legge . La motivazione adottata dal tribunale è del tutto conforme ai principi di diritto sin qui enunciati, con la conseguente infondatezza dei motivi rivolti a criticare le determinazioni raggiunte dai giudici del merito. 1.2. Parimenti conforme a diritto risulta la qualificazione giuridica del fatto, ritenuta dal Tribunale sulla base della corretta applicazione dei principi enunciati in materia di distinzione tra la fattispecie prevista dall’art. 640 bis c.p., e quella sanzionata dall’art. 316 ter c.p Si legge a tal proposito tra l’altro nell’ordinanza impugnata Nel caso in esame, G.E. , attraverso l’indicazione, nella dichiarazione Sostitutiva Unica ai fini ISEE, di una consistenza immobiliare diversa da quella reale rectius artifizi e raggiri , ed assumendo, così, una condotta violativa della ratio sottesa alla disciplina speciale del reddito di cittadinanza, ha indotto in errore la Pubblica Amministrazione, conseguendo e procurando a sé una somma che, alla stregua della condotta assunta, in applicazione della legislazione speciale, è da considerarsi indebita, cagionando nel contempo alla Pubblica Amministrazione un danno consistito nella erogazione della somma a chi non aveva diritto, non già perché privo dei requisiti richiesti, ma perché autore di una condotta elusiva e non trasparente ai danni della Pubblica Amministrazione . Il tribunale, dunque, risaltando la presenza degli elementi degli artifici e raggiri, dell’induzione in errore e dell’ingiusto profitto con altrui ha, dunque, enucleato gli elementi costitutivi della truffa che al contempo fanno qualificare il fatto ai sensi dell’art. 640 bis c.p., in conformità al costante orientamento di questa Corte, che pone l’accento proprio sui connotati fraudolenti della condotta per distinguere tale ipotesi di reato da quella prevista dall’art. 316 ter c.p. cfr., tra molte, Sez. U, Sentenza n. 16568 del 19/04/2007, Carchivi Rv. 235962 01 Sez. 2, Sentenza n. 46064 del 19/10/2012, Santannera, Rv. 254354 01 Sez. 2, Sentenza n. 49464 del 01/10/2014, Gattuso, Rv. 261321 01 Sez. 2, Sentenza n. 49642 del 17/10/2014, Ragusa, Rv. 261000 01 . In realtà il ricorrente è consapevole e non contrasta tale orientamento giurisprudenziale, ma sviluppa il motivo di ricorso ponendo l’attenzione sulla esatta nozione di contributi, finanziamenti, mutui agevolati e altre erogazioni che, in realtà, per quanto esposto, non sono dirimenti al fine di indirizzare la qualificazione giuridica, essendo -invece essenziale l’esistenza dell’induzione in errore per mezzo di artifici e/o di raggiri. Sotto tale decisivo profilo il motivo si esaurisce in un’apodittica affermazione di insussistenza di artifici e di raggiri che per la sua eminente genericità difetta del requisito della specificità e al contempo propone una lettura fattuale alternativa a quella dei giudici di merito, la cui delibazione è preclusa in questa sede di legittimità. Da tutto ciò discende che il ricorso è infondato e va rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, ai sensi dell’art. 616 c.p.p P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.