Condannato per i messaggi a raffica all’ex moglie. È stalking

L’uomo non aveva accettato la separazione dalla consorte. Così l’ha tempestata di messaggi, a volte romantici, a volte minacciosi, a volte mirati a indagare su eventuali sue relazioni con altri uomini. A inchiodare l’ex marito il disagio manifestato dalla donna.

Difficile per il marito accettare l’addio alla moglie. Ciò però non può rendere meno grave la decisione di tempestarla con messaggi romantici, minacciosi e inquisitori, mirati anche, in sostanza, a bloccare eventuali sue relazioni con altri uomini. Consequenziale la condanna per il reato di stalking , preso atto delle ripercussioni subite dalla donna, costretta a modificare radicalmente le proprie abitudini di vita , sino addirittura a rinunciare anche all’utilizzo dello smartphone Cassazione, sentenza n. 839/21, sez. V Penale, depositata il 12 gennaio . Ricostruita la delicata vicenda, i Giudici di merito ritengono evidente la colpevolezza dell’uomo, punito con 6 mesi di reclusione per gli atti persecutori compiuti ai danni della ex moglie su cui egli infieriva con continui atti di violenza psicologica, alimentando in lei un continuo stato di pressione psicologica e prostrazione morale, facendola vivere in condizioni disagiate e pericolose e ingenerando il timore per l’incolumità propria, dei suoi cari ed amici, tanto da costringerla ad informarlo dei suoi spostamenti, a fare rientro a casa per non incorrere in più gravi conseguenze e a non intrattenere rapporti sociali, specie con soggetti di sesso maschile, nonché a non utilizzare il suo cellulare per evitare di essere contattata . Col ricorso in Cassazione il difensore dell’uomo porta avanti la tesi della assenza di prova circa le condotte di atti persecutori . In particolare, viene evidenziato che la donna ha escluso di essere stata mai seguita e pedinata e, sostiene il legale, è inesistente anche la prova delle chiamate al cellulare che l’uomo avrebbe ripetutamente fatto all’ex moglie, risultando il contrario dalla lettura dei tabulati telefonici che documentano le numerose telefonate inoltrate dalla donna verso l’utenza telefonica in uso all’ex marito . Allo stesso tempo, il legale contesta anche l’ipotesi accusatoria relativa a turbamento psicologico e alterazione delle abitudini di vita della persona offesa , visto il difetto dell’evidenza di elementi sintomatici della loro sussistenza e causale riferibilità alla condotta dell’uomo, mentre, osserva il legale, la prova veniva desunta, invece che da dati obiettivi, quali ad esempio la documentazione clinica, per un verso dalle dichiarazioni della madre della persona offesa, e, per altro verso, dal contenuto della serie di messaggi prodotti dalla persona offesa a corredo della relativa querela . La linea difensiva viene respinta dai Giudici della Cassazione, i quali ritengono invece sufficiente per la condanna il richiamo alle dichiarazioni della persona offesa , la quale ha evidenziato come, dopo l’omologazione dell’accordo di separazione ed un tentativo di riconciliazione, il marito avesse iniziato a tenere nei suoi confronti un comportamento assillante e ossessivo, inondandola di continui messaggi e telefonate, anche nel corso della notte, ora di contenuto sentimentale, ora di contenuto minaccioso, ora di contenuto inquisitorio, chiedendole conto dei suoi spostamenti e dei suoi incontri, intromettendosi nei suoi incontri con altre persone, con lo scopo di impedirle di frequentare altri uomini . Dalle dichiarazioni della donna, ritenute pienamente attendibili, è logico ricavare la ricorrenza del reato di atti persecutori compiuto dall’ex marito. A confermare la versione della donna, poi, anche le dichiarazioni della mamma, di un amico – che era stato avvicinato dall’uomo per ‘convincerlo’ a non intrattenere più rapporti con la donna – e i messaggi provenienti dal cellulare dell’ex marito. A inchiodare l’uomo, infine, l’ effetto destabilizzante subito dall’ex moglie e certificato dalla madre della donna, la quale ha riferito del turbamento patito dalla figlia all’esito delle numerose telefonate ricevute dell’ex marito, nonché del drastico mutamento delle sue abitudini di vita nella gestione delle relazioni amicali e più in generale nella frequentazione dei luoghi pubblici . Logico, secondo i Giudici, ravvisare quantomeno l’evento dello stato d’ansia o del mutamento delle abitudini di vita, nonché il nesso causale tra i comportamenti dell’uomo e l’evento del mutamento delle abitudini di vita della donna, in dipendenza della pressione psicologica su di lei esercitata dall’ex marito . Per quanto riguarda, infine, la valenza dei messaggi inviati dall’uomo all’ex moglie, evidente la loro natura minacciosa , e, sanciscono dalla Cassazione, legittimo l’utilizzo ai fini di prova dei messaggi acquisiti agli atti , poiché i messaggi su Whatsapp e gli sms conservati nella memoria di un telefono cellulare hanno natura di documenti ai sensi dell’art. 234 cod. proc. pen., sicché è legittima la loro acquisizione mediante mera riproduzione fotografica, non trovando applicazione né la disciplina delle intercettazioni, né quella relativa all’acquisizione di corrispondenza di cui all’art. 254 cod. proc. pen. .

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 20 ottobre 2020 – 12 gennaio 2021, numero 839 Presidente De Gregorio – Relatore Pezzullo Ritenuto in fatto 1. Con sentenza dell'11 luglio 2019, la Corte d'appello di Caltanissetta ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Gela il 3 luglio 2017, di condanna di Za. Ca. alla pena di mesi sei di reclusione, per il reato di atti persecutori nei confronti della ex moglie, Pa. Gi., verso la quale infieriva con continui atti di violenza psicologica, alimentando in lei un continuo stato di pressione psicologica e prostrazione morale, facendola vivere in condizioni disagiate e pericolose e ingenerando il timore per l'incolumità propria, dei suoi cari ed amici, tra cui Sf. Gi., tanto da costringerla ad informarlo dei suoi spostamenti, a fare rientro a casa per non incorrere in più gravi conseguenze e a non intrattenere rapporti sociali, specie con soggetti di sesso maschile, nonché a non utilizzare il suo cellulare per evitare di essere contattata. 2. Avverso la sentenza della Corte d'appello di Caltanissetta, l'imputato, a mezzo del proprio difensore avv. Alessandro Imbruglia, ha proposto ricorso affidato a due motivi, con i quali deduce 2.1. con il primo motivo, la violazione dell'art 612 bis c.p., per essere la sentenza impugnata giunta a una pronuncia di condanna, in assenza di prova circa le condotte di atti persecutori e per avere la Corte d'appello omesso adeguata motivazione sul punto, limitandosi a confermare il giudizio di penale responsabilità dell'imputato desunto da valutazioni e supposizioni, anziché da prove certe in particolare, con riguardo alle aggressioni attuate nel febbraio e nel novembre 2014 in danno di Sf. Gi., la Corte ha tratto argomenti di prova a carico dell'imputato da mere ipotesi e supposizioni insite nel suggestivo rilievo che il suddetto Sf. abbia voluto ridimensionare i fatti di cui era stato protagonista, laddove il risultato della relativa deposizione dibattimentale appare difforme dal senso attribuitogli in entrambe le pronunce di merito, non avendo il teste - il quale mai ha sporto denuncia per minaccia o per lesioni nei confronti dell'imputato - confermato in sede di esame dibattimentale di essere stato aggredito analogo travisamento è avvenuto con riguardo alla seconda aggressione, sulla quale è stata omessa qualsivoglia valutazione di dati decisivi valevoli a dimostrare il contrario il teste Fa. Anumero , sentito non nel contraddittorio dibattimentale, ma in sede di indagini a sommarie informazioni testimoniali acquisite in atti, mai ha riferito di aver subito condotte minacciose o aggressive per mano dell'imputato analogo vizio si coglie rispetto all'accusa di aver inseguito la vittima quasi quotidianamente, appostandosi in numerosissime occasioni per controllarla, atteso che la stessa nel corso del relativo esame ha escluso di essere stata mai seguita e pedinata inesistente è anche la prova delle chiamate al cellulare che l'imputato avrebbe ripetutamente fatto alla vittima, risultando il contrario in proposito, la Corte territoriale ometteva di considerare quanto si ricava dalla lettura dei tabulati telefonici che ben documentano le numerose telefonate inoltrate dalla Pa. verso l'utenza in uso allo Za. 2.2. con il secondo motivo, la violazione dell'art 612 bis c.p., in relazione all'evento del reato, atteso che la Corte territoriale, con motivazione inadeguata e non sufficientemente chiara, riteneva sussistente il turbamento psicologico e l'alterazione delle abitudini di vita della persona offesa, in difetto dell'evidenza di elementi sintomatici della loro sussistenza e causale riferibilità alla condotta dell'imputato la prova veniva desunta, invece che da dati obiettivi, quali ad esempio la documentazione clinica, per un verso dalle dichiarazioni della madre della persona offesa, Ba. La., e, per altro verso, dal contenuto della serie di sms prodotti dalla persona offesa a corredo della relativa querela tuttavia, le affermazioni della madre della persona offesa non contribuivano a dimostrare i fatti contestati all'imputato, tanto è vero che la teste non dichiarava di aver capito che la figlia non usciva perché aveva paura, ma in effetti riferiva solo di essere stata presente a telefonate fatte alla figlia, in cui la trovava nervosa e agitata in particolare non risulta assodato che le telefonate riferite dalla Ba. provenissero proprio dall'imputato e non piuttosto da altri soggetti con i quali la figlia intratteneva rapporti e frequentazioni, volgenti al termine perché stava riallacciando i rapporti con l'imputato quanto al dato di prova rappresentato dagli sms che la persona offesa produceva a corredo della querela, la Corte d'appello associava erroneamente alla persona offesa l'utenza telefonica sulla quale sarebbero giunti i messaggi riferiti all'imputato la stampa dei messaggi prodotta a corredo della querela conteneva un'utenza telefonica diversa rispetto a quella riferita dalla persona offesa nel verbale di ratifica querela dalla stessa sottoscritta - che confermava di aver posseduto al tempo dei fatti e fino a qualche mese prima della relativa deposizione dibattimentale - sul quale nessun messaggio di quelli contestati risultava pervenuto pertanto, i giudici di merito, ammettendo l'acquisizione dell'utilizzo del dato, violavano la regola che impediva di utilizzare le prove in violazione dei divieti nel caso di specie - come insegnato dalla giurisprudenza in relazione alle conversazioni svoltesi su canali telematici whatsapp, del tutto assimilabili a quelli per cui è causa - sarebbe stato fondamentale controllare l'affidabilità della prova mediante l'esame diretto del supporto, per verificare con certezza sia la paternità delle registrazioni, sia l'attendibilità di quanto da esse documentato, sul presupposto che la semplice trascrizione dei messaggi scambiati non ha valore probatorio e non può essere considerata affidabile. Considerato in diritto Il ricorso è inammissibile, siccome manifestamente infondato. 1. Le censure prospettate con entrambi i motivi di ricorso tendono a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto e all'apprezzamento del materiale probatorio rimessi alla esclusiva competenza del giudice di merito. Secondo l'incontrastata giurisprudenza di legittimità esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali Sez. U, numero 6402 del 30/04/1997, Dessimone . Le censure svolte, pur essendo formalmente riferite a vizi riconducibili alle categorie del vizio di motivazione ex articolo 606, primo comma, lett. e c.p.p., sono in realtà dirette a richiedere a questa Corte un inammissibile sindacato sul merito delle valutazioni effettuate dalla Corte territoriale rv 203767, 207944, 214794 . 2. In particolare, per quanto concerne il primo motivo di ricorso l'imputato denuncia genericamente l'insussistenza di elementi di responsabilità a suo carico, laddove le sentenze di mento, senza illogicità, hanno posto a fondamento della condanna dello stesso le dichiarazioni della p.o. Pa. Gi Quest'ultima, in particolare, ha evidenziato come dopo l'omologazione dell'accordo di separazione ed un tentativo di riconciliazione, il marito avesse iniziato a tenere nei suoi confronti un comportamento assillante e ossessivo, inondandola di continui messaggi e telefonate, anche nel corso della notte, ora di contenuto sentimentale, ora di contenuto minaccioso, ora di contenuto inquisitorio, chiedendole conto dei suoi spostamenti e dei suoi incontri, intromettendosi nei suoi incontri con altre persone, come in occasione degli incontri con Sf. Gi. o con Fa. Anumero , con lo scopo di impedirle di frequentare altri uomini. 2.1. Le dichiarazioni della p.o., dalle quali si ricava pienamente la ricorrenza del reato di atti persecutori a carico dell'imputato, sono state ritenute dai giudici di merito del tutto attendibili, avendo trovato, peraltro, riscontro nelle dichiarazioni della mamma della Pa., Ba. La., nelle dichiarazioni dello Sf. e del Fa. nei messaggi ricevuti sull'utenza in uso alla Pa. , provenienti dall'utenza dello Za 2.2. Le dichiarazioni della p.o. possono essere legittimamente poste da sole a base dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della loro credibilità soggettiva e dell'attendibilità intrinseca del racconto S.U., numero 41461 del 19.7.2012 Sez. 4, numero 44644 del 18/10/2011, Rv. 251661 Sez. 3, numero 28913 del 03/05/2011, C, Rv. 251075 Sez. 3, numero 1818 del 03/12/ 2010, Rv. 249136 Sez. 6, numero 27322 del 14/04/2008, De Ritis, Rv.240524 . Inoltre, costituisce principio incontroverso nella giurisprudenza di legittimità l'affermazione che la valutazione della credibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto, che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni cfr. ex plurimis Sez. 6, n, 27322 del 2008, De Ritis Sez. 3, numero 8382 del 22/01/2008, Finazzo, Rv. 239342 Sez. 6, numero 443 del 04/11/2004, Zamberlan, Rv. 230899 . 2.3. La circostanza poi che lo Sf. abbia tentato di ridimensionare l'accaduto è stato ritenuto senza illogicità nella sentenza impugnata non inficiante il dato saliente che fu lo Za., ponendo in essere una discussione animata con lo Sf. stesso recandosi sul posto dove la ex moglie e quest'ultimo si stavano incontrando. Del pari, per quanto concerne l'incontro con il Fa., la ricostruzione minimalista di quest'ultimo è stata ritenuta non inficiante il dato che fu l'imputato a recarsi dallo stesso per dissuaderlo dal proseguire i suoi incontri con la Pa 3, Manifestamente infondato si presenta, altresì, il secondo motivo di ricorso in merito all'evento del reato. 3.1. Sul punto deve rilevarsi come i giudici d'appello abbiano fatto corretta applicazione dei principi affermati da questa Corte, secondo cui, ai fini della configurabilità del reato di atti persecutori, non è necessario che la vittima prospetti espressamente e descriva con esattezza uno o più degli eventi alternativi del delitto, potendo la prova di essi desumersi dal complesso degli elementi fattuali altrimenti acquisiti e dalla condotta stessa dell'agente Sez. 5, numero 57704 del 14/09/2017, Rv. 272086 . Peraltro, ai fini della integrazione del reato di atti persecutori articolo 612 bis cod. penumero non si richiede l'accertamento di uno stato patologico ma è sufficiente che gli atti ritenuti persecutori - e nella specie costituiti da minacce, pedinamenti e insulti alla persona offesa, inviati con messaggi telefonici o, comunque, espressi nel corso di incontri imposti - abbiano un effetto destabilizzante della serenità e dell'equilibrio psicologico della vittima, considerato che la fattispecie incriminatrice di cui all'articolo 612 bis cod. penumero non costituisce una duplicazione del reato di lesioni articolo 582 cod. penumero , il cui evento è configurabile sia come malattia fisica che come malattia mentale e psicologica Sez. 5, numero 18646 del 17/02/2017, Rv. 270020 . Nella fattispecie in esame la Corte territoriale ha evidenziato come la madre della p.o., Ba. La. abbia riferito del turbamento patito dalla figlia all'esito delle numerose telefonate ricevute dallo Za., nonché del drastico mutamento delle abitudini di vita della stessa nella gestione delle sue relazioni amicali e più in generale nella frequentazione dei luoghi pubblici. 3.2. Da tali dichiarazioni, oltre che da quelle provenienti dalla p.o. è dato ravvisare quantomeno l'evento dello stato d'ansia o del mutamento delle abitudini di vita, nonché il nesso causale tra i comportamenti dell'imputato e l'evento del mutamento delle abitudini di vita della Pa., in dipendenza della pressione psicologica sulla stessa esercitata dall'imputato. Nel caso in esame, per vero, deve rilevarsi come i giudici di merito abbiano correttamente applicato i richiamati principi di legittimità, ricostruendo l'intera sequenza dei comportamenti dell'imputato e dando puntualmente conto della realizzazione di un evento di danno , consistente nell'alterazione delle abitudini di vita o in un perdurante e grave stato di ansia o di paura Sez. 3, numero 23485 del 07/03/2014, dep. 05/06/2014, Rv. 260083 . 3.3. Per quanto concerne poi la valenza degli sms inviati dallo Za. alla p.o,, la Corte d'appello senza illogicità ha evidenziato la natura minacciosa di essi. Irrilevante in proposito risulta la circostanza dedotta dal ricorrente che il numero del telefono cellulare fornito dalla vittima alla P.G. in sede di querela fosse diverso da quello al quale sono stati inviati gli sms acquisiti agli atti. Infatti, ciò che conta è che da un'utenza telefonica intestata allo Za. siano stati inoltrati i messaggi sms alla p.o. e dalla stessa prodotti. 3.3.1. La Corte territoriale ha, poi, legittimamente utilizzato ai fini di prova i messaggi sms acquisiti agli atti, dovendosi all'uopo richiamare i principi già espressi da questa Corte secondo cui in tema di mezzi di prova, i messaggi whatsapp e gli sms conservati nella memoria di un telefono cellulare hanno natura di documenti ai sensi dell'articolo 234 cod. proc. penumero , sicché è legittima la loro acquisizione mediante mera riproduzione fotografica, non trovando applicazione né la disciplina delle intercettazioni, né quella relativa all'acquisizione di corrispondenza di cui all'articolo 254 cod.proc.penumero Sez. 6, numero 1822 del 12/11/2019 Rv. 278124 . 4. In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile e il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali, nonché, trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile a colpa del ricorrente al versamento, a favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 3000,00, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della cassa delle ammende. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'articolo 52 D.Lgs.196/03 in quanto imposto dalla legge.