Rifiuti non pericolosi smaltiti illecitamente: il quantitativo esclude la tenuità del fatto e la non punibilità

Condanna definitiva per il titolare di un caseificio, punito con 3mila euro di ammenda e ora obbligato a pagare le spese processuali e a versare altri 3mila euro alla Cassa delle Ammende. Respinta la tesi difensiva mirata a vedere ridimensionata la condotta. Decisivo il riferimento al notevole quantitativo di acque illecitamente smaltite.

Condanna confermata per il titolare di un caseificio che ha compiuto un costante smaltimento non autorizzato di rifiuti speciali non pericolosi costituiti dai liquami dell’attività aziendale. Respinta la tesi difensiva mirata a vedere riconosciuta la particolare tenuità del fatto. Decisivo il dato rappresentato dalla rilevante quantità dei reflui smaltiti illecitamente, pari a circa l’85% delle acque reflue prodotte in totale dalla ditta Cassazione, sentenza n. 650/21, depositata l’11 gennaio . In Tribunale i Giudici non hanno dubbi sulla colpevolezza del titolare di un caseificio – campano – all’uomo viene addebitata la condotta di smaltimento senza autorizzazione di rifiuti speciali non pericolosi costituiti da liquami dell’attività aziendale. Consequenziale la condanna, con pena fissata in 3mila euro di ammenda. Il difensore dell’imprenditore mira a ridimensionare la condotta tenuta dal suo cliente. Col ricorso in Cassazione porta avanti la tesi della esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto , come previsto dall’articolo 131- bis del Codice Penale. A questo proposito il legale pone in evidenza, innanzitutto, la presenza dei registri di spandimento dei reflui, poi depositati in udienza, dai quali emergerebbe la non pericolosità dei reflui stessi , e aggiunge poi un riferimento al tempestivo ripristino dei luoghi e all’ ottemperanza alle prescrizioni impartite dal Nucleo operativo Nas” , e infine richiama anche lo stato di incensuratezza del suo cliente. Per quanto concerne la pena irrogata in Tribunale, il legale sostiene che il giudice non si è attenuto ai parametri indicati dall’articolo 133 del Codice Penale e ha errato nell’imporre la pubblicazione della sentenza di condanna, con ciò recando un danno d’immagine alla persona e all’attività commerciale . In premessa i Giudici della Cassazione ricordano che l’articolo 131- bis del Codice Penale prevede, quale necessaria condizione di applicabilità dell’istituto della particolare tenuità del fatto, che il comportamento del soggetto attivo deve essere non abituale”, precisando poi che comportamento abituale , e dunque ostativo al riconoscimento della esclusione della punibilità, è anche quello di condotte plurime, abituali, e reiterate . E, di conseguenza, la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto non può essere applicata ai reati eventualmente abituali che siano stati posti in essere mediante la reiterazione della condotta tipica . Tali principi sono stati correttamente applicati in questa vicenda, sanciscono i Giudici della Cassazione, poiché è evidente l’ostacolo rappresentato dalla rilevante quantità dei reflui smaltiti illecitamente e pari a ben 496.560 chilogrammi pari alla differenza tra circa 579.000 di acque reflue in totale prodotte dalla ditta nel periodo considerato e 83.000 chilogrammi di acque smaltite sulla base dei FIR” regolarmente consegnati e prodotti agli atti , di per sé significativa della reiterazione, nell’arco di tempo contestato, delle condotte considerate . Irrilevante, quindi, ogni altra considerazione, inclusa quella che fa riferimento alla non pericolosità dei rifiuti, di per sé , non sufficiente, evidentemente, ad imporre il riconoscimento della invocata non punibilità , chiariscono dalla Cassazione. Legittima anche la pena, quantificata in un’ammenda di 3mila euro . In questa ottica è corretto il richiamo al notevole quantitativo di acque illecitamente smaltite . Definitiva, quindi, la condanna per il titolare del caseificio, ora obbligato dalla Cassazione anche al pagamento delle spese processuali e della somma di 3mila euro in favore della Cassa delle ammende .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 9 ottobre 2020 – 11 gennaio 2021, numero 650 Presidente Sarno – Relatore Andreazza Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del Tribunale di S. Maria Capua Vetere del 16/01/2020 Pi. Pa. veniva ritenuto responsabile del reato di cui all'articolo 256, comma 1, lett. a del D.Lgs. numero 152 del 2006, commesso in qualità di legale rappresentante della società Pi. S.r.l. in relazione alla condotta di smaltimento senza autorizzazione di rifiuti speciali non pericolosi costituiti da liquami dell'attività casearia, e veniva pertanto condannato alla pena dell'ammenda di Euro 3.000,00. 2. Avverso la sentenza l'imputato ha proposto ricorso per Cassazione articolato in due motivi. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge e difetto di motivazione in relazione al mancato riconoscimento della esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto ex articolo 131 bis cod. penumero . Il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui non avrebbe motivato sulla richiesta avanzata in primo grado di sentenza di non doversi procedere ai sensi dell'articolo 131 bis cit. per particolare tenuità del fatto. In particolare, il giudice di primo grado non avrebbe tenuto in considerazione la presenza dei registri di spandimento dei reflui, poi depositati, dai quali emergerebbe la non pericolosità degli stessi. Inoltre, il giudice, nell'irrogare la pena, non si sarebbe attenuto ai parametri indicati dall'articolo 133 cod. penumero ed avrebbe errato nell'imporre la pubblicazione della sentenza di condanna, con ciò recando un danno d'immagine alla persona e all'attività commerciale gestita dall'imputato.' 3. Con il secondo ed ultimo motivo si censura la violazione di legge e il difetto assoluto di motivazione in relazione agli articolo 62 bis e 133 cod. penumero . Si sottolinea come il giudice di primo grado, se avesse considerato attentamente i parametri di cui all'articolo 133 cod. pen, avrebbe irrogato una pena meno severa, con la concessione delle attenuanti generiche. In particolare, si sostiene che il giudice avrebbe dovuto valorizzare, ai fini della concessione delle attenuanti, il tempestivo ripristino dei luoghi, nonché l'ottemperanza alle prescrizioni impartite dal Nucleo operativo Nas di Caserta e il deposito in udienza dei registri di spandimento dei liquami tali elementi, unitamente allo stato di incensuratezza e alle condotte antecedenti alla contestazione de qua, avrebbero dovuto portare a concedere il beneficio. Considerato in diritto 1. Il primo motivo è manifestamente infondato. L'articolo 131-bis cod. penumero prevede, al comma 1, quale necessaria condizione di applicabilità dell'istituto della particolare tenuità del fatto, che il comportamento del soggetto attivo deve essere non abituale precisando poi, al comma 3, che comportamento abituale, e dunque ostativo al riconoscimento della esclusione della punibilità, è anche quello di condotte plurime, abituali, e reiterate. E la giurisprudenza di questa Corte ha rilevato che la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, di cui all'articolo 131-bis cod. penumero , non può essere applicata ai reati eventualmente abituali che siano stati posti in essere mediante la reiterazione della condotta tipica tra le altre, Sez. 3, numero 30134 del 05/04/2017, Dentice, Rv. 270255 . Ciò posto, la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione del principio appena ricordato laddove ha sottolineato, con motivazione logica, e dunque insindacabile in questa sede, l'ostacolo rappresentato dalla rilevante quantità dei reflui smaltiti illecitamente e pari a ben 496.560 chilogrammi pari alla differenza tra circa 579.000 di acque reflue in totale prodotte dalla ditta nel periodo considerato e 83.000 chilogrammi di acque smaltite sulla base dei Fir regolarmente consegnati e prodotti agli atti , di per sé significativa della reiterazione, nell'arco di tempo contestato, delle condotte considerate. Di qui, pertanto, la recessività di ogni altra considerazione, tra cui la non pericolosità dei rifiuti, di per sè, nella specie, non sufficiente, evidentemente, tanto più essendo una necessaria componente del reato atta a distinguere la fattispecie in esame da quella dell'articolo 256, comma 1, lett. b , ad imporre il riconoscimento della invocata non punibilità. Quanto alla pubblicazione della sentenza apposta, ex articolo 165 cod. penumero , come condizione alla concessione del beneficio della sospensione' condizionale della pena, è evidente l'incongruità di una prospettazione che, senza censurare la logicità della motivazione resa sul punto dalla sentenza impugnata ovvero la espressione dell'efficacia deterrente e della forma di riparazione del danno arrecato e paventando il danno di immagine alla persona e all'attività commerciale, verrebbe a negare proprio la ratio stessa della sanzione, la cui deterrenza è necessariamente collegata alla natura diffusiva del mezzo. 2. Anche il secondo motivo è inammissibile. Premesso che la pena della ammenda di Euro 3.000 irrogata si situa in prossimità evidente del minimo edittale pari ad Euro 2.600 con conseguente sufficienza, secondo i costanti principi sul punto espressi da questa Corte Sez. 4, numero 46412 del 05/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283 Sez. 4, numero 21294 del 20/03/2013, Serratore, Rv. 256197 , di una motivazione che si rapporti anche solo alla menzione dei criteri di cui all'articolo 133 cod. penumero , va osservato che, nella specie, la sentenza impugnata ha pertinentemente richiamato, anche con riferimento al profilo sanzionatorio, il notevole quantitativo di acque illecitamente smaltite quanto, poi, alla concessione delle circostanze attenuanti generiche, sono in questa sede non valorizzagli elementi fattuali, tra cui in particolare il tempestivo ripristino dei luoghi di cui peraltro non è dato comprendere la connessione con la condotta contestata e l'ottemperanza alle prescrizioni, unicamente riferiti dal ricorrente e oggettivamente non risultanti sicché appare insindacabile la motivazione della sentenza impugnata che ha fatto leva sulla inidoneità del mero stato di incensuratezza. 3. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di denaro di Euro 3.000 in favore della cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000 in favore della cassa delle ammende.