Quattro piantine di marijuana e una serra a disposizione: impossibile parlare di coltivazione domestica

Definitiva la condanna di un uomo, beccato a coltivare quattro piante di marijuana. Respinta la tesi difensiva mirata a sostenere il mero uso personale. Rilevante il numero di dosi ricavabili e la disponibilità di una serra.

Quattro piante di marijuana e la disponibilità di una serra sono sufficienti per escludere la coltivazione domestica destinata a un uso esclusivamente personale della sostanza stupefacente. Cassazione, sentenza n. 644/21, sez. III Penale, depositata oggi . A finire sotto accusa è un uomo, beccato a coltivare quattro piante di marijuana nel proprio giardino. Inevitabile il processo che si conclude, sia in primo che in secondo grado, con una condanna per avere violato la normativa fissata dal Testo unico sulla droga. Comunque, l’uomo, ritenuto colpevole dei reati di coltivazione di quattro piante di marijuana e di detenzione di inflorescenze di marijuana, di sostanza essiccata tipo marijuana e di hashish , riesce a ottenere in Appello una riduzione della pena, fissata in sedici mesi di reclusione e 10mila euro di multa , a fronte dei due anni e otto mesi di reclusione e 13mila e 333 euro di multa stabiliti in Tribunale. Il difensore dell’uomo prova comunque a ridimensionare la vicenda, ponendo in evidenza, tramite il ricorso in Cassazione, innanzitutto la esigua quantità di piante rinvenute e sostenendo poi la tesi della coltivazione domestica a fine di uso personale, con conseguente irrilevanza penale della condotta . E a questo proposito il legale aggiunge che è erroneo il riferimento adottato dai giudici di merito alla circostanza dell’utilizzo di una serra con lampade UV e impianto di riscaldamento per coltivare la marijuana , poiché non risulta rinvenuta alcuna pianta di marijuana nella serra che era funzionale a svolgere attività di giardinaggio , mentre le quattro piantine di marijuana sono state trovate nel giardino, dietro ad una baracca di attrezzi in uso all’uomo . USO. Prima di prendere in esame la vicenda, i giudici della Cassazione tengono a ribadire che il reato di coltivazione di stupefacenti è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo estraibile nell’immediatezza, essendo sufficienti la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza ad effetto stupefacente mentre non integra il reato di coltivazione di stupefacenti, per mancanza di tipicità, una condotta di coltivazione che, in assenza di significativi indici di un inserimento nel mercato illegale, denoti un nesso di immediatezza oggettiva con la destinazione esclusiva all’uso personale, in quanto svolta in forma domestica, utilizzando tecniche rudimentali e uno scarso numero di piante, da cui ricavare un modestissimo quantitativo di prodotto . In sintesi, legata la offensività del reato al tipo botanico previsto ed alla attitudine a sviluppare sostanza stupefacente , allora può farsi questione di uso personale del prodotto della coltivazione solo laddove ciò discenda dalla possibilità di escludere in realtà la stessa condotta di coltivazione, la cui tipicità difetterebbe in presenza di indici, rappresentati dalle tecniche rudimentali e da uno scarso numero di piante, che denotino la natura domestica della condotta . In questo caso specifico, osservano dalla Cassazione, i giudici di merito hanno fatto riferimento al tipo botanico idoneo a produrre marijuana mentre non è risultata una tecnica rudimentale di coltivazione , una volta constatata la presenza di una serra per la coltivazione, con specifico impianto di areazione, lampade UV e idoneo riscaldamento . Inutile il richiamo difensivo alla collocazione delle piante di marijuana, cioè non contenute nella serra ma rinvenute invece nel giardino . Questo dettaglio non è decisivo, poiché, ribattono dalla Cassazione, è stata valorizzata la presenza della serra per ritenere che la coltivazione difettasse di caratteri di rudimentalità . Logico, quindi, il ragionamento secondo cui nella coltivazione avvenuta utilizzando la serra sarebbe rientrata anche quella delle piantine di marijuana rinvenute nel giardino . A inchiodare l’uomo, infine, anche la circostanza che le dosi complessivamente ricavabili dai reperti rinvenuti nella sua abitazione, compresi dunque quelli ricollegabili alle piantine, sono state indicate, nella relazione d’analisi, in duecentosettantuno, circostanza, questa, già di per sé indicativa della impossibilità di ricondurre la condotta complessivamente contestata di detenzione e coltivazione come finalizzata all’uso personale dello stupefacente . Per chiudere, poi, dalla Cassazione aggiungono che il numero di dosi e la presenza della serra sono elementi sufficienti per escludere la possibile ricorrenza del fatto lieve .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 9 ottobre 2020 – 11 gennaio 2021, numero 644 Presidente Sarno – Relatore Andreazza Ritenuto in fatto e considerato in diritto 1. Con sentenza del 17.1.2018 il Tribunale di Milano riteneva Le. Ma. Au. responsabile dei reati di coltivazione di quattro piante di marijuana e di detenzione di infiorescenze di marijuana, di sostanza essiccata tipo marijuana e di hashish ai sensi dell'articolo 73, comma 4 D.P.R. numero 309 del 1990, condannandolo alla pena di anni 2 e mesi 8 di reclusione ed Euro 13.333 di multa. Avverso la suddetta sentenza l'imputato proponeva appello presso la Corte d'Appello di Milano, la quale, in parziale riforma della decisione, rideterminava la pena inflitta in primo grado in anni 1 e mesi 4 di reclusione ed Euro 10.000 di multa, con sentenza successivamente impugnata con ricorso per Cassazione articolato in tre motivi. 2. Con il primo motivo di ricorso viene affermata l'erronea applicazione della legge penale in relazione alla ritenuta offensività della condotta. A fronte infatti della esigua quantità di piante rinvenute, la Corte non avrebbe ritenuto di verificare se queste fossero effettivamente in grado di produrre sostanza drogante, limitandosi ad affermare l'illiceità penale della condotta in quanto avente ad oggetto un tipo botanico vietato dal D.P.R. numero 309 del 1990. 3. Con il secondo motivo lamenta la violazione dell'articolo 125, comma 3, cod. proc.penumero ovvero la mancanza di motivazione. In particolare deduce la mancata qualificazione della condotta .incriminata come coltivazione domestica a fini di uso personale, ricompresa, secondo un orientamento della giurisprudenza di legittimità, nell'articolo 75, comma 10, del D.P.R. numero 309 del 1990, con conseguente irrilevanza penale della condotta stessa. In particolare, la difesa lamenta l'assoluta mancanza di motivazione su tale questione, che, sollevata in primo grado, è stata riproposta in appello, nonché sulle ragioni per le quali si è ritenuta la rilevanza penale della condotta di detenzione. 4. Con il terzo ed ultimo motivo, incentrato sul travisamento della prova, il ricorrente censura la decisione della Corte territoriale di porre a fondamento dell'esclusione dell'articolo 73, comma 5, del D.P.R. numero 309 del 1990, nel caso di specie, la circostanza dell'utilizzo di una serra con lampade UV e impianto di riscaldamento per coltivare la marijuana. In realtà, secondo la difesa, la Corte sarebbe incorsa in un travisamento della prova, in quanto nella serra non risulta rinvenuta alcuna pianta di marijuana già nel corso del giudizio di primo grado infatti, la difesa aveva evidenziato come la serra fosse funzionale a svolgere attività di giardinaggio, mentre le quattro piantine erano state trovate nel giardino dietro ad una baracca di attrezzi in uso a Le Sul punto si richiama l'orientamento della Cassazione secondo cui in caso di sentenza doppia conforme, qualora i giudici di primo e secondo grado siano incorsi entrambi nel vizio di travisamento probatorio, è possibile far valere quest'ultimo vizio anche con ricorso per cassazione. 5. Con riferimento ai primi due motivi di ricorso, congiuntamente esaminabili, deve rilevarsi che le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza numero 12348/20 del 19/12/2019, Caruso, Rv. 278624, dopo avere affermato che il reato di coltivazione di stupefacenti è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo estraibile nell'immediatezza, essendo sufficienti la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza ad effetto stupefacente, hanno precisato che non integra il reato di coltivazione di stupefacenti, per mancanza di tipicità, una condotta di coltivazione che, in assenza di significativi indici di un inserimento nel mercato illegale, denoti un nesso di immediatezza oggettiva con la destinazione esclusiva all'uso personale, in quanto svolta in forma domestica, utilizzando tecniche rudimentali e uno scarso numero di piante, da cui ricavare un modestissimo quantitativo di prodotto. Dunque, legata la offensività del reato al tipo botanico previsto ed alla attitudine a sviluppare sostanza stupefacente, sul punto venendo quindi disattesa la prospettazione in senso contrario del ricorso, in tanto può farsi questione di uso personale del prodotto della coltivazione solo laddove, anche in osservanza di quanto osservato a suo tempo da Sez. U., numero 28605 del 24/04/2008, Di Salvia, Rv.239920, ciò discenda dalla possibilità di escludere in realtà la stessa condotta di coltivazione, la cui tipicità difetterebbe in presenza di indici, rappresentati dalle tecniche rudimentali e da uno scarso numero di piante, che denotino la natura domestica della condotta. Ciò posto, allora, oltre a doversi constatare che correttamente i giudici di merito hanno fatto riferimento al tipo botanico idoneo a produrre marijuana, neppure è risultata una' tecnica rudimentale di coltivazione sul punto già la sentenza di primo grado avevano valorizzato la presenza di una serra per coltivazione, con specifico impianto di areazione, lampade UV e idoneo riscaldamento. Né è fondato l'assunto di un travisamento della prova, specificamente formulato per vero con riguardo all'esclusione del fatto lieve di cui al comma 5 dell'articolo 73 cit., ma ugualmente riferibile, ancor prima, alla configurabilità stessa del reato, giacché non sarebbero risultate contenute nella serra le piante di marijuana, rinvenute invece nel giardino. In realtà né la sentenza di primo grado né quella di appello hanno affermato, come pretenderebbe il ricorrente, che all'interno della serra vi fossero le piantine, avendo invece le stesse unicamente valorizzato la presenza della serra per ritenere appunto che la coltivazione difettasse di caratteri di rudimentalità piuttosto, il ragionamento, che parrebbe implicito in tale valutazione, per cui nella coltivazione avvenuta utilizzando la predetta serra, sarebbe rientrata anche quella delle piantine di marijuana rinvenute nel giardino, sarebbe semmai il risultato di una inferenza che non sarebbe comunque manifestamente illogica, essendosi inoltre sul punto il ricorrente limitato ad affermare una destinazione, invece, al giardinaggio, del tutto fattuale oltre che avulsa da ogni dato indicativo della presenza, in essa, di piante. E' in ogni caso dirimente la circostanza che la sentenza impugnata abbia posto in evidenza che le dosi complessivamente ricavabili dai reperti rinvenuti nell'abitazione dell'imputato, ivi compresi dunque quelli ricollegabili alle piantine, sono state indicate, nella relazione d'analisi, in 271, circostanza, questa, già di per sé indicativa, come affermato, con motivazione niente affatto illogica, dal Tribunale, della impossibilità di ricondurre la condotta complessivamente contestata all'imputato di detenzione e coltivazione come finalizzata all'uso personale dello stupefacente, impossibilità su cui il ricorso non ha significativamente formulato rilievo alcuno se non quello, evidentemente smentito da quanto appena detto, di una mancata motivazione sulle ragioni di rilevanza penale della detenzione . I primi due motivi sono dunque inammissibili. 6. Il terzo motivo è anch'esso inammissibile. Come già rilevato sopra, sia il numero di 271 dosi che la presenza della serra sono stati correttamente valorizzati dai giudici, in conformità ai principi più volte enunciati da questa Corte, al fine di escludere la possibile ricorrenza, nella specie, del fatto lieve. 7. In definitiva, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della' somma di denaro di Euro 3.000 in favore della cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000 in favore della cassa delle ammende.