Sulla vexata quaestio dei rapporti tra prescrizione e confisca

La dichiarazione di estinzione del reato non consente di disporre la confisca diretta in tutti i casi in cui l’adozione del provvedimento ablativo è condizionata, da una norma di legge, alla pronuncia di un giudicato formale di condanna, ad eccezione dei casi in cui il Legislatore preveda che alla confisca dei beni economici dell’autore di un fatto costituente reato, la cui responsabilità formi comunque oggetto di un esaustivo accertamento giudiziale, si debba in caso di confisca obbligatoria o si possa in caso di confisca facoltativa procedere in assenza di una sentenza di condanna definitiva .

La Cassazione sentenza n. 52/21 depositata il 4 gennaio interviene, con una motivazione di oltre 30 pagine, nel tentativo, invero arduo, di tracciare alcune linee guida sui rapporti tra le variegate forme di confisca e la declaratoria di estinzione del reato . La negata pronuncia delle Sezioni Unite. La questione affrontata dalla Quinta Sezione penale della Cassazione avrebbe meritato, senza dubbio, per ampiezza, complessità e anche autorevolezza dei precedenti, l’intervento nomofilattico delle Sezioni Unite. Ed invero la Quinta Sezione aveva rimesso la questione al plenum, investendolo della richiesta se fosse legittima o meno la confisca facoltativa del profitto del reato ai sensi dell’art. 240, comma 1, c.p., in presenza di pronuncia di prescrizione, pur facente seguito a condanna di primo grado. In sostanza, si chiedeva se fosse necessario un vero e proprio giudicato formale di condanna mancante in caso di proscioglimento per prescrizione ovvero fosse sufficiente un completo accertamento da parte del giudice di merito in ordine alla sussistenza del profilo oggettivo e soggettivo del reato, che ben può avvenire anche in presenza di un proscioglimento per prescrizione. Il tema era stato ritenuto di competenza delle Sezioni Unite in quanto si chiedeva se i principi espressi dalle stesse nella sentenza Lucci Cass. pen., Sez. Un., 21 luglio 2015, n. 31617 , in tema di confisca obbligatoria, avessero portata generale e fossero pertanto estensibili alla confisca facoltativa di cui all’art. 240, comma 1, c.p Vale la pena ricordare che la sentenza Lucci aveva affermato che il giudice, nel dichiarare l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione , può applicare, a norma dell'art. 240 c.p., la confisca del prezzo del reato e, a norma dell'art. 322- ter c.p.p., la confisca del prezzo o del profitto da reato sempre che si tratti di confisca diretta e vi sia una precedente pronuncia di condanna, rispetto alla quale il giudizio di merito permanga inalterato quanto alla sussistenza del reato, alla responsabilità dell'imputato ed alla qualificazione del bene da confiscare come prezzo o profitto del reato. Allo stesso tempo, si era precisato che su altro fronte la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione preclude la confisca per equivalente delle cose che ne costituiscono il prezzo o il profitto, la quale è prevista come obbligatoria dall’art. 322- ter c.p. solo in caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti, in quanto dalla natura sanzionatoria di tale confisca consegue che essa debba essere preceduta da una condanna o da una applicazione della pena irrevocabili. Tuttavia, le Sezioni Unite, investite dalla Quinta Sezione penale, restituiscono la palla al mittente”, rilevando come in effetti non siano posti in discussione i principi di diritto affermati nella pronuncia Lucci, ma solo la loro estensione, questione sulla quale ben può e deve pronunciarsi la singola sezione. L’intervento della Quinta penale. Sulla questione è dunque chiamata a pronunciarsi, peraltro dopo un precedente annullamento con rinvio, la Quinta Sezione penale. Consci dell’importanza della questione, non solo sul caso specifico nato dalla nota vicenda Telecom ed avente ad oggetto ricorso contro una confisca di diversi milioni di euro, ma anche sotto il profilo giuridico, gli Ermellini compiono una approfondita disamina dei principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità, in particolare dalle Sezioni Unite, partendo da quanto affermato dalla risalente sentenza Carlea Cass. pen., Sez. Un., 25 marzo 1993, n. 5 , passando per la sentenza n. 49 del 2015 della Corte Costituzionale sino alle Sezioni Unite Lucci e sino alla recentissima Cassazione penale Sez. Un., 30/01/2020, n. 13539. Non si può certo, in questa sede, neppure tentare di ripercorrere il dettagliato iter argomentativo ricostruito puntigliosamente dai giudici del Palazzaccio nella sentenza in commento, alla cui lettura si deve necessariamente rinviare. Ci si limiterà pertanto, in questa brevissima nota, a sintetizzare le articolate conclusioni che vengono tratte nella decisione in esame. I principi di diritto affermati. All’esito della approfondita disamina, sopra solo sommariamente enunciata, osserva la Quinta Sezione penale, con grande lucidità, che una interpretazione estensiva del concetto non formalistico di condanna contenuto nella sentenza Lucci, che lo renda applicabile all’intero sistema – invero variegato e multiforme – delle confische, appare incontrare un limite insuperabile nel principio di legalità, che, come noto, deve trovare applicazione anche in tema di misure di sicurezza. Detto principio, sancito sia a livello di Carta Costituzionale che di Carte Internazionali dei diritti dell’uomo, preclude interpretazioni estensive in danno dell’imputato. Se la confisca non può essere equiparata ad una pena è pur sempre vero, osserva la Corte, che la stessa incide in modo assai significativo su diritti fondamentali dell’individuo quali sono il diritto di proprietà e quello di libera iniziativa economica. La conclusione, pertanto, è che, precludendo il principio di legalità in campo penale interpretazioni estensive ed analogiche in danno dell’imputato, non può che interpretarsi tassativamente anche il concetto di condanna quale presupposto del provvedimento ablativo in caso di confisca facoltativa del profitto del reato. In conclusione, afferma la Cassazione, la confisca oggi – ben lungi dalla sola forma di protoconfisca prevista nel codice penale originario – si presenta come un istituto non certo riconducibile ad una dimensione unitaria se non sotto il profilo dell’effetto concreto che la stessa produce l’ablazione del bene . Il precipitato di tali principi insuperabili e soprattutto del principio cardine di legalità è che la dichiarazione di estinzione del reato non consente di disporre la confisca diretta in tutti i casi in cui l’adozione del provvedimento ablativo è condizionata, da una norma di legge, alla pronuncia di un giudicato formale di condanna. Ad opposta conclusione deve, invece, giungersi nei casi in cui il legislatore preveda esplicitamente che alla confisca dei beni economici dell’autore di un fatto costituente reato, la cui responsabilità formi comunque oggetto di un esaustivo accertamento giudiziale, si debba in caso di confisca obbligatoria o si possa in caso di confisca facoltativa procedere in assenza di una sentenza di condanna definitiva . La sentenza impugnata viene, pertanto, annullata senza rinvio in uno con la disposta confisca, in quanto la stessa era stata mantenuta in vita dal giudice dell’appello nonostante l’intervenuta estinzione del reato conseguente alla maturata prescrizione, pur difettando il presupposto legittimante previsto dall’art. 240, comma 1, c.p. cioè la sentenza di condanna definitiva.

Corte di Cassazione, Sez. V Penale, sentenza 15 ottobre 2020 – 4 gennaio 2021, n. 52 Presidente Vessicchelli – Relatore Guardiano Svolgimento in fatto 1. Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di assise di appello di Milano, in qualità di giudice del rinvio, confermava la sentenza pronunciata il 13.12.2016 dalla corte di assise di Milano, nei confronti di C.E. , con riferimento alla confisca dei beni di quest’ultimo, ritenuti profitto del reato di cui all’art. 416 c.p., disposta dal giudice di primo grado ai sensi dell’art. 240 c.p A tale decisione si arrivava all’esito di un articolato percorso processuale, che giova ricostruire, sia pure sinteticamente. 2. Con sentenza del 13.2.2013 il C. veniva condannato alla pena ritenuta di giustizia dalla corte d’assise di Milano, in quanto ritenuto colpevole dei reati di cui all’art. 416 c.p. capo n. 1 dell’imputazione e art. 262 c.p., commi 1 e 4 capo n. 37 dell’imputazione . In sentenza veniva anche disposta la confisca dei beni sequestrati al C. , consistenti in circa 12 milioni di Euro giacenti su di un conto corrente lussemburghese, in circa 2 milioni di Euro su un conto svizzero e nella villa fiorentina di proprietà del C. , in quanto ritenuti parte del profitto ricavato dall’imputato grazie alla sua partecipazione all’associazione a delinquere descritta nel capo n. 1 . Il giudice di primo grado aveva motivato il provvedimento ablativo, con riferimento al disposto dell’art. 240 c.p., evidenziando il carattere cautelare e non punitivo della confisca in esame, ritenuta una misura di sicurezza fondata sulla pericolosità derivante dalla disponibilità delle cose che costituiscono il prezzo, il prodotto o il profitto del reato . 3. Con sentenza del 13.12.2016 la corte d’assise di appello di Milano, aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti del C. , in ordine al reato ex art. 416 c.p., perché estinto per prescrizione, con conseguente rideterminazione dell’entità del trattamento sanzionatorio in senso più favorevole al reo, confermando nel resto la sentenza impugnata. 4. Con sentenza del 26.4.2018 la prima sezione penale della Corte di Cassazione, decidendo sul ricorso presentato dalla difesa del C. , lo aveva parzialmente accolto, annullando la sentenza impugnata, limitatamente alla disposta confisca , con rinvio ad altra sezione della corte di appello milanese per un nuovo giudizio sul punto. Rilevava, al riguardo, la Suprema Corte che il provvedimento ablatorio adottato dalla corte di assise e confermato dal giudice di appello, presenta delle discrasie argomentative insuperabili in ordine alle ragioni legittimanti l’adozione della confisca , posto che i giudici di merito non hanno chiarito se l’ablazione dei beni di C. fosse stata adottata a norma dell’art. 240 c.p., comma 1, ovvero a norma dell’art. 240 c.p., comma 2 . Si tratta di un’omissione rilevante, investendo, come sottolineava la Suprema Corte, una questione decisiva, stante la differenza dei presupposti applicativi esistenti tra le due ipotesi di confisca . Nella disamina critica delle sentenze di merito, inoltre, la Corte di Cassazione sottolineava l’incongruità dei richiami operati dalla corte di appello milanese sia alla giurisprudenza di legittimità formatasi in tema di confisca per valore equivalente da profitto illecito, sia ad una serie di ulteriori arresti della giurisprudenza di legittimità tra i quali assume particolare rilievo, nella motivazione della sentenza oggetto del presente ricorso, come si vedrà in seguito, la sentenza Lucci delle Sezioni Unite di questa Corte . L’annullamento con rinvio, pertanto, si imponeva, come rilevava la Suprema Corte, in considerazione di un elevato tasso di equivocità dogmatica , che andava risolto dal giudice del rinvio, chiarendo quale strumento ablatorio veniva applicato in relazione ai beni di C. , tenuto conto del fatto che ciascuna delle figure di confisca richiamate nei sottostanti provvedimenti risponde a differenti presupposti applicativi, sui quali il Giudice del rinvio milanese dovrà confrontarsi analiticamente . 4.1. Va, inoltre, rilevato che, in conseguenza del rigetto degli altri motivi di ricorso articolati nell’interesse del C. , devono considerarsi definiti irrevocabilmente alcuni punti, che non possono più essere messi in discussione, perché su di essi si è formato il giudicato. Il giudice di legittimità, in particolare, nel confermare la declaratoria di estinzione per decorso del relativo termine di prescrizione del reato associativo, ha escluso che il C. potesse considerarsi estraneo alla compagine associativa, in relazione alla quale, anzi, egli aveva rivestito il ruolo di organizzatore. Quanto ai beni confiscati, nella sentenza di annullamento si rilevava come sui profitti acquisiti da C. il giudizio compiuto dalle corti di merito milanesi risulta adeguatamente motivato , dovendosi affermare che i beni sequestrati costituivano i profitti conseguiti attraverso le attività di intelligente che gli venivano contestate , poi reinvestiti tramite conti correnti esteri allo scopo di occultarne la provenienza illegale il C. , insieme agli altri imputati è stato uno dei protagonisti delle vicende che hanno dato vita al cd. caso Telecom . Sotto tale profilo la sentenza di annullamento aderisce all’orientamento secondo cui il profitto derivante dal delitto di associazione per delinquere è autonomo rispetto a quello prodotto dai reati fine ed è costituito dal complesso dei vantaggi direttamente conseguenti dall’insieme di questi ultimi, posto che l’istituzione della societas sceleris è funzionale alla ripartizione degli utili derivanti dalla realizzazione del programma criminoso cfr., ex piurimis Cass., sez. III, n. 44912 del 7.4.2016, rv. 268772 , al quale si contrappone, pur dopo la pronuncia delle Sezioni Unite Iavarazzo n, 25191 del 27.2.2014, rv. 259589 , il diverso orientamento secondo cui il reato di associazione per delinquere di cui all’art. 416 c.p., non genera autonomamente dai reati-fine vantaggi economici costituenti prodotto o profitto o illecito immediatamente riconducibili al sodalizio criminale come tali suscettibili di confisca, in quanto il mero fatto di associarsi al fine della commissione di più delitti è di per sé improduttivo di ricchezze illecite cfr., ex plurimis., Cass., sez. II, n. 30255 del 3.3.2017, rv. 270705 . Infine, nel rigettare la censura difensiva, con cui, in relazione alle statuizioni risarcitorie disposte in favore delle costituite parti civili, il ricorrente aveva dedotto la necessità di operare una distinzione tra i danni non patrimoniali prodotti dal reato associativo e quelli prodotti dal reato di cui al capo n. 37, la Corte di Cassazione evidenziava l’impossibilità di distinguere tra le condotte associative poste in essere attraverso il sodalizio criminale di cui al capo 1 e le attività illecite costituenti reati-fine eseguiti in attuazione del programma consortile della medesima organizzazione . Tale soluzione, secondo il giudice di legittimità, deve considerarsi in linea con il consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui, come si è detto, il profitto derivante dal delitto di associazione per delinquere è autonomo rispetto a quello prodotto dai reati fine ed è costituito dal complesso dei vantaggi direttamente conseguenti dall’insieme di questi ultimi, posto che l’istituzione della societas sceleris è funzionale alla ripartizione degli utili derivanti dalla realizzazione del programma criminoso . 5. Passando ad esaminare la sentenza del giudice del rinvio oggetto del presente ricorso, ragioni di sintesi espositiva impongono di individuare subito i perni intorno ai quali ruota il percorso argomentativo seguito dalla corte territoriale. Un primo punto va evidenziato, per la fondamentale importanza che esso assume nella motivazione del giudice del rinvio. Come è noto il disposto dell’art. 240 c.p., comma 1, condiziona l’adozione della confisca facoltativa alla pronuncia di una sentenza di condanna, che, nel caso in esame, con riferimento al reato associativo in relazione al quale è stato adottato il menzionato provvedimento ablativo, è intervenuta solo in primo grado, perché, come si è detto, il giudice di secondo grado per tale reato ha pronunciato sentenza di non doversi procedere, perché estinto per sopravvenuta prescrizione. Il giudice del rinvio, pertanto, prima ancora di risolvere il dilemma sulla riconducibilità della disposta confisca al paradigma normativo dell’art. 240, c.p., commi 1 e 2, doveva preliminarmente stabilire se nei confronti del C. fosse stata pronunciata una sentenza di condanna, evento processuale dal cui verificarsi dipende necessariamente l’adozione sia della confisca facoltativa, che di quella obbligatoria con l’unica eccezione, in quest’ultimo caso, della confisca dei beni dotati di intrinseca pericolosità, indicati dell’art. 240 c.p., comma 2, n. 2, che deve essere disposta anche se non è stata pronunciata condanna cfr. Cass., Sez. U. 10.7.2008 . Orbene il ragionamento seguito al riguardo dalla corte territoriale è imperniato come si vedrà più diffusamente in seguito , da un lato, sulla estensione al caso in esame dei principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza Lucci , secondo cui il giudice, nel dichiarare la estinzione del reato per intervenuta prescrizione, può disporre, a norma dell’art. 240 c.p., comma 2, n. 1 , la confisca del prezzo e, ai sensi dell’art. 322 ter c.p., la confisca diretta del prezzo o del profitto del reato, a condizione che vi sia stata una precedente pronuncia di condanna e che l’accertamento relativo alla sussistenza del reato, alla penale responsabilità dell’imputato e alla qualificazione del bene da confiscare come prezzo o profitto rimanga inalterato nel merito nei successivi gradi di giudizio cfr. Cass., Sez. U. n. 31617 del 26.6.2015, rv. 264434 . Dall’altro, su di una ricostruzione dommatica dell’istituto della confisca, cui la corte territoriale ritiene di giungere sulla base di una interpretazione, che lo stesso giudice del rinvio definisce sistematica . Attraverso un esame delle numerosissime modifiche normative introdotte dal Legislatore in tema di confisca, che hanno determinato un enorme ampliamento dei casi di obbligatorietà della confisca del profitto del reato, quale misura di sicurezza patrimoniale, la corte territoriale ritiene che l’obbligatorietà della confisca del profitto del reato, pur nella eterogeneità della natura e della disciplina degli istituti giuridici in cui si estrinseca, costituisce principio generale ricavabile dall’ordinamento, sicché la confisca facoltativa del profitto di cui all’art. 240, comma 1, rappresenta oggi l’espressione di un impianto normativo ormai superato, tanto più se si considera che il rafforzamento della confisca del profitto è stato realizzato anche attraverso il sistematico affiancamento ad essa della confisca per equivalente, applicabile nei casi in cui non sia stato possibile addivenire alla confisca diretta . Alla luce di una lettura specialpreventiva della scelta del legislatore di una generalizzata sterilizzazione del profitto del reato in capo al suo autore v. S.U. De Maio l’obiettivo perseguito dal legislatore con la confisca è sempre più quello di privare l’autore del reato dei vantaggi economici che da esso derivano , si impone la inevitabile applicazione della massima di esperienza secondo la quale la disponibilità del profitto del reato da parte del suo autore costituisce stimolo per la commissione di futuri reati, una massima di esperienza che nella stragrande maggioranza dei casi assume, per una precisa scelta del legislatore, la forma della presunzione iuris et de iure stante la natura obbligatoria della confisca . Pertanto la confisca del profitto dovrà essere esclusa solo a fronte di precisi elementi concreti che, in termini inequivoci ed in ipotesi necessariamente marginali, permettano di disattendere, perché non giustificata nel caso concreto, la direttiva generale emergente dall’ordinamento, che impone sempre l’ablazione del profitto in attuazione della finalità specialpreventiva dell’istituto , come nel caso, evidenzia la corte territoriale, di beni di scarsissimo valore . Posti tali principi, la corte territoriale, dovendo muoversi nel perimetro tracciato dalla sentenza di annullamento, ha ritenuto, non essendovi dubbi sulla natura di profitto del reato dei beni oggetto di confisca, ribadita dalla Corte di Cassazione, di qualificare il provvedimento ablativo di cui si discute come confisca facoltativa, in base al chiaro disposto dell’art. 240 c.p., comma 1 e non come confisca obbligatoria, sia per l’inapplicabilità dell’art. 240 c.p., comma 2 non trattandosi di prezzo del reato, nè di cose utilizzate per commettere il reato, nè di cose intrinsecamente illecite , sia per la mancanza di altre norme in tema di confisca applicabili al caso in esame . Di conseguenza, essendo intervenuta nel corso del processo, nonostante la pronuncia di proscioglimento per sopravvenuta estinzione per prescrizione del reato associativo, una sentenza comunque di condanna, in senso sostanziale, se non formale , e trattandosi di un reato commesso attraverso allarmanti modalità, che denotano una marcata capacità a delinquere dell’imputato , in grado di manifestarsi in futuro con altre forme ed in contesti diversi dall’attività di investigazione privata nell’esercizio della quale sono stati commessi i reati per cui si è proceduto , utilizzando proprio le ingenti disponibilità illecite accumulate con la commissione del reato associativo , la richiamata massima di esperienza secondo cui mantenere in capo all’autore del reato il profitto ricavato dallo stesso costituisce lo stimolo alla commissione di ulteriori reati , appare particolarmente pertinente al caso di specie , giustificando, dunque, la disposta confisca. 6. Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede l’annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo dei suoi difensori di fiducia, lamentando, sotto molteplici profili, i vizi di violazione di legge e di motivazione assente, illogica e contraddittoria, attraverso articolate censure, che verranno enunciate nei limiti strettamente necessari per la presente motivazione, ai sensi del disposto del D.Lgs. 28 luglio 1989, n. 271, art. 173, volte a disarticolare il percorso argomentativo seguito dalla corte territoriale. Un primo errore in cui è incorsa la corte territoriale viene individuato nell’avere ritenuto che si dovesse procedere necessariamente ad una confisca, facoltativa ovvero obbligatoria che sia, laddove il tema centrale del giudizio rimesso alla corte di assise di appello milanese era, invece, quello di verificare se sussistessero o meno gli estremi per l’adozione di una delle confische previste dall’art. 240 c.p., per cui l’adozione di una confisca non poteva ritenersi un epilogo decisorio obbligato del giudizio di rinvio. Inoltre i principi affermati dalla corte territoriale si pongono in aperto contrasto con quanto ritenuto dalla stessa Corte di Cassazione in un diverso arresto della Prima Sezione n. 7860 del 20.1.2015, rv. 262758, Meli , relativo ad una fattispecie pressoché sovrapponibile a quella considerata nella sentenza Lucci. In tale pronuncia, da un lato si evidenzia come il reato di associazione per delinquere di cui all’art. 416 c.p., non genera, autonomamente dai reati-fine, vantaggi economici, costituenti prodotto o profitto illecito, immediatamente riconducibili al sodalizio criminale, come tali suscettibili di confisca, in quanto il mero fatto di associarsi al fine della commissione di più delitti è di per sé improduttivo di ricchezze illecite. Dall’altro, si afferma espressamente che l’estinzione del reato per prescrizione preclude la confisca delle cose che ne costituiscono il prodotto o il profitto, a prescindere dalla sua connotazione come obbligatoria o facoltativa, per la necessità di interpretare tassativamente il concetto di condanna quale presupposto dell’ablazione, secondo le indicazioni della sentenza della Corte EDU del 29 ottobre 2013 nel caso Varvara c. Italia, in quanto il principio di legalità in campo penale preclude interpretazioni estensive o analogiche delle norme interne in danno dell’imputato. Ad avviso del C. risulta del tutto inconferente anche il richiamo ai principi affermati nella citata sentenza Lucci , per la decisiva ragione che tale decisione riguarda il caso, del tutto diverso, di confisca di una somma di denaro ritenuta dal giudice del gravame il prezzo del reato di corruzione. Rileva il ricorrente, al riguardo, che 1 nella suddetta decisione veniva ribadito il principio secondo cui l’accertamento della responsabilità deve confluire in una pronuncia che, non solo sostanzialmente, ma anche formalmente la dichiari 2 nel primo grado di giudizio era stata disposta la confisca ex art. 322 ter c.p., del profitto del delitto di concussione, poi riqualificato in corruzione, in quanto tale misura ablatoria era stata introdotta dalla L. 6 novembre 2012, n. 190, art. 1, che consentiva tale intervento solo dopo la modifica normativa 3 ai sensi della L. n. 300 del 2000, art. 15, secondo quanto ritenuto dalle stesse Sezioni Unite, era stato sancito il principio della irretroattività della confisca per equivalente, quale misura sostanzialmente sanzionatoria, con conseguente divieto di analogia legis, prevista dallo stesso art. 322 ter c.p., esclusivamente con riferimento ai casi di confisca obbligatoria del prezzo o del profitto derivanti dai reati da esso contemplati. Appare pertanto evidente come i principi di diritto affermati nella sentenza Lucci non possano applicarsi alla fattispecie di cui si discute in questa sede, del tutto diversa, riguardando la confisca facoltativa di beni riferibili al C. , ai sensi dell’art. 240 c.p., comma 1 e limitatamente al delitto associativo, per il quale neppure è prevista la confisca per equivalente. Ad avviso della difesa, come più volte ribadito nei motivi di ricorso, i principi affermati nella sentenza Lucci non possono trovare applicazione al caso del C. , in quanto 1 il concetto di profitto elaborato in tale arresto è riferito alle sole ipotesi di confisca obbligatoria e per equivalente, risultando, per tale ragione, non adattabile alla diversa ipotesi di confisca facoltativa, disciplinata dall’art. 240 c.p., comma 1 2 nella fattispecie esaminata dalle Sezioni Unite si verteva in un caso di doppia sentenza di condanna, mentre nel caso del C. si tratta di sentenza di condanna in primo grado, poi caducata per prescrizione 3 solo con riferimento al prezzo del reato di corruzione è possibile affermare che il provvedimento ablativo non intacchi il patrimonio dell’agente, a differenza della confisca facoltativa, in cui l’incremento è assoggettato non solo alla valutazione della pertinenzialità, ma anche a quello del periculum 4 il giudice del gravame non stabilisce cosa debba essere considerato profitto del reato , nozione che differisce a seconda del tipo di confisca, obbligatoria, per equivalente e facoltativa prevista dagli articoli più volte richiamati 5 le stesse ipotesi di confisca prese in esame nella sentenza Lucci non sono equivalenti, dovendosi distinguere la confisca per valore equivalente di cui all’art. 322 ter c.p., connotata da una dimensione afflittiva e da un rapporto consequenziale alla commissione del reato proprio della sanzione penale, e la confisca obbligatoria prevista dall’art. 240 c.p., comma 2, n. 2 , a loro volta del tutto diverse dalla confisca facoltativa, di cui all’art. 240 c.p., comma 1, ed in ogni caso non applicabili al caso in esame. Del resto la stessa Corte di Cassazione, nella sentenza di annullamento, aveva stigmatizzato, ritenendoli inconferenti, i richiami già operati dalla corte territoriale milanese nella decisione annullata con rinvio, alla sentenza Lucci e ad altri arresti della giurisprudenza di legittimità, ritenuti correttamente censurati dalla difesa del C. . La sentenza oggetto di ricorso, inoltre, ad avviso del ricorrente, difetta di motivazione in ordine alla esatta individuazione di uno specifico utile percepito dal ricorrente grazie alla sua partecipazione al sodalizio criminoso di cui al capo n. 1 . Si tratta di un punto decisivo, perché, come affermato dalla sentenza Meli e come ribadito dall’arresto delle Sezioni Unite di questa Corte n. 25291 del 27.2.2014, la partecipazione ad un’associazione a delinquere genera vantaggi economici per il reo, qualificabili come prodotto o profitto illecito, come tali confiscabili, solo se i suddetti vantaggi sono conseguenza del contributo prestato per assicurare il regolare funzionamento del sodalizio, rappresentando degli utili ulteriori, non coincidenti con quelli riferibili ai singoli reati-fine. Nè va taciuto che in un recente arresto sempre della Prima Sezione di questa Corte, con cui è stata annullata senza rinvio la sentenza impugnata, ricorrendo un’ipotesi di confisca facoltativa, ai sensi dell’art. 240 c.p., si è ribadito il principio di diritto secondo cui la confisca pertinenziale prevista dall’art. 240 c.p., o da disposizioni speciali è strettamente correlata alla pronuncia irrevocabile di condanna, potendosi derogare alla necessaria irrevocabilità della condanna solo nei casi di confisca per legge obbligatoria in cui la pericolosità della cosa sia in re ipsa. Un altro errore interpretativo commesso dalla corte territoriale, con motivazione contraddittoria, consisterebbe nel ritenere necessario individuare il rapporto di pertinenzialità tra il bene confiscato e il reato oggetto della condanna e richiamare, al tempo stesso, il disposto dell’art. 578 bis c.p.p., in tema di confisca in casi particolari a seguito di estinzione del reato per prescrizione, per i quali la stessa corte evidenzia la mancanza di un rapporto di pertinenzialità. In realtà, ad avviso del ricorrente, la norma in questione non può essere invocata, perché quanto in essa statuito vale solo per i casi disciplinati tassativamente dall’art. 240 bis c.p., tra i quali sono ricomprese esclusivamente le condotte associative ex art. 416 c.p., commi 6 e 7, non contestate al C. . Più in generale, rileva il ricorrente, il principio di stretta legalità impedisce di estendere alla confisca facoltativa di cui all’art. 240 c.p., comma 1, i principi tassativamente previsti dal Legislatore per tutte le ipotesi di confisca obbligatoria indicate dalla corte territoriale. Proprio alla luce del combinato disposto del principio della tassatività delle fattispecie penali e del correlato principio di stretta legalità, non può sostenersi la tesi secondo cui la previsione della confisca facoltativa di cui all’art. 240 c.p., comma 1, sarebbe ormai da considerarsi ipotesi del tutto residuale all’interno dell’ordinamento penale, dovendosi, piuttosto, ribadire che, al di fuori dei casi specifici di confisca obbligatoria previsti dal Legislatore, continua ad operare la previsione della confisca facoltativa quale misura di sicurezza disciplinata dall’art. 240 c.p., comma 1, alla quale dovranno essere ricondotti tutti i casi diversi da quelli per i quali il Legislatore ha previsto la confisca obbligatoria, purché, ovviamente, ne siano rispettati i relativi presupposti, rappresentati da una sentenza definitiva di condanna e dall’accertamento di pertinenzialità tra il bene e il reato. Ed invero quanto fallace sia l’affermazione della corte territoriale secondo cui il profitto del reato non può essere lasciato nella disponibilità del suo autore e vada sempre confiscato, si evince dalla circostanza che lo stesso Legislatore, nell’introdurre ulteriori casi di confisca ex art. 240 bis c.p., con conseguente applicabilità del provvedimento ablativo anche in casi di prescrizione del reato ex art. 578 bis c.p., ha espressamente escluso l’ipotesi di un profitto confiscabile ai sensi dell’art. 416 c.p., se non aggravato dalle previsioni dei commi 6 e 7. Un’ulteriore contraddizione viene colta nel fatto che la corte territoriale, dopo aver sancito la cesura tra la confisca facoltativa e quella obbligatoria, giunge ad affermare esattamente il contrario, evidenziando l’identità di natura della confisca facoltativa e obbligatoria del profitto del reato. Anche le norme sovranazionali, nell’interpretazione fornitane dalla CEDU, non consentono di condividere l’impostazione della corte territoriale. Al riguardo rileva il ricorrente che nella decisione G.I.E.M. S.r.l. c. Italia del 28.6.2018 la CEDU, pur confermando la possibilità di una confisca compatibile con una pronuncia di sentenza di prescrizione, la ancorava al previo accertamento in concreto di una sostanziale responsabilità dell’imputato, intervenendo in un caso di lottizzazione abusiva, vale a dire in un caso di confisca obbligatoria, anche secondo il nostro ordinamento, attesa la naturale intrinseca pericolosità della res. Nemmeno può condividersi l’inversione dell’onere probatorio fissata dalla corte territoriale, secondo cui spetterebbe alla difesa fornire gli elementi di non confiscabilità di un bene non oggettivamente pericoloso, consentita peraltro solo in ipotesi di poca rilevanza, nè il richiamo a massime di esperienza circa il passaggio della pericolosità dalla cosa al soggetto. Del tutto carente, inoltre, appare la motivazione della corte territoriale nella individuazione del rapporto pertinenziale tra la confisca ed il reato per cui è stata disposta, ritenuto necessario dalla stessa sentenza Lucci più volte richiamata dallo stesso giudice del rinvio. Con il secondo motivo di ricorso, articolato, come il precedente, in numerosi punti, in definitiva il ricorrente contesta l’incompletezza dell’apparato motivazionale della corte territoriale, che discende da una medesima carenza motivazionale della stessa Corte di Cassazione. Nella sentenza di annullamento con rinvio non è stata fornita in alcun modo risposta alle analitiche richieste della difesa su specifici temi, pur devoluti alla sua attenzione, sicché su di essi non può ritenersi formatosi il giudicato e nel non prenderli in considerazione, nonostante fossero stati indicati anche con i motivi nuovi datati 7.11.2018, la corte territoriale, che pure ne ha dato contezza nella premessa della sentenza impugnata, è venuta meno al suo dovere di autonoma valutazione di tutti gli elementi della fattispecie. Con l’ultimo motivo, infine, il ricorrente reitera la censura di violazione di legge, in quanto la corte territoriale non ha spiegato per quale motivo i beni sequestrati al C. costituirebbero in concreto prodotto o profitto del reato oggetto di contestazione, ai sensi dell’art. 240 c.p., comma 1. Per le ragioni illustrate il ricorrente chiede 1 la rimessione alle Sezioni unite, della questione di diritto circa la possibilità di procedere a confisca facoltativa ex art. 240 c.p., comma 1, in assenza di un provvedimento definitivo di condanna 2 di risolvere la questione di diritto circa la possibilità che il delitto ex art. 416 c.p., possa generare ex se un profitto confiscabile in assenza di una sentenza definitiva di condanna 3 l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, con la conseguente restituzione all’avente diritto dei beni in sequestro. 6.1. Con memoria depositata il 30.1.2020, il ricorrente reiterava le proprie doglianze, con ulteriori riferimenti normativi e giurisprudenziali. 7. Con ordinanza n. 7881 del 12.2.2020 le Sezioni Unite Penali della Corte di cassazione venivano chiamate a pronunciarsi da questa stessa Sezione sulla base delle seguenti argomentazioni. Rileva il Collegio che questione decisiva ed assorbente delle altre poste nel ricorso, sia quella inerente la legittimità o meno della confisca facoltativa diretta del profitto del reato ai sensi dell’art. 240 c.p., comma 1, in presenza di pronuncia di prescrizione, pur facente seguito a condanna di primo grado altrimenti detto, quella del se la confisca facoltativa citata presupponga o meno un giudicato formale di condanna o, piuttosto, se la stessa possa semplicemente accedere ad un completo accertamento da parte del giudice del merito in ordine al profilo soggettivo e oggettivo del reato di riferimento, accertamento che può essere ribadito anche in una sentenza di proscioglimento per prescrizione. La questione deve essere rimessa alle Sezioni unite, ai sensi sia del comma 1 che del comma 1-bis dell’art. 618, c.p.p., in quanto, accedendo, come ha mostrato di fare plausibilmente la Corte territoriale, alla tesi secondo cui i principi espressi dalle Sez. U. Lucci in tema di confisca obbligatoria siano in realtà di natura generale e presentino l’attitudine, perciò, ad essere estesi anche alla ipotesi della confisca facoltativa di cui all’art. 240 c.p., comma 1, si perviene ad un risultato ermeneutico, rilevante per la fattispecie in esame, della cui legittimità, però, questo Collegio dubita fortemente. Si investono, dunque, le Sezioni unite della richiesta di affermare, ove si riconoscesse carattere sistematico ai principi della sentenza appena citata, che gli stessi debbano essere superati o comunque circoscritti in modo da non operare con riferimento al caso specifico della confisca facoltativa diretta del profitto, in assenza di sentenza definitiva di condanna . 8. Con successiva ordinanza le Sezioni Unite Penali restituivano a questa Sezione il ricorso, rilevando, da un lato, che occorreva soffermarsi sulla eventuale esistenza di una preclusione all’intervento delle stesse Sezioni Unite, rappresentato dall’eventuale formazione di un giudicato parziale interno in ordine alla possibilità di disporre la confisca facoltativa in presenza di un reato estinto per prescrizione, dall’altro che, in ogni caso, nell’ordinanza di rimessione, non venivano contestati i principi di diritto affermati nella sentenza Lucci , ma solo la estensione dei suddetti principi alla confisca facoltativa di cui dell’art. 240 c.p., comma 1. 9. Con memoria depositata il 24.9.2020, infine, i difensori del C. reiteravano gli argomenti già esposti a sostegno dell’accoglimento del ricorso. Considerato in diritto 1. L’intervenuta restituzione del ricorso da parte delle Sezioni Unite, impone di affrontare e risolvere in questa sede le questioni di diritto poste dalla difesa del C. . Preliminarmente va, tuttavia, rilevato che nel caso concreto, a differenza di quanto prospettato nell’ordinanza di restituzione del ricorso, non era necessario sciogliere il dilemma sulla presenza di una eventuale preclusione circa la possibilità di riesaminare il tema della sottoposizione a confisca dei beni dell’imputato da parte del giudice di appello, in quanto tale preclusione non era e non è configurabile. Ed invero, ove la Prima Sezione di questa Corte si fosse determinata nel senso di ritenere in ogni caso compatibile il mantenimento della confisca in caso di dichiarazione di estinzione del reato per sopravvenuta prescrizione da parte del giudice di appello, il ricorso dell’imputato sarebbe stato rigettato. La decisione di annullare la sentenza impugnata demandando al giudice del rinvio di individuare se sussistono i presupposti per l’applicazione del modello legale di confisca delineato dall’art. 240 c.p., piuttosto, implica, logicamente, prima ancora che giuridicamente, la possibilità che a tale quesito venga data una risposta negativa, risultando, pertanto, evidente che questo era il thema decidendum devoluto alla corte territoriale, aperto a diversi epiloghi decisori, a seconda delle opzioni interpretative prescelte. Il perimetro entro il quale deve essere ricondotta la decisione invocata dal ricorrente, risulta, pertanto, circoscritto dalla sentenza di annullamento con rinvio. Si tratta, in definitiva, di verificare se siano state superate in maniera convincente quelle discrasie argomentative insuperabili in ordine alle ragioni legittimanti l’adozione della confisca , derivanti dalla circostanza che i giudici di merito non hanno chiarito se l’ablazione dei beni di C. fosse stata adottata a norma dell’art. 240 c.p., comma 1, ovvero a norma dell’art. 240 c.p., comma 2 , senza nemmeno soffermarsi sui relativi presupposti applicativi, che, come si sottolinea nella sentenza di annullamento con rinvio, sono e restano differenti. Orbene ritiene il Collegio che la risposta fornita dal giudice del rinvio non sia condivisibile. 1.1. La questione di diritto sottoposta allo scrutinio della Suprema Corte può essere sintetizzata nei seguenti termini se, intervenuta sentenza di condanna in primo grado, il giudice di appello, che successivamente abbia pronunciato nei confronti dell’imputato sentenza di proscioglimento per estinzione del reato per decorso del relativo termine di prescrizione, possa mantenere in vita la confisca facoltativa diretta dei beni economici dello stesso imputato, disposta, all’esito del giudizio di primo grado, ai sensi dell’art. 240 c.p., comma 1, in quanto costituenti profitto del reato di cui all’art. 416 c.p Come si è detto, la corte di assise di appello di Milano, ha fornito risposta positiva a tale quesito, applicando estensivamente a tale fattispecie di confisca i principi di diritto affermati nella sentenza Lucci delle Sezioni Unite di questa Corte. La estensione dei suddetti principi al caso in esame, ad avviso della corte territoriale, sarebbe un logica conseguenza della stessa sentenza di annullamento, in cui la Corte di Cassazione, nell’affidare al giudice del rinvio il compito di stabilire l’esatta natura giuridica della confisca disposta sui beni del C. , ha ritenuto, implicitamente, ma inequivocabilmente, che l’intervenuta declaratoria di proscioglimento non costituisca un ostacolo all’applicazione della confisca, essendo sufficiente a tal fine, conformemente alla previsione dell’art. 240 c.p., commi 1 e 2, la pronuncia della sentenza di condanna del C. da parte del giudice di primo grado e la qualificazione dei beni confiscati come profitto del reato associativo. Nella motivazione della sentenza Lucci , in particolare, quel che rileva, ad avviso del giudice del rinvio, è la natura non sanzionatoria, ma preventiva, non solo della confisca obbligatoria del prezzo del reato, prevista dall’art. 240 c.p., comma 2, ma anche della confisca obbligatoria del profitto del reato, nei casi, come quello contemplato dall’art. 322 ter c.p., in cui essa è frutto di una espressa scelta legislativa, secondo una prospettiva unitaria volta a sterilizzare, in funzione essenzialmente preventiva, tutte le utilità che il reato, a prescindere dalle relative forme e dal relativo titolo, può aver prodotto in capo al suo autore, e con specifico riferimento a figure di reato per le quali il legislatore ha ritenuto necessario optare per una simile scelta , prospettiva che attrae prezzo e profitto del reato all’interno di un nucleo .unitario di finalità ripristinatoria dello status quo ante . Non appartenendo, pertanto, la confisca del prezzo del reato, ex art. 240 c.p., comma 2 e la confisca obbligatoria del profitto del reato alla categoria della pena, per la loro adozione non è necessario il formarsi di un giudicato formale sulla responsabilità penale dunque, una sentenza di condanna in senso formale , essendo sufficiente che, come nel caso del C. , sia intervenuta una sentenza contenente l’accertamento pieno del reato e della responsabilità dell’imputato sentenza di condanna in senso sostanziale , circostanza non incompatibile con la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione , in quanto, rileva sul punto la corte territoriale, la fondatezza dell’accusa è stata pienamente confermata dal S.C. che ha ritenuto infondate le doglianze della difesa ed ha ritenuto provata anche la qualificazione delle cose oggetto di confisca come profitto del reato di cui all’art. 416 c.p In conclusione, secondo la corte territoriale, proprio perché nell’argomentazione delle S.U. Lucci ad assumere carattere decisivo è non già l’obbligatorietà della confisca del prezzo del reato ex art. 240 c.p., comma 2, n. 1 e del profitto del reato ex art. 322 ter c.p., ma la finalità specialpreventiva di dette ipotesi di confisca , che giustifica, ai fini dell’applicazione del provvedimento ablativo, l’assenza di un giudicato formale di condanna, i principi in essa affermati sono applicabili anche alla confisca facoltativa del profitto . Quest’ultima, infatti, si basa sulla stessa finalità special preventiva, che si attua attraverso la sterilizzazione delle utilità del reato in capo al suo autore, a nulla rilevando che nel caso di confisca facoltativa del profitto l’ablazione non sia basata, come nella confisca obbligatoria, su una sorta di presunzione iuris et de iure di pericolosità formulata dal legislatore . 1.2. Orbene i principi di diritto affermati nella sentenza Lucci , rappresentano il punto di approdo di un articolato percorso interpretativo, che va sinteticamente ricostruito. Il punto di partenza di tale percorso può essere individuato nei principi di diritto enunciati nella sentenza Carlea n. 5 del 25.3.1993, rv. 193120 delle Sezioni Unite, secondo cui anche nel caso di estinzione del reato, astrattamente non incompatibile con la confisca in forza del combinato disposto dell’art. 210 c.p. e art. 236 c.p., comma 2, per stabilire se debba farsi luogo a confisca deve aversi riguardo alle previsioni di cui all’art. 240 c.p. e alle varie disposizioni speciali che prevedono i casi di confisca, potendo conseguentemente questa esser ordinata solo quando alla stregua di tali disposizioni la sua applicazione non presupponga la condanna e possa aver luogo anche in seguito al proscioglimento. Nel caso di specie, in cui veniva in rilievo il reato di partecipazione a giuoco d’azzardo, la Cassazione ha ritenuto che, essendo detto reato estinto per amnistia, non potesse esser disposta la confisca ex art. 722 c.p., del denaro esposto nel giuoco, presupponendo tale norma la condanna dell’imputato. In motivazione il Supremo Collegio evidenziava che la non applicabilità alla confisca, ai sensi dell’art. 236 c.p., comma 2, della previsione dell’art. 210 c.p., comma 1, che impedisce di disporre e di mantenere misure di sicurezza in caso di estinzione del reato, non implica necessariamente che la confisca debba essere disposta solo con una sentenza di condanna, dovendosi avere riguardo alla disciplina delle singole ipotesi di confisca . In altre parole, se è vero che l’estinzione del reato non impedisce l’applicazione della misura di sicurezza, è pur vero che l’applicazione deve essere resa possibile dalle norme che regolano specificamente la misura, e che se invece questa applicazione non è possibile non lo può diventare solo perché essa in via generale non è esclusa . Pertanto, nei casi di confisca previsti dall’art. 240, comma 1 e comma 2, n. 1, come in quello previsto dall’art. 722 c.p., essendo richiesta la condanna, la confisca non può essere disposta se il reato è estinto, mentre ad una diversa conclusione occorre pervenire per la ipotesi delle cose intrinsecamente pericolose di cui all’art. 240 c.p., comma 2, n. 2, il quale impone la confisca anche nel caso di proscioglimento . Nella prospettiva delle Sezioni Unite Carlea la confisca si presenta come un istituto non riconducibile ad una dimensione unitaria, se non sotto il profilo dell’effetto concreto da essa prodotto, consistente in ogni caso nel trasferimento coattivo di beni economici al patrimonio pubblico, mentre, con riferimento alle condizioni per la sua applicazione ed alle finalità perseguite con tale misura, deve aversi riguardo alla disciplina predisposta per le singole ipotesi di confisca, previste dal Legislatore, in linea con quanto già affermato in passato dalla Corte Costituzionale sentenza 25.5.1961, n. 29 sul nucleo fondamentale della confisca, da individuarsi sempre nella privazione di beni economici , che, tuttavia, può essere disposta per motivi diversi ed indirizzata a varie finalità, sì da assumere natura e funzione di pena o di misura di sicurezza ovvero di misura giuridica civile o amministrativa . Possono pertanto coesistere, in linea di principio, nel sistema penale modelli diversi di confisca, perché diverse, anche in ragione del sorgere di nuove esigenze di politica criminale da soddisfare, possono essere le finalità perseguite dal Legislatore. Ciascuno di tali modelli è dotato di una sua specificità normativa, che spetta all’interprete ricostruire, attraverso una ragionata disamina delle condizioni previste per l’applicazione del provvedimento ablativo e delle finalità perseguite, in rapporto al concreto atteggiarsi degli effetti che esso è destinato a produrre, apparendo in contrasto con il tratto tipizzante con cui la confisca è accolta nell’ordinamento, secondo le indicazioni fornite dalla Corte Costituzionale nel lontano 1961 rimaste, come si vedrà, tuttora invariate , la possibilità di costruire una dommatica dell’istituto, prendendo come modello esclusivo la disciplina prevista per una delle possibili forme che esso assume nella realtà normativa. 1.3. Le conclusioni delle Sezioni Unite Carlea venivano condivise nella successiva sentenza De Maio la n. 38834 del 10.7.2008, rv. 240565 delle Sezioni Unite, che rappresenta un’ulteriore tappa del percorso proposto. Anche in questo caso, infatti, le Sezioni Unite ribadivano il principio di diritto, secondo cui la confisca obbligatoria delle cose costituenti il prezzo del reato, prevista dall’art. 240 c.p., comma 2, n. 1 , non può essere disposta in caso di estinzione del reato, perché, in tale ipotesi, difetta il presupposto richiesto dalla norma in questione la condanna dell’imputato. Rilevano, al riguardo le Sezioni Unite, interpretando il significato dell’avverbio sempre , con cui si apre il disposto del citato art. 240 c.p., comma 2, che, sulla base di una normale e diffusa tecnica legislativa, esso è adoperato per indicare una preclusione alla valutazione discrezionale del giudice nel potere di disporre la confisca, non certo per porre un’eccezione alle condizioni previste per l’esercizio dello stesso potere nelle singole fattispecie anzi, spesso l’avverbio si accompagna e si collega, nella stessa proposizione, proprio al presupposto di una sentenza di condanna Deve, pertanto, ritenersi corretta l’interpretazione secondo la quale la formula normativa è sempre ordinata di cui dell’art. 240 c.p., comma 2, si contrappone a quella può ordinare di cui al comma 1, fermo rimanendo il presupposto nel caso di condanna fissato dallo stesso comma 1 ed esplicitamente derogato solo con riferimento alle cose di cui al n. 2 del comma 2. In altri termini l’avverbio sempre è finalizzato solo a contrapporre la confisca obbligatoria alla confisca facoltativa, ma non la confisca in presenza o in assenza di condanna . Sotto il profilo delle condizioni che giustificano l’applicazione del provvedimento ablativo, nella previsione complessiva dell’art. 240 c.p., convivono, pertanto, due tipi di confisca, le cui differenze non si apprezzano solo lungo l’asse della natura facoltativa art. 240, comma 1 ovvero obbligatoria art. 240, comma 2 dell’apprensione dei beni economici, collegati a vario titolo alla commissione di un reato ed alla nascita di un procedimento penale, ma anche sull’esistenza o meno di una condanna. Quest’ultima rappresenta presupposto imprescindibile per l’applicazione, sia della confisca facoltativa, di cui al comma 1, sia della singola fattispecie di confisca obbligatoria, prevista del comma 2, n. 1, con riferimento al prezzo del reato nonché della nuova fattispecie di confisca obbligatoria collegata alla consumazione di determinati reati, di cui al n. 1 bis, inserito dalla L. 15 febbraio 2012, n. 12, art. 1, comma 1, lett. a, ulteriormente integrato dal D.Lgs. 29 ottobre 2016, n. 202, art. 2, comma 1, lett. a , ma non anche della confisca di cui al n. 2 del comma 2, avente ad oggetto le cose, la fabbricazione, l’uso, il porto, la detenzione o l’alienazione delle quali costituisce reato , che possono essere confiscate anche se non è stata pronunciata condanna. Al tempo stesso le Sezioni Unite De Maio avvertivano l’esigenza di approfondire un aspetto relativo alla natura dei poteri di accertamento del giudice chiamato a pronunciarsi sulla confisca, che le Sezioni Unite Carlea avevano affrontato incidentalmente, rilevando che per disporre la confisca nel caso di estinzione del reato il giudice dovrebbe svolgere degli accertamenti che lo porterebbero a superare i limiti della cognizione connaturata alla particolare situazione processuale . La pronuncia in esame sottolinea come, a differenza di quanto postulato nella sentenza Carlea , lo stesso codice di rito preveda ampi poteri di accertamento del fatto in capo al giudice che rilevi la sussistenza di una causa estintiva del reato, come è testimoniato dall’art. 578, in tema di interessi civili, o dall’art. 425, comma 4, circa la possibilità di disporre la confisca in sede di sentenza di non luogo a procedere. Non dimenticando i casi di confisca senza condanna previsti dalle leggi speciali, per come interpretate dalla giurisprudenza di legittimità esempio paradigmatico quello previsto dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 2, in tema di lottizzazione abusiva . D’altro canto, come sottolineato dalla stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 85 del 2008 pronuncia con la quale venne dichiarata la illegittimità costituzionale dei limiti introdotti dalla L. n. 46 del 2006, all’appellabilità delle sentenze di proscioglimento da parte dell’imputato , la categoria delle sentenze di proscioglimento comprende, accanto a quelle ampiamente liberatorie con formule in fatto, anche sentenze che, pur non applicando la pena, comportano - in diverse forme e gradazioni - un sostanziale riconoscimento della responsabilità dell’imputato o, comunque, l’attribuzione del fatto all’imputato stesso e ciò in particolare vale per le dichiarazioni di estinzione del reato per prescrizione . Ferma la irriducibilità della confisca ad una figura astratta e generica, dovendosi avere riguardo alla confisca così come risulta da una determinata legge e tenuto conto della recente introduzione nel tessuto ordinamentale, con sempre maggiore frequenza, in una prospettiva di superamento dei ristretti confini tracciati dalla norma generale di cui all’art. 240 c.p. , di ipotesi di confisca obbligatoria dei beni strumentali alla consumazione del reato e del profitto del reato , rispondenti ad un’esigenza di politica criminale particolarmente avvertita, in quanto finalizzata a privare l’autore del reato dei vantaggi economici che da esso derivano, è possibile affermare, ad avviso delle Sezioni Unite De Maio , che, in caso di estinzione del reato il riconoscimento al giudice di poteri di accertamento al fine dell’applicazione della confisca medesima non possono dirsi necessariamente legati alla facilità dell’accertamento medesimo e che quindi tale accertamento possa riguardare non solo le cose oggettivamente criminose per loro intrinseca natura art. 240 c.p., comma 2, n. 2 , ma anche quelle che sono considerate tali dal legislatore per il loro collegamento con uno specifico fatto reato . Tali riflessioni, tuttavia, concludono le Sezioni Unite, - non consentono di modificare l’interpretazione che ha portato alla formulazione dell’indicato principio di diritto, ma si pongono quale motivo di riflessione per il legislatore . 1.4. Va, infine, esaminata, in tutta la sua complessità, la decisione delle Sezioni Unite Lucci n. 31617 del 26.6.2015, rv. 264434 , nella quale, come si è detto, viene affermato il principio di diritto, secondo cui il giudice, nel dichiarare la estinzione del reato per intervenuta prescrizione, può disporre, a norma dell’art. 240 c.p., comma 2, n. 1, la confisca del prezzo e, ai sensi dell’art. 322 ter c.p., la confisca diretta del prezzo o del profitto del reato a condizione che vi sia stata una precedente pronuncia di condanna e che l’accertamento relativo alla sussistenza del reato, alla penale responsabilità dell’imputato e alla qualificazione del bene da confiscare come prezzo o profitto rimanga inalterato nel merito nei successivi gradi di giudizio. A tale conclusione la sentenza Lucci giunge sul presupposto della natura non sanzionatoria delle citate ipotesi di confisca previste dall’art. 240 c.p., comma 2, n. 1 e dall’art. 322 ter c.p. e della finalità specialpreventiva attribuita a tali ipotesi di confisca, che rappresentano il punto di arrivo di un articolato percorso motivazionale. Ed invero, dopo essersi soffermate sulla evoluzione della giurisprudenza di legittimità in subiecta materia, le Sezioni Unite operano un raffronto tra i principi affermati nella giurisprudenza CEDU in particolare nella decisione Varvara contro Italia del 2013 in tema di confisca urbanistica, prevista dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 2 La sentenza definitiva del giudice penale che accerta che vi è stata lottizzazione abusiva, dispone la confisca del terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite , ritenuta in tale arresto sostanzialmente una pena illegittimamente applicata attraverso una sentenza di proscioglimento dal reato urbanistico per intervenuta prescrizione per violazione del principio di legalità previsto dall’art. 7 della Convenzione e dall’art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 alla Convenzione , e quelli affermati dalla Corte Costituzionale nella sentenza definita dalle stesse Sezioni Unite di replica alla giurisprudenza della CEDU n. 49 del 2015, relativa alla questione di legittimità costituzionale del menzionato del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 2, sollevata, in riferimento agli artt. 2, 9, 32, 41, 42 e 117 Cost., nella parte in cui, in forza proprio della interpretazione della CEDU, tale disposizione non può applicarsi nel caso di dichiarazione di prescrizione del reato anche qualora la responsabilità penale sia stata accertata in tutti i suoi elementi . Nel dichiarare tale questione inammissibile, la Corte Costituzionale - evidenzia il Supremo Collegio - ha ribadito l’importante principio, in conformità a precedenti decisioni riguardanti la confisca urbanistica, costituente diritto vivente , secondo cui, nel nostro ordinamento, l’accertamento della responsabilità penale ben può essere contenuto in una sentenza di proscioglimento per prescrizione del reato, la quale, pur non avendo condannato l’imputato, abbia comunque adeguatamente motivato in ordine alla responsabilità personale di chi è soggetto alla misura ablativa, sia esso l’autore del fatto, ovvero il terzo in mala fede. Non risulterebbe, dunque, di per sé escluso che il proscioglimento per prescrizione possa accompagnarsi alla più ampia motivazione sulla responsabilità, ai soli fini della confisca del bene lottizzato . Più in generale, ha però poi rilevato la Corte Costituzionale, la questione da risolvere, alla luce di una interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente conforme , consiste nello stabilire se il giudice Europeo allorché si esprime in termini di condanna , abbia a mente la forma del pronunciamento del giudice, ovvero la sostanza che necessariamente si accompagna a tale pronuncia, laddove essa infligga una sanzione criminale ai sensi dell’art. 7 della CEDU, vale a dire l’accertamento della responsabilità . E che sia proprio l’accertamento della responsabilità a premere al giudice Europeo lo si ricaverebbe univocamente, secondo la Corte, dal tenore della stessa sentenza Varvara che evoca la pena come conseguenza dell’accertamento della responsabilità. Il corollario che a questo punto traggono da tali enunciati le Sezioni Unite Lucci è il seguente se la prescrizione non è concettualmente incompatibile con un accertamento di responsabilità idoneo a legittimare l’applicazione di una misura ablatoria che, al lume della giurisprudenza Europea, deve essere qualificata come pena, e se, ancora, la inapplicabilità della misura renderebbe il sistema scoperto sul versante della tutela di diritti anch’essi di rango costituzionale sul punto la sentenza n. 49 del 2015 è stata esplicita , l’opzione interpretativa del giudice comune deve orientarsi per quella soluzione che, nel rispettare i principi convenzionali - per come interpretati dalla Corte di Strasburgo - si collochi in una linea che risulti integralmente satisfattiva anche e soprattutto dei valori costituzionali che risultassero, altrimenti, compromessi. E se tutto ciò è vero in presenza di una misura che venga qualificata come pena , alla luce dei criteri elaborati dalla Corte di Strasburgo come è avvenuto per la confisca urbanistica nei casi Sud Fondi e Varvara contro Italia , a fortiori simili approdi non potranno non essere valorizzati nella ipotesi in cui la misura in questione non attinga siffatte connotazioni sanzionatorie. Assumerà, dunque, portata dirimente verificare se, alla stregua dei parametri tracciati dalla giurisprudenza di Strasburgo, la confisca del prezzo del reato sia o meno da qualificare come sanzione penale. Parametri, alla luce dei quali la natura penale di una violazione di legge, come chiarito in numerose sentenze della CEDU, non dipende solo dalla qualificazione formale che ne fornisce l’ordinamento interno, ma anche, nel caso in cui tale qualificazione manchi, da una serie di indicatori di tipo sostanziale , quali l’estensione generale dell’ambito applicativo della violazione stessa, gli scopi, di tipo punitivo e deterrente, e non meramente riparatorio o preventivo, per i quali la sanzione è prevista, la natura e la gravità delle conseguenze derivanti dalla specifica violazione contestata. Su queste premesse le Sezioni Unite Lucci giungono alla conclusione che la confisca del prezzo del reato non presenti connotazioni di tipo punitivo, dal momento che il patrimonio dell’imputato non viene intaccato in misura eccedente il pretium sceleris, direttamente desunto dal fatto illecito, e rispetto al quale l’interessato non avrebbe neppure titolo civilistico alla ripetizione, essendo frutto di un negozio contrario a norme imperative. Al provvedimento di ablazione fa dunque difetto una finalità tipicamente repressiva, dal momento che l’acquisizione all’erario finisce per riguardare una res che l’ordinamento ritiene - secondo un apprezzamento legalmente tipizzato - non possa essere trattenuta dal suo avente causa, in quanto, per un verso, rappresentando la retribuzione per l’illecito, non è mai legalmente entrata a far parte del patrimonio del reo mentre, sotto altro e corrispondente profilo, proprio per la specifica illiceità della causa negoziale da cui essa origina, assume i connotati della pericolosità intrinseca, non diversa dalle cose di cui è in ogni caso imposta la confisca, a norma dell’art. 240 c.p., comma 2, n. 2. Dovendosi, dunque, escludere che la confisca del prezzo del reato si atteggi alla stregua di una pena, ne esce rafforzata l’idea che la stessa non presupponga un giudicato formale di condanna, quale unica fonte idonea a fungere da titolo esecutivo , dal momento che, ciò che risulta convenzionalmente imposto , alla luce delle richiamate pronunce della Corte EDU, e costituzionalmente compatibile , in ragione delle linee-guida tracciate dalla Corte costituzionale, in particolare nella già esaminata sentenza n. 49 del 2015, è che la responsabilità sia stata accertata con una sentenza di condanna anche se il processo è stato poi definito con una declaratoria di estinzione del reato per prescrizione. L’accertamento della responsabilità deve dunque confluire in una pronuncia che, non solo sostanzialmente, ma anche formalmente, la dichiari, con la conseguenza che l’esistenza del reato, la circostanza che l’autore dello stesso abbia percepito una somma e che questa abbia rappresentato il prezzo del reato stesso, devono aver formato oggetto di una condanna, i cui termini essenziali non abbiano, nel corso del giudizio, subito mutazioni quanto alla sussistenza di un accertamento al di là di ogni ragionevole dubbio . L’intervento della prescrizione, dunque, per poter consentire il mantenimento della confisca, deve rivelarsi quale formula terminativa del giudizio anodina in punto di responsabilità, finendo in tal modo per confermare la preesistente e necessaria pronuncia di condanna, secondo una prospettiva, a ben guardare, non dissimile da quella tracciata dall’art. 578 codice di rito in tema di decisione sugli effetti civili nel caso di sopravvenuta declaratoria di estinzione del reato per prescrizione. Il testo dell’art. 240 c.p., d’altra parte, osservano le Sezioni Unite, non preclude, ai fini della confisca del prezzo del reato, una evocazione del concetto di condanna in senso sostanziale secondo quanto postulato dalla Corte EDU , ove ad essa consegua la declaratoria di prescrizione, dal momento che è proprio la natura di tale causa estintiva a postulare la non dissoluzione degli accertamenti sin allora compiuti e sulla cui base la sentenza di condanna è stata pronunciata. La logica che coinvolge e giustifica la obbligatoria confisca del prezzo del reato in base alla generale previsione dettata dall’art. 240 c.p., comma 2, non risulta diversa da quella che ha indotto il legislatore ad introdurre previsioni speciali di confisca obbligatoria anche del profitto del reato, sul rilievo che la evocabilità del prezzo, inteso come retribuzione promessa o corrisposta per la commissione del reato, rappresentasse una evenienza riconducibile soltanto ad alcune fattispecie, ma non pertinente - secondo l’id quod plerumque accidit - rispetto ad altre, ove, appunto, viene più frequentemente in discorso il profilo del lucro desunto dal reato, inteso come vantaggio economico ottenuto in via diretta ed immediata dalla commissione del reato, e quindi legato da un rapporto di pertinenzialità diretta con l’illecito penale. Da qui, l’attrazione, accanto al prezzo, anche del profitto del reato, all’interno di un nucleo per così dire unitario di finalità ripristinatoria dello status quo ante, secondo la medesima prospettiva volta a sterilizzare, in funzione essenzialmente preventiva, tutte le utilità che il reato, a prescindere dalle relative forme e dal relativo titolo, può aver prodotto in capo al suo autore, e con specifico riferimento a figure di reato per le quali il legislatore ha ritenuto necessario optare per una simile scelta. 2. Vanno ora indicate le ragioni che inducono il Collegio a non condividere la decisione del giudice del rinvio, che appare in conflitto con i principi enucleabili dalle precedenti decisioni delle Sezioni Unite e da recenti interventi legislativi, che orientano il sistema ammesso che di sistema si possa parlare in una materia così proteiforme verso soluzioni diverse. In particolare, dall’articolato apparato motivazionale delle Sezioni Unite Carlea e De Maio appaiono ricavabili una serie di punti fermi 1 il valore di norma generale, che assume nell’ordinamento l’art. 240 c.p. 2 l’impossibilità di procedere all’applicazione o al mantenimento della confisca qualora difetti il presupposto normativamente previsto della condanna dell’imputato, ad eccezione dei casi contemplati dall’art. 240 c.p., comma 2, n. 2 3 l’inesistenza in via di principio, in caso di estinzione del reato, di una preclusione, per il giudice che la dichiari, all’esercizio di poteri di accertamento volti a verificare, nella prospettiva della confisca, da un lato, se i beni economici oggetto del provvedimento ablativo debbano qualificarsi come cose oggettivamente criminose per loro intrinseca natura ovvero solo per il loro collegamento con uno specifico fatto reato , come nel caso dei beni che costituiscono il prezzo, il profitto o il prodotto del reato, dall’altro, la sussistenza, come si è detto, di un sostanziale riconoscimento della responsabilità dell’imputato o, comunque, della attribuzione del fatto all’imputato stesso , pur sempre funzionale all’applicazione del provvedimento ablativo. In altri termini lo spettro dei poteri di cognizione attribuiti al giudice in sede di dichiarazione di estinzione del reato è tale da consentirgli di accertare la natura dei beni economici oggetto del provvedimento ablativo e l’accertamento della responsabilità dell’imputato, sicché non può fondarsi solo su questo aspetto un’eventuale preclusione, da parte del giudice che dichiari l’estinzione del reato per prescrizione in appello, a confermare la confisca, obbligatoria o facoltativa che sia, già disposta nella precedente fase processuale. Ciò non significa, tuttavia, porre nel nulla le condizioni normativamente previste per l’applicazione delle singole ipotesi di confisca, restando sempre fermo, in ossequio al principio di legalità, operante anche per le misura di sicurezza art. 25 Cost., u.c. il potere esclusivo del Legislatore nel selezionare le singole fattispecie in cui alla confisca si possa procedere anche in mancanza di una pronuncia di condanna definitiva , fattispecie, che, proprio per il valore costituzionale attribuito al principio di legalità, non possono essere create per via interpretativa. Solo in questa prospettiva ha senso la sollecitazione rivolta dalle Sezioni Unite De Maio al Legislatore, al quale demanda il compito di prevedere i singoli casi in cui la confisca è applicabile pur in mancanza di una sentenza di condanna, per raggiungere l’obiettivo di politica criminale, indicato da autorevole e risalente dottrina penalistica, secondo cui è antigiuridico e immorale che il corrotto, non punibile per qualsiasi causa, possa godersi il denaro ch’egli ebbe per commettere il fatto obiettivamente delittuoso . Il principio di diritto che emerge dalle richiamate decisioni delle Sezioni Unite Carlea e De Maio, può, dunque, essere sintetizzato nei seguenti termini la dichiarazione di estinzione del reato non consente di disporre la confisca diretta in tutti i casi in cui l’adozione del provvedimento ablativo è condizionata, da una norma di legge, alla pronuncia di un giudicato formale di condanna, ad eccezione dei casi in cui il Legislatore preveda che alla confisca dei beni economici dell’autore di un fatto costituente reato, la cui responsabilità formi comunque oggetto di un esaustivo accertamento giudiziale, si debba in caso di confisca obbligatoria o si possa in caso di confisca facoltativa procedere in assenza di una sentenza di condanna definitiva . Si tratta di un principio che consente di rinvenire un filo comune, al quale ricondurre assicurando un soddisfacente grado di certezza giuridica e di coerenza interna ad una materia refrattaria, per scelta legislativa, ad una sistemazione unitaria le misure ablative di natura diversa, costitutive dell’attuale sistema complesso della confisca , in cui, oltrepassando il rigido schema delle misure di sicurezza , confluiscono istituti dai tratti distintivi di una vera e propria sanzione come la confisca per valore equivalente ovvero ambiguamente sospesi tra funzione specialpreventiva e vero e proprio intento punitivo , come la confisca speciale prevista dalla L. n. 356 del 1992, art. 12 sexies cfr. Cass., Sez. U. n. 26654 del 27.3.2008, Fisia Impianti s.p.a. . Sistema, che, per tale ragione, mal si presta ad una definitiva ricostruzione dommatica. Prove ne è che le Sezioni Unite Lucci, pur non volendosi distaccare da una interpretazione dell’art. 240, c.p., fedele al testo di legge, hanno operato uno scostamento dai principi affermati nelle sentenze Carlea e De Maio, aprendo ad una lettura del presupposto della condanna - ove previsto dalla norma - in senso non più soltanto formale, ma sostanziale. Da intendersi, come si è visto, in termini di potere di accertamento, rivendicato in capo al giudice anche a prescindere da una formale attribuzione da parte del legislatore nella materia de qua, e compatibile col sistema processuale e sostanziale vigente. Un accertamento condotto in concreto dal giudice del merito che, a tal fine, attiva dapprima i poteri che gli hanno consentito di giungere ad una affermazione piena di responsabilità con la sentenza di condanna di primo grado e poi, quegli stessi accertamenti consolida in occasione della pronuncia di proscioglimento per prescrizione. Nel far ciò, la sentenza Lucci ha propugnato una lettura tendenzialmente unificante della misura di sicurezza patrimoniale obbligatoria - sia del profitto negli speciali casi previsti dal legislatore, che del prezzo del reato - in ragione della comune finalità, traendo spunti dalla giurisprudenza della CEDU e della Corte costituzionale per sostenere, quale principio elevabile a minimo comun denominatore, quello secondo cui il presupposto della confisca rappresentato dalla necessità di una condanna, è fungibile con quello rappresentato dall’accertamento di responsabilità, anche in presenza di un proscioglimento per prescrizione. Tuttavia, proprio nella ricerca del precedente capace di offrire copertura con un principio di carattere generale, la sentenza Lucci ha operato essa stessa una estensione , non a caso commentata problematicamente da taluni autori pur trattando essenzialmente il tema della confisca del prezzo del reato, individuandone i connotati nella obbligatorietà e nel presupposto della condanna, le Sezioni Unite hanno utilizzato direttamente e applicato principi interpretativi che la giurisprudenza CEDU con la sentenza Varvara contro Italia ma soprattutto la Corte costituzionale sentenza n. 49 del 2015 avevano plasmato in punto di interpretazione del presupposto della condanna come requisito di accertamento sostanziale di responsabilità con riferimento alla ipotesi della confisca, per lottizzazione abusiva di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, citato art. 44, comma 2. Un’ipotesi di confisca diversa, non tanto perché qualificata dalla Corte Europea come dotata di natura sanzionatoria, ma soprattutto perché declinata espressamente dal Legislatore con riferimento al presupposto non già della condanna ma dell’ accertamento della responsabilità, dunque sganciato testualmente dal dato formale della formula conclusiva del processo e così correttamente ritenuto senza frizioni col principio di legalità. In definitiva la peculiarità della sentenza delle Sezioni Unite Lucci, per quanto qui di interesse, sta nell’avere esteso i principi interpretativi sostanzialistici accreditati in sede convenzionale e costituzionale per sostenere la confisca-sanzione di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 2, anche in caso di prescrizione, alla confisca-misura di sicurezza avente ad oggetto il prezzo del reato ovvero il profitto, nel caso previsto dall’art. 322 ter c.p Ciò, in virtù di una sorta di rapporto di continenza, dove ciò che vale per il caso più grave confisca-sanzione penale , non può non valere per il caso meno grave confisca-misura di sicurezza , tenuto conto del fondamentale punto di contatto fra le due fattispecie, rappresentato dall’apprezzamento preventivo della pericolosità del bene ablato, tradotta nella obbligatorietà di entrambe le misure sia pure col non secondario correttivo che la prescrizione dovesse seguire ad un accertamento pieno di primo grado. Ma se questa riflessione è corretta, vi è da domandarsi se, con riferimento al caso che ci occupa e cioè alla confisca facoltativa diretta del profitto del reato, possa ravvisarsi fondamento giuridico nel procedere ad una ulteriore applicazione estensiva - quella sostenuta dal giudice a quo - di una precedente interpretazione che era già essa stessa estensiva, essendo, le materie disciplinate, niente affatto omogenee, se non altro per essere l’una confisca facoltativa e l’altra obbligatoria. Tale ulteriore estensione, ad avviso del Collegio, non può consentirsi. Va ribadito, al riguardo, quanto si è già osservato sulla base di reiterati interventi della giurisprudenza di legittimità, a partire dalle Sezioni Unite Carlea, vale a dire che la confisca si presenta come un istituto non riconducibile ad una dimensione unitaria, se non sotto il profilo dell’effetto concreto da essa prodotto. Mentre, con riferimento alle condizioni per la sua applicazione ed alle finalità perseguite con tale misura, si ribadisce che deve aversi riguardo alla disciplina predisposta dal Legislatore per le singole ipotesi di confisca, che possono essere disposte per motivi diversi e coesistere in modelli diversi, dunque indirizzate a varie finalità, sì da assumere natura e funzione di pena o di misura di sicurezza ovvero di misura giuridica civile o amministrativa, non potendosi individuare un principio generale unificante delle singole ipotesi di confisca, se non in quello della necessaria previsione legislativa. Conseguentemente, l’apertura delle Sezioni Unite Lucci alla interpretazione non formalistica del presupposto della condanna relativamente alla confisca obbligatoria del prezzo del reato e del prezzo o profitto di determinate ipotesi di reato elencate nell’art. 322-ter c.p., nel momento in cui, con un’operazione ermeneutica fondata su di una sorta di automatismo interpretativo, viene trasformata in principio generale del sistema della confisca, in quanto tale applicabile anche alla confisca facoltativa del profitto del reato disciplinata dall’art. 240 c.p., comma 1, incontra un insuperabile ostacolo nel principio di legalità. Tale principio, infatti, trova applicazione anche nei confronti della confisca, quale misura di sicurezza prevista dall’art. 240 c.p., come espressamente statuito dal disposto dell’art. 25 Cost., comma 3 Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge . Ed invero, come è stato osservato, pur non potendosi equiparare ad una pena, la confisca comporta una grave limitazione di diritti fondamentali dell’individuo, come il diritto di proprietà e di iniziativa economica. Per cui, come riconosciuto dalla stessa Corte Costituzionale nella sentenza n. 24 del 2019, l’applicazione di tale misura di sicurezza non può non tenere conto del compendio di garanzie che la Costituzione artt. 41 e 42 e le Carte internazionali dei diritti umani art. 1 Prot. add. Cedu accordano ai suddetti diritti, tra le quali va annoverata la garanzia della legalità, ossia l’esistenza di una previsione di legge, che consenta al destinatario della misura limitativa del diritto di prevederne la futura possibile applicazione. In altri termini, precludendo il principio di legalità in campo penale interpretazioni estensive o analogiche delle norme interne in danno dell’imputato, non può che interpretarsi tassativamente il concetto di condanna quale presupposto del provvedimento ablativo, nel caso di confisca facoltativa del profitto del reato cfr., in particolare, per un’affermazione del principio in tal senso, Cass., Sez., 1, n. 7860 del 20/01/2015, rv. 262759 Cass., Sez. 6, n. 23219 del 2019, n. m. . Come sopra anticipato, non appare secondaria la circostanza, che, a differenza dell’art. 44 citato, che pone all’interprete, quale presupposto della confisca obbligatoria, il solo requisito dell’ accertamento soggettivo e oggettivo in tema di lottizzazione edilizia, l’art. 240 c.p., comma 1, per la confisca facoltativa del profitto richieda invece testualmente versarsi nel caso di condanna e cioè in presenza di una specifica conclusione processuale che connota di sé la fattispecie come riconoscibile dal destinatario del precetto. A ciò va aggiunto che la motivazione che il giudice deve rendere in tema di confisca facoltativa del profitto - come anche del prodotto o della cosa che servì o fu destinata a commettere il reato - si basa su una valutazione prognostica riguardo alla idoneità incentivante al delitto che possa riconoscersi nel mantenimento del possesso di tali beni, i quali non sono caratterizzati da intrinseca pericolosità già ritenuta dal legislatore a differenza che nei casi di cui all’art. 240 c.p., comma 2, dove, in particolare, il prezzo del reato attiene direttamente ai motivi di commissione di esso una valutazione, dunque, in cui il bilanciamento tra il diritto di proprietà e la finalità socialpreventiva della confisca, non risolto preventivamente ex lege, si connota di una valenza anche punitiva da connettersi solo alla condanna definitiva. D’altra parte, la garanzia che la confisca avvenga sulla base di un accertamento della responsabilità dell’imputato in ordine al reato e della relazione di pertinenzialità del profitto - accertamento che sia rimasto immutato nei successivi gradi del giudizio -una volta che sia stato collegato dal Legislatore alla condanna , non può, sempre in virtù del principio di legalità e di prevedibilità, essere sostituito dall’accertamento raggiunto in primo grado e posto in discussione dai motivi di appello, in ipotesi anche vertente su profili di natura istruttoria. Motivi che la ormai maturata prescrizione sacrifica, lasciando al giudice il solo potere di motivazione approfondita in relazione alla misura di sicurezza. Una significativa conferma della tesi sostenuta in questa sede, si è materializzata, peraltro, in due recenti interventi normativi, che hanno prima inserito nel codice di rito D.Lgs. 1 marzo 2018, n. 21, art. 6, comma 4 e poi novellato L. 9 gennaio 2019, n. 3, art. 1, comma 4, lett. f , l’art. 578 bis. In tale disposizione, infatti, si è espressamente previsto, sulla falsariga di quanto statuito dall’art. 578 c.p.p., a proposito degli effetti civili, l’obbligo per il giudice di appello e per la corte di cassazione, che dichiarino il reato estinto per prescrizione o per amnistia di decidere sull’impugnazione, ai soli effetti della confisca, previo accertamento della responsabilità dell’imputato. Non, tuttavia, in ogni ipotesi di confisca, ma solo con riferimento alle ipotesi di confisca obbligatoria previste dell’art. 240 bis c.p., comma 1 che recepisce, in attuazione della delega per la riserva di codice, il modello di confisca obbligatoria allargata , previsto dal D.L. n. 306 del 1992, art. 12 sexies, comma 4 septies, conv. nella L. n. 356 del 1992 e da altre disposizioni di legge espressione riferita alle fonti legislative diverse dal codice penale Cass., Sez. U., n. 13539 del 30.1.2020, rv. 278870 Cass., Sez. U., n. 6141 del 25/10/2018, rv. 274627 , nonché alla particolare fattispecie di confisca obbligatoria contemplata dall’art. 322 ter c.p Esulano, invece, dalla disposizione di nuovo conio dell’art. 578 bis c.p.p., le ipotesi di confisca previste dall’art. 240 c.p.p Una scelta, quella del legislatore, che ha evidentemente inteso recepire e quindi consolidare gli approdi raggiunti fino a quel momento dalla giurisprudenza, tuttavia mostrando, con la tecnica redazionale della norma, improntata al criterio della specialità, di volere evitare di formalizzare un principio generale, estensibile anche ad ipotesi sostanzialmente diverse da quelle espressamente prese in considerazione. Tra le quali, come chiarito da un recente arresto delle Sezioni Unite, in considerazione della ampia latitudine dell’espressione altre disposizioni di legge , va ricompresa anche la prescrizione dichiarata dal giudice della impugnazione relativamente al reato di lottizzazione abusiva a prescindere, dunque, dal ricorso ad una interpretazione convenzionalmente conforme del precetto, secondo la strada indicata nella sentenza CEDU del 28 giugno 2018, GIEM ed altri contro Italia , trovando in tal modo razionale compimento il percorso argomentativo costruito dalla sentenza Lucci, proprio partendo, come si è visto, dalla elaborazione giurisprudenziale della Corte EDU e della Corte Costituzionale, in ordine alla confisca per lottizzazione abusiva, di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, citato art. 44, comma 2. Sotto altro profilo, la necessità avvertita dal Legislatore di prevedere espressamente, in relazione alle ipotesi di confisca richiamate nel citato art. 578 bis c.p.p., un epilogo decisorio del giudizio di impugnazione, che, pur in presenza di una pronuncia di proscioglimento per estinzione del reato, possa condurre all’applicazione ovvero alla conferma della confisca, previo accertamento della responsabilità dell’imputato, evidenzia l’insufficienza della sentenza di condanna pronunciata in primo grado a costituire soddisfacente titolo di tale accertamento e, di conseguenza, a fondare il provvedimento ablativo. Confermando, per converso, il diverso contenuto della regola generale, declinabile nel senso che, nel caso di estinzione del reato per prescrizione, non è possibile, per il giudice dell’impugnazione che dichiari l’estinzione del reato, applicare o confermare la confisca facoltativa del profitto del reato, in quanto solo nelle ipotesi tassativamente previste dalla legge il contenuto della sentenza di proscioglimento per estinzione del reato, con cui si definisce il giudizio, proprio in ragione del suo contenuto normativamente vincolato all’accertamento della responsabilità dell’imputato, può tenere il luogo della sentenza di condanna divenuta definitiva, ai fini della decisione sulla confisca. Il che conduce ad affermare, sotto il profilo logico, prima ancora che giuridico, che, nel caso di confisca facoltativa del profitto del reato, ai fini della decisione sulla confisca, la pronuncia con cui il giudice dell’impugnazione dichiara l’estinzione del reato non può essere equiparata, per quel che riguarda l’accertamento della responsabilità dell’imputato, ad una pronuncia di condanna definitiva, perché, essendo la prima ontologicamente diversa dalla sentenza di condanna definitiva, può avere una tale efficacia solo nei casi tassativamente previsti dalla legge. Assunto, quest’ultimo, su cui sembrano essersi assestate le stesse Sezioni Unite, nella recente sentenza Massaria. Quest’ultimo arresto, infatti, nel risolvere positivamente il quesito relativo all’ammissibilità dell’impugnazione proposta dalla parte civile, ai sensi dell’art. 576 c.p.p., nei confronti della sentenza di primo grado che abbia dichiarato l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione, così come nei confronti della sentenza di appello che tale decisione abbia confermato, ove con la stessa si contesti l’erroneità di detta dichiarazione, ha implicitamente rigettato una nozione della sentenza di estinzione del reato per prescrizione, in termini di sostanziale condanna, riconducendola al genere delle sentenze di proscioglimento, ben distinte, nella previsione del codice di rito, dalla sentenza di condanna. Con ciò escludendo che la sentenza di proscioglimento per estinzione del reato per prescrizione, ad eccezione di casi contemplati dall’art. 578 bis c.p.p., possa contenere un accertamento sostanziale della responsabilità dell’imputato, in relazione ad un fatto reato, con conseguente legittimazione della parte civile ad impugnare la relativa decisione, per ottenere l’adozione di quell’accertamento di responsabilità, non rivestito delle forme della condanna , perché funzionale al solo accoglimento della domanda di restituzione o di risarcimento del danno, e la conseguente decisione sulla pretesa civilistica non pronunciate dal giudice per effetto della erronea ritenuta estinzione del reato cfr. S.U. n. 28911 del 28.3.2019, rv. 275953 . Nè va taciuto che la necessità di ancorare la confisca ad una sentenza di condanna irrevocabile è stata da tempo recepita a livello Europeo dalla Direttiva 2014/42 UE relativa al congelamento e alla confisca dei beni strumentali e dei proventi del reato, cui è stata data attuazione con il D.Lgs. 29 ottobre 2016, n. 202 , il cui art. 4, recita testualmente gli Stati membri adottano le misure necessarie per potere procedere alla confisca, totale o parziale, di beni strumentali e proventi da reato, o di beni di valore corrispondente a detti beni strumentali o proventi, in base a una condanna penale definitiva . Non si tratta di una circostanza di poco momento, in considerazione del criterio dell’interpretazione conforme affermato in diverse occasioni dalla Corte di Giustizia della Comunità Europea, secondo il quale il giudice nazionale deve interpretare la normativa nazionale quanto più possibile alla luce della lettera e dello scopo della direttiva cfr., ex plurimis, CGCE 26.9.2000, C-443/98, Unilever, Racc., 1-7535 cfr. CGCE 19.9.2000, C287/98, Linster, Racc., 1-6917 . 3. In conclusione, l’aspetto sul quale questo Collegio ritiene di dover marcare il proprio dissenso è quello di una interpretazione generalizzante della decisione delle Sezioni Unite Lucci , che, viceversa, hanno elaborato le loro tesi attorno ad una peculiare tipologia di confisca, fortemente connotata dalla funzione specialpreventiva di sterilizzare tutte le utilità prodotte dal reato in capo al suo autore. Una funzione, infatti, che, nell’interpretazione proposta dalle Sezioni Unite e nel bilanciamento con diritti fondamentali dell’individuo, come il diritto di proprietà e di iniziativa economica, è stata ritenuta prevalente con riferimento alla speciale tipologia di provvedimento ablativo obbligatorio considerato, ma che, proprio per tale peculiarità non può divenire criterio univoco di interpretazione in malam partem, anche laddove quel bilanciamento sia operabile partendo da presupposti diversi. E che la funzione socialpreventiva comune alla confisca facoltativa del profitto e a quella obbligatoria del prezzo del reato non possa valere ad esaurire il tema del rapporto fra le due misure, rendendole sovrapponibili quanto a disciplina applicativa, è dimostrato anche dal fatto che solo la seconda viene ritenuta, dal legislatore, compatibile col decreto penale di condanna art. 460 c.p.p., comma 2 . La decisione della corte di assise di appello di Milano, invece, fonda sull’applicazione dei principi della sentenza Lucci una nuova dommatica dell’istituto, in cui la confisca obbligatoria del prezzo o del profitto del reato si pone indebitamente, sulla base di un criterio quantitativo incentrato sulla crescente diffusione all’interno dell’ordinamento di fattispecie di tale natura, come il modello tipico di confisca, alle cui caratteristiche andrebbe adeguata l’interpretazione del contenuto precettivo dell’intero art. 240 c.p., operando, pertanto, una inammissibile riscrittura della norma. 13. Sulla base delle svolte considerazioni la sentenza impugnata va annullata senza rinvio in uno con la confisca facoltativa del profitto del reato ex art. 416 c.p., perché la confisca disposta dal giudice di primo grado, è stata mantenuta in vita dal giudice dell’impugnazione, pur in difetto del presupposto legittimante, previsto dall’art. 240 c.p., comma 1 sentenza di condanna definitiva , con conseguente restituzione all’avente diritto dei beni che ne formano oggetto, fatta salva l’eventuale vigenza sui beni medesimi di diverso titolo cautelare reale. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e la disposta confisca, ordinando restituzione all’avente diritto di quanto confiscato, fatta salva l’eventuale vigenza di diverso titolo cautelare reale.