Pensione sociale d’invalidità per l’ex marito: non basta per giustificare il mancato assegno all’ex moglie

Confermata la condanna per violazione degli obblighi di assistenza familiare. Inequivocabile la condotta tenuta dall’uomo e consistita nel non versare per oltre un anno alla moglie l’assegno stabilito in sede di separazione. Respinta la tesi difensiva centrata su una presunta indigenza.

Il diritto alla pensione sociale di invalidità non è elemento sufficiente per ritenere il titolare indigente e non in grado, quindi, di sopportare l’onere rappresentato dal versamento alla moglie dell’assegno stabilito in sede di separazione. Cassazione, sentenza n. 36504/20, sez. VI Penale, depositata oggi . Per i giudici di merito non vi sono dubbi sulla colpevolezza dell’uomo sotto processo. Consequenziale, quindi, la sua condanna per violazione degli obblighi di assistenza familiare , con pena fissata in tre mesi di reclusione . Inequivocabile, difatti, secondo i giudici, il comportamento da lui tenuto, contrario alla morale familiare e consistito nell’ omettere di versare alla moglie per oltre un anno l’assegno mensile di 750 euro stabilito in sede di separazione . A corredo viene anche stabilito l’obbligo dell’uomo di versare un risarcimento dei danni in favore della moglie. Il legale contesta la decisione dei giudici d’appello, sostenendo l’ incapacità economica del proprio cliente di far fronte ai versamenti dell’assegno mensile di mantenimento . Per dare forza a questa tesi viene richiamata la pensione sociale d’invalidità ottenuta dall’uomo, pensione che, osserva l’ avvocato , presuppone l’assenza di altri redditi . In aggiunta, poi, viene posta in evidenza la sopravvenuta revoca dell’assegno di mantenimento disposta in sede civile come elemento di riscontro dello stato di indigenza dell’uomo. Dalla Cassazione respingono però le obiezioni proposte dal difensore. Condivisa la linea già tracciata dai giudici d’appello. In sostanza, a fronte della presunta incapacità economica dell’uomo, è emersa l’irrilevanza, secondo i giudici, delle difficoltà economiche rappresentate dalla difesa . Decisiva la constatazione della mancanza di prove sulla presunta assoluta incapacità dell’uomo di adempiere ai propri obblighi di mantenimento , mentre è acclarato il totale inadempimento, ritenuto frutto di una precisa scelta volontaria ed arbitraria di interrompere da un certo momento in avanti l’erogazione di ogni forma di sussidio . In chiusura, poi, viene evidenziato che il dedotto stato di indigenza è stato escluso sulla base di considerazioni fondate sulle discordanze tra i redditi dichiarati in sede di separazione e quelli minori dichiarati al Fisco, tali da far ritenere ragionevole la disponibilità di risorse maggiori di quelle denunciate . Senza dimenticare, infine, la ravvisata mancanza di coincidenza temporale tra il momento dell’interruzione dei versamenti e quello dell’inizio delle asserite difficoltà economiche .

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 16 ottobre – 18 dicembre 2020, n. 36504 Presidente Mogini – Relatore Amoroso Ritenuto in fatto 1. Con il provvedimento in epigrafe, la Corte di Appello di Venezia ha confermato la sentenza emessa il 29/05/2015 dal Tribunale di Rovigo, con la quale il ricorrente è stato condannato alla pena di mesi tre di reclusione, nonché al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita, per il reato di cui all'articolo 570, cod. pen., perché serbando una condotta contraria alla morale familiare, ometteva di versare alla moglie Zo. Br. l'assegno mensile di Euro 750 stabilito in sede di separazione, in riferimento alle imputazioni ascrittegli nei tre procedimenti riuniti, dal mese di ottobre 2010 al mese di novembre 2011. 2. Tramite il proprio difensore di fiducia, ha proposto ricorso Gi. Ma. Gi., articolando due motivi, con cui si deduce violazione di legge e vizio della motivazione per carenza di motivazione in merito alla dedotta incapacità economica dell'imputato di far fronte ai versamenti dell'assegno mensile di mantenimento, emergendo l'impossibilità di farvi fronte, come riscontrato dalla concessione di una pensione sociale d'invalidità, che presuppone l'assenza di altri redditi, e la sopravvenuta revoca dell'assegno di mantenimento disposta in sede civile a riscontro del suo stato di indigenza. Considerato in diritto 1. I motivi di ricorso sono inammissibili perché manifestamente infondati e afferenti questioni in fatto. Essi propongono deduzioni che implicano una rivalutazione nel merito della sentenza da parte di questa Corte, non consentita in sede di legittimità. E' stato più volte ribadito che il giudice di legittimità non può sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di giudizio, restando esclusa la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o attendibilità delle fonti di prova Sez. 6, n. 25255 del 14/2/2012, Minervini, Rv. 253099 . La Corte in merito alla dedotta incapacità economica dell'imputato ha fatto proprie le argomentazioni del giudice di primo grado sull'irrilevanza delle difficoltà economiche rappresentate dalla difesa, in difetto della prova dell'assoluta incapacità di adempiere ai propri obblighi di mantenimento del coniuge a fronte del totale inadempimento, ritenuto frutto di una precisa scelta volontaria ed arbitraria di interrompere da un certo momento in avanti l'erogazione di ogni forma di sussidio. Il dedotto stato di indigenza è stato escluso sulla base di considerazioni fondate sulle discordanze tra i redditi dichiarati in sede di separazione e quelli minori dichiarati al fisco, tali da far ritenere ragionevole la disponibilità di risorse maggiori di quelle denunciate, oltre alla ravvisata mancanza di coincidenza temporale tra il momento dell'interruzione dei versamenti e quello dell'inizio delle asserite difficoltà economiche. In conclusione si tratta di una motivazione esaustiva e completa, il cui impianto logico non è incrinato dalle doglianze difensive che si limitano ad invocare una diversa ricostruzione di merito, inammissibile in questa sede. 2. Dalla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente, oltre che al pagamento delle spese del procedimento, anche a versare una somma, che si ritiene congruo determinare in duemila Euro. Considerato che il procedimento riguarda reati commessi in danno di un minore si deve disporre nel caso di diffusione del presente provvedimento l'oscuramento delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti private a norma dell'art. 52 D.Lgs. 196/03. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della cassa delle ammende.