Violenze fisiche e morali sulla moglie: condotte distinte e condanna più severa per il marito

Confermata la pena decisa in Appello cinque anni di reclusione. Impossibile far rientrare le condotte tenute dall’imputato nell’ambito esclusivo dei maltrattamenti.

Vita da incubo per la moglie, sottoposta tra le mura domestiche a maltrattamenti fisici e morali dall’imputato e obbligata anche a rapporti sessuali da lei non voluti. Incontestabile la responsabilità penale del marito, che non può neanche sperare in una pena meno severa inutile il suo tentativo di inglobare” le violenze sessuali nei soprusi messi in atto ai danni della consorte Cassazione, sentenza n. 35700/20, depositata il 14 dicembre . Ricostruita la triste vicenda e valutate le dichiarazioni della persona offesa e dei testimoni, i Giudici di merito ritengono sacrosanta la condanna dell’imputato, punito con cinque anni di reclusione per avere maltrattato la moglie sottoponendola a violenze fisiche e morali e per averla costretta a rapporti sessuali nonostante la volontà contraria della stessa, volontà manifestata anche con implorazioni e pianti . A carico dell’imputato, poi, anche l’obbligo di versare 30mila euro alla moglie a titolo di risarcimento. Col ricorso in Cassazione il difensore dell’imputato prova ad ottenere una riduzione della pena, sostenendo, in sostanza, che in appello è stato commesso un errore, cioè ritenere il concorso tra i reati di maltrattamenti e di violenza sessuale , mentre i fatti andrebbero sussunti esclusivamente nell’alveo del reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi . In particolare, il legale sostiene che la contestata violenza sessuale dovrebbe ritenersi assorbita dal diverso reato di maltrattamenti, con conseguente rideterminazione della pena finale , poiché i giudici di merito avrebbero dovuto tenere in considerazione le presunte violenze sessuali quali espressione fattuale di una complessiva ed unica situazione di soggezione, anche carnale da parte dell’imputato sulla consorte. E seguendo questa linea di pensiero il legale aggiunge che in applicazione del principio del ne bis in idem sostanziale non potrebbe essere addebitata all’uomo una duplice sanzione per la medesima condotta violenta . Per i Giudici della Cassazione, però, la tesi proposta dal difensore va respinta. In premessa viene ricordato che in questa vicenda il reato di maltrattamenti risulta essere stato commesso mediante atti di violenza sistematica , quali calci, pugni, procurando ecchimosi e lesioni alla donna, lasciandola isolata all’interno dell’abitazione, con minacce, trattandola con disprezzo e sfruttandola , mentre nel relativo capo di imputazione non sono state inserite le condotte identificate come violenza sessuale . Per fare chiarezza, poi, viene ribadito il principio secondo cui il delitto di maltrattamenti è assorbito da quello di violenza sessuale soltanto quando vi è piena coincidenza tra le condotte , nel senso che gli atti lesivi siano finalizzati esclusivamente alla realizzazione della violenza sessuale e siano strumentali alla stessa violenza, mentre in caso di autonomia anche parziale delle condotte, comprendenti anche atti ripetuti di percosse gratuite e ingiurie non circoscritte alla violenza o alla minaccia strumentale necessaria alla realizzazione della violenza, vi è concorso tra il reato di violenza sessuale continuata e quello di maltrattamenti . E in aggiunta viene anche ribadito che il delitto di violenza sessuale concorre con quello di maltrattamenti in famiglia qualora, attesa la diversità dei beni giuridici offesi, le reiterate condotte di abuso sessuale, oltre a cagionare sofferenze psichiche alla vittima, ledano anche la sua libertà di autodeterminazione in materia sessuale, potendosi configurare l’assorbimento esclusivamente nel caso in cui vi sia piena coincidenza tra le due condotte, ovvero quando il delitto di maltrattamenti sia consistito nella mera reiterazione degli atti di violenza sessuale . Legittimo, quindi, distinguere le condotte tenute dall’imputato nei confronti della moglie. Evidenti, poi, l’intensità del dolo nelle azioni compiute dal medesimo e il danno subito dalla persona offesa, e ciò legittima non solo la quantificazione della pena ma anche il risarcimento in suo favore.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 23 settembre – 14 dicembre 2020, n. 35700 Presidente Izzo – Relatore Semeraro Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Ancona, con la sentenza del 23 gennaio 2020, in parziale riforma di quella del Tribunale di Pesaro del 16 luglio 2019, ha sostituito nei confronti di Ch. He. la interdizione perpetua dai pubblici uffici con la interdizione quinquennale ed ha revocato l'interdizione legale durante l'espiazione della pena. La corte territoriale ha confermato nel resto la condanna nei confronti di Ch. He. alla pena di anni 5 di reclusione, concesse le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti e con la continuazione, per i reati ex - art. 572 cod. pen., aggravato ex art. 61 n. 11-quinquies cod. pen., perché, a decorrere dal 2017, iniziava a maltrattare la propria moglie Zh. Ji. con violenze fisiche e morali - artt. 81 cpv. e 609-bis cod. pen., perché dall'ottobre 2018 costringeva la stessa persona offesa a rapporti sessuali contro la di lei volontà, manifestata anche con implorazioni e pianti, in talun caso anche strappandole gli indumenti intimi per quindi consumare il rapporto abusivamente, unificati nel vincolo della continuazione. L'imputato è stato condannato altresì al risarcimento del danno a favore della persona offesa costituita parte civile liquidato in Euro 30.000. 2. Avverso la sentenza della Corte di appello di Ancona ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell'imputato. 2.1. Con il primo motivo si deduce, ex art. 606 lett. c cod. proc. pen., la nullità dell'interrogatorio di garanzia nonché, ex art., 606 lett. e cod. proc. pen., il travisamento della prova in relazione alle dichiarazioni rese dal ricorrente nell'ambito dell'interrogatorio medesimo. I giudici di appello sarebbero incorsi nel travisamento della prova laddove avrebbero riportato un passaggio dell'interrogatorio di garanzia del 28 marzo 2019 in evidente contrasto con quanto effettivamente dichiarato il ricorrente non avrebbe mai ammesso di aver avuto rapporti sessuali contro la volontà della moglie. Tale circostanza risulterebbe dall'allegato verbale di interrogatorio nell'ambito del quale il ricorrente avrebbe riconosciuto le sue colpe esclusivamente in ordine ai fatti di maltrattamento. Inoltre, l'interrogatorio medesimo si sarebbe svolto in violazione di legge in quanto reso in presenza di un interprete che non avrebbe garantito la piena conoscibilità dell'atto al ricorrente per l'incomprensione della traduzione eseguita. Delle palesi difficoltà di raccordo tra indagato ed interprete avrebbe dato atto anche la sentenza di primo grado. Pertanto, non sarebbe dato sapere se il ricorrente abbia effettivamente detto ciò che l'interprete ha tradotto, né se abbia compreso appieno le domande che gli venivano poste. Ne conseguirebbe l'illegittimità del procedimento sussistendo un'ipotesi di nullità relativa alla partecipazione effettiva dell'imputato al processo. 2.2. Con il secondo motivo si deduce la violazione degli artt. 572 e 609 cod. proc. La Corte di appello avrebbe errato nel ritenere il concorso tra i reati i fatti ascritti al ricorrente andrebbero sussunti esclusivamente nell'alveo del reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi di cui all'art. 572 cod. pen. La condotta di cui al capo b dell'imputazione, relativa alla contestata violenza sessuale, dovrebbe ritenersi assorbita dal diverso reato di maltrattamenti, con conseguente rideterminazione della pena finale. I giudici di merito avrebbero dovuto correttamente tenere in considerazione le presunte violenze sessuali quali espressione fattuale di una complessiva ed unica situazione di soggezione, anche carnale, da parte del ricorrente. In applicazione del principio del ne bis in idem sostanziale non potrebbe invece essere addebitata allo stesso ricorrente una duplice sanzione per la medesima condotta violenta. 2.3. Con il terzo motivo si contesta la violazione dell'art. 609-bis cod. pen. nonché l'inosservanza delle norme processuali avendo i giudici di appello dato valore di prova alle dichiarazioni della persona offesa in mancanza di riscontri esterni e concreti e che, pertanto, anche in base alla giurisprudenza consolidatasi in materia, non potrebbero ritenersi sufficienti a fondare la penale responsabilità del ricorrente. L'unico riscontro rinvenuto sarebbe rappresentato dalle parole dei testimoni che dichiarano di aver visto sulla persona offesa segni di violenza fisica tali testimonianze potrebbero fondare la condanna solo per i maltrattamenti ma non sarebbero tali da assurgere ad elemento di riscontro della condotta di violenza sessuale. Il vaglio sull'attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa avrebbe dovuto essere più approfondito attesa la costituzione di parte civile. 5.4. Con il quarto motivo si deducono i vizi di violazione di legge e della motivazione quanto alla determinazione della pena. La pena inflitta sarebbe illegale quanto al bilanciamento delle circostanze attenuanti generiche, riconosciute al ricorrente già in primo grado. Benché nella parte motiva della impugnata sentenza si parli di concessione delle attenuanti generiche e di modesto scostamento dal minimo edittale - nella specie indicato in anni 5 trattandosi di fatto commesso in data anteriore all'entrata in vigore delle modifiche apportate dalla L. n. 69 del 2019 - la pena base è stata determinata in anni 6 lo scostamento dal minimo edittale non potrebbe qualificarsi modesto. L'entità della pena base vanificherebbe l'effetto della concessione delle attenuanti generiche. La concreta determinazione della pena sarebbe dunque in contraddizione con le premesse della motivazione e, pertanto, illegale. 2.5. Con il quinto motivo di ricorso si deduce il vizio di violazione di legge in relazione alla quantificazione del risarcimento a favore della parte civile. Nella sentenza di primo grado non si rinverrebbe alcuna esplicitazione dei criteri e delle valutazioni operate dal giudice nella determinazione del risarcimento, ma la sussistenza del danno morale subito dalla persona offesa sarebbe stato ritenuto esistente in re ipsa. La motivazione sul punto sarebbe pertanto meramente apparente, per cui costituirebbe un vizio rilevante ai fini del giudizio di legittimità. Considerato in diritto 1. Con il primo motivo si deducono due questioni. 1.1. Si eccepisce la nullità assoluta dell'interrogatorio reso dal ricorrente, che non parla e comprende la lingua italiana, al giudice per le indagini preliminari perché reso alla presenza fisica dell'interprete ma in palese difficoltà di raccordo tra indagato ed interprete. 1.1.1. L'eccezione è manifestamente infondata. Dall'analisi dell'interrogatorio allegato al ricorso risulta che l'indagato non ha inteso rispondere alle domande ma ha reso, dopo la frase non intendo rispondere , dichiarazioni che devono essere qualificate quali spontanee ammetto di aver picchiato mia moglie. Io non voglio che mia moglie vada alle riunioni per motivi religiosi. Riconosco tutte le mie colpe . 1.1.2. In ogni caso deve rilevarsi che la nullità dell'interrogatorio per l'omessa presenza dell'interprete, qui per altro presente, è a regime intermedio dal verbale risulta che nulla fu eccepito, con conseguente decadenza. Avendo la parte assistito al fatto - la palese difficoltà di raccordo tra indagato ed interprete - che, secondo l'infondata tesi del ricorrente determinerebbe la nullità, il difensore avrebbe dovuto eccepire tempestivamente la nullità ex art. 182 cod. proc. pen. 1.2. È manifestamente infondato anche il dedotto travisamento della prova, trattandosi di una divergenza assolutamente irrilevante, avendo comunque il ricorrente dichiarato Riconosco tutte le mie colpe . Il vizio di travisamento della prova, desumibile dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo specificamente indicati dal ricorrente, è ravvisabile ed efficace solo se l'errore accertato sia idoneo a disarticolare l'intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa dell'elemento frainteso o ignorato, fermi restando il limite del devolutum in caso di cosìddetta doppia conforme e l'intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio così Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, S, Rv. 27775801 . L'errore non disarticola in alcun modo l'intero ragionamento probatorio perché la sentenza di condanna si fonda sulle dichiarazioni della persona offesa e di altri testimoni. 2. Il secondo motivo è manifestamente infondato essendo errata la tesi difensiva dell'assorbimento tenuto conto del fatto accertato ed in diritto. 2.1. Il reato ex art. 572 cod. pen. risulta essere stato commesso mediante atti di violenza sistematica, quali calci, pugni, procurando ecchimosi e lesioni, lasciando la donna isolata all'interno dell'abitazione, con minacce, trattando la donna con disprezzo e sfruttandola. Nel capo di imputazione del delitto ex art. 572 cod. pen. non solo state inserite le condotte ex art. 609-bis cod. pen. 2.2. Secondo il costante orientamento della giurisprudenza, che va ribadito il delitto di maltrattamenti è assorbito da quello di violenza sessuale soltanto quando vi è piena coincidenza tra le condotte, nel senso che gli atti lesivi siano finalizzati esclusivamente alla realizzazione della violenza sessuale e siano strumentali alla stessa, mentre in caso di autonomia anche parziale delle condotte, comprendenti anche atti ripetuti di percosse gratuite e ingiurie non circoscritte alla violenza o alla minaccia strumentale necessaria alla realizzazione della violenza, vi è concorso tra il reato di violenza sessuale continuata e quello di maltrattamenti in tal senso Sez. 3, n. 45459 del 22/10/2008, D.G., Rv. 24167001 . Secondo Sez. 3, n. 40663 del 23/09/2015 - dep. 2016, Z., Rv. 26759501, il delitto di violenza sessuale concorre con quello di maltrattamenti in famiglia qualora, attesa la diversità dei beni giuridici offesi, le reiterate condotte di abuso sessuale, oltre a cagionare sofferenze psichiche alla vittima, ledano anche la sua libertà di autodeterminazione in materia sessuale, potendosi configurare l'assorbimento esclusivamente nel caso in cui vi sia piena coincidenza tra le due condotte, ovvero quando il delitto di maltrattamenti sia consistito nella mera reiterazione degli atti di violenza sessuale. 3. Il terzo motivo è manifestamente infondato. 3.1. Si deducono, in sintesi, i vizi di violazione di legge sostanziale e processuale, con riferimento agli artt. 189, 190, 192 e 533 cod. proc. pen., per avere la Corte di appello ritenuto sussistente la penale responsabilità dell'imputato sulla base delle sole dichiarazioni della persona offesa, senza riscontri riferibili al reato di violenza sessuale le testimonianze sui segni di violenza fisica riscontrerebbero il reato di maltrattamenti in famiglia e non quello di violenza sessuale. Orbene, deve rilevarsi che con i motivi di appello si contestò la genericità delle dichiarazioni della persona offesa e genericamente l'assenza di riscontri, senza che fosse stata specificamente contestata l'attendibilità della persona offesa. 3.2. Inconferenti sono i richiami agli art. 189 che concerne le prove atipiche e 190 che concerne il diritto alla prova e non a sua valutazione . 3.3. Il motivo, con il quale si deduce il vizio di violazione di legge processuale in relazione agli art. 192 e 533 cod. proc. pen., è inammissibile ai sensi dell'art. 606 comma 3 cod. proc. pen. in quanto l'inosservanza di tali norme non è prevista a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza. Secondo il costante orientamento della giurisprudenza, in tema di ricorso per cassazione, le doglianze relative alla violazione degli art. 192 e 533 cod. proc. pen., non essendo l'inosservanza di tali norme previste a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, non possono essere dedotte con il motivo di violazione di legge di cui all'art. 606 lett. c cod. proc. pen. ma soltanto nei limiti indicati dalla lett. e della medesima norma, ossia come mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulti dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti specificamente indicati nei motivi di gravame. 3.4. La motivazione sull'attendibilità della persona offesa è del tutto immune da vizi logici, avendone la Corte di appello ampiamente illustrato le ragioni in base alla genesi, alla struttura del racconto, ai particolari riferiti, ai riscontri - la cui sussistenza non è obbligatoria ma solo opportuna - che confermano la complessiva attendibilità della dichiarante. 4. Manifestamente infondato è anche il quarto motivo. 4.1. Le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell'equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l'adeguatezza della pena irrogata in concreto così Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, Contaldo, Rv. 24593101. In motivazione le Sezioni Unite hanno affermato che a giustificare la soluzione della equivalenza deve ritenersi sufficiente l'implicito riferimento ad una valutazione complessiva dell'episodio criminoso e della personalità dell'imputato, che si traduce in sostanza in un giudizio di non meritevolezza di un trattamento sanzionatorio ancor più mite. Nello stesso senso Sez. 2, n. 31543 del 08/06/2017, Pennelli, Rv. 270450, per cui le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell'equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l'adeguatezza della pena irrogata in concreto. Uno dei parametri normativi per effettuare il giudizio di bilanciamento è l'art. 133 cod. pen. cfr. Sez. 2, n. 3610 del 15/01/2014, Manzari, Rv. 260415, che ha affermato che in tema di bilanciamento di circostanze eterogenee, non incorre nel vizio di motivazione il giudice di appello che, nel formulare il giudizio di comparazione, dimostri di avere considerato e sottoposto a disamina gli elementi enunciati nella norma dell'art. 133 cod. pen. e gli altri dati significativi, apprezzati come assorbenti o prevalenti su quelli di segno opposto. 4.2. La Corte di appello ha confermato il giudizio di equivalenza sulla base di un ragionamento complessivo ha preso in esame l'intensità del dolo, il danno subito dalla persona offesa. Dunque, la motivazione si fonda sulla valutazione degli elementi ex art. 133 cod. pen. 4.3. Analogamente, il discostamento dal minimo edittale del reato sub a , qualificato minimo, essendo pari ad un anno, è stato adeguatamente motivato con riferimento agli elementi ex art. 133 cod. pen., quali le connotazioni soggettive ed oggettive ed il protratto periodo di commissione dei fatti sub a in sostanza la Corte di appello ha anche tenuto conto della continuazione interna al capo a . 4.4. Va ricordato che il dovere per il giudice di una specifica motivazione sulla pena è stato ancorato allo scostamento dal minimo edittale. L'uso del potere discrezionale del giudice, nella graduazione della pena, è insindacabile nei casi in cui la pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, sia applicata in misura media e, ancor più, se prossima al minimo, essendo sufficiente in tali casi richiamare criteri di adeguatezza, congruità, non eccessività, di equità e simili. Ciò dimostra che il giudice ha considerato, sia pure intuitivamente e globalmente, tutti gli aspetti indicati nell'art. 133 cod. pen. ed anche quelli specificamente segnalati con i motivi d'appello. 5. Il quinto motivo è inammissibile dal testo della sentenza e dall'analisi dell'impugnazione non risulta che tra i motivi di appello vi fosse anche quello relativo al quantum del risarcimento del danno. Secondo il costante orientamento della giurisprudenza, la lettura coordinata degli artt. 609 e 606 comma 3 cod. proc. pen. impedisce la proponibilità in cassazione di qualsiasi questione non prospettata in appello, quale rimedio contro il rischio concreto di un annullamento, in sede di cassazione, del provvedimento impugnato, in relazione ad un punto intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello in questo caso, infatti è facilmente diagnosticabile in anticipo un inevitabile difetto di motivazione della relativa sentenza con riguardo al punto dedotto con il ricorso, proprio perché mai investito della verifica giurisdizionale in tal senso cfr. Sez. U. n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794 . 6. Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen. si condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, si condanna altresì il ricorrente al pagamento della somma di Euro 3.000,00, determinata in via equitativa, in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 D.Lgs.196/03 in quanto imposto dalla legge.