COVID-19 e custodia carceraria: il novum normativo si applica solo ai provvedimenti di scarcerazione stabili

L’applicazione delle nuove norme sulla costante rivalutazione dei provvedimenti con quali è stata disposta, ad imputati di alcuni titoli di reato o sottoposti al 41-bis ord. pen., la sostituzione della custodia cautelare in carcere con la misura degli arresti domiciliari per motivi connessi all’emergenza sanitaria da COVID-19, presuppone che il provvedimento che ha disposto la sostituzione della custodia cautelare in carcere con la misura degli arresti domiciliari abbia acquistato carattere di stabilità, non sia soggetto, cioè, a impugnazioni, o che eventuali impugnazioni siano state rigettate.

Così la Cassazione con sentenza n. 35209/20, depositata il 10 dicembre. Continua incessante il percorso giurisprudenziale volto a tracciare le specifiche condizioni della sussistenza del pericolo da contagio da COVID-19 per l’imputato anche di gravi reati sottoposto a custodia cautelare in carcere. Tale evoluzione trae origine da una poggia di pronunce di questi giorni della Suprema Corte , connotate da fattispecie concrete che, come quello oggetto della presente sentenza n. 35209/20, nella prima ondata di emergenza sanitaria legata alla pandemia da Coronavirus, hanno avuto la solita alternanza procedimentale che vedeva a in un primo momento, la sostituzione della custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari, prendendo atto delle ‘compromesse condizioni di salute’ del detenuto e ‘dell’attuale rilevante rischio da contagio da COVID-19 all’interno delle mura carcerarie’ b il successivo ripristino della custodia cautelare in carcere in accoglimento del riesame proposto dal PM , sulla base di una ritenuta non incompatibilità delle condizione di salute con il regime detentivo, risentendo del mutato quadro normativo descritto dall’art. 3 del d.l. 10 maggio 2020, n. 29 poi confluito, in sede di conversione della l. 25 giugno 2020 n. 70, nell’art. 2- ter del precedente d.l. 30 aprile 2020 n. 28 , che ha disegnato un nuovo equilibrio, di dubbia legittimità costituzionale, tra le esigenze di pubblica sicurezza e il diritto di salute del detenuto. Sul tempus regit actum per il ricorrente andava applicato l’iter della novella In verità la sentenza in commento esclude al caso sottoposto alla sua attenzione la ritenuta applicabilità, in uno dei motivi oggetto del ricorso in cassazione, della nuova procedura. Il ricorrente riteneva che la nuova disciplina – l’art. 3 del d.l. 10 maggio 2020, n. 29 ha previsto che nei confronti di imputati per alcuni titoli di reato fra cui il delitto di associazione mafiosa contestata al ricorrente per i quali è stata disposta la sostituzione della custodia cautelare in carcere con la misura degli arresti domiciliari per motivi connessi all’emergenza sanitaria da COVID-19, il PM verifica la permanenza dei predetti motivi entro 15 giorni dalla data di adozione degli arresti domiciliari e, successivamente, con cadenza mensile, salvo quando il DAP comunica la disponibilità di strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta adeguati alle condizioni di salute del detenuto chiedendo in questi casi il PM il ripristino della custodia carceraria – è la norma ‘speciale’ dedita non come l’art. 275 comma 4- bis c.p.p. a gestire le ordinarie situazioni sanitarie che si presentano generalmente nel contesto detentivo ma a regolare lo stato di emergenza sanitaria , proclamato il 31 gennaio 2020 e prorogato, allo stato, fino al 31 gennaio 2021, con il d.l. n. 125/2020, convertito in l. n. 159/2020 , laddove la ritenuta prevalenza del diritto di salute sugli altri diritti fondamentali previsti dalla Costituzione, avrebbe dovuto comportare che, in applicazione del principio del tempus regit actum , l’ordinanza di applicazione degli arresti domiciliari poteva essere riformata solo seguendo l’iter dell’art. 2 del d.l. n. 29 oggi art. 2-ter d.l. n. 28 . pena l’inammissibilità dell’appello e la caducazione dell’ordinanza del giudice del riesame. Pertanto, nella prospettiva del ricorrente, l’appello del P.M. andava dichiarato inammissibile e il tribunale del riesame doveva verificare in primis la disponibilità di strutture penitenziarie o reparti di medicina protetti dove collocare il ricorrente, indicare l’istituto di restrizione e anche il modo in cui il prevenuto vedrebbe protetto il suo diritto di salute. Solo in presenza di tale procedura i giudici cautelari avrebbero potuto rispristinare la custodia cautelare in carcere. Anche perché il comma 3 dell’odierno art. 2-ter riprendendo quanto ab origine previsto dall’art. 5 D.L. 29/2020 prevede espressamente che la descritta normativa nei primi due commi deve essere applicata ai provvedimenti di sostituzione della misura cautelare con quella degli arresti domiciliari adottati successivamente al 23 febbraio 2020 . Per i giudici di legittimità tale iter non trova applicazione se il provvedimento non abbia assunto ‘stabilità’. La sentenza n. 35209/20 invece ritiene infondato tale dedotto motivo asserendo che la fattispecie concreta non rientra nel perimetro applicativo del novum normativo. Per gli ermellini infatti pur essendo all’interno del range temporale della novella sul piano oggettivo l’applicazione delle nuove norme presuppone che il provvedimento che ha disposto la sostituzione della custodia cautelare in carcere con la misura degli arresti domiciliari abbia acquistato carattere di stabilità, non sia soggetto, cioè, a impugnazioni, o che eventuali impugnazioni siano state rigettate . Nel caso in esame difetterebbe tale stabilità in quanto l’ordinanza di concessione degli arresti domiciliare è stata gravata da appello del P.M. e poi il provvedimento di ripristino della massima misura cautelare all’odierno ricorso per cassazione. Osservazioni critiche non richiesta la stabilità e quale? cautelare. Pur comprendendo l’effetto ‘dirompente’ dell’eventuale accoglimento del motivo di ricorso , le argomentazioni della Suprema Corte non appaiono condivisibili. Non è rinvenibile nel tessuto normativo della novella alcun riferimento al carattere ‘definitivo’ del giudicato cautelare della decisione di concessione di arresti domiciliari per ragioni legate al COVID-19 . Il chiaro e inequivocabile testo normativo prevede, come detto, che la nuova disciplina di costante monitoraggio della permanenza delle condizioni che hanno giustificato la scarcerazione per ragioni legate anche al COVID-19 si applichi ai provvedimenti adottati” in epoca successiva al 23 febbraio 2020. Il requisito della definitività rectius, stabilità viene impropriamente aggiunto dai giudici di legittimità . Distinzione irragionevole. Non serve distinguere tra i casi in cui le verifiche vengono obbligatoriamente” imposte al P.M. dalla novella e quelli che scaturiscono dall’appello del P.M. già, Sez. I, n. 35012 del 9 dicembre 2020 . Non è un problema del come” si è arrivati al provvedimento di sostituzione della custodia in carcere con gli arresti domiciliari, ma del presupposto da cui scaturisce l’obbligo di rivalutazione che sia stato emesso in qualunque sede un provvedimento di scarcerazione cautelare per ragioni legate al COVID-19. Ragionare diversamente espone il fianco a evidenti censure di irragionevolezza per discipline diverse nei confronti di imputati magari dello stesso reato, addirittura nel medesimo processo riferite solo ad eventi procedimentali ‘casuali’, legati peraltro ad un concetto di ‘stabilità’ laddove, in materia, ci muoviamo, invece, all’interno dell’instabilità cautelare e del relativo ‘giudicato’ . Il tutto in sfregio del tempus regit actum che governa la materia processuale. Interpretatio abrogans. Tale lettura dei giudici di legittimità comporta una interpretatio abrogans della novella. Paradossalmente, una norma introdotta per far fronte, in questa delicata fase pandemica, ad un diverso contemperamento tra le istanze di sicurezza della collettività e la tutela della salute dell’imputato viene ‘di fatto’ non applicata, in considerazione dell’ovvio e scontato scandirsi di gravami della fase cautelare in considerazione del calibro dei soggetti coinvolti e del naturale concatenarsi dei mezzi di impugnazione delle parti processuali . Il caso de quo ne è una cristallina testimonianza, in quanto sulla vicenda non è ancora calato il sipario, visto l’accoglimento della Suprema Corte di altri motivi con conseguente annullamento con rinvio dell’ordinanza ricorsa e relativo prolungamento dei tempi. Precisate le condizioni sulla compatibilità e pericolo di contagio da COVID-19. Il ricorso del detenuto ricorrente viene accolto con riferimento alla mancanza di approfondimenti istruttori e vizi inerenti alla motivazione. La pronuncia si pone sul solco ermeneutico ormai rapidamente consolidato secondo il quale per verificare l’incompatibilità della detenzione carceraria col rischio di contrarre il COVID-19 devono ricorrere congiuntamente due condizioni 1 che il detenuto sia affetto da patologia tale che in caso di contagio sia certo o altamente probabile il verificarsi di gravi complicanze o di morte 2 che sussista un rischio concreto di contrarre il Coronavirus in carcere da ultimo, Sez. I, nn. 35012 e 35013 del 9 dicembre 2020 . Pertanto, in assenza di patologie a rischio, non può essere lamentato alcun pericolo per la salute legandosi genericamente all’emergenza epidemiologica da COVID-19 Sez. I, n. 34674 del 4 dicembre 2020 . A tali presupposti che vanno adeguatamente motivati la sentenza n. 35209 del 2020 aggiunge quello legato alla valutazione dell’eventuale ‘aggravamento’ del quadro clinico che possa far sconfinare le condizioni di salute in situazione di incompatibilità con lo status detentionis . Annullamento con rinvio. Vengono censurarti i passaggi argomentativi laddove il tribunale del riesame afferma che le condizioni di salute, sia pure gravi, erano risalenti e pregresse rispetto all’originario provvedimento custodiale che nessuna problematica concreta era dimostrata circa il circolare del virus nella sezione di alta sicurezza nel carcere di Tolmezzo che la difesa non ha dimostrato attuali problematiche di salute dell’imputato che necessitano di approfondimenti sanitari. La Corte di Cassazione – aggiungendo più in generale un altro prezioso tassello nel puzzle dei presupposti per apprezzare l’incompatibilità della custodia carceraria con lo stato di salute dell’imputato – annulla l’ordinanza cautelare di ripristino della custodia cautelare in carcere laddove difetti la motivazione sui punti che hanno carattere decisivo, e precisamente 1 non espone compiutamente le fonti del proprio convincimento sulla compatibilità delle condizioni di salute del detenuto col regime carcerario nello specifico istituto penitenziario 2 non abbia compiuto una specifica attività istruttoria sul livello di contagio da COVID19 presso il locus detentionis 3 non accerti, indipendentemente da una specifica richiesta difensiva, se sono configurabili condizioni capaci di aggravare ulteriormente le già gravi condizioni di salute del detenuto.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 25 settembre – 10 dicembre 2020, n. 35209 Presidente Casa – Relatore Mancuso Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza in data 8 maggio 2019, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma applicava la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di F.A. , ritenuto raggiunto, in presenza di esigenze cautelari, da gravi indizi di colpevolezza in ordine all’appartenenza, in qualità di promotore e organizzatore, ad una associazione di stampo mafioso. 2. Su istanza dell’interessato, il Tribunale di Roma, con ordinanza del 21 aprile 2020, disponeva la sostituzione della predetta misura con quella degli arresti domiciliari, affermando di aver preso atto delle compromesse condizioni di salute del F. e dell’attuale rilevante rischio di contagio del Covid-19 all’interno delle mura carcerarie . 3. Il Procuratore della Repubblica proponeva appello, ai sensi dell’art. 310 c.p.p., al Tribunale di Roma che, in accoglimento del gravame cautelare, con ordinanza del 26 giugno 2020 disponeva il ripristino della misura della custodia cautelare in carcere , notando che a le compromesse condizioni di salute del prevenuto, sia pure gravi, erano risalenti e pregresse rispetto all’esecuzione della custodia carceraria di cui al provvedimento genetico b dette condizioni di salute non erano incompatibili con il regime detentivo in atto presso il carcere di , nè la difesa contestava, in generale, tale incompatibilità c nessuna problematica concreta, a dispetto di semplici indiscrezioni, era stata dimostrata presso il citato luogo di detenzione in regime di alta sicurezza con riferimento al rischio di contagio da Covid-19, nè si ricavavano elementi precipui da cui desumere che il F. non potesse essere curato in ambito penitenziario e si trovasse in situazione di altissimo pericolo di vita . Il Tribunale aggiungeva che la misura degli arresti domiciliari era inadeguata per le gravi accuse oggetto del provvedimento di custodia genetico, per le quali il processo pende in primo grado, in considerazione della presunzione di adeguatezza stabilita dall’art. 275 c.p.p. per il reato per cui si procede della carenza di fatti nuovi giuridicamente rilevanti, mentre gli esami sanitari cui il F. doveva essere sottoposto potevano essere compiuti in ambiente carcerario e la difesa non aveva neppure prospettato attuali problemi di salute del prevenuto che rendessero necessari degli approfondimenti per il Collegio. Il Tribunale affermava che nessuna incompatibilità tra lo stato di salute del F. e il regime inframurario era stata allegata dalla difesa, neppure in relazione alla situazione pandemica in atto, prospettandosi un rischio futuro . 4. L’avvocato Valerio Vianello Accorretti, difensore di fiducia di F.A. , ha proposto ricorso per cassazione, con atto articolato in quattro motivi. 4.1. Con il primo motivo si deduce, richiamando l’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b , c , e , violazione degli artt. 581 e 591 c.p.p Si evidenzia l’inammissibilità dell’appello del Pubblico Ministero - erroneamente non accertata dal Tribunale di Roma in sede di riesame - appello privo di indicazioni circa la norma violata dal giudice procedente e circa la questione giuridica in grado di legittimare la riforma richiesta, considerando che alla base della sostituzione della misura cautelare vi erano ragioni sanitarie il provvedimento di appello si limitava ad elencare, in quattro sommari punti, le convinzioni del Pubblico Ministero con riguardo all’erroneità del provvedimento impugnato. La censura avverso l’ordinanza del Tribunale di Roma era fondata su affermazioni contrarie prive di confronti specifici e decisivi. Erano carenti di specificità sia le censure proposte con l’atto di appello, sia le indicazioni di elementi a sostegno di esse. 4.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce, richiamando l’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b , erronea applicazione dell’art. 275 c.p.p., comma 4-bis violazione del D.L. n. 28 del 2020, art. 2-ter, convertito dalla L. n. 70 del 2020, in relazione all’art. 32 Cost. e ai criteri risolutori delle antinomie tra fonti del diritto del medesimo valore gerarchico. In tal senso si confuta la mancata valutazione del Tribunale in sede di riesame circa la sussistenza dei presupposti necessari per riapplicare la misura di massimo rigore sul punto è importante richiamare lo stato di emergenza sanitaria che ha investito il paese a causa della pandemia Covid-19, stato proclamato il 31 gennaio 2020 e prorogato fino ad ottobre 2020 nel corso di questa situazione non poche sono state le critiche sollevate sui provvedimenti di scarcerazione di imputati o condannati per reati di mafia , emessi sulla base di un’interpretazione costituzionalmente orientata di norme e principi già presenti nel nostro ordinamento giuridico e non per mezzo di uno specifico intervento normativo innovativo il Governo, successivamente, per far fronte a questa situazione ha emanato un provvedimento, il D.L. n. 29 del 2020, poi convertito in legge, che ha regolamentato la ratio e gli accertamenti necessari al fine di rivalutare i provvedimenti de libertate emessi a causa dell’emergenza sanitaria. Fondamentale nel caso di specie è l’art. 2-ter dell’appena citato decreto che si pone in indiscutibile rapporto di specialità rispetto all’art. 275 c.p.p Di conseguenza, sulla base dell’antinomia esistente tra i vari criteri valutativi degli effetti della misura in carcere, in considerazione dello stato di salute del F. , il D.L. n. 28 del 2020, art. 2-ter doveva prevalere sull’art. 275 c.p.p., comma 4-bis, essendo quest’ultima una norma dedita a gestire le ordinarie situazioni sanitarie che si presentano generalmente nel contesto detentivo e non uno stato di emergenza dove l’art. 32 Cost. prevale in assoluto sugli altri diritti fondamentali previsti dalla nostra Carta costituzionale prevalenza che produce una serie di conseguenze tra cui l’inammissibilità dell’appello del P.M. presentato contro l’ordinanza del Tribunale di Roma in applicazione del principio tempus regit actum la stessa poteva essere soggetta a riforma seguendo l’iter del D.L. n. 28 del 2020, art. 2-ter una valutazione diversa e più ampia da parte del Tribunale del riesame sulla valutazione delle condizioni di salute dell’imputato e di emergenza sanitaria sul territorio per verificare eventuali cambiamenti, i quali, se avvenuti se le condizioni fossero venute meno , avrebbero dovuto indurre il Tribunale, in primis, a verificare la disponibilità delle strutture penitenziarie o reparti di medicina protetti al fine di collocare il F. , indicare l’istituto di restrizione e anche il modo in cui il prevenuto vedrebbe protetto il suo diritto alla salute solo in seguito a ciò, il Tribunale avrebbe potuto ripristinare la misura di custodia in carcere, ma tale iter non è stato seguito. Il ricorrente sottolinea il rigore dell’art. 2-ter D.L. n. 28 del 2020, art. 2 ter, comma 3 nel precisare che la normativa di cui ai due commi precedenti deve essere applicata a tutti i provvedimenti di sostituzione della misura inframuraria emessi, per ragioni connesse al COVID-19, dopo il 23 febbraio 2020 . 4.3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce, richiamando l’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b ed e , mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione violazione ed erronea applicazione dell’art. 275 c.p.p., in relazione all’art. 32 Cost. e agli artt. 2, 3 e 8 CEDU. L’ordinanza impugnata in questa sede merita una censura per aver accolto l’appello del Pubblico Ministero con una motivazione giuridicamente erronea sotto il profilo valutativo e procedurale, non coerente con i principi che regolano il diritto alla salute in carcere nè con le questioni sollevate dalla difesa in risposta all’appello del Pubblico Ministero. Il Tribunale avrebbe dovuto verificare, al contrario, il convincimento e la fondatezza delle argomentazioni contenute nell’atto del gravame rispetto a quanto dedotto dal Tribunale nel disporre il provvedimento di sostituzione della misura, presentandosi l’atto di appello privo di elementi idonei a dimostrare quanto indicato brevemente dallo stesso Pubblico Ministero circa l’erroneità della scarcerazione, rilevandosi pertanto probabilmente inammissibile. Esemplificativa è la sostenuta assenza di contagi all’interno del carcere di , situazione non verificata dal Tribunale, nonostante i poteri istruttori di cui è investito, poiché il giudice si è preoccupato solo di biasimare la difesa per aver allegato alla memoria copia di un articolo di giornale a sostegno dell’emergenza nei giorni prossimi alla scarcerazione dell’imputato, ma non ha avvertito la mancanza di allegazioni, da parte del Pubblico Ministero, che potessero smentire quanto posto alla base della decisione del Tribunale . Analogo comportamento è emerso con riferimento alla valutazione dei reati ancora da dimostrare, per assenza di precedenti specifici per delitti da contesto mafioso, ritenuti al contrario nell’atto di appello, senza alcuna corretta valutazione giuridica come effettivamente commessi dal F. , sebbene il Tribunale di Roma sommariamente avesse già proceduto, sia a verificare che la gravità indiziaria non fosse mutata sia che le patologie del F. , contestualmente all’effettivo rischio di contagio, vista l’avvenuta e successiva conferma dell’emergenza da parte dell’istituto di pena di , richiedessero un doveroso bilanciamento dei diritti in gioco e comportassero che doveva essere disposta la scarcerazione concedendo arresti domiciliari con braccialetto elettronico e divieto assoluto di contatti e incontri, rispettando in tal modo il principio costituzionale che tutela la salute, anche dei detenuti. 4.4. Con il quarto motivo il ricorrente deduce, richiamando l’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b ed e , mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione violazione dell’art. 299 c.p.p., comma 4-ter, in relazione all’art. 275 c.p.p., comma 4-bis, all’art. 220 c.p.p. e all’art. 32 Cost Illegittimo non aver proceduto ad approfondimenti o accertamenti istruttori circa lo stato di salute del F. . È applicabile, anche in sede di appello cautelare, l’art. 299 c.p.p., comma 4-ter, norma che statuisce la possibilità di provvedere ad accertamenti anche nel caso in cui gli atti non siano idonei a decidere. L’appello non è stato proposto dalla difesa, in tal caso sarebbe stato effettivamente superfluo qualsiasi approfondimento, ma dalla Procura della Repubblica, con censure non argomentate e prive di qualsiasi documento a sostegno. Per tale ragione, nel caso di specie sarebbe stato doveroso approfondire lo stato di salute del F. , non solo in virtù dell’art. 275 c.p.p., comma 4-bis, ma anche per l’emergenza sanitaria presente nel nostro Paese utili, a conferma di quanto appena affermato, le indicazioni dell’Istituto Superiore di Sanità allegate alla circolare del D.A.P. del 30 giugno 2020. Considerato in diritto 1. Il primo motivo del ricorso per cassazione, con il quale è stata dedotta l’inammissibilità dell’appello rivolto dal Pubblico Ministero al Tribunale di Roma, è infondato. L’atto di gravame proposto dalla Procura della Repubblica presso detta sede, infatti, reca una critica essenziale del provvedimento in data 21 aprile 2020. Dopo aver richiamato il parere contrario espresso dallo stesso Pubblico Ministero il 15 aprile 2020 con riguardo alla richiesta del F. tendente ad ottenere la sostituzione della misura più afflittiva, l’atto di gravame indica, in forma sintetica, le ragioni di doglianza avverso l’ordinanza impugnata, enumerando le lacune motivazionali dell’atto con riferimento ai temi centrali da affrontare, relativi alla mancanza di mutamento delle condizioni di salute del detenuto alla mancanza di casi noti di contagio per Covid-19 presso il carcere di al fatto che il regime di alta sicurezza al quale il F. risultava sottoposto limitava, di per sé, il contatto con altri detenuti e con il personale dell’istituto. Sulla base delle censure avverso la motivazione, l’atto di appello avanza, conclusivamente, la richiesta di annullamento dell’ordinanza di sostituzione della misura cautelare, e di ripristino della custodia in carcere. L’atto di gravame, quindi, non è privo dei requisiti minimi, perché reca, oltre a un chiaro petitum, un’articolazione sufficiente a consentire al Tribunale di individuare agevolmente quali fossero i profili di censura formulati dal Pubblico Ministero. 2. Il secondo motivo del ricorso, con il quale sono state dedotte violazioni di legge, è infondato. Si reputa opportuno richiamare brevemente le disposizioni normative rilevanti. 2.1. Il D.L. 30 aprile 2020, n. 28, art. 2-ter, convertito dalla L. 25 giugno 2020, n. 70, è rubricato Misure urgenti in materia di sostituzione della custodia cautelare in carcere con la misura degli arresti domiciliari per motivi connessi all’emergenza sanitaria da COVID-19 . Il comma 1 dell’articolo stabilisce che quando, nei confronti di imputati per taluni titoli di reato, fra i quali il delitto di associazione di tipo mafioso di cui all’art. 416-bis c.p., le stata disposta la sostituzione della custodia cautelare in carcere con la misura degli arresti domiciliari per motivi connessi all’esigenza sanitaria da COVID-19, il pubblico ministero verifica la permanenza dei predetti motivi entro il termine di quindici giorni dalla data di adozione della misura degli arresti domiciliari e, successivamente, con cadenza mensile, salvo quando il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria comunica la disponibilità di strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta adeguati alle condizioni di salute dell’imputato. Il pubblico ministero, quando acquisisce elementi in ordine al sopravvenuto mutamento delle condizioni che hanno giustificato la sostituzione della misura cautelare o alla disponibilità di strutture penitenziarie o reparti di medicina protetta adeguati alle condizioni di salute dell’imputato, chiede al giudice il ripristino della custodia cautelare in carcere, se reputa che permangono le originarie esigenze cautelari. 2.2. Il comma 2 del predetto testo normativo stabilisce che il giudice, fermo quanto previsto dall’art. 299 c.p.p., comma 1, prima di provvedere sulla richiesta del pubblico ministero di cui al comma precedente, sente l’autorità sanitaria regionale, in persona del Presidente della Giunta della regione, sulla situazione sanitaria locale e acquisisce dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria informazioni in ordine all’eventuale disponibilità di strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta in cui l’imputato può essere nuovamente sottoposto alla custodia cautelare in carcere per le sue condizioni di salute. Il giudice provvede valutando la permanenza dei motivi che hanno giustificato l’adozione del provvedimento di sostituzione della custodia cautelare in carcere nonché di altre strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta idonei ad evitare il pregiudizio per la salute dell’imputato e, quando non è in grado di decidere allo stato degli atti, può disporre accertamenti in ordine alle condizioni di salute dell’imputato o procedere a perizia. 2.3. Il comma 3 del predetto testo normativo stabilisce che le disposizioni dello stesso articolo si applicano ai provvedimenti di sostituzione della misura della custodia cautelare con quella degli arresti domiciliari adottati successivamente al 23 febbraio 2020. 2.4. Così richiamata la recente novella, deve affermarsi che le sue predette disposizioni, aventi carattere di specialità rispetto a quelle generali contenute nel codice di procedura penale, non sono applicabili al caso in esame. Invero, ricorre il dato temporale, perché è pacifico che il provvedimento del Tribunale di Roma, di sostituzione della misura della custodia cautelare - cui il F. si trovava sottoposto - con quella degli arresti domiciliari, fu adottato il 21 aprile 2020, quindi in epoca rientrante nell’ambito di operatività delle suddette norme. Sul piano oggettivo, però, dai superiori richiami delle nuove norme emerge che esse sono volte a regolare l’iter procedimentale da seguire dopo che sia stata disposta la sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari per motivi connessi all’emergenza sanitaria da COVID-19. Iter finalizzato a verificare se sia sopravvenuto il mutamento delle condizioni che avevano determinato la sostituzione della misura e a farne disporre, eventualmente, il ripristino. L’applicazione delle nuove norme presuppone, quindi, che il provvedimento che ha disposto la sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere con la misura degli arresti domiciliari abbia acquistato carattere di stabilità, non sia soggetto, cioè, a impugnazioni, o che eventuali impugnazioni siano state rigettate. Nel caso qui in esame, invece, il provvedimento del Tribunale di Roma in data 21 aprile 2020, che sostituì la misura cautelare della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari, non ha ancora acquisito carattere di stabilità, ma è stato gravato da appello del Pubblico Ministero e ha dato luogo all’emissione del provvedimento del Tribunale di Roma in data 26 giugno 2020, a sua volta impugnato, appunto, dal difensore del prevenuto, con il ricorso per cassazione ora in valutazione. È evidente che il provvedimento ora citato, sebbene nel dispositivo contenga la frase dispone il ripristino della misura della custodia cautelare in carcere ha in realtà un contenuto riformatore - in linea con la natura e la funzione del procedimento di appello cautelare - del provvedimento di sostituzione del 21 aprile 2020. In altri termini, il provvedimento adottato dal Tribunale di Roma in data 26 giugno 2020 non si pone nel solco tracciato dalla nuova normativa speciale sopra richiamata, perché nel disporre il ripristino della misura più restrittiva non si pronuncia sulla base di un ipotetico dato innovativo, cioè di un mutamento delle condizioni che avevano determinato la sostituzione con gli arresti domiciliari, ma interviene nell’ordinaria dialettica fra provvedimenti di grado diverso, negando che le condizioni per la sostituzione della misura cautelare sussistessero già al momento in cui il Tribunale aveva adottato l’ordinanza del 21 aprile 2020 e così eliminando radicalmente, sul piano giuridico, tale primo provvedimento, con l’effetto proprio di una pronuncia riformativa. 3. Sono fondate le censure formulate nell’ambito del terzo e del quarto motivo di ricorso, riguardanti la motivazione dell’ordinanza impugnata e la mancanza di approfondimenti istruttori. Come già sopra ricordato, in tale ordinanza il Tribunale, a sostegno dell’affermazione di erroneità del provvedimento di sostituzione ivi gravato emesso il 21 aprile 2020, afferma che le compromesse condizioni di salute del prevenuto, sia pure gravi, erano risalenti e pregresse rispetto all’esecuzione della custodia carceraria di cui al provvedimento genetico ed osserva che dette condizioni di salute non erano incompatibili con il regime detentivo in atto presso il carcere di , nè la difesa aveva contestato, in generale, tale incompatibilità. Il Tribunale aggiunge, nel provvedimento qui impugnato, che nessuna problematica concreta, a dispetto di semplici indiscrezioni, era stata dimostrata presso il citato luogo di detenzione in regime di alta sicurezza con riferimento al rischio di contagio da Covid-19, nè si ricavavano elementi precipui da cui desumere che il F. non potesse essere curato in ambito penitenziario e si trovasse in situazione di altissimo pericolo di vita . Inoltre, nell’ordinanza qui impugnata, il Tribunale afferma che la difesa non ha neppure prospettato attuali problematiche di salute del prevenuto che necessitano di approfondimenti sanitari . Deve allora ritenersi, in sede di legittimità, che l’ordinanza del Tribunale in data 26 giugno 2020 risulta, così, priva di adeguata motivazione sui punti che hanno rilievo decisivo. Il provvedimento, per un verso, non espone compiutamente le fonti del proprio convincimento sulla compatibilità delle condizioni di salute attuali del F. con il regime detentivo presso il carcere di , e non è soddisfacente nell’ancorare la propria valutazione al fatto che tali condizioni erano pregresse all’esecuzione della custodia carceraria. Il provvedimento, per altro verso, mostra di non aver condotto una specifica attività istruttoria circa il livello di rischio di contagio da COVID-19 presso il carcere di , limitandosi ad osservare che non era stata dimostrata, sul punto alcuna problematica concreta . Inoltre, il Tribunale, nell’affermare che la difesa non ha neppure prospettato problematiche di salute che necessitano di approfondimenti sanitari da parte dello stesso Tribunale, mostra di non aver tenuto conto che quest’ultimo, avendo già ricordato la gravità della situazione di salute del F. , avrebbe dovuto accertare, indipendentemente da una specifica richiesta, se fossero configurabili condizioni capaci di aggravare ulteriormente tale situazione di salute, anche alla luce della notoria emergenza sanitaria. 4. In base alle considerazioni sopra esposte, l’ordinanza qui impugnata deve essere annullata e gli atti vanno trasmessi, per nuovo esame da compiere senza incorrere nei vizi riscontrati, allo stesso Tribunale di Roma, competente ai sensi dell’art. 310 c.p.p. e art. 309 c.p.p., comma 7. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Roma competente ai sensi dell’art. 310 c.p.p. e art. 309 c.p.p., comma 7.