Indebita percezione di erogazioni ai danni dello Stato e (in)applicabilità dell’art. 131-bis c.p.

In presenza di un importo complessivo che superi di due volte la soglia di punibilità si deve escludere di essere in presenza di una condotta di particolare tenuità del fatto, inoltre in presenza di un reato a consumazione prolungata e di reiterate violazioni, appare irrilevante la particolare tenuità di ogni singola condotta poiché in presenza di un comportamento abituale ogni singola azione od omissione aggrava l’offesa al bene giuridico tutelato.

La Cassazione sentenza n. 35274/20, depositata il 10 dicembre annulla con rinvio la sentenza impugnata che aveva ritenuto applicabile la disciplina dell’ art. 131- bis c.p. in ipotesi di indebita compensazione da parte del datore di lavoro di ritenute non effettuate a lavoratrici madri per un importo pari al triplo della soglia di punibilità di cui all’art. 316- ter c.p L’indebita percezione di erogazioni ai danni dello stato. Nel caso giudicato nella vicenda in esame, l’imputato aveva dedotto in compensazione all’INPS un importo di circa 14.000,00 euro per somme solo asseritamente versate a dipendenti lavoratrice madri. Il tribunale aveva correttamente inquadrato la fattispecie nella ipotesi di cui all’art 316- ter c.p., ma all’esito del processo aveva ritenuto applicabile al caso in esame il disposto dell’ art. 131- bis c.p., osservando come le dipendenti avevano comunque successivamente ottenuto il pagamento di quanto loro dovuto, insinuandosi al passivo del fallimento e che, in conseguenza, l’INPS non aveva avuto alcun danno concreto dalla condotta posta in essere dall’imputato. I Giudici di merito avevano, altresì, osservato come la cornice edittale della fattispecie di cui all’art. 316 ter c.p. consentisse l’applicazione dell’art. 131- bis c.p., cui non ostava neppure, come riconosciuto da giurisprudenza di legittimità a Sezioni Unite, la previsione, nella fattispecie astratta, di una soglia di punibilità che risultava superata effettivamente in modo significativo, ma per effetto di una serie di condotte omissive tutte di modesta entità. Avverso la pronuncia propone ricorso per cassazione il Procuratore Generale, sostenendo che sia stato violato il disposto del suddetto art. 131- bis c.p. per aver ritenuto configurabile, nel caso di specie, sia la minima offensività del fatto che la occasionalità della condotta. I Giudici della Suprema Corte sono, dunque, chiamati a pronunciarsi sui criteri interpretativi corretti dei due suddetti parametri, cui la legge subordina l’operatività della causa di non punibilità di cui all’art. 131- bis c.p., in presenza di una fattispecie astratta a condotta frazionata o reiterata e caratterizzata dalla presenza di una soglia di punibilità che determina la penale rilevanza della condotta. I criteri giurisprudenziali per l’applicazione dell’art. 131- bis c.p Al fine di risolvere il quesito proposto gli Ermellini ripercorrono i canoni interpretativi che la giurisprudenza di legittimità ha dettato in ordine alla causa di non punibilità prevista nell’art. 131- bis c.p Osserva, infatti, la Cassazione che in recente pronuncia Cassazione penale, sez. VI, 01/07/2020, n. 22523 si è affermato che [l]a causa di esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto non si applica al reato di omesso versamento del contributo al mantenimento dei figli minori posto in essere con reiterati inadempimenti, in quanto l'abitualità del comportamento è ostativa al riconoscimento del beneficio ed essendo irrilevante la particolare tenuità di ogni singola azione od omissione. In motivazione, la Corte ha precisato che l'omesso versamento dell'assegno integra un reato a consumazione prolungata, caratterizzato dal fatto che ogni singolo inadempimento aggrava l'offesa al bene giuridico tutelato . Seppur non espressamente menzionata nella motivazione, va senza dubbio evidenziato che la Cassazione penale, sez. III, 03/03/2020, n. 17175, ha altresì chiarito che [i]n tema di reato di omesso versamento di ritenute previdenziali , ai fini dell'applicabilità della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all' art. 131-bis c.p. occorre tener conto dell'importo complessivo dei contributi non versati e della entità del superamento della soglia di punibilità . Trova invece esplicito richiamo Cassazione penale, sez. III, 20/02/2020, n. 16599 secondo cui [i]n tema di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi ai fini di evasione delle imposte, la causa di non punibilità prevista dall' art. 131-bis c.p. è applicabile laddove la omissione abbia riguardato un ammontare vicinissimo alla soglia di punibilità, fissata ad euro 50.000,00, in ragione del fatto che il grado di offensività che fonda il reato è stato valutato dal legislatore nella determinazione della soglia di rilevanza penale . Sottolineano, ancora, i Giudici del ‘Palazzaccio’ richiamando Cassazione penale, sez. IV, 17/10/2019, n. 44171 che la causa di non punibilità, di cui all' art. 131- bis c.p., risulta configurabile anche in relazione al reato di guida in stato di ebbrezza , in quanto non incompatibile con la presenza di soglie di punibilità all'interno della fattispecie tipica, rapportate ai valori di tassi etilici accertati, anche ove, al di sotto della soglia di rilevanza penale, sussiste una fattispecie che integra un illecito amministrativo. Correttamente si osserva nella motivazione che le appena menzionate pronunce traggono le mosse dalla pronuncia a Sezioni Unite Cassazione penale, sez. un., 25/02/2016, n. 13681 secondo cui [a]i fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità, prevista dall'art. 131- bis c.p., il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell'art. 133, comma 1, c.p., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell'entità del danno o del pericolo e [l]'esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto è applicabile a qualsiasi reato che rientri nell'ambito di previsione astratta della norma, comprese le fattispecie caratterizzate da soglie quantitative minime per indicare la rilevanza del fatto o determinare la gravità dell'offesa del bene giuridico . La applicazione concreta dei criteri giurisprudenziali. Svolte tali premesse, osservano i Giudici della Suprema Corte come anche il Tribunale avesse correttamente ricostruito il contesto giurisprudenziale di riferimento, ma tuttavia non ne avesse fatto buon governo nella applicazione al caso di specie. Ferma, infatti, la astratta applicabilità della causa di non punibilità in esame alla fattispecie di cui all’art. 316- ter c.p., anche in presenza di una soglia di punibilità, evidenzia la Cassazione come la somma complessiva dedotta in compensazione e non versata – pari ad oltre 13.000,00 – si concreti in un importo ben superiore ad oltre due volte la predetta soglia . Inoltre, la condotta, lungi dall’apparire episodica ed occasionale, appare strutturata nel tempo, con cadenza temporale ricorrente e ripetuta in relazione a ben due lavoratrici madri. Già tali argomenti, osserva la Corte, rendono evidente la erronea applicazione dei canoni ermeneutici operata dal giudice di merito. Erronea interpretazione che risulta ancora più evidente laddove si analizzi la struttura della fattispecie delittuosa di cui all’art. 316- ter c.p Natura del delitto di cui all’art 316- ter c.p Osserva, infatti, la Cassazione come la soglia di punibilità prevista nell’art. 316- ter c.p. non sia configurata quale condizione obbiettiva di punibilità, ma integri un elemento costitutivo della fattispecie e, in quanto tale debba, essere oggetto del fuoco del dolo e, dunque, di rappresentazione e volontà da parte del soggetto agente. Ciò nonostante, prosegue la Corte, il reato si perfeziona nel momento in cui il datore di lavoro, presentando i DM10 con l’indicazione di aver corrisposto le indennità di maternità – in realtà non versate –, ottiene il versamento di contributi ridotti in virtù del conguaglio, in verità non spettante. La fattispecie si struttura, dunque, come reato di pericolo e non di danno. La dedotta mancanza di un danno concreto per l’ente pubblico – come evidenziata dai giudici di merito, in quanto le dipendenti hanno ottenuto il pagamento delle somme dovute dalla procedura concorsuale – attiene, dunque, alla stessa struttura della fattispecie criminosa, che si distingue proprio dalla più grave ipotesi di truffa che richiede, invero, anche la presenza di artifici e raggiri a danno dello Stato in quanto non prevede tale evento di danno. Di fronte a tali dati, alla entità della somma complessiva indebitamente dedotta in compensazione ed alla reiterazione costante nel tempo della condotta per ben due lavoratrici madri, appare evidente, osserva la Cassazione, come abbia errato il giudice di merito nel ritenere la condotta caratterizzata sia dalla occasionalità, che dalla particolare tenuità. La sentenza viene, dunque, annullata con rinvio di fronte ad altra sezione del tribunale di primo grado.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 20 ottobre – 10 dicembre 2020, n. 35274 Presidente Costanzo – Relatore Giordano Ritenuto in fatto 1. Il Procuratore generale presso la Corte di appello di Firenze impugna la sentenza con la quale, applicato l’art. 131 bis c.p., il giudice monocratico del Tribunale di Livorno ha dichiarato non punibile B.A. , in relazione al reato di cui all’art. 316 ter c.p Il ricorrente denuncia l’erronea applicazione della legge penale in relazione alla sussistenza dei presupposti costitutivi della causa di non punibilità sia sotto il profilo della minima offensività del fatto che della reiterazione della condotta. Il danno cagionato non può ritenersi di esiguo ammontare dal momento che la soglia di punibilità del reato è stata superata in misura superiore al triplo e che le somme recate in compensazione e non versate alle lavoratici dipendenti che l’hanno conseguita solo in seguito al fallimento della ditta di cui l’imputato era titolare era pari ad Euro 13.843,00. Nè ricorre, in presenza di condotte plurime, realizzate sia nei confronti di più dipendenti che periodicamente, cioè in occasione della presentazione delle dichiarazioni mensili di avere erogato i trattamenti previdenziali, la non abitualità del comportamento. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato e, pertanto, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Livorno. 2. Il Tribunale, sulla scorta dei dati documentali - la copia dei modelli DM10 - e delle dichiarazioni rese dalla teste ha ritenuto accertato che l’imputato, in qualità di liquidatore della società OMISSIS s.r.l., ha portato indebitamente a credito nei confronti dell’INPS le somme che aveva dichiarato di avere anticipato nei confronti di due dipendenti, a titolo di indennità ex L. n. 388 del 2000, e di maternità facoltativa ma si è accertato che in effetti, egli non aveva mai eseguito tali erogazioni in favore delle lavoratici in un arco temporale intercorrente dal giugno al dicembre 2012 e dal giugno a settembre 2012 e per un importo complessivamente ascendente ad oltre 14.000,00 Euro tanto è vero che le lavoratici si sono inserite nel passivo fallimentare conseguendo solo per tale via quanto di loro spettanza. Il Tribunale ha ritenuto che, consentendolo l’entità della pena prevista dalla fattispecie incriminatrice, l’offesa recata in concreto al bene giuridico protetto poteva ritenersi di particolare tenuità in assenza di un danno concreto arrecato alle dipendenti che avevano conseguito quanto di spettanza insinuandosi nel passivo del fallimento della esiguità del danno e del pericolo derivato dalla condotta e dal comportamento dell’imputato potendosi escludere, in ragione della sua incensuratezza, che si versasse in ipotesi di comportamento abituale. 3. Rileva la Corte che è certamente corretto l’inquadramento sistematico nella sentenza impugnata, come istituto penale di carattere sostanziale, della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto recata dall’art. 131 bis c.p., inserito con il D.Lgs. 16 marzo 2015, n. 28. Le Sezioni Unite di questa Corte hanno individuato le coordinate che presidiano il giudizio di particolare tenuità del fatto enunciando che tale giudizio richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell’art. 133 c.p., comma 1, delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entità del danno o del pericolo. Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266590 . Le Sezioni Unite, con la sentenza indicata che riguardava il reato di guida in stato di ebrezza che prevede una soglia di punibilità in relazione ai valori alcolimetrici, hanno escluso che l’art. 131 bis c.p., non fosse configurabile anche in relazione a detto reato non essendo, in astratto, incompatibile, con il giudizio di particolare tenuità, la presenza di soglie di punibilità all’interno della fattispecie tipica. Sempre detta sentenza, tra le possibili ipotesi che configurano l’abitualità del comportamento, ha enucleato una particolare accezione di abitualità individuandola nell’ipotesi in cui l’autore, anche successivamente al reato per cui si procede, ha commesso almeno due illeciti, oltre quello preso in esame, ivi compresi anche distinti reati della stessa indole e anche ai reati in precedenza ritenuti non punibili ex art. 131 bis c.p 2. La successiva giurisprudenza di questa Corte ha approfondito le problematiche connesse all’applicabilità dell’art. 131 bis c.p., in relazione ai reati, come quelli tributari, caratterizzati dalla previsione della soglia di punibilità e con riferimento ai reati abituali ovvero a quelle fattispecie - si tratta in particolare della L. 8 febbraio 2006, n. 54, art. 3, - in cui la condotta illecita si realizza attraverso reiterate omissioni del contributo di mantenimento in favore dei figli. Con riguardo a questa fattispecie, che realizza propriamente un reato a consumazione prolungata, la Corte ha escluso l’applicabilità dell’art. 131 bis c.p., sul rilievo che trattandosi di reiterate violazioni, appare irrilevante la particolare tenuità di ogni singola omissione poiché si è in presenza di un comportamento abituale in cui ogni singolo inadempimento aggrava l’offesa al bene giuridico protetto Sez. 6, n. 11780 del 21/01/2020, P, Rv. 278722 . In materia tributaria, invece, acquista decisiva rilevanza, ai fini dell’applicabilità dell’art. 131 bis c.p., e in assenza di elementi ostativi, la misura dello scostamento dalla soglia prevista dal legislatore che deve essere di poco superiore Sez. 3, n. 15020 del 22/01/2019, Moiola Flavio, Rv. 275931 . Nella fattispecie relativa al reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 ter, in materia di I.V.A. è stata ritenuta configurabile la fattispecie attenuata in presenza di uno scostamento inferiore a diecimila Euro e pari al 4% della soglia stessa Sez. 3, n. 12906 del 13/11/2018, dep. 2019, Canella Livio, Rv. 276546 . È il legislatore, si osserva, ad avere valutato il grado di offensività nella determinazione della soglia di punibilità sicché il lieve scostamento dalla stessa è apprezzabile ai fini del giudizio di concreta offensività del fatto. 3. In presenza delle descritte coordinate giurisprudenziali che hanno offerto un ragionevole criterio di interpretazione dei parametri per ritenere configurabile la particolare tenuità del fatto, non sono condivisibili le conclusioni alle quali il giudice di merito è pervenuto nella vicenda oggetto di scrutinio. Nella vicenda in esame, a fronte della indicata soglia di punibilità ascendente a Euro 3.999,97, l’importo della somma che l’imputato ha portata a conguaglio con l’INPS per usufruire del credito con l’istituto di assicurazione, sulla scorta della dichiarazione di avere corrisposto le previste indennità alle lavoratrici aventi diritto, effettivamente non corrisposte, è di tale rilevanza, concretandosi in un importo complessivo due volte superiore alla soglia di punibilità, da doversi escludere ictu ocuii che si sia in presenza di una condotta connotata da particolare tenuità giustificata, come anticipato, in presenza di un lieve e poco superiore scostamento dalla soglia che il legislatore ha individuato ai fini della rilevanza penale del fatto. Dalla sentenza impugnata risulta, inoltre, che la condotta dell’imputato non è stata episodica ovvero occasionale ma è stata strutturata nel tempo essendo stata realizzata con cadenza temporale ricorrente nei mesi da giugno a dicembre 2012 e in conseguenza della mancata corresponsione delle indennità spettanti a due lavoratici, a titolo di indennità ai sensi della L. 388 del 2000 e di indennità di maternità facoltativa. Anche a questo riguardo le valutazioni del giudice non sono in linea con la individuazione, quale parametro di offensività della condotta con il rilievo, negativo, che assume la singola condotta che aggrava l’offesa al bene giuridico protetto in ragione della sua replica nel tempo. 4. Da queste considerazioni discende l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Livorno che non ha fatto buon governo dei principi innanzi illustrati ai fini della valutazione della ricorrenza della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto. 6. Cionondimeno il Collegio ritiene necessarie alcune precisazioni che concernono, con riguardo al reato di cui all’art. 316 ter c.p., come ritenuto, sia la natura giuridica della soglia di punibilità del reato che la struttura del reato in esame e, non ultima, la sua natura. La giurisprudenza di questa Corte ha, infatti, precisato che la soglia di punibilità, in relazione al reato di cui all’art. 316 ter c.p., non si configura quale condizione obiettiva di punibilità, ma è elemento costitutivo della fattispecie, e come tale, deve essere oggetto di rappresentazione e volontà da parte dell’agente Sez. 6, n. 38292 del 14/07/2015, Pg in proc. Trevisan, Rv. 264609 . La condotta materiale del reato e la possibilità stessa di ritenere che si sia in presenza di condotta costituente reato, in relazione all’entità della somma portata a conguaglio, che la sentenza impugnata ha cumulativamente ricostruito, è strettamente correlata alla natura della prestazione o erogazione oggetto di addebito. Rispetto alla fattispecie di truffa, il delitto di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato ex art. 316 ter c.p., è integrato dalla condotta del datore di lavoro che, esponendo falsamente di aver corrisposto al lavoratore somme a titolo di indennità per malattia, assegni familiari e cassa integrazione guadagni, ottenga dall’I.N.P.S. il conguaglio di tali somme, in realtà non corrisposte, con quelle da lui dovute a titolo di contributi previdenziali e assistenziali, così percependo indebitamente dallo stesso istituto le corrispondenti erogazioni Sez. 2, n. 51334 del 23/11/2016, Sechi, Rv. 268915 . Infatti l’erogazione, rilevante ai fini dell’elemento costituivo del reato, può consistere semplicemente nell’esenzione del pagamento di una somma altrimenti dovuta, e non deve necessariamente consistere nell’ottenimento di una somma di denaro. Il reato, inoltre, si consuma nel momento in cui il datore di lavoro provvede a versare all’INPS sulla base dei dati indicati sui modelli DM10 i contributi ridotti per effetto del conguaglio cui non aveva diritto, venendo così, tramite il mancato pagamento di quanto altrimenti dovuto, a percepire indebitamente l’erogazione dell’ente pubblico. Ne deriva che, attraverso una precisa ricostruzione in fatto, che non si evince dalla sentenza impugnata che, come anticipato, indica solo l’ammontare finale delle somme indebitamente portate a conguaglio, devono essere ricostruite le singole percezioni mensili, genericamente indicate come consumate nei mesi da giugno a dicembre 2012 e con riferimento alle singole percettrici dei contributi portati in detrazione. Questa Corte, ai fini del superamento della soglia di punibilità, ha già escluso che si possa tener conto dell’ammontare complessivo dei contributi di maternità ed in favore del nucleo familiare fittiziamente erogati e successivamente detratti dai contributi dovuti all’INPS, dovendosi tener conto delle singole e distinte compensazioni poste in essere Sez. 6, n. 7963 del 26/11/2019, dep. 2020, Romano Grazia, Rv. 278455 . Va, infine, precisato, anche tenuto conto dei riferimenti sia della sentenza impugnata, che aveva riconosciuto il fatto di lieve entità in assenza di un danno arrecato alle dipendenti che avevano conseguito quanto di loro spettanza, che al ricorso del Procuratore generale, che, invece ha valorizzato il danno economico cagionato alle dipendenti e risarcito dal fallimento, che il reato in esame non è inquadrabile tra i reati di danno, bensì tra quelli di pericolo e che proprio la mancanza di un danno economico per l’ente pubblico oltre che la mancanza di artifici e raggiri che sono cosa diversa dalla mera falsa esposizione giustifica la sussunzione della condotta nella fattispecie di cui all’art. 316 ter c.p., cfr. Sez. 2, n. 41357 del 14/07/2015, P.M. in proc. Aschettino e altro, Rv. 264869 e ne spiega la differenza anche dal delitto di appropriazione indebita, in danno del lavoratore, dal momento che, secondo il meccanismo contributivo, il datore di lavoro anticipa ai lavoratori le somme poi portate in detrazione, al momento del conguaglio sicché difetta il presupposto del possesso delle somme indebitamente percepite. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Livorno.