Inammissibile l’impugnazione cautelare proposta dall’indagato via PEC

La Cassazione ha ribadito che le disposizioni di cui all’art. 83, comma 11, d.l. n. 18/2020, come convertito dalla l. n. 27/2020, circa l’utilizzo del mezzo telematico di trasmissione come unico mezzo di deposito degli atti, si riferiscono esclusivamente ai procedimenti civili. Deve, dunque, escludersi ogni qualsivoglia disposizione organizzativa dei capi degli uffici giudiziari che estenda tale modalità anche ai procedimenti penali.

Così con sentenza n. 34676/20, depositata il 4 dicembre. L’imputato ricorre per cassazione chiedendo l’annullamento del provvedimento del Tribunale che aveva dichiarato l’ inammissibile l’appello proposto avverso l’ordinanza di diniego di sostituzione della misura cautelare perché trasmesso via PEC . Ritenuto il ricorso inammissibile, la Cassazione chiarisce che l’art. 83, comma 11, d.l. n. 18/2020, convertito dalla l. n. 27/2020 , contenente misure urgenti per contrastare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 in materia di giustizia penale, civile, tributaria e militare, nel prevedere l’utilizzo del mezzo telematico di trasmissione come unico mezzo di deposito degli atti, per i soli uffici che hanno già attivato il servizio di deposito telematico degli atti, si riferisce esclusivamente ai procedimenti civili . Ne discende, prosegue la Corte, che il rifermento alla trasmissione degli atti urgenti contenuto nelle disposizioni organizzative dei capi degli uffici giudiziari non può ritenersi esteso ai mezzi di impugnazione previsti nei procedimenti penali , soprattutto non essendo ancora stato istituito il c.d. fascicolo penale telematico . Pertanto, la Cassazione considera la decisione impugnata conforme al principio di tassatività ed inderogabilità delle forme stabilite dalla legge per la presentazione dei mezzi di impugnazione , che esclude l’ammissibilità dell’impugnazione cautelare proposta dall’indagato mediante l’uso della PEC , in quanto le modalità contemplate dall’art. 583 c.p.p. devono ritenersi tassative e non ammettono equipollenti.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 3 novembre – 4 dicembre 2020, n. 34676 Presidente Petruzzellis – Relatore Amoroso Ritenuto in fatto 1. Con il provvedimento in epigrafe, il Tribunale di Venezia, adito ai sensi dell’art. 310 c.p.p., ha dichiarato l’inammissibilità dell’appello proposto dal ricorrente avverso l’ordinanza emessa in data 10/04/2020 dal G.i.p. del Tribunale di Rovigo con la quale è stata respinta la richiesta di sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari applicata nei confronti del ricorrente. 2. Con atto a firma del difensore di fiducia, il M. chiede l’annullamento del provvedimento, deducendo violazione di legge e vizio della motivazione per avere il Tribunale dichiarato l’inammissibilità dell’appello perché trasmesso a mezzo PEC e non presentato nelle forme previste per le impugnazioni dagli artt. 582 e 583 c.p.p., richiamate anche per il procedimento cautelare ex art. 309 c.p.p., comma 4. Si duole il ricorrente, innanzitutto, del fatto che il Tribunale aveva preso sicura cognizione dell’atto trasmesso via PEC, avendo fissato l’udienza camerale del 27 maggio 2020 in secondo luogo, perché l’appello è stato trasmesso via PEC in data 17 aprile 2020 nel rispetto dei diversi provvedimenti organizzativi emessi dal Presidente del Tribunale che prevedevano il deposito degli atti urgenti tramite posta certificata, come da provvedimenti presidenziali organizzativi per fronteggiare l’emergenza pandemica allegati in copia il primo in data 12/03/2020, l’ultimo del 24/04/20 . Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile, per manifesta infondatezza. Sì deve osservare che il D.L. 17 marzo 2020, n. 18, art. 83, comma 11, conv. dalla L. 24 aprile 2020, n. 27, contenente le misure urgenti per contrastare l’emergenza epidemiologica da Covid-19 in materia di giustizia penale, civile, tributaria e militare, nel prevedere l’utilizzo del mezzo telematico di trasmissione come unico mezzo di deposito degli atti, per i soli uffici che hanno già attivo il servizio di deposito telematico degli atti, si riferisce esclusivamente ai procedimenti civili, poiché richiama le disposizioni della D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 16-bis, comma 1-bis, convertito dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221, che riguarda il deposito telematico degli atti nei procedimenti civili, contenziosi e di volontaria giurisdizione innanzi ai tribunali e innanzi alle corti di appello, con le modalità previste dalla normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. Quindi, il riferimento alla trasmissione degli atti urgenti contenuto nelle disposizioni organizzative dei capi degli uffici giudiziari non può certamente ritenersi esteso ai mezzi di impugnazione previsti nei procedimenti penali, in assenza di una disposizione di legge che lo preveda, non essendo peraltro neppure ancora stato istituito il c.d. fascicolo penale telematico vedi sul punto, Sez. 5, n. 12949 del 05/03/2020, Rv. 279072 , così che sarebbe senz’altro contraria alla legge una disposizione organizzativa che avesse autorizzato per la proposizione dei mezzi di impugnazione forme diverse ed alternative rispetto a quelle legali. Peraltro, si deve rilevare l’assoluta genericità del motivo di ricorso che non indica in quale parte dei numerosi e articolati provvedimenti organizzativi del Presidente del Tribunale di Venezia si possa ritenere che sia stato autorizzato il deposito a mezzo PEC per la proposizione dell’appello cautelare previsto dall’art. 310 c.p.p., non essendo evidentemente sufficiente l’allegazione dei predetti provvedimenti presidenziali ed il richiamo generico del loro intero contenuto a soddisfare il requisito della specificità delle ragioni in fatto ed in diritto che condiziona l’ammissibilità del ricorso, essendo onere di chi adduce l’esistenza di una determinata disposizione regolamentare, non costituente fonte di legge, indicarne in modo puntuale gli estremi per consentirne l’individuazione, in specie quando si tratti di testi composti da numerosi articoli. La decisione impugnata è comunque in linea con il principio di tassatività ed inderogabilità delle forme stabilite dalla legge per la presentazione dei mezzi di impugnazione che esclude l’ammissibilità dell’impugnazione cautelare proposta dall’indagato mediante l’uso della posta elettronica certificata c.d. PEC , in quanto le modalità di presentazione e di spedizione dell’impugnazione, disciplinate dall’art. 583 c.p.p. - espressamente richiamato dall’art. 309, comma 4, che, a sua volta, è richiamato dall’art. 310 c.p.p., comma 2, - sono tassative e non ammettono equipollenti, stabilendo soltanto la possibilità di spedizione dell’atto mediante lettera raccomandata o telegramma, al fine di garantire l’autenticità della provenienza e la ricezione dell’atto, mentre nessuna norma prevede la trasmissione mediante l’uso della PEC Sez. 3 n. 38411 del 13/04/2018, Rv. 276698 Sez.1, n. 16356 del 20/03/2015, Piras, Rv. 263321 . 2. Dalla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente, oltre che al pagamento delle spese del procedimento, anche a versare una somma, che si ritiene congruo determinare in tremila Euro. La cancelleria provvederà agli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.