La rinuncia a crediti certi ed esigibili configura la bancarotta “riparata”

Ai fini della configurabilità della bancarotta riparata è necessaria un’attività di integrale reintegrazione del patrimonio della società intervenuta prima della dichiarazione di fallimento della stessa, attività che può essere astrattamente integrata anche da un accordo con cui l’imputato rinunci a crediti certi ed esigibili verso la società.

Questo l’oggetto della sentenza della Suprema Corte n. 34290/20, depositata il 2 dicembre. Il Tribunale di Como dichiarava l’imputato responsabile del reato di bancarotta fraudolenta per distrazione , decisione poi confermata dalla Corte d’Appello di Milano che riduceva la durata delle pene accessorie. L’imputato impugna la suddetta pronuncia dinanzi alla Corte Suprema, sostenendo, tra i diversi motivi, la sussistenza di una transazione tra lui e la società in questione che, se intervenuta nel corso della procedura concorsuale, avrebbe escluso l’imputazione, poiché incidente sull’elemento psicologico del reato e sotto il profilo della bancarotta riparata . I Giudici di legittimità accolgono il ricorso dell’imputato, osservando come il Giudice di seconde cure avesse escluso che la transazione di cui parla il ricorrente, contenente la rinuncia da parte sua all’indennità di buona uscita e ad altre voci stipendiali, potesse essere ricondotta agli effetti della bancarotta riparata, poiché l’imputato aveva sì rinunciato a quelle pretese ma senza restituire i beni distratti prima della dichiarazione di fallimento. Ciò premesso, gli Ermellini evidenziano che la transazione è intervenuta prima del fallimento e che, in base a consolidato orientamento giurisprudenziale, la bancarotta riparata si configura quando la sottrazione dei beni venga annullata da un’attività di segno contrario, che reintegri il patrimonio dell’impresa prima della soglia cronologica costituita dalla dichiarazione di fallimento, così annullando il pregiudizio per i creditori o anche solo la potenzialità di un danno . Ora, secondo i Giudici di legittimità, la Corte d’Appello ha escluso la restituzione dei beni oggetto di distrazione in termini del tutto apodittici , non avendo considerato che non è necessario restituire il singolo bene in oggetto che nel caso di specie consiste in denaro ma, ai fini della configurabilità della bancarotta riparata, che determina l’insussistenza dell’elemento materiale del reato, è sufficiente un’ attività di integrale reintegrazione del patrimonio della società prima della dichiarazione di fallimento, la quale potrebbe ben essere integrata dalla rinuncia a crediti certi ed esigibili . Per questo motivo, la Corte annulla la sentenza impugnata e rinvia gli atti ad altra sezione della Corte d’Appello.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 2 ottobre – 2 dicembre 2020, n. 34290 Presidente Bruno – Relatore Caputo Ritenuto in fatto 1. Con sentenza deliberata il 16/05/2017, il Tribunale di Como dichiarava C.F. responsabile del reato di bancarotta fraudolenta per distrazione perché, quale componente del c.d.a. di omissis s.r.l., dichiarata fallita il 18/03/2015, distraeva risorse della società per circa 78 mila Euro utilizzando a più riprese la carta di credito aziendale per acquisti di beni e servizi estranei alle necessità dell’impresa e, con le circostanze attenuanti generiche e la circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità prevalenti sulla contestata aggravante della pluralità dei fatti di bancarotta, lo condannava alla pena condizionalmente sospesa - di anni 1 e mesi 8 di reclusione, nonché alle pene accessorie di cui alla L. Fall., art. 216, u.c Investita dal gravame dell’imputato, la Corte di appello di Milano, con sentenze deliberata il 15/03/2019, ha ridotto ad anni 3 la durata delle pene accessorie e ha confermato nel resto la sentenza di primo grado. 2. Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Milano ha proposto ricorso per cassazione C.F. , attraverso il difensore Avv. Andrea Panzeri, articolando quattro motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1. 2.1. Il primo motivo denuncia vizi di motivazione in ordine alla sussistenza delle distrazioni contestate in contrasto con quanto dichiarato dai testi, la sentenza impugnata ritiene non credibile la spendita della somme in favore della società per gli scopi indicati dai testi, tanto più che pacificamente l’imputato poteva utilizzare la carta per poter fruire di qualche beneficio. 2.2. Il secondo motivo denuncia vizi di motivazione in ordine alla sussistenza del dolo la sentenza impugnata non è motivata circa la consapevolezza dell’imputato in merito alla situazione di pericolo concreto ricollegata ai fatti contestati, anche in considerazione dell’ampio lasso di tempo intercorso tra gli stessi e la sentenza dichiarativa di fallimento, dell’impossibilità dell’imputato di intervenire sulla gestione dei successivi amministratori, dell’esiguità delle somme distratte. 2.3. Il terzo motivo denuncia violazione di legge e vizi di motivazione in ordine alla valutazione della transazione tra il ricorrente e la società del 05/10/2013, che, se intervenuta nel corso della procedura concorsuale, avrebbe escluso l’imputazione, influendo sull’elemento psicologico del reato e sotto il profilo della bancarotta riparata e della scriminante di cui all’art. 50 c.p 2.4. Il quarto motivo denuncia erronea applicazione della legge in relazione alla mancata derubricazione nel reato di bancarotta semplice. Considerato in diritto 1. Il ricorso deve essere accolto, per le ragioni e nei termini di seguito indicati. 2. Il primo motivo è inammissibile. La Corte distrettuale ha congruamente motivato l’inverosimiglianza della tesi difensiva, rilevando, da una parte, come non sia cedibile che un’azienda di grandi dimensioni effettuasse pagamenti in contante e, dall’altra, come la carta di credito fosse stata maggiormente utilizzata nei periodi di rallentamento dell’attività di impresa il periodo estivo, quello natalizio ha aggiunto il giudice di appello che l’imputato non ha dimostrato che le spese sostenute in rinomate località di villeggiatura estiva o invernale avessero finalità aziendali, nè ha indicato i destinatari dei capi di abbigliamento firmati acquistati con la carta di credito e neppure che i prelievi erano stati autorizzati. Il motivo, per un verso, risulta del tutto generico, in quanto carente della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, Pezzo, Rv. 253849 e, per altro verso, sostanzialmente deduce questioni di merito, sollecitando una rivisitazione esorbitante dai compiti del giudice di legittimità della valutazione del materiale probatorio che la Corte distrettuale ha operato, sostenendola con motivazione coerente con i dati probatori richiamati ed immune da vizi logici. 3. Il terzo motivo, da esaminare a questo punto in ordine di priorità logica, afferendo all’elemento oggettivo del reato, deve essere accolto. La Corte di appello ha escluso che alla transazione con la quale C. ha rinunciato all’indennità di buona uscita e ad altre voci stipendiali siano associabili gli effetti della c.d. bancarotta riparata , in quanto l’imputato ha rinunciato a quelle pretese ma non ha restituito i beni distratti prima della dichiarazione di fallimento . Premesso che, dalla sentenza di primo grado risulta che la transazione è intervenuta il 05/10/2013 tra l’imputato e omissis s.r.l. prima del fallimento, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, la bancarotta riparata si configura, determinando l’insussistenza dell’elemento materiale del reato, quando la sottrazione dei beni venga annullata da un’attività di segno contrario, che reintegri il patrimonio dell’impresa prima della soglia cronologica costituita dalla dichiarazione di fallimento, così annullando il pregiudizio per i creditori o anche solo la potenzialità di un danno Sez. 5, n. 52077 del 04/11/2014, Lelli, Rv. 261347 , sicché l’attività di segno contrario che annulli la sottrazione deve reintegrare il patrimonio dell’impresa prima della dichiarazione di fallimento, evitando che il pericolo per la garanzia dei creditori acquisisca effettiva concretezza Sez. 5, n. 50289 del 07/07/2015, Mollica, Rv. 265903 . La Corte di appello non ha fatto buon governo dei principi di diritto richiamati sottraendosi alla necessaria valutazione circa la fondatezza delle pretese e, segnatamente, circa l’individuazione dell’entità delle spettanze dell’imputato, la natura dei crediti vantati e la posizione degli stessi rispetto a quelli ammessi alla procedura fallimentare e, dunque, delle somme risparmiate dalla società e dalla procedura fallimentare in virtù dell’accordo transattivo, il giudice di appello ha escluso la restituzione dei beni oggetto di distrazione in termini del tutto apodittici. Invero, come si è detto, ai fini della configurabilità della bancarotta riparata non è necessario la restituzione del singolo bene sottratto peraltro, nel caso di specie, fungibile, trattandosi di denaro , come mostra di credere il giudice di appello, ma un’attività di integrale reintegrazione del patrimonio della prima anteriore alla declaratoria di fallimento attività che ben potrebbe astrattamente essere integrata da una rinuncia a crediti certi ed esigibili. Pertanto, assorbite le ulteriori doglianze, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo esame ad altra Sezione della Corte di appello di Milano. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte d’appello di Milano per nuovo esame.