Versamento delle ritenute effettuato tramite compensazione…

La condotta omissiva di cui all’art. 10-bis del d.lgs. n. 74/2000 non potrà essere sanzionata nell’ipotesi in cui la soglia di punibilità non risulti superata seppur a seguito della effettuazione di compensazioni successivamente rivelatesi inesistenti, dovendo in tal caso autonomamente procedersi nei confronti dello stesso soggetto agente ma per la diversa ipotesi di reato di cui all’art. 10-quater del d.lgs. n. 74/2000, con conseguente statuizione assolutoria, perché il fatto non costituisce reato, per la fattispecie omissiva.

Il caso. La Corte d’Appello di Milano confermava, in punto di affermazione della penale responsabilità, la statuizione di prime cure con cui il Tribunale di Milano aveva condannato B.E. alla pena ritenuta di giustizia per il reato di cui all’articolo 10- bis del d.lgs. n. 74/2000, ovvero omesso versamento di ritenute dovute o certificate. In particolare, secondo la prospettazione accusatoria, l’imputata, nella qualità di legale rappresentante pro tempore della V. S.r.l., avrebbe omesso il versamento di una somma – dalla stessa trattenuta quale sostituto di imposta – pari a circa 557mila euro. Avverso la sentenza de qua, B.E. ricorreva per Cassazione, sostanzialmente deducendo due differenti profili di gravame, l’uno di tipo sostanziale e l’altro di tipo procedurale in primis , contestava sia la determinazione dell’ammontare delle somme evase che l’accertamento delle modalità attraverso cui si sarebbe stata realizzata l’evasione tributaria in secundis , eccepiva il travalicamento, da parte del giudice di prime cure, dei poteri di integrazione istruttoria allo stesso concessi ex art. 441, comma 5, c.p.p. . Il versamento delle ritenute effettuato tramite compensazioni con crediti inesistenti. La Suprema Corte, nel valutare la fondatezza del primo motivo di ricorso, ha preliminarmente osservato come nel caso di specie dei 557mila euro di evasione contestata, la parte principale – pari a circa 500mila euro – era risultata essere stata versata tramite la presentazione di modelli F24 con i quali erano stati indicati in compensazione crediti successivamente rivelatisi inesistenti, mentre solo per la parte restante, cioè 57mila euro, vi era stata una vera e propria omissione tributaria. Donde, la Corte di Appello aveva errato nel valutare l’importo complessivo delle imposte non versate come superiore alla soglia di punibilità ex lege prevista per la fattispecie delittuosa di cui all’articolo 10- bis del d.lgs. n. 74/2000, ovvero 150mila euro, in quanto l’effettiva omissione di versamento all’Erario delle somme trattenute come sostituto di imposta era pari a sole 57mila euro, considerato che per la parte residua, pari a circa 500mila euro, il versamento – benché effettuato attraverso una compensazione con crediti successivamente rivelatisi inesistenti – era stato comunque formalmente realizzato. Ragion per cui, affermano i Supremi Giudici, la sentenza di condanna ai sensi e per gli effetti della ipotesi delittuosa di omesso versamento delle ritenute deve essere necessariamente annullata, in quanto l’omissione propriamente detta è risultata essere al di sotto della soglia di punibilità, mentre per la restante parte la condotta appare essere riconducibile ad altra e diversa fattispecie di reato, e cioè quella prevista e punita dall’articolo 10- quater del d.lgs. n. 74/2000, di carattere non semplicemente omissivo ma fraudolentemente commissivo, ovvero caratterizzata da una abusiva compensazione dei debiti erariali con crediti non spettanti o, come nel caso de quo, addirittura inesistenti. Le conseguenze procedurali della violazione dell’articolo 516 c.p.p La riscontrata violazione dell’articolo 516 c.p.p., già presente nella sentenza di primo grado oltre che in quella oggetto di impugnazione in sede di legittimità, impone – ad avviso della Suprema Corte – un annullamento di entrambe le pronunce di merito, con conseguente trasmissione degli atti al Tribunale di Milano affinché si proceda a carico dell’imputata per il diverso fatto risultato a seguito del giudizio svoltosi a suo carico. Fermo restando il contestuale annullamento senza rinvio della sentenza della Corte di Appello in relazione alla imputazione ex art. 10- bis del d.lgs. n. 74/2000, in quanto il fatto non è previsto dalla legge come reato stante il non superamento della soglia di punibilità. La corretta applicazione dell’articolo 441 comma 5 c.p.p Il potere di integrazione probatoria derivante dalla norma de qua – da valutarsi in termini di analogia a quello che, ex art. 507 c.p.p., compete al giudice del dibattimento – può essere legittimamente esercitato dal Giudice del rito abbreviato allorquando lo stesso ravvisi l’indispensabilità di un approfondimento del thema probandum , ossia dei temi oggetto della imputazione e, pertanto, può avere ad oggetto sia la ricostruzione storica del fatto che la attribuibilità dello stesso all’imputato. L’unico limite è, infatti, rappresentato dalla eventuale – e non ammessa – esplorazione di itinerari probatori estranei allo stato degli atti formato dalle parti.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 18 settembre – 18 novembre 2020, n. 32392 Presidente Andreazza – Relatore Gentili Ritenuto in fatto La Corte di appello di Milano, con sentenza del 15 novembre 2019, ha confermato, quanto alla affermazione della penale responsabilità della prevenuta, la precedente sentenza del 22 gennaio 2029 con la quale il Tribunale di Milano aveva condannato B.E. , nella sua qualità di legale rappresentante della Viola Srl, in relazione alla ritenuta violazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-bis, per avere omesso il versamento, a titolo di imposta da lei trattenuta in qualità di sostituta, della somma di Euro 556.937,08, in tale misura ridotta la entità della somma il cui pagamento sarebbe stato omesso rispetto a quella indicata nell’originario capo di imputazione. La Corte di appello, preso atto del fatto che la sentenza di primo grado era stata emessa a seguito di giudizio celebrato nelle forme del rito abbreviato condizionato, cui aveva, peraltro, fatto seguito una serie di integrazioni probatorie disposte dal Gip ai sensi dell’art. 441 c.p.p., comma 5, e che la pena a carico della B. era stata determinata - ritenuta la continuazione fra la condotta di cui al capo di imputazione contestato nel presente procedimento e quella di cui ad altro giudizio conclusosi con sentenza del Tribunale di Milano del 1 febbraio 2016, divenuta definitiva nel marzo di quello stesso anno - in misura esuberante rispetto a quanto da essa Corte ritenuto di giustizia, ha comunque riformato, salvo il resto, la sentenza del giudice di primo grado in punto di pena irrogata, portandola, già essendo stata applicata la diminuente connessa alla scelta del rito, da mesi 6 di reclusione e mesi 3 di reclusione. Avverso detta sentenza ha interposto ricorso per cassazione la imputata, deducendo 6 motivi di impugnazione. Essi sono, in buona parte, legati al fatto, già censurato in sede di gravame, che il Gip, una volta dichiarata chiusa la discussione in sede di giudizio abbreviato, ha ripetutamente fatto uso del potere di integrare l’istruttoria svoltasi di fronte a lui, conferitogli dall’art. 441 c.p.p., comma 5, disponendo l’espletamento sia di prove testimoniali che talune acquisizioni documentali, in tal modo, ad avviso della ricorrente, travalicando i suoi poteri e trasformando il giudizio, rispetto al suo modello accusatorio, in un giudizio di tipo inquisitorio e, comunque, non provvedendo a decidere allo stato degli atti ma a seguito di un’articolata attività di indagine svolta nel corso del giudizio. La ricorrente ha, altresì, censurato la motivazione della sentenza emessa dalla Corte territoriale ambrosiana con riferimento sia alla determinazione dell’ammontare delle somme evase oggetto, peraltro, già nel corso del giudizio di primo grado di un sensibilissimo ridimensionamento , ed all’accertamento delle modalità attraverso le quali si sarebbe realizzata la evasione tributaria parte mediante omesso versamento di un importo pari a circa 57.000,00 Euro e parte mediante indebite compensazioni realizzate tramite la presentazione di mod. F24 per un importo pari a circa 449.000,00 la ricorrente si è anche doluta del fatto che la prova della consegna dei certificati ai sostituiti di imposta ha riguardato una ridottissima percentuale di essi e ciò non ha certamente consentito di verificare l’avvenuta omissione del versamento delle imposte dovute oltre il limite della soglia di punibilità prevista per il reato contestato. Con il sesto motivo di ricorso la ricorrente ha, infine, lamentato il fatto che la Corte territoriale ne abbia dichiarato la penale responsabilità, sebbene gli elementi a suo carico non fossero tali da fugare ogni ragionevole dubbio intorno alla effettiva sussistenza di quella. Considerato in diritto Il ricorso è fondato nei termini che saranno di seguito illustrati. Deve, ad avviso della Corte, preliminarmente chiarirsi un aspetto processuale che ha singolarmente caratterizzato il presente procedimento esso, infatti, celebrato nelle forme del rito abbreviato, il cui accesso era stato condizionato dalla parte richiedente all’espletamento della sola attività istruttoria consistente nell’acquisizione della sentenza emessa a carico della B. dal Tribunale di Milano in data 1 febbraio 2016, irrevocabile in data 18 marzo 2016, contraddistinta dal n. 986 del 2016, relativamente alla quale è stata dichiarata la sussistenza del rapporto di continuazione fra i fatti giudicati con quella ed il reato giudicato nel corso del presente procedimento, è stato, tuttavia, segnato da un assai intenso ricorso da parte del Tribunale ai poteri di integrazione istruttoria ad esso conferiti dall’art. 441 c.p.p., comma 5. Infatti, nel corso dello svolgimento della udienza preliminare, la quale si è sviluppata lungo diverse giornate tramite numerose convocazioni delle parti, il Gip del Tribunale di Milano ha emesso ben tre ordinanze con le quali ha di volta in volta disposto, in una circostanza, l’acquisizione di documentazione ritenuta rilevante presso l’Agenzia delle entrate, altra volta, la citazione, previa loro individuazione, di un certo numero di dipendenti della società amministrata dalla B. , affinché gli stessi fossero sentiti in udienza in relazione all’avvenuta corresponsione dei trattamenti economici in loro favore ed alla successiva consegna delle certificazioni del sostituto di imposta, infine, una terza volta, la citazione, previa sua individuazione, del professionista che ha curata la gestione contabile della predetta società. In ordine a siffatta, obbiettiva, singolarità procedimentale, tale da porre apparentemente in crisi il modello procedimentale per il quale l’imputato ha esercitato una formale opzione - modello procedimentale caratterizzato dal fatto con finalità evidentemente legate al soddisfacimento di generali esigenze di economia processuale, tali da rendere, perciò, ad esempio inammissibile, perché incompatibile con le predette esigenze, un’istanza di giudizio abbreviato condizionata allo svolgimento di un’ampia serie di attività istruttorie, cfr., infatti, a tal proposito Corte di cassazione, Sezione III penale, 11 febbraio 2015, n. 6175 che, con riguardo alla espressione del giudizio finale, il prevenuto accetta, a fronte di una contropartita consistente non considerando per ora l’alleggerimento sanzionatorio riguardante la pena dell’ergastolo in una assai significativa diminuzione della entità della sanzione della quale egli sarebbe stato, diversamente, meritevole diminuzione che, per effetto della parziale riforma attuata con l’entrata in vigore della L. n. 103 del 2017, è in caso di delitti pari, come in origine, ad un terzo della pena irroganda, mentre ascende sino alla metà della pena in caso di contravvenzioni , sia di rinunziare alle garanzie che gli sono apprestate per la fase acquisizione probatoria dibattimentale sia il fatto che siano utilizzabili ai fini della decisione gli atti assunti nel corso delle indagini preliminari, anche se per ipotesi caratterizzati da taluni vizi, purché non si tratti di nullità assolute o di quelli che sono stati, significativamente, definiti vizi da cui possano derivare inutilizzabilità patologiche degli atti di,indagine in tal modo assunti sulla distinzione, in ordine alla rilevabilità in esito a giudizio celebrato nelle forme del rito abbreviato, fra ipotesi di inutilizzabilità patologiche ed altre inutilizzabilità che tale crisma non abbiano cfr. Corte di cassazione, Sezione III penale 23 maggio 2018, n. 23182 idem Sezione II penale, 18 ottobre 2019, n. 42917 idem Sezione V penale, 20 novembre 2019, n. 47964 -sono stati articolati dalla ricorrente i primi due motivi di impugnazione. Gli stessi appaiono, tuttavia, infondati. Infatti, premesso che con essi la difesa della B. ha, in sostanza, lamentato il fatto che il Gip abbia, con il successivo benestare della Corte di appello, esteso, secondo l’avviso della ricorrente a dismisura, la portata applicativa dell’art. 441 c.p.p., comma 5, in forza del quale è consentito al giudice, nel corso del processo celebrato nelle forme del rito abbreviato, assumere anche di ufficio, ove ritenga di non potere decidere allo stato degli atti, gli elementi necessari ai fini della decisione , rileva il Collegio che la prassi applicativa di siffatta disposizione è stata, presso questa stessa Corte di legittimità caratterizzata dal fatto che il potere in questione può essere esercitato in ogni momento della procedura, anche nel corso della fase della discussione o anche dopo che questa si sia esaurita, qualora il giudice ravvisi l’indispensabilità di un approfondimento del thema probandum, ossia dei temi oggetto della imputazione Corte di cassazione, Sezione V penale, 2 maggio 2019, n. 18264 . Si è, sul punto, altresì precisato che il potere di integrazione probatorio conferito al giudice penale in caso di giudizio abbreviato è analogo a quello che, ai sensi dell’art. 507 c.p.p., compete al giudice del dibattimento ed è, parimenti ad esso, preordinato alla tutela dei valori costituzionali che devono presiedere - anche nei giudizi a prova contratta - all’esercizio della funzione giurisdizionale Corte di cassazione, Sezione VI penale, 17 gennaio 2029, n. 2164 . L’unico limite che incontra l’attività istruttoria svolta su impulso del giudice ai sensi dell’art. 441 c.p.p., comma 5, la quale ben può avere ad oggetto la ricostruzione storica del fatto e la attribuibilità di esso all’imputato cfr., per tutte Corte di cassazione, Sezione IV penale, 10 agosto 2015, n. 34702 , è dato dal fatto che questi non può in tal modo intraprendere l’esplorazione di itinerari probatori estranei allo stato degli atti formato dalle parti Corte di cassazione, Sezione V penale, 10 marzo 2025, n. 10096 idem Sezione V penale, 27 novembre 2014, n. 49568 idem Sezione III penale, 15 maggio 2014, n. 20237 . La descritta apparente distonia rispetto alle finalità che nel sistema sono proprie del giudizio abbreviato, derivante al fatto che, in sostanza, per effetto dell’art. 441 c.p.p., comma 5, viene resa, in linea di principio, possibile, ad istanza officiosa, la celebrazione, sotto le formali spoglie del giudizio abbreviato, di qualche cosa di molto simile ad un giudizio ordinario, è evidentemente giustificata dalla ricordata esigenza di far prevalere - onde rimuoverne i possibili risvolti patologici dovuti ad un non esauriente svolgimento delle indagini preliminari - rispetto alle ragioni di una modalità di accertamento della verità di tipo solo processuale, in quanto esclusivamente cristallizzato nel contento ipoteticamente non completo degli atti di indagine, quelle di un accertamento di tipo storico. Queste sono, infatti, suscettibili, onde rimuovere eventuali carenze istruttorie, di permettere di attingere nuovamente, ai fini dell’accertamento della verità effettiva, in maniera di così meglio assicurare la tutela inderogabile dei valori di carattere costituzionale che sottendono, in special modo in ambito penalistico, all’esercizio della funzione giurisdizionale - alle fonti ritenute utili per l’accertamento del fatto e per l’apprezzamento degli elementi in tal modo assunti al giudizio. Nè una tale metodica, ancorché apparentemente frutto della esigenza di rimediare ad una precedente insufficienza delle indagini preliminari, può costituire un elemento di rilevante pregiudizio se non sotto un profilo esclusivamente fattuale in danno della posizione dell’imputato che abbia chiesto l’accesso al rito abbreviato. Infatti, laddove non si voglia ritenere tutelabile la callida scelta dell’imputato di avere optato per tale forma di celebrazione del giudizio solo in quanto sia stata da lui verificata la insufficienza delle indagini preliminari ed a tale proposito non può non rilevarsi come nell’impianto originale del codice l’ammissione al rito abbreviato presupponeva, oltre al consenso del Pm suscettibile, peraltro, di essere sindacato dal giudice e tale, nel caso in cui esso fosse stato negato per ragioni non valide, da non escludere in favore dell’imputato richiedente l’effetto premiale dell’abbattimento della pena -, anche una favorevoleòdelibazione da parte del giudice stesso in ordine alla definibilità del procedimento allo stato degli atti si vedano, infatti, gli artt. 439 e 440 c.p.p. nel testo previgente abrogato per effetto della entrata in vigore della L. n. 479 del 1999 , sicché allo stato degli atti la sua responsabilità non sarebbe dimostrabile o, quanto meno, lo sarebbe non nei termini risultanti a seguito dell’attività di integrazione istruttoria svolta ad istanza del giudice e, comunque, nel corso del giudizio, è sufficiente osservare, onde dimostrare la insussistenza della lesione giuridicamente rilevante di una qualche posizione soggettiva dell’imputato, che la condizione del prevenuto, in una situazione del tipo di quello descritto, resta comunque pienamente salvaguardata attraverso la intangibilità del beneficio dell’abbattimento della pena da irrogare nei suoi confronti in caso di pronunzia di condanna. Si vuole, in altre parole, intendere che il vantaggio che l’imputato deve indefettibilmente conseguire una volta che egli abbia optato per la celebrazione del processo a suo carico nelle forme del rito abbreviato è esclusivamente legato alla riduzione della pena cui egli, in caso di sua condanna, sarà condannato. Non rientra, invece, nel perimetro in cui sono contenuti i benefici di cui l’imputato che abbia optato per il rito abbreviato potrebbe giovarsi il fatto che, essendo state malamente condotte le indagini preliminari, questi è stato condotto a giudizio senza che la pubblica accusa abbia già raccolto una serie di elementi, utilizzabili in sede di giudizio abbreviato, idonei a dimostrane la colpevolezza in giudizio, ben potendo, e legittimamente, porre rimedio ad una tale situazione il giudice dell’udienza preliminare, facendo tesoro della facoltà di integrazione istruttoria e dei connessi poteri, che gli sono conferiti dal ricordato art. 441 c.p.p., comma 5. Posto che nel caso che ora interessa le attività istruttorie disposte dal Gip di Milano, puntuali e precise nei loro contenuti e sufficientemente chiare quanto alle loro finalità dimostrative, non mostravano quella funzione di carattere meramente esplorativo chi esplora , infatti, non va in cerca di qualcosa di specifico ma è, semmai, pronto a registrare ed a catalogare, traendone le opportune conseguenze, le cose in cui, più o meno inaspettatamente, gli capiterà di imbattersi , che la giurisprudenza di questa Corte ritiene costituire il limite applicativo della potestà di cui all’art. 441 c.p.p., comma 5, deve concludersi, rilevando l’infondatezza sul punto del presente ricorso, che la potestà in questione è stata correttamente applicata nella presente fattispecie dal Tribunale di Milano e, pertanto, legittimamente la Corte territoriale ha rigettato i motivi di impugnazione con i quali era stato contestato sotto il descritto profilo l’operato del giudice di primo grado. Passando, a questo punto, al successivo gruppo di doglianze proposte dalla ricorrente, aventi ad oggetto la stessa avvenuta dimostrazione, in esito alla attività istruttoria sussidiariamente fatta svolgere in sede giudiziale, della sussistenza della condotta criminosa, della sua consistenza e della sua ascrivibilità all’imputata, rileva la Corte che le doglianze in questione, unitariamente considerate, sono fondate, nei termini che saranno a questo punto esposti. Infatti, deve ricordarsi che a carico della B. è stata contestata, in primo grado, la violazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-bis, per avere la stessa, in qualità di Amministratore unico di una determinata società di capitali, omesso di versare, con riferimento all’anno di imposta 2012, la somma di Euro 1.779.577,32, pari al coacervo degli importi da lei trattenuti, in quanto sostituto di imposta, sui trattamenti economici dalla medesima corrisposti nella citata qualità ai propri dipendenti e per come risultante dalle certificazioni dalla stessa rilasciati ai predetti dipendenti. Già nel corso del giudizio di primo grado è, peraltro, emerso che l’ammontare complessivo delle somme che la B. nella predetta qualità sarebbe stata tenuta, senza averlo correttamente fatto, a versare era in realtà pari ad Euro 556.937,08 di tale somma, va ancora precisato, il giudice del gravame aveva osservato che una ampia parte, pari ad Euro 499.495,06, era risultata in prima battuta essere stata versata tramite la presentazione di modelli F24 con i quali erano stati indicati in compensazione crediti successivamente rivelatisi insistenti, mentre per la restante parte, cioè Euro 57.442,02, vi era stata una vera e propria omissione tributaria. Tanto rilevato, la Corte di appello ha aggiunto che - essendo emerso che il complessivo valore finanziario,delle imposte non corrisposte dalla B. o meglio, come esplicitamente chiarito dalla Corte di Milano, in parte pacificamente non versate ed in, parte oggetto di indebita compensazione era superiore ad Euro 150.000,00 si sarebbe trattato di un importo che, comunque, resta ben al di sopra della soglia di punibilità prevista dalla legge . Tale affermazione, rileva la Corte, risulta essere, dati gli elementi di fatto accertati e dati per acquisiti in sede di merito, in contrasto con la vigente normativa. Ed invero, si osserva che la condotta contra legem attribuita, secondo quanto risultante dalla sentenza ora in scrutinio, alla B. si sarebbe realizzata attraverso due modalità operative. Per una parte, infatti, attribuisce alla B. l’effettivo omesso versamento all’Erario di quanto dalla stessa trattenuto in qualità di sostituito di imposta tale parte corrisponde, quanto all’ammontare della imposta non versata, alla somma di Euro 57.442,02 pei una restante parte, pari a poco meno di 450.000,00 Euro mille, si ascrive alla stessa il fatto di avere provveduto all’adempimento, evidentemente non liberatorio, della relativa obbligazione tributaria tramite l’avvenuta compensazione con crediti dalla stessa vantati, che successivamente si sono rivelati però inesistenti. Tanto considerato, osserva questa Corte, il fatto risultato in esito al giudizio appare essere materialmente diverso rispetto a quello descritto nel capo di imputazione. Infatti, mentre la mera omissione tributaria risulta essere pari ad Euro 57.442,02, somma che risulta essere ampiamente inferiore alla soglia di punibilità attualmente prevista per il reato contestato alla B. , pari ad Euro 150.000,00, soglia evidentemente applicabile alla fattispecie in quanto espressione di una scelta normativa più favorevole per la imputata di quella relativa alla disposizione vigente al momento del fatto in tale epoca, infatti, la soglia di punibilità era pari a solamente Euro 50.000,00 , la restante parte della somma che, in forza della imputazione a lei contestata, la B. non avrebbe versato, pari a quasi 450.000,00 Euro, ha formato oggetto di una compensazione operata, in apparente violazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-quater, utilizzando crediti inesistenti. Ora, sulla base degli elementi risultanti dalla sentenza impugnata, questa deve complessivamente essere annullata senza rinvio in quanto, per un verso, la omissione propriamente detta del versamento tributario è risultata essere al di sotto della soglia di punibilità, mentre, per la restante e preponderante parte, la condotta della imputata appare essere riconducibile non alla fattispecie criminosa a lei ascritta ma a tutt’altra ipotesi di delitto, appunto la violazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-quater, che è norma avente un contenuto diverso rispetto a quello contestato alla B. in quanto volta a reprimere una condotta - per ciò che attiene al profilo specificamente connesso al pagamento delle imposte e non considerando eventuali ulteriori precedenti attività -, di carattere non semplicemente omissivo ma, invece, fraudolentemente commissivo in quanto riferita alla operata abusiva compensazione fra poste tributaria passive e crediti vantati nei confronti dell’Erario o non spettanti ovvero, come ritenuto dai giudici del merito nel caso in esame, del tutto inesistenti. A tale più spiccata oggettività penale, essendo l’intento fraudolento espressione di una più intensa espressione del dolo, corrisponde, peraltro, un diverso e più severo trattamento sanzionatorio, essendo il massimo edittale previsto per la violazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-quater ben più elevato di quello riguardante la violazione dell’art. 10-bis formalmente contestata alla imputata. Riguardo, pertanto, a tale profilo di illegittimità, da ricollegarsi alla mancata applicazione dell’art. 516 c.p.p., già presente nella sentenza di primo grado, oltre alla sentenza impugnata, deve essere annullata anche la sentenza n. 1150 del 22 gennaio 2019 emessa a carico della B. dal Tribunale di Milano, ufficio giudiziario cui gli atti debbono essere trasmessi perché ivi si proceda a carico della imputata per il diverso fatto risultato a seguito del giudizio svoltosi a suo carico. Il tutto con assorbimento delle ulteriori doglianze formulate dalla ricorrente con l’atto introduttivo del presente giudizio. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, quanto alla condotta di omesso versamento di Euro 57.442,02, perché il fatto non è previsto dalla legge come reato e, quanto alla condotta di mancato versamento per effetto di compensazione di Euro 449.445,06, dichiara la nullità della sentenza impugnata e di quella del Tribunale di Milano del 22 gennaio 2029 e dispone la trasmissione degli atti al Tribunale di Milano.