La disciplina della sospensione dei termini nella c.d. “prima fase” dell’emergenza COVID-19

Con sentenza n. 30434/20, la Cassazione ripercorre e chiarisce puntualmente la disciplina della sospensione dei termini imposta dall’emergenza epidemiologica da COVID-19, resa ai sensi dell’art. 83, comma 4, d.lgs. n. 18/2020, convertito con modificazioni dalla l. n. 27/2020, in considerazione della disciplina del rinvio d’ufficio prevista per le udienze dei procedimenti penali e civili pendenti presso tutti gli uffici giudiziari stabilito dall’art. 83, comma 1, cit

Proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza con cui la Corte d’Appello confermava la sua condanna per il reato di furto, la Corte rileva preliminarmente che il termine di prescrizione del reato , all’atto della decisione, non poteva ritenersi decorso e ciò in presenza di atti interruttivi , quale la sospensione di cui all’art. 83, comma 4, d.l. n. 18/2020 , convertito con modificazione dalla l. n. 27/2020. Tale norma risulta infatti applicabile al caso di specie in quanto si tratta di un procedimento, la cui udienza , originariamente fissata il 24 aprile 2020, fu rinviata per emergenza COVID-19 al 19 luglio 2020, risalendo il reato di cui all’art. 624 c.p. – il cui termine massimo di prescrizione è di sette anni e mezzo - al 10 novembre 2012, la cui scadenza massima ordinaria era prevista per il 10 maggio 2020 , a cui devono aggiungersi i 64 giorni di sospensione previsti dall’art. 83, comma 4, d.l. n. 18/2020, conv. dalla l. n. 27/2020, e dall’art. 36, comma 1, d.l. n. 23 del 2020. A tal proposito, la Cassazione precisa che l’articolo appena citato, al comma 12- ter , prevede una disciplina temporanea ad hoc per il giudizio di legittimità e, segnatamente, per i procedimenti da trattare in udienza pubblica ovvero in udienza camerale partecipata ex art. 127 c.p.p. . In particolare, il termine finale, originariamente individuato nel 30 giugno 2020, è stato differito al 31 luglio 2020 dal d.l. 30 aprile 2020, n. 28, art. 3, comma 1, lett. i disposizione, questa, non convertita dalla legge di conversione 25 giugno 2020, n. 70, che, tuttavia, all’art. 1, comma 2, prevede la perdurante validità degli atti e dei provvedimenti adottati e la salvezza degli effetti prodottisi e dei rapporti sorti sulla base della disposizione di cui al citato art. 3, comma 1, lett. i . Con riferimento al ricorso in esame , la Corte afferma dunque che, poiché dopo il rinvio d’ufficio dall’udienza del 22 aprile 2020, stabilito ex lege per la prima fase , per l’odierna udienza, avvenuto proprio in virtù dell’art. 83, comma 12- ter , cit., il rapporto processuale sì è instaurato nella vigenza della disciplina anteriore alla mancata conversione dell’art. 3, comma 1, lett. i , cit., deve ritenersi che la norma di conservazione e di salvezza di cui alla l. n. 70/2020, art. 1, comma 2, renda applicabile la disciplina anteriore alla legge di conversione anche ai procedimenti da trattare nel mese di luglio 2020 e, dunque, anche al presente procedimento . Tanto premesso, la Corte afferma che la disposizione di all’art. 83, comma 4, d.l. n. 18/2020, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 27/2020, riconnette la sospensione del corso della prescrizione alla sospensione dei termini stabiliti dall’art. 83, comma 2 cit. per il periodo 9 marzo 2020 - 11 maggio 2020 cd. prima fase delle misure stabilite per fronteggiare l’emergenza epidemiologica, pari a 64 giorni sospensione, quest’ultima, che riguarda la generalità dei termini per il compimento di qualsiasi atto, sicché sono sospesi i termini stabiliti per la fase delle indagini preliminari, per l’adozione di provvedimenti giudiziari e per il deposito della loro motivazione, per la proposizione degli atti introduttivi del giudizio e dei procedimenti esecutivi, per le impugnazioni e, in genere, tutti i termini procedurali . Tale disciplina della sospensione dei termini imposta dall’emergenza epidemiologica non può essere considerata disgiuntamente dalla disciplina del rinvio d’ufficio - per il medesimo arco temporale - delle udienze dei procedimenti penali e civili pendenti presso tutti gli uffici giudiziari stabilito dall’art. 83 cit., comma 1 . Pertanto, con riguardo ai processi non riconducibili nel novero delle eccezioni di cui all’art. 83, comma 3 cit. e già fissati per la trattazione nell’arco temporale della prima fase operano congiuntamente il rinvio d’ufficio e la sospensione dei termini, trovando quindi applicazione, in relazione a detto arco temporale, la sospensione del corso della prescrizione di cui all’art. 83, comma 4 cit. . Il rinvio d’ufficio di tutte le udienze e la sospensione di tutti i termini con le eccezioni stabilite dal comma 3 convergono nell’attribuire alla situazione processuale determinata dalle previsioni di cui all’art. 83, commi 1 e 2 cit. i connotati della sospensione del procedimento o del processo a norma dell’art. 159 c.p., comma 1 . Dunque, conclude la Cassazione, la sospensione del corso della prescrizione discende dalla riconducibilità della disciplina dettata dall’art. 83, commi 1 e 2, cit. nel caso di sospensione del procedimento o del processo previsto dall’art. 159 c.p., comma 1 effetto, questo sul decorso del termine di prescrizione, che sarebbe conseguito anche in assenza di una specifica disposizione come quella prevista dall’art. 83, comma 4 cit., introdotta dal legislatore assecondando una tendenza già emersa in analoghi provvedimenti legislativi finalizzati a fronteggiare situazioni gravemente emergenziali . Per quanto concerne la fattispecie in esame , la sua riconducibilità alla disciplina di cui all’art. 159 c.p., comma 1, esclude di poter ritenere di essere in presenza di un intervento legislativo in contrasto con il principio di irretroattività della norma penale sostanziale sfavorevole sancito dall’art. 25 Cost., comma 2. Pertanto, secondo la Corte, non viene in considerazione l’introduzione legislativa di una nuova figura di sospensione del corso della prescrizione o la modifica sfavorevole di una delle figure tipiche delineate dalla disciplina codicistica, perché la previsione legislativa de qua ha soltanto introdotto un’ipotesi di sospensione del procedimento o del processo penale riconducibile alla figura generale di sospensione prevista dall’art. 159 c.p., comma 1 .

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 13 luglio – 2 novembre 2020, n. 30434 Presidente De Gregorio – Relatore Sessa Ritenuto in fatto 1.Con la sentenza impugnata la Corte d’Appello di Venezia, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Treviso, dopo aver prosciolto B.K. e I.W. ai sensi dell’art. 131 bis c.p. relativamente ai fatti di cui al capo A dell’imputazione, ha confermato il giudizio di colpevolezza nei confronti di I.M. e la relativa condanna alla pena, condizionalmente sospesa, di mesi 5 e giorni 20 di reclusione e di Euro 190 di multa. In particolare, l’I. era stato ritenuto colpevole del reato di cui agli artt. 81 cpv, 110 e 624 c.p., perché, in concorso con altri, in esecuzione del medesimo disegno criminoso, al fine di trarne profitto per sé o per altri, si impossessava di diversi capi d’abbigliamento e di vari accessori, prelevandoli dagli scaffali di vendita dei rispettivi esercizi commerciali segnatamente quelli di Lacoste, Benetton, Sisley Young, Stiv, Tezenis e Segue di cui al capo B . 2. Con atto a firma dell’Avv. Francesco Murgia è proposto ricorso per cassazione nell’interesse dell’I. , articolato in quattro motivi. 2.1 Con il primo motivo si deduce inosservanza delle norme processuali previste a pena di nullità, in ordine all’art. 125 c.p.p., comma 3, nonché mancanza di motivazione. A fronte di articolato motivo difensivo in merito alla richiesta di proscioglimento ex art. 131 bis c.p., la Corte distrettuale avrebbe dovuto esplicare il proprio convincimento sia in caso di accoglimento che di rigetto dello stesso, specificando le ragioni poste a sostegno della prescelta opzione interpretativa. Ciononostante, nella sentenza gravata non risulta che sia stato preso in esame, neppure indirettamente, il tema della non punibilità del ricorrente per particolare tenuità del fatto, nè tantomeno che sia stata fornita risposta al riguardo. Il difetto assoluto della motivazione su un aspetto rilevante della decisione integra un motivo di nullità della sentenza ai sensi di quanto previsto dall’art. 125 c.p.p., comma 3. 2.2. Con il secondo motivo si eccepisce omessa, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione limitatamente agli episodi relativi agli esercizi commerciali , e . Già nell’atto di gravame si era denunciata l’illogicità della motivazione attraverso la quale si era pervenuto ad affermare la penale responsabilità del ricorrente, posto che la Sig.ra B. , titolare del negozio , ed il Sig. V. , titolare del negozio , all’atto dell’esibizione degli articoli sequestrati da parte degli agenti della Polizia locale, non avevano riconosciuto la merce come provento di furto a seguito di controllo a magazzino, bensì si erano limitati a riconoscere la stessa come proveniente dal proprio esercizio. Data l’assenza di ulteriori elementi che consentissero di affermare che detti beni fossero provento di furto, era stato contestato il convincimento del giudice di primo grado circa il raggiungimento della prova in ordine a dette ipotesi di reato. La corte di appello ha invece disatteso tale motivo, avvalendosi di criteri inferenziali non plausibili e valorizzando mere illazioni scollegate ed incompatibili con ulteriori emergenze probatorie espressamente richiamate nell’atto di appello. Innanzitutto, l’asserzione che inferisce dalla presenza dei cartellini la conclusione che si trattava di merce sottratta manca di plausibilità, poiché l’id quod plerumque accidit dimostra che nel caso di vendita di capi d’abbigliamento i cartellini non sono affatto rimossi. Il convincimento fondato sul fatto che i due ragazzi non avessero esibito gli scontrini ricalca poi la stessa argomentazione del primo giudice, senza confrontarsi con il tema introdotto con il gravame afferente la non obbligatoria conservazione dello scontrino da parte del cliente. Manifestamente illogica è anche l’ulteriore considerazione per cui, dato che alcuni capi di abbigliamento erano stati sottratti, ne consegue verosimilmente che anche gli altri lo fossero, veicolando così un concetto di responsabilità penale di tipo addizionale sconosciuta al nostro ordinamento. Infine, l’assunto secondo cui i negozianti non si erano accorti della sottrazione nulla dice in ordine alla raggiunta prova del fatto illecito. 2.3. Con il terzo motivo si denuncia la inosservanza di norme processuali stabilite a pena di inutilizzabilità, con riferimento agli artt. 526 e 191 c.p.p Già con l’atto di appello si lamentava la carenza di prova in ordine alla responsabilità del ricorrente per la sottrazione della cintura presso il negozio , ma la corte di appello ha disatteso tale doglianza ritenendo raggiunta la prova sulla base dell’atto di denuncia querela sporta dalla sig.ra Ve. , titolare dell’esercizio commerciale. Si rileva che tale atto è presente nel fascicolo del dibattimento solo ai fini della procedibilità, non essendo stato prestato il consenso per l’utilizzabilità delle dichiarazioni ivi contenute, nè essendosi proceduto alla lettura delle stesse in dibattimento. Ciò peraltro trova conferma nella pronuncia di primo grado, in cui non si fa menzione di detto episodio, in quanto riguardo ad esso nessuna prova era stata legittimamente acquisita. Il ricorso alle dichiarazioni rese dalla Ve. nell’atto di denuncia querela e l’utilizzo delle stesse ai fini della decisione cristallizza l’error in procedendo in cui è incorsa la corte territoriale, ai sensi del combinato disposto degli artt. 191 e 526 c.p.p 2.4 Con il quarto motivo si lamenta inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità, in relazione all’art. 125 c.p.p., comma 3, nonché mancanza di motivazione. L’atto di appello aveva ravvisato nel caso di specie la sussistenza dei requisiti di applicazione della circostanza attenuante dell’art. 62 c.p., n. 4, atteso che il danno - da valutarsi non complessivamente, ma singolarmente per ciascun episodio criminoso - è di particolare tenuità, poiché ciascun bene sottratto è di valore economico modesto. Ciononostante, la corte distrettuale non ha affrontato, neanche incidentalmente, tale motivo di gravame in punto di dosimetria sanzionatoria, infatti, si è limitata ad asserire che la pena appare congrua ex art. 133 c.p., tenuto conto della pluralità dei beni sottratti in diversi esercizi commerciali, senza valutare in realtà il profilo del danno, da cui eventualmente desumere la negazione della circostanza invocata. Appare quindi evidente l’assoluto difetto di motivazione sul punto che vizia di nullità la sentenza impugnata ex art. 125 c.p.p., comma 3. 3. Con atto pervenuto in data 8.6.2020, il ricorrente ha formulato motivo aggiunto, ex art. 585 c.p.p., comma 4, con cui ha eccepito la intervenuta prescrizione del reato, assumendo che il relativo termine di sette anni e mezzo sia decorso, in mancanza di cause di sospensione non verificatesi, quanto meno alla data del 10 maggio 2020, essendo il reato stato commesso il omissis . 4. In data 29.6.2020 sono pervenute le conclusioni scritte nell’interesse dell’I. che racchiudono tutte le precedenti già formulate e illustrate in atti. Considerato in diritto Il ricorso è fondato limitatamente al primo e quarto motivo. Inammissibili sono invece gli altri motivi proposti. 1. Ne consegue che - non essendo tutti i motivi di ricorso inammissibili, unica condizione che non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 c.p.p. Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, D. L, Rv. 21726601 - deve preliminarmente verificarsi se è maturato il termine di prescrizione del reato, come assume la difesa. Ebbene, considerate tutte le circostanze del caso, deve concludersi che il termine di prescrizione, all’atto della decisione, non è ancora decorso, scadendo esso, in presenza di atti interruttivi - e in considerazione della sospensione di cui al D.L. 17 marzo 2020, n. 18, art. 83 comma 4, convertito con modificazioni, dalla L. 24 aprile 2020, n. 27 e succ. modif. applicabile nel caso di specie trattandosi di procedimento fissato originariamente per l’udienza del 22.4.2020 rinviata per la cd. emergenza Covid-19 all’odierna udienza - il 13.7.2020 ore 24 , risalendo il reato di cui all’art. 624 c.p. contestato per il quale ai sensi degli artt. 157 e 161 c.p. il termine massimo di prescrizione è di sette anni e mezzo - al OMISSIS scadenza massima ordinaria 10.5.2020, come indicato dallo stesso ricorrente, a cui devono aggiungersi i 64 giorni di sospensione ex D.L. n. 18 del 2020, art. 83, comma 4 conv. dalla L. n. 27 del 2020 e D.L. n. 23 del 2020, art. 36 comma 1 . Ed invero, innanzitutto, va precisato che il D.L. n. 18 del 2020, art. 83, comma 12-ter, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 27 del 2020 prevede una disciplina temporanea ad hoc per il giudizio di legittimità e, segnatamente, per i procedimenti da trattare in udienza pubblica ovvero in udienza camerale partecipata ex art. 127 c.p.p Il termine finale, originariamente individuato nel 30 giugno 2020, è stato differito al 31 luglio 2020 dal D.L. 30 aprile 2020, n. 28, art. 3, comma 1, lett. i disposizione, questa, non convertita dalla legge di conversione 25 giugno 2020, n. 70, che, tuttavia, all’art. 1, comma 2, prevede la perdurante validità degli atti e dei provvedimenti adottati e la salvezza degli effetti prodottisi e dei rapporti sorti sulla base della disposizione di cui al citato art. 3, comma 1, lett. i . Con riferimento al ricorso in esame, poiché dopo il rinvio d’ufficio dall’udienza del 22/04/2020, stabilito ex lege per la prima fase , per l’odierna udienza, avvenuto proprio in virtù dell’art. 83, comma 12-ter, cit., il rapporto processuale sì è instaurato nella vigenza della disciplina anteriore alla mancata conversione dell’art. 3, comma 1, lett. i , cit., deve ritenersi che la norma di conservazione e di salvezza di cui alla L. n. 70 del 2020, art. 1, comma 2, renda applicabile la disciplina anteriore alla legge di conversione anche ai procedimenti da trattare nel mese di luglio 2020 e, dunque, anche al presente procedimento. 1.1.Ciò posto, quanto alla cd. sospensione del termine di prescrizione per l’emergenza covid-19 introdotta dal D.L. n. 18 del 2020, art. 83, comma 4, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 27 del 2020 - ritenuta applicabile al caso in esame - è solo il caso di osservare - trattandosi di questione comunque rilevabile di ufficio - che manifestamente infondata è da ritenersi, anche secondo questo Collegio, la questione di legittimità costituzionale in riferimento all’art. 25 Cost., comma 2, dell’art. 83, comma 4, cit. cfr. al riguardo Sez. 5 n. 25222/20 del 14.7.20, depositata il 7.9.20 . La disposizione in questione riconnette la sospensione del corso della prescrizione alla sospensione dei termini stabiliti dall’art. 83, comma 2 cit. per il periodo 9 marzo 2020 - 11 maggio 2020 cd. prima fase delle misure stabilite per fronteggiare l’emergenza epidemiologica, pari a 64 giorni sospensione, quest’ultima, che riguarda la generalità dei termini per il compimento di qualsiasi atto, sicché sono sospesi i termini stabiliti per la fase delle indagini preliminari, per l’adozione di provvedimenti giudiziari e per il deposito della loro motivazione, per la proposizione degli atti introduttivi del giudizio e dei procedimenti esecutivi, per le impugnazioni e, in genere, tutti i termini procedurali . La disciplina appena richiamata della sospensione dei termini imposta dall’emergenza epidemiologica non può essere considerata disgiuntamente dalla disciplina del rinvio d’ufficio - per il medesimo arco temporale - delle udienze dei procedimenti penali e civili pendenti presso tutti gli uffici giudiziari stabilito dall’art. 83 cit., comma 1 la necessità di una considerazione unitaria delle due discipline discende dunque innanzitutto dallo stesso dettato normativo. Indi, con riguardo ai processi - non riconducibili nel novero delle eccezioni di cui all’art. 83, comma 3 cit. - già fissati per la trattazione nell’arco temporale della prima fase come appunto il procedimento relativo al ricorso in esame operano congiuntamente il rinvio d’ufficio e la sospensione dei termini, trovando quindi applicazione, in relazione a detto arco temporale, la sospensione del corso della prescrizione di cui all’art. 83, comma 4 cit Il rinvio d’ufficio di tutte le udienze e la sospensione di tutti i termini con le eccezioni stabilite dal comma 3 convergono nell’attribuire alla situazione processuale determinata dalle previsioni di cui all’art. 83, commi 1 e 2 cit. i connotati della sospensione del procedimento o del processo a norma dell’art. 159 c.p., comma 1. Dunque, la sospensione del corso della prescrizione discende dalla riconducibilità della disciplina dettata dall’art. 83, commi 1 e 2, cit. nel caso di sospensione del procedimento o del processo previsto dall’art. 159 c.p., comma 1 effetto, questo sul decorso del termine di prescrizione, che sarebbe conseguito anche in assenza di una specifica disposizione come quella prevista dall’art. 83, comma 4 cit., introdotta dal legislatore assecondando una tendenza già emersa in analoghi provvedimenti legislativi finalizzati a fronteggiare situazioni gravemente emergenziali per un approfondita disamina della questione cfr. Sez. 5 n. 25222/20 del 14.7.20 dep. il 7.9.20, supra cit. . La riconducibilità della fattispecie in esame alla disciplina di cui all’art. 159 c.p., comma 1, esclude che si sia in presenza di un intervento legislativo in contrasto con il principio di irretroattività della norma penale sostanziale sfavorevole sancito dall’art. 25 Cost., comma 2. Nel caso di specie non viene in considerazione l’introduzione legislativa di una nuova figura di sospensione del corso della prescrizione o la modifica sfavorevole di una delle figure tipiche delineate dalla disciplina codicistica, perché la previsione legislativa de qua ha soltanto introdotto un’ipotesi di sospensione del procedimento o del processo penale riconducibile alla figura generale di sospensione prevista dall’art. 159 c.p., comma 1. 2. Passando quindi ai motivi di ricorso si osserva che la sentenza merita di essere annullata non potendosi ritenere affrontate, neppure per implicito, le questioni afferenti la particolare tenuità del fatto e la speciale tenuità del danno, sebbene prospettate nell’atto di appello ai fini dell’applicazione, rispettivamente, della causa di non punibilità o dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4. 2.1. Innanzitutto, come è stato già affermato da questa Corte in diverse pronunce, che questo Collegio condivide, la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis c.p. può essere dichiarata anche in presenza di più reati che - come nel caso di specie - sono legati dal vincolo della continuazione, purché non espressivi di una tendenza o inclinazione al crimine cfr. Sez. 5 n. 32626 del 26/03/2018, Rv. 274491-01 Sez. 2, n. 41011 del 06/06/2018, BA ELHADJI CHEIKHOU, Rv. 27426001, nella specie, si è precisato che occorre soppesare l’incidenza della continuazione in tutti i suoi aspetti, quali gravità del reato, capacità a delinquere, precedenti penali e giudiziari, durata temporale della violazione, numero delle disposizioni di legge violate, effetti della condotta antecedente, contemporanea o susseguente al reato, interessi lesi o perseguiti dal reo e motivazioni - anche indirette sottese alla condotta . Indi la circostanza che il giudice di primo grado avesse ravvisato il vincolo della continuazione non può essere ritenuta di per sé preclusiva dell’applicazione della causa di non punibilità nel caso di specie, con la conseguenza che la mancanza di valutazione della stessa non è superabile neppure alla stregua di tale, implicito, argomento. Questo Collegio è consapevole della esistenza anche di pronunce che si sono, invece, espresse in senso contrario alla applicabilità della causa di non punibilità de qua in caso di continuazione così ex multis, Sez. 6, Sentenza n. 3353 del 13/12/2017, dep. 24/01/2018, Rv. 272123-01 Sez. 2, n. 28341 del 05/04/2017 Rv. 271001-01, secondo le quali la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis c.p. non può essere dichiarata in presenza di più reati legati dal vincolo della continuazione, in quanto anche il reato continuato configura un’ipotesi di comportamento abituale , ostativa al riconoscimento del beneficio . In realtà, il vincolo della continuazione non si identifica con l’abitualità nel reato e può prescindere dalla medesimezza dell’indole dei reati commessi che è solo uno dei parametri di riferimento per ricostruire la unicità del disegno criminoso ed è l’unico che secondo il disposto di cui all’art. 131-bis c.p., comma 3 è di per sé ostativo all’applicazione di tale causa di non punibilità -, di contro il limite applicativo dell’art. 131-bis c.p. opera solo in relazione a reati abituali ovvero espressione di una tendenza o inclinazione al crimine, sia essa giudizialmente accertata che desumibile dagli atti cfr. Sez. 5 n. 35590 del 31/05/2017, Rv. 270998 - 01, già supra cit. e a reati espressione della stessa indole o che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali o reiterate. Ed invero, a ben vedere, l’ordinamento con la disciplina della continuazione ha piuttosto inteso riconoscere minore offensività a quelle condotte che sono il frutto di un’unica risoluzione criminosa perché in tal caso esse non sono necessariamente espressive di inclinazione a delinquere. La stessa contestualità delle condotte - che tendenzialmente depone per una unitaria e circoscritta risoluzione criminosa - non può dunque di per sé precludere l’applicazione della speciale causa di non punibilità per tenuità del fatto e ciò è stato riconosciuto anche dallo stesso orientamento restrittivo di questa Corte, che potremmo definire intermedio, secondo cui ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis c.p. non osta la presenza di più reati legati dal vincolo della continuazione, qualora questi riguardino azioni commesse nelle medesime circostanze di tempo e di luogo, cfr. Sez. 4 n. 47772 del 25/09/2018 Rv. 274430 - 01, Sez. 5, n. 35590 del 31/05/2017, P.G. in proc. Battizocco, Rv. 27099801 . Nel caso di specie il giudice di primo grado si era limitato a ravvisare la continuazione tra i vari furti commessi dall’I. nell’ambito del medesimo contesto di tempo e di luogo, sia pure presso esercizi commerciali diversi, e non ha in alcun modo espresso valutazioni sulla inclinazione al crimine del ricorrente, anzi nel concedere le circostanze attenuanti generiche e nell’applicare la sospensione condizionale della pena ha fatto riferimento alla occasionalità del fatto e all’assenza di precedenti. Ciononostante la Corte territoriale non ha speso nemmeno una parola in ordine alla ravvisabilità o meno della causa di non punibilità nel caso in scrutinio, mentre avrebbe dovuto invece valutare tutti i presupposti della sua applicabilità e dar conto con specifica motivazione degli aspetti eventualmente ritenuti preclusivi. 2.2. Parimenti priva di valutazione è rimasta la subordinata richiesta di riconoscimento dell’attenuante del danno di speciale tenuità, pure richiesto nell’atto di appello con argomentazioni involgenti anche le questioni in diritto che si prospettano allorquando si versa nell’ipotesi di reato continuato. Anche in tal caso la motivazione è del tutto mancante, a fronte di un valore delle cose che almeno in un caso è stato indicato in Euro 14,99. Nè tale carenza potrebbe trovare giustificazione nel fatto che sia stato applicato l’istituto della continuazione, perché come ha correttamente osservato la difesa la circostanza attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4 va valutata e applicata in relazione a ogni singolo reato unificato nel medesimo disegno criminoso, con riguardo al danno patrimoniale cagionato per ogni singolo fatto-reato cfr. tra tante, Sez. 2, n. 9351 del 08/02/2018 - dep. 01/03/2018, M, Rv. 27227001, in motivazione questa Corte ha peraltro specificato che il riconoscimento dell’attenuante per due dei reati satellite incide solo ai fini dell’aumento di pena ex art. 81 c.p., comma 2 Sez. 6, Sentenza n. 14040 del 29/01/2015 Ud. dep. 03/04/2015 Rv. 262975 - 01 specularmente per l’attenuante del risarcimento del danno di cui all’art. 62 c.p., n. 6 cfr. Sez. U, n. 3286 del 27/11/2008 Ud., dep. 23/01/2009, Rv. 241755 - 01 . 3. Quanto al terzo motivo, che attiene esplicitamente a valutazione della prova, esso è del tutto aspecifico oltre che implicante indagine ricognitiva non consentita a questa Corte di legittimità. Esso non tiene conto della esaustività della motivazione che, sia pure in maniera concisa, nel richiamare la ricostruzione del giudice di primo grado evidenzia come non sussistano dubbi sul fatto che i beni rinvenuti nella disponibilità dell’I. fossero il frutto dei furti al medesimo contestati, e non di regolari acquisti, perché essi, in buona sostanza, da un lato, non erano accompagnati dagli scontrini, e, dall’altro, erano invece contraddistinti ancora dalle etichette e in alcuni casi dalle placche antitaccheggio, a dimostrazione che si trattasse di cose di recente acquisizione e provento di furto. Il tutto è poi contrassegnato dalle dichiarazioni degli esercenti commerciali che avevano consentito di chiudere il cerchio in ordine alla natura furtiva dei beni. Con il motivo in esame, dunque, non solo ci si limita a reiterare le censure già mosse in appello, arricchendole con deduzioni rispetto alle quali erano state comunque già fornite risposte, logiche, esaurienti e precise nell’ambito della complessiva ricostruzione resa dal giudice dell’appello sulla base di dati concreti tratti dalle emergenze processuali passate in rassegna, ma si tende ad ottenere da questa Corte una inammissibile rivalutazione del coacervo probatorio già ampiamente valutato in tutte le sue componenti ed implicazioni logico-ricostruttive. Ed invero, giova a tal punto rammentare che esula dai poteri della Corte di cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità neppure la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944 . 4. Il terzo motivo è generico poiché la sentenza non fa riferimento alle dichiarazioni rese dalla titolare del negozio in querela, ma al fatto del riconoscimento da parte del titolare dell’esercizio commerciale della cintura marca rinvenuta nella disponibilità del ricorrente, di cui si dà atto in querela trattandosi di fatto oggettivo avvenuto in presenza della P.g. e non più ripetibile quanto meno negli stessi termini in cui si è verificato, cui conseguiva la restituzione del bene alla persona offesa. 5. Dalle ragioni sin qui esposte deriva l’annullamento della pronuncia impugnata con rinvio per nuovo esame in ordine ai punti sopra evidenziati ad altra sezione della Corte di Appello di Venezia. Nel resto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile declaratoria per mero errore non riportata in dispositivo . P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di Appello di Venezia.