La Cassazione torna ad occuparsi delle intercettazioni e della loro utilizzabilità

Ai fini dell’utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche autorizzate in riferimento a diverso fatto reato è necessario che sussista un legame sostanziale e non meramente processuale tra i diversi fatti reato. Detto legame deve consentire di ricondurre ai fatti costituenti reato per i quali in concreto si procede” di cui al provvedimento autorizzatorio dell’intercettazione, anche quelli oggetto dell’imputazione connesse accertati attraverso i risultati della stessa intercettazione. Solo siffatto stretto legame sostanziale esclude che l’autorizzazione del giudice assuma la fisionomia di autorizzazione in bianco”.

Non rientrano dunque nella sfera del divieto di cui all’articolo 270 c.p.p. di utilizzazione dei risultati di intercettazioni in procedimenti diversi da quelli per i quali le stesse siano state autorizzate solo i reati, accertati in virtù dei risultati delle intercettazioni, connessi ex articolo 12 c.p.p. a quelli in relazione ai quali l’autorizzazione era stata ab origine disposta quando hanno ad oggetto reati connessi, i procedimenti non sono diversi” a norma dell’articolo 270 c.p.p Così la Cassazione con sentenza n. 28851/20 depositata il 19 ottobre. Il caso. la vicenda è stata portata all’attenzione della Corte a seguito di ricorso formulato dalla Procura della Repubblica partenopea che assumeva violato il disposto dell’articolo per violazione di legge in riferimento agli articoli 266 e 270 c.p.p. in riferimento alla motivazione del provvedimento reso dal Tribunale del riesame che aveva accolto il ricorso dell’imputato, che avrebbe omesso di valutare l’utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche resa possibile, secondo la Procura ricorrente, ex articolo 12 c.p.p. L’articolo 12 c.p.p Come noto la disposizione detta il regime generale” della connessione che il Legislatore dell’89 ingenuamente e coerentemente rispetto alla struttura del codice voleva assai limitata. A sensi della disposizione si ha connessione di procedimenti a se il reato per cui si procede è stato commesso da più persone in concorso o cooperazione fra loro, o se più persone con condotte indipendenti hanno determinato l'evento b se una persona è imputata di più reati commessi con una sola azione od omissione ovvero con più azioni od omissioni esecutive di un medesimo disegno criminoso c se dei reati per cui si procede gli uni sono stati commessi per eseguire o per occultare gli altri” Il portato letterale della norma appare chiaro. Il procedimento di captazione è come noto disciplinato dagli articoli 266 e 267 del codice di rito. Il primo si occupa di identificare le fattispecie per le quali l’attività di captazione è consentita lasciando al secondo il compito di indicare e dettare le modalità procedimentali per l’attivazione concreta. L’articolo 270 c.p.p La norma, per quanto di interesse in relazione alla pronuncia in commento, al comma 1 recita I risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali sono stati disposti, salvo che risultino rilevanti e indispensabili per l'accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza e dei reati di cui all'articolo 266, comma 1.” La tesi della Procura ricorrente si basa proprio sul comma 1 dell’articolo 270 ritendo che le intercettazioni servissero a dar prova della commissione di reato ricompreso nell’elencazione effettuata dall’articolo 266 comma 1 c.p.p. La questione non è nuova se è vero che la Suprema Corte su quesito simile si era già espressa con la sentenza Cavallo sez. unite 28.11.2019 n. 50 . All’esito di una analisi condotta alla luce della sentenza resa dalla Corte Costituzionale Corte Cost. sent. 366 del 1991 che affermava l’imprescindibile necessità di dar corso a bilanciamento tra il diritto costituzionalmente garantito della libertà di comunicazione e l’esigenza di repressione dei reati attraverso l’impiego di determinati mezzi limitativi della predetta libertà, le Sezioni Unite avevano individuato un criterio distintivo atto a consentire l’utilizzazione delle intercettazioni disposte in altro procedimento rispettoso dei dettami Costituzionali e del disposto dell’articolo 12 lettera c del codice di procedura penale. Si tratta del principio di elaborazione giurisprudenziale, del cosiddetto collegamento qualificato operante nel caso i cui tra i procedimenti esiste una relazione in virtù della quale la regiudicanda oggetto di ciascuno viene, anche in parte, a coincidere con quella oggetto degli altri” cfr. sentenza Cavallo con ciò dando atto di come la indicata connessione sia sostanzialmente un riflesso della connessione sostanziale dei reati del tutto indipendente dalle vicende procedimentali relative agli stessi. La Corte richiama integralmente la pronuncia delle Sezioni Unite ricordando come in caso di imputazioni connesse ex articolo 12 c.p.p, dunque, il procedimento relativo al reato per il quale l’autorizzazione è stata espressamente concessa non può considerarsi diverso” rispetto a quello relativo al reato accertato in forza dei risultati dell’intercettazione. La parziale coincidenza della regiudicanda oggetto dei procedimenti connessi e , dunque, il legame sostanziale – e non meramente processuale – tra i diversi fatti-reato consente di ricondurre ai fatti costituenti reato per i quali in concreto si procede Corte cost. sent. N. 366 del 1991 , di cui al provvedimento autorizzatorio dell’intercettazione, anche quelli oggetto delle imputazioni connesse accertati attraverso i risultati della stessa intercettazione il legame sostanziale tra essi, infatti, esclude che l’autorizzazione del giudice assuma la fisionomia di un’”autorizzazione in bianco””. Non è sufficiente dunque a rendere utilizzabili le intercettazioni la semplice sussistenza del criterio dell’”identità del filone investigativo” o del collegamento investigativo” si tratta infatti di legami definiti dalla Corte quali deboli” e quindi incapaci di spostare l’indice del bilanciamento del diritto alla libertà di comunicazione e quello relativo all’esigenza di repressione dei reati attraverso l’impiego di determinati mezzi limitativi della predetta libertà, in favore di quest’ultimo. Ove detti legami fossero ritenuti diversamente legami o collegamenti forti, si finirebbe con l’eludere la garanzia costituzionale che richiede la specifica motivazione del provvedimento autorizzatorio della attività di captazione. Motivazione prevista al fine di effettuare controllo, costituzionalmente orientato, circa la correttezza e legittimità dell’utilizzo di uno strumento capace di incidere in maniera assai rilevante su una delle libertà fondamentali. Ergo , in ogni caso in cui non possa identificarsi la sussistenza di un collegamento forte tra i fatti oggetto dei distinti procedimenti non possono dirsi legittimamente acquisibili le intercettazioni telefoniche autorizzate nell’uno dei due procedimenti ma non nell’altro. Pare soluzione corretta e rispettosa dei dettami codicistici che, in tempi di diritto vivente, non può che costituire pallido raggio di sole.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 7 settembre – 19 ottobre 2020, n. 28851 Presidente Palla – Relatore Catena Ritenuto in fatto 1. Con il provvedimento impugnato il Tribunale del Riesame di Napoli accoglieva il ricorso presentato ex art. 309 c.p.p. nell’interesse di D.G.D. avverso l’ordinanza del 30/01/2020, con cui il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli aveva applicato al predetto la misura coercitiva degli arresti domiciliari in riferimento al delitto di cui all’art. 615-ter c.p., di cui ai capi T , U , V , W dell’imputazione provvisoria e, per l’effetto, ne ordinava l’immediata liberazione se non detenuto per altro titolo. 2. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli ricorre articolando un unico motivo, di seguito enunciato nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1 violazione di legge, in riferimento agli artt. 266 e 270 c.p.p., ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b , in riferimento alla motivazione del provvedimento impugnato, che avrebbe omesso di valutare come, nel caso in esame, sussistesse una connessione, ex art. 12 c.p.p., tra i reati in relazione ai quali era stata originariamente disposta l’intercettazione e quelli per i quali si procede, considerato che, anche volendo diversamente opinare, le conversazioni intercettate costituiscono notizia di reato, oggetto di indagini a seguito delle quali sono stati acquisiti gravi indizi di colpevolezza a carico dell’indagato in riferimento ai reati ascrittigli. In particolare, si sottolinea che il decreto di intercettazione RR 2494/17 del 12/07/2017 fa espressa menzione a condotte di accesso abusivo a sistema informatico, con evidente connessione dei reati per i quali si procede a quelli oggetto di autorizzazione alle intercettazioni, anche considerando che i reati di cui ai capi B C D dell’imputazione provvisoria risultano commessi tra il 12/07/2017 e il 08/03/2018, quindi in un periodo temporale compreso dal decreto peraltro, il Giudice per le indagini preliminari, nell’ordinanza annullata, aveva esplicitamente riconosciuto la connessione, ai sensi dell’art. 12 c.p.p., lett. c , tra le fattispecie di corruzione e quelle di accesso abusivo a sistema informatico, con conseguente utilizzabilità delle intercettazioni. In ogni caso, si sottolinea come anche la e Sezioni Unite, con la sentenza n. 15 del 2019 riconoscono come le conversazioni captate possano costituire notizia di reato, con la conseguenza che, nel caso di specie, essendo le stesse state riscontrate da attività di indagine, in riferimento al delitto di cui all’art. 615-ter c.p., risultano pienamente utilizzabili, unitamente agli altri elementi di prova acquisiti nel corso delle indagini, risultando errata l’affermazione del Tribunale del Riesame - secondo cui la verifica informatica sugli accessi abusivi risulterebbe priva di autonoma valenza senza considerare le conversazioni - proprio in quanto dalle indagini è emerso, al contrario, che gli accessi erano effettuati abusivamente alla banca dati in uso alle FF.PP. per finalità diverse da quelle previste dalla vigente normativa. Considerato in diritto Il ricorso è inammissibile. Va ricordato che il Tribunale del Riesame, nella motivazione del provvedimento impugnato, ha rilevato come lo stesso giudice impugnato avesse sottolineato la mancanza di un provvedimento di autorizzazione delle intercettazioni in riferimento all’art. 615-ter c.p., ravvisando, tuttavia, un nesso di connessione teleologica, ai sensi dell’art. 12 c.p.p., lett. c , tra i reati per i quali le intercettazioni erano state autorizzate artt. 110, 319 e 321 c.p., poi qualificate ai sensi dell’art. 346 c.p. e il reato di cui all’art. 615-ter c.p. ascritto all’indagato. In realtà - prosegue il Tribunale del Riesame - detto collegamento qualificato non sussiste affatto, nel caso in esame ed invero, le intercettazioni erano state originariamente autorizzate, a partire dal maggio 2017, per i reati di cui agli artt. 416, 642 e 479 c.p., ascritti a cinque soggetti diversi dal D.G. nel prosieguo il pubblico ministero veniva autorizzato alle attività di intercettazione anche sull’utenza in uso al D.G. , ritenuto coinvolto nell’organizzazione dedita a truffe in danno di istituti di credito, società finanziarie e compagnie di assicurazione nel luglio 2017, infine, anche a carico del predetto D.G. venivano autorizzate intercettazioni telematiche in riferimento ai delitti di cui agli artt. 416, 319 e 321 c.p., dandosi atto, nella richiesta del pubblico ministero, dell’emersione di condotte di accesso abusivo a sistemi informatici, reato per il quale, peraltro, non è mai stata autorizzata alcuna attività captativa e per il quale il D.G. veniva iscritto, ai sensi dell’art. 335 c.p.p., solo in data 02/10/2018. In ogni caso - sottolinea il provvedimento impugnato - pur volendo prescindere da detti dati, la sola lettura dei capi di imputazione per i quali è stata avanzata richiesta di misura cautelare evidenzia l’assenza di ogni connessione qualificata tra la contestazione elevata a carico del D.G. e la fattispecie di cui all’art. 346 c.p. a carico dei coindagati, condotte, queste ultime, con cui si millantava la possibilità di far ottenere posti di lavoro e superare esami universitari, mentre l’accesso abusivo realizzato dal D.G. - quale intermediario ed in concorso con appartenenti alle Forze di Polizia - risulta finalizzato a scopi del tutto eccentrici, ossia l’ottenimento di dati inseriti nella banca dati delle Forze di Polizia, quali i nominativi degli intestatari di specifiche autovetture, l’acquisizione di informazioni sulla revisione di auto e sui precedenti di polizia di intestatari di veicoli, con evidente eterogeneità delle finalità illecite perseguite dagli indagati attraverso condotte del tutto autonome tra loro ed inconciliabili con il ravvisato collegamento qualificato, potendo, al contrario, ritenersi sussistente solo un’ipotesi di collegamento di indagini, per la quale, alla luce delle Sezioni Unite Cavallo, deve ravvisarsi l’operatività del divieto di utilizzazione delle intercettazioni in relazione a reati diversi da quelli per i quali l’autorizzazione è stata adottata. Così sintetizzata la motivazione del provvedimento impugnato, va osservato che essa appare del tutto logica, analitica e coerente con il percorso argomentativo illustrato dalle Sezioni Unite Cavallo Sez. U, sentenza n. 51 del 28/11/2019, dep. 02/01/2020, Rv. 277395 . Queste ultime, dopo un’accurata ed approfondita disamina delle pronunce della Corte costituzionale in tema di bilanciamento tra la libertà di comunicazione e l’esigenza di repressione dei reati attraverso l’impiego di determinati mezzi limitativi della predetta libertà, hanno evidenziato come, proprio alla luce dei principi ribaditi dal Giudice delle leggi, l’atto dell’autorità giudiziaria di autorizzazione allo svolgimento di attività di captazione debba essere sorretto da adeguata e specifica motivazione di conseguenza, nel caso previsto dall’art. 270 c.p.p., non è possibile l’utilizzazione probatoria dei risultati di un’intercettazione in altro procedimento sulla base di una sorta di autorizzazione in bianco . Il massimo consesso di questa Corte ha osservato che, fatta salva la norma di cui all’art. 270 c.p.p., comma 1, - che del tutto eccezionalmente consente, in casi tassativamente indicati dalla legge, l’utilizzazione delle intercettazioni telefoniche in procedimenti diversi, limitatamente all’accertamento di una categoria predeterminata di reati, per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza, presuntivamente capaci di destare particolare allarme sociale - l’autorizzazione del giudice non si limita a legittimare il ricorso al mezzo di ricerca della prova, ma circoscrive anche l’utilizzazione dei suoi risultati ai fatti-reato che all’autorizzazione stessa risultino riconducibili. In altri termini, hanno affermato le Sezioni Unite, l’indiscriminato allargamento dell’area dei reati per i quali sarebbero utilizzabili i risultati delle intercettazioni, incrinerebbe il bilanciamento tra i valori costituzionali contrastanti il diritto dei singoli individui alla libertà e alla segretezza delle loro comunicazioni, da una parte dall’altra, l’interesse pubblico a reprimere i reati e a perseguire i loro autori che è assicurato dall’art. 270 c.p.p. bilanciamento garantito, prima di tutto, dalla riserva assoluta di legge, che, da un lato, comporta la fissazione di limiti di ammissibilità per l’autorizzazione del mezzo di ricerca della prova e, dall’altro, impone al legislatore di individuare i reati ulteriori” rispetto ai quali riconoscere l’utilizzabilità probatoria dei risultati dell’intercettazione in un ambito ben definito, ossia limitatamente all’accertamento di una categoria predeterminata . Tanto premesso, la sentenza Cavallo, sulla scia della precedente giurisprudenza di legittimità, ha rimarcato che la formale unità dei procedimenti, sotto un unico numero di registro generale, non può fungere da schermo per l’utilizzabilità indiscriminata delle intercettazioni, facendo convivere tra di loro procedimenti privi di collegamento reale , essendo, al contrario, necessaria la verifica della sussistenza di un legame sostanziale tra il reato in relazione al quale l’autorizzazione all’intercettazione è stata emessa ed il reato emerso grazie ai risultati di tale intercettazione, in modo tale da rendere quest’ultimo riconducibile al provvedimento autorizzatorio. Proprio su detto aspetto, pertanto, le Sezioni Unite hanno esaminato sia la connessione ex art. 12 c.p.p. che la connessione ex art. 371 c.p.p., comma 2, lett. b . La prima riguarda procedimenti tra i quali esiste una relazione in virtù della quale la regiudicanda oggetto di ciascuno viene, anche in parte, a coincidere con quella oggetto degli altri detta connessione, in altri termini, è un riflesso della connessione sostanziale dei reati, indipendente dalla vicenda procedimentale, come si evince dai casi di connessione disciplinati dall’art. 12, lett. b e c . Ne consegue che In caso di imputazioni connesse ex 12 c.p.p., dunque, il procedimento relativo al reato per il quale l’autorizzazione è stata espressamente concessa non può considerarsi diverso” rispetto a quello relativo al reato accertato in forza dei risultati dell’intercettazione. La parziale coincidenza della regiudicanda oggetto dei procedimenti connessi e, dunque, il legame sostanziale - e non meramente processuale - tra i diversi fatti-reato consente di ricondurre ai fatti costituenti reato per i quali in concreto si procede Corte Cost., sent. n. 366 del 1991 , di cui al provvedimento autorizzatorio dell’intercettazione, anche quelli oggetto delle imputazioni connesse accertati attraverso i risultati della stessa intercettazione il legame sostanziale tra essi, infatti, esclude che l’autorizzazione del giudice assuma la fisionomia di un’ autorizzazione in bianco . Così individuata la base normativa del legame forte tra i reati, le Sezioni Unite pervengono a diverse conclusioni con riferimento al criterio basato sul collegamento investigativo di cui all’art. 371 c.p.p., ossia alle ipotesi delineate dell’art. 371 c.p.p., comma 2, lett. b in cui il collegamento risponde ad esigenze di efficace conduzione delle indagini, ma le relazioni tra i reati alla base dell’istituto non presuppongono quel necessario legame originario e sostanziale tra gli stessi, atteso che Con specifico riguardo alle prime due ipotesi della disposizione, infatti, si tratta di relazioni intercorrenti non già tra il reato in riferimento al quale è stata emessa l’autorizzazione e quello messo in luce dall’intercettazione, ma tra le conseguenze” del primo e il secondo ovvero di relazioni che si risolvono in una mera occasionalità” tra la commissione dell’uno e dell’altro . Ad identiche conclusioni si deve giungere per le altre figure di collegamento delineate dell’art. 271 c.p.p., comma 2, lett. b considerate fin dalla formulazione originaria della disposizione codicistica nella sola prospettiva dell’efficace conduzione delle indagini. In tali casi, quindi, ivi incluso il criterio dell’identità del filone investigativo , si tratta di relazioni definite dalle Sezioni Unite come deboli , il che esclude la loro suscettibilità di individuare quel legame oggettivo, necessario per assicurare la riconducibilità del nuovo reato all’autorizzazione giudiziale, così da non eludere la garanzia costituzionale della motivazione del provvedimento autorizzatorio, con conseguente divieto probatorio dell’utilizzazione di intercettazioni in presenza di un rapporto tra i reati riconducibile - fuori dai casi di connessione alle ipotesi di collegamento tra indagini. In conclusione Alla luce della nozione di procedimenti diversi” delineata, deve pertanto concludersi che - ferma restando l’utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni che risultino indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza - non rientrano nella sfera del divieto di cui all’art. 270 c.p.p. di utilizzazione dei risultati di intercettazioni in procedimenti diversi da quelli per i quali le stesse siano state autorizzate solo i reati, accertati in virtù dei risultati delle intercettazioni, connessi ex art. 12 c.p.p. a quelli in relazione ai quali l’autorizzazione era stata ab origine disposta quando hanno ad oggetto reati connessi, i procedimenti non sono diversi” a norma dell’art. 270 c.p.p. . Benché all’epoca in cui è stato formulato il ricorso del pubblico ministero in esame la sentenza Cavallo fosse già stata pubblicata, nell’incedere argomentativo dell’impugnazione si è del tutto omesso di spiegare in cosa consisterebbe il collegamento qualificato ai sensi dell’art. 12 c.p.p. tra i reati oggetto dell’autorizzazione alle captazioni ed il reato nuovo per le quali le stesse sono state utilizzate, ossia il reato di cui all’art. 615-ter c.p., tanto più a fronte di una chiara ed ineludibile motivazione fornita dal Tribunale del Riesame su detto specifico punto. In sostanza, la critica svolta appare del tutto generica ed avulsa da una confutazione anche minimamente argomentata del provvedimento impugnato, da cui traspare una sostanziale mancata comprensione del percorso ermeneutico seguito dalle Sezioni Unite Cavallo, di cui si cita, in maniera del tutto inconferente e non rispondente alla vicenda processuale in esame, il passaggio in cui le Sezioni Unite affermano come non sia in discussione l’orientamento consolidato secondo cui il divieto di utilizzazione dei risultati delle intercettazioni telefoniche in procedimenti diversi da quelli nei quali sono state disposte, attiene solo alla valutazione di tali risultati come elementi di prova, ma non preclude la possibilità di dedurre dagli stessi notizie di nuovi reati, quale punto di partenza di nuove indagini. Anche l’affermazione contenuta in ricorso - secondo la quale il materiale indiziante risulterebbe grave anche a prescindere dal contenuto delle captazioni - risulta del tutto apodittica non solo non si indica quale sarebbe detto materiale, il che induce a sospettare che il ricorrente non abbia chiaro il perimetro entro cui si svolge il giudizio di legittimità, ma, ancora una volta, non ci si confronta affatto con la motivazione del Tribunale del Riesame, secondo cui le sole verifiche sugli accessi abusivi effettuate dal pubblico ministero in sede di indagini preliminari perdono ogni valenza probatoria, se non lette unitamente alle specifiche richieste rivolte al D.G. nel corso delle conversazioni intercettate. Su detto aspetto, infatti, il Tribunale del Riesame ha affermato che anche laddove volessero ritenersi utilizzabili gli esiti delle captazioni riferibili all’unico decreto in cui si fa menzione della condotta di accesso abusivo a sistema informatico RR 2494 del 12/07/2017 , i messaggi whatsapp intercettati, al più, circostanzierebbero pregresse richieste, il cui contenuto emerge chiaramente solo dalle conversazioni precedentemente intercettate. Anche in tal caso nessuna critica congrua risulta emergere dal ricorso in esame, di cui, pertanto, va dichiarata l’inammissibilità. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso del pubblico ministero.