Valida la notifica via PEC che riporta il nome errato dell’imputato se…

Quando l’imputato sia assistito da due difensori di fiducia e la notifica via PEC ad uno dei due riporti il suo cognome errato, la nullità derivante dall’omesso avviso di udienza è sanata dalla mancata proposizione della relativa eccezione da parte del difensore comparso, anche quando l’imputato non sia presente.

Questo l’oggetto della sentenza della Corte di Cassazione n. 28834/20, depositata il 19 ottobre. La Corte d’Appello di Bologna confermava la sentenza emessa dal Giudice di primo grado, il quale aveva condannato l’imputato per una pluralità di reati di emissione di fatture per operazioni non esistenti finalizzati all’ evasione delle imposte sui redditi e sull’IVA. Contro tale decisione, il difensore dell’imputato propone ricorso per cassazione, lamentando, tra i diversi motivi, l’ omessa notifica al difensore della citazione in appello, considerato che sul messaggio di Posta Elettronica Certificata non era stato indicato il nome corretto dell’imputato. Inoltre, lo stesso lamenta che l’imputato non aveva potuto partecipare al giudizio a causa dell’impedimento a comparire dovuto alla misura cautelare impostagli durante il procedimento, ma nessun ordine di traduzione era stato emanato in tal senso. La Suprema Corte dichiara il primo motivo di ricorso infondato , in quanto dagli atti risulta che dopo la nomina del difensore di fiducia dell’imputato, la cancelleria della Corte d’Appello avrebbe notificato il decreto di fissazione d’udienza mediante PEC sia al suddetto difensore riportando il cognome dell’imputato in maniera errata , sia all’altro difensore di fiducia, di cui non risultava la revoca da cui risultava il nome esatto dell’imputato , sia all’imputato stesso personalmente. Ciò, tuttavia, non determina alcuna nullità assoluta, poiché innanzitutto la notifica telematica nei confronti di uno dei due difensori di fiducia risulta regolare e considerando che la nullità a regime intermedio conseguente all’omesso avviso dell’udienza a uno dei difensori dell’imputato è sanata grazie alla mancata proposizione della relativa eccezione da parte dell’altro difensore, circostanza non avvenuta nel caso concreto. Inoltre, la Corte rileva che in ogni caso deve applicarsi il principio secondo cui non è ravvisabile la nullità dell’interrogatorio avvenuto in sede di convalida a seguito della comunicazione al difensore dell’avviso di fissazione della relativa udienza con il cognome dell’indagato indicato in modo errato, ma chiaramente riconducibile a quello reale . Quanto al secondo motivo di ricorso, la Corte ne dichiara l’ inammissibilità , in applicazione del principio per cui la mancata traduzione all’udienza camerale d’appello dell’imputato sottoposto a misura cautelare detentiva determina la nullità assoluta ed insanabile del giudizio e della relativa sentenza solo nell’ipotesi in cui il detenuto abbia formulato espressa richiesta di comparire all’udienza . Stante la mancata richiesta dell’imputato in tal senso, gli Ermellini rigettano il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 8 settembre – 19 ottobre 2020, n. 28834 Presidente Liberati – Relatore Scarcella Ritenuto in fatto 1. Con sentenza 13.09.2019, la Corte d’appello di Bologna confermava la sentenza 8.01.2019 con cui il tribunale di Parma, in esito al rito abbreviato richiesto dall’imputato L. , lo aveva condannato alla pena di 2 anni ed 8 mesi di reclusione, oltre alle pene accessorie di legge, in relazione ad una pluralità di reati di emissione di fatture per operazioni inesistenti negli anni dal 2013 al 2016, in concorso con tale Z.N. , quale legale rappresentante della G Project s.r.l., e nella contestata veste di amministratore di fatto della GE Trade s.r.l. e della CN Edili s.r.l., reati contestati secondo l’accusa, con condotta finalizzata a consentire alla LS Group s.r.l. ed alla nuova LS Group s.r.l., ambedue facenti capo a tale S.L. , l’evasione delle imposte sui redditi e sull’IVA. 2. Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia, iscritto all’Albo speciale previsto dall’art. 613 c.p.p., articolando tre motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p 2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di vizio di violazione di legge in relazione all’art. 179, c.p.p., stante l’omessa notifica al difensore e l’inesistenza della notifica della citazione per il giudizio di appello. In sintesi, si sostiene che il difensore non avrebbe partecipato al giudizio di appello in quanto inesistente doveva ritenersi la notifica, eseguita a mezzo PEC, dell’avviso di citazione per il giudizio di appello riguardante un soggetto diverso dall’imputato assistito dal difensore, tale L.G. e non L.G. . Si verserebbe in un caso di inesistenza della notificazione, trattandosi di notifica a soggetto che non ha alcun collegamento con il destinatario della stessa nè con l’atto da notificare. Il messaggio di posta certificata, essendo l’equipollente della relata di notifica, costituirebbe parte integrante dell’avviso di convocazione, dovendo in quanto tale riportare correttamente il nome dell’imputato, nè potendo ritenersi gravare sul difensore l’onere di verificare ogni comunicazione ricevuta, anche quella riferibile a soggetti sconosciuti. 2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di violazione di legge processuale, atteso l’impedimento a comparire dell’imputato che, sottoposto all’obbligo di dimora nel presente procedimento, era stato raggiunto in data 12.06.2019 da ordinanza custodiale in carcere emessa in diverso procedimento. Tale circostanza era da ritenersi nota alla Corte d’appello, che sarebbe stata notiziata del diverso status libertatis dell’imputato durante l’esecuzione della misura non detentiva ordinata dalla stessa Corte. Detto impedimento avrebbe dovuto essere rimosso mediante ordine di traduzione, ciò che non sarebbe avvenuto, con conseguente nullità del giudizio svoltosi e della relativa sentenza. 2.3. Deduce, con il terzo motivo, il vizio di violazione di legge e correlato vizio di insufficienza e contraddittorietà della motivazione e correlata nullità della sentenza per difetto di contestazione. In sintesi, la difesa sostiene che la contestazione formale dell’addebito si sarebbe limitata genericamente a indicare il totale annuo in Euro dei presunti elementi passivi fittizi. Diversamente, sostiene la difesa, la contestazione degli addebiti non potrebbe prescindere dall’indicazione dei documenti fittizi, e la risposta fornita dai giudici di appello alla doglianza non sarebbe persuasiva. I giudici si sarebbero infatti limitati ad evidenziare gli elementi della frode fiscale, considerando nella sua totalità come inesistenti le fatture emesse, laddove, diversamente, grazie alle dichiarazioni del coimputato S. , destinatario delle fatture, sarebbe emerso come le società riferite al ricorrente non sarebbero state mere cartiere, ma avrebbero avuto un reale rapporto con il predetto, in alcuni casi inquinato da attività di sovrafatturazione. Erroneamente i giudici di appello avrebbero ritenuto che non fosse onere dell’accusa indicare e dimostrare quali fatture si riferissero a prestazioni inesistenti, così incorrendo nel medesimo errore del primo giudice, sanzionando dunque l’imputato per non aver fornito giustificazione del disordine contabile riscontrato. Considerato in diritto 1. Il ricorso è complessivamente infondato e dev’essere rigettato. 2. Il primo motivo è infondato. 2.1. Al fine di risolvere la questione posta dal ricorrente, il Collegio ha fatto accesso agli atti del giudizio di appello, verificando la notifica dell’avviso a mezzo PEC. È pacifico infatti nella giurisprudenza di questa Corte, che allorché sia dedotto, mediante ricorso per cassazione, un error in procedendo ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c , la Corte di cassazione è giudice anche del fatto e, per risolvere la relativa questione, può accedere all’esame diretto degli atti processuali, che resta, invece, precluso dal riferimento al testo del provvedimento impugnato contenuto nella lett. e del citato articolo, quando risulti denunziata la mancanza o la manifesta illogicità della motivazione per tutte Sez. U, n. 42792 del 31/10/2001 - dep. 28/11/2001, Policastro e altri, Rv. 220092-01 . In particolare, dagli atti del fascicolo processuale risulta che, a seguito del deposito della nomina fiduciaria dell’Avv. Fausto Bruzzese in data 6.05.2019 con contestuale revoca della nomina dell’Avv. Lucio De Palma , la cancelleria della Corte d’appello di Bologna ebbe a notificare il decreto di fissazione per l’udienza 13.09.2019, a mezzo PEC, sia al difensore di fiducia Avv. Fausto Bruzzese risultando dalla stampa della notifica del SNCT il cognome L. anziché L. che all’altro difensore di fiducia, di cui non risulta la revoca, Avv. Mario Prato risultando dalla stampa della notifica del SNCT il cognome esatto dell’imputato, ossia L. , nonché, mediante consegna a mani all’imputato L. notifica eseguita dalla PG in data 5.06.2019 . Effettivamente, dunque, si riscontra l’effettiva notifica a mezzo PEC ad uno solo dei due difensori di fiducia, l’Avv. Fausto Bruzzese, dell’avviso di fissazione dell’udienza di appello riportante il cognome errato dell’imputato L. e non L. . 2.2. Quanto sopra, tuttavia, non determina alcuna nullità assoluta, come invece sostenuto dalla difesa del ricorrente, per un duplice ordine di ragioni. Anzitutto, perché la notifica a mezzo PEC all’altro difensore di fiducia, Avv. Mario Prato, per l’udienza 13.09.2019 in cui questi risulta assente, al pari dell’altro difensore di fiducia , è del tutto regolare in quanto il cognome dell’imputato risulta nella stampa della relata di notifica PEC assolutamente regolare L. e non L. , come invece risulta nella notifica al difensore Avv. F. Bruzzese . Ed è pacifico nella giurisprudenza di questa Corte, applicabile anche alla notifica a mezzo PEC per identità di ratio v., per tutte Sez. U, n. 39060 del 16/07/2009 - dep. 08/10/2009, Aprea, Rv. 244187 - 01 , che la nullità a regime intermedio, derivante dall’omesso avviso dell’udienza a uno dei due difensori dell’imputato, è sanata dalla mancata proposizione della relativa eccezione a opera dell’altro difensore comparso, pur quando l’imputato non sia presente. In motivazione, come è noto, le Sezioni Unite di questa Corte hanno precisato che è onere del difensore presente, anche se nominato d’ufficio in sostituzione di quello di fiducia regolarmente avvisato e non comparso come nel caso di specie, in cui, attesa l’assenza di entrambi i difensori di fiducia, il collegio ebbe a nominare ex art. 97 c.p.p., comma 4, un difensore di ufficio immediatamente reperibile , verificare se sia stato avvisato anche l’altro difensore di fiducia ed il motivo della sua mancata comparizione, eventualmente interpellando il giudice. Ne discende, pertanto, che essendosi verificata la sanatoria della nullità relativa derivante dall’omessa notifica dell’avviso al difensore Avv. Fausto Bruzzese, il motivo di ricorso dev’essere rigettato. In secondo luogo, peraltro, il motivo di ricorso è comunque infondato, ben potendosi fare applicazione del principio, già affermato da questa stessa Sezione e applicabile anche alla notifica cartacea dell’avviso di fissazione dell’udienza di appello, secondo cui non è ravvisabile la nullità dell’interrogatorio avvenuto in sede di convalida a seguito della comunicazione al difensore dell’avviso di fissazione della relativa udienza con il cognome dell’indagato indicato in modo errato, ma chiaramente riconducibile a quello reale. Nel precedente esaminato da questa Corte, ai fini della ritenuta legittimità dell’avviso di fissazione dell’udienza di convalida del fermo, in ordine all’inequivoca individuazione dell’indagato, è stato dato rilievo alla successione dei dati cronologici relativi alla corretta comunicazione del fermo, avvenuta quarantotto ore prima, alla circostanza relativa alla qualità di destinatario dell’atto, concernente la fissazione dell’udienza, dichiarata dallo stesso difensore, e, infine, alla indiscutibile vicinanza tra il nominativo reale e quello effettivamente riportato sull’atto Sez. 3, n. 37153 del 11/06/2002 - dep. 06/11/2002, Fassliu Luan, Rv. 222904 . A ciò, peraltro, va aggiunto che non può ritenersi violato l’art. 179 c.p.p., e dunque non è ravvisabile una nullità assoluta, avendo il difensore fiduciario effettivamente ricevuto la notifica via PEC della data di udienza di appello, anche se riferita ad un soggetto che recava cognome parzialmente errato L. anziché L. , essendovi stata la comunicazione al difensore dell’avviso di fissazione dell’udienza con il cognome dell’imputato indicato sì in modo errato, ma chiaramente riconducibile a quello reale in base agli elementi in atti riferimenti inequivoci all’impugnazione proposta in appello, con l’indicazione del numero di procedimento indiscutibile vicinanza tra il nominativo reale e quello effettivamente riportato sull’atto . 2.3. Nè, infine, può qualificarsi la notifica come inesistente, atteso che l’inesistenza è fenomeno ricollegabile soltanto alla mancanza dei presupposti processuali ed opera al di fuori del rapporto processuale, laddove la nullità consegue, invece, alla inosservanza delle condizioni idonee a costituire un valido rapporto processuale ed opera all’interno di questo. E, del resto, che l’ipotesi in esame debba essere ricondotta alla categoria della nullità e non a quella dell’inesistenza, discende dal chiaro riferimento normativo all’art. 171 c.p.p., che, nell’indicare i casi di nullità della notificazione, individua tra le ipotesi proprio quella evocata dalla difesa nel ricorso in esame, ossia il caso di cui al comma 1, lett. b , ossia quello della incertezza assoluta sull’autorità o sulla parte privata richiedente ovvero sul destinatario , situazione, quest’ultima, da escludersi nel caso di specie, essendo certa la persona del destinatario dell’atto il difensore dell’imputato appellante , riguardando l’incertezza relativa , la sola persona dell’assistito, individuato con un cognome leggermente diverso da quello reale L. anziché L. , ma facilmente identificabile in considerazione degli ulteriori elementi identificativi risultanti dalla notifica eseguita a mezzo PEC. 3. Il secondo motivo è invece inammissibile. Risulta dalla stessa sentenza impugnata ed è confermato dalla lettura del verbale dell’udienza camerale del 13.09.2019, in cui l’imputato risulta detenuto per altra causa casa reclusione Parma - PAC e che il medesimo è stato dichiarato assente , che il ricorrente, al momento del giudizio camerale di appello, era in effetti detenuto per altra causa e che il medesimo, per il presente procedimento, era sottoposto alla misura cautelare non detentiva dell’obbligo di dimora. Non risultando in atti alcuna richiesta di essere sentito personalmente, avendo egli facoltà di comparire trattandosi di udienza camerale art. 599, in relazione all’art. 601 c.p.p., comma 2 , nè alcuna richiesta espressa di comparire all’udienza, trova applicazione il consolidato principio, affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui la mancata traduzione all’udienza camerale d’appello, perché non disposta o non eseguita, dell’imputato che abbia tempestivamente manifestato in qualsiasi modo la volontà di comparire e che si trovi detenuto o soggetto a misure limitative della libertà personale, determina la nullità assoluta e insanabile del giudizio camerale e della relativa sentenza Sez. U, n. 35399 del 24/06/2010 - dep. 01/10/2010, F., Rv. 247836 - 01 . Ne discende, dunque, che la mancata traduzione all’udienza camerale d’appello dell’imputato sottoposto a misura cautelare detentiva determina la nullità assoluta ed insanabile del giudizio e della relativa sentenza solo nell’ipotesi in cui il detenuto abbia formulato espressa richiesta di comparire all’udienza tra le tante, v. Sez. 4, n. 51517 del 21/06/2013 - dep. 20/12/2013, Bagno, Rv. 257876 - 01 . Circostanza che, nella specie, non ricorre. 4. Il terzo motivo è infine inammissibile perché manifestamente infondato. L’imputazione di emissione di fatture per operazioni inesistenti, infatti, è stata oggetto di approfondita disamina da parte della sentenza d’appello che, nel confutare le argomentazioni difensive sviluppate nei motivi di appello, peraltro qualificate in termine di genericità ed apoditticità a ha ribadito la natura di cartiere delle società coinvolte, valorizzando - come già il primo giudice - la radicale assenza di qualunque elemento normalmente rivelatore di un’effettiva operatività delle persone giuridica b ha considerato inverosimile che prestazioni reiterate e di importi rilevanti fossero eseguite da personale assoldato ad hoc e che di tale rapporto di lavoro non fosse rimasta alcuna traccia c ha rilevato l’anomalia dell’immediato quando non addirittura anticipato pagamento delle fatture da parte del S. in quanto contrastante con qualsiasi prassi commerciale, sottolineando come lo stesso S. avesse ammesso l’inesistenza quantomeno parziale delle operazioni oggetto di fatturazione, di per sé penalmente rilevante d ha poi evidenziato come chiara fosse la connotazione anomala delle operazioni bancarie parallele, consistenti in bonifici ed accrediti di titoli per importi rilevanti, con prelievi quasi contestuali delle liquidità da parte del ricorrente, ovvero di soggetti che, non essendo rimasti ignoti, risultano bene identificati in atti e ha, ancora, messo in evidenza come nel periodo interessato dalla contestazione, il ricorrente o soggetti a lui vicini, avessero posto in essere sui conti delle cartiere circa 5000 operazioni per un importo di oltre 15 milioni di Euro, essendo dunque evidente come a fronte di quanto emerso, fortemente rivelatore di una provenienza di detto flusso dalle illecite attività oggetto di contestazione, sarebbe stato onere del ricorrente dimostrare una diversa provenienza di tali entrate, dimostrazione invece non fornita, soprattutto a fronte di movimentazioni apparentemente prive di alcuna causale e coinvolgenti società di fatto inattive e controparti del rapporto con le imprese facenti capo al S. , contesto a fronte del quale il reo non aveva saputo fornire una diversa ricostruzione dei fatti f infine, ha ritenuto corretto quanto già il GUP aveva evidenziato in sentenza, circa la rilevanza dei dialoghi oggetto di intercettazione, il cui tenore letterale era incompatibile con l’ipotesi che oggetto della consegna fossero bancali o supporti oggetti non custodibili in una borsetta e che non giustificavano l’atteggiamento prudente ed evasivo degli interlocutori il ricorrente, tale Z. , il S. e la compagna V. , spiegabile solo in un’attività illecita . 4.1. Al cospetto di tale apparato argomentativo, le doglianze difensive di cui al terzo motivo appaiono non solo generiche per aspecificità non confrontandosi criticamente con la motivazione della sentenza impugnata Sez. 4, n. 5191 del 29/03/2000 - dep. 03/05/2000, Barone C L, Rv. 216473 , ma anche inammissibili, perché evocano violazioni di legge non dedotte con i motivi di appello, ex art. 606 c.p.p., comma 3. Ed invero, la mancata elencazione delle fatture poste in essere per le operazioni oggettivamente inesistenti - che la difesa indica quale elemento tale da determinare la nullità della sentenza impugnata per difetto di contestazione - non era stata chiaramente indicata quale motivo di censura nell’atto di appello, in cui si contestava invece in maniera generica la esistenza delle operazioni sottostanti all’emissione delle fatture e, dunque, in ultima analisi la realità delle operazioni medesime, seppure ammettendo la sovrafatturazione quantitativa. A ciò, peraltro, va aggiunto che, per pacifica giurisprudenza di questa Corte, in tema di reati tributari, la mancanza nel capo di imputazione di una specifica e analitica indicazione di tutte le fatture ritenute falsificate o contraffatte non comporta alcuna genericità o indeterminatezza della contestazione del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2 allorché tali documenti siano agevolmente identificabili attraverso il richiamo ad una categoria omogenea che ne renda comunque possibile la individuazione tra le tante Sez. 3, n. 20858 del 07/11/2017 - dep. 11/05/2018, Dorini, Rv. 272788 . E, nel caso di specie, la circostanza che la stessa difesa avesse svolto le proprie argomentazioni a tutto campo, in particolare tentando di sostenere che le operazioni oggetto di fatturazione fossero reali ancorché oggetto di sovrafatturazione e che si versasse invece in un’ipotesi di disordine contabile , risulta pienamente dimostrativo della adeguatezza della contestazione onnicomprensiva dell’inesistenza delle operazioni oggetto di contestazione, dovendosi riferire l’addebito a tutte le fatture indistintamente emesse in modo sistematico dalle società cartiere indicate nell’imputazione, facenti capo al ricorrente, nei confronti delle imprese riconducibili al S.L. al fine di consentire a queste l’evasione delle imposte sui redditi e dell’IVA. 5. Nessun vizio motivazionale di insufficienza o contraddittorietà è infine ravvisabile nella sentenza impugnata, sia perché il vizio di insufficienza della motivazione non integra vizio deducibile ex art. 606 c.p.p., lett. E , Sez. 6, n. 46308 del 12/07/2012 - dep. 29/11/2012, Chabchoub e altri, Rv. 253945 , sia perché il vizio di contraddittorietà della motivazione, configurato dalla L. n. 46 del 2006 come motivo autonomo di ricorso e non più come un aspetto del motivo di illogicità, si sostanzia nell’incompatibilità tra l’informazione posta alla base del provvedimento impugnato e l’informazione sul medesimo punto esistente negli atti processuali Sez. 3, n. 12110 del 21/11/2008 - dep. 19/03/2009, Campanella e altro, Rv. 243247 , circostanza da escludersi nel caso in esame. 6. Il ricorso, pertanto, dev’essere complessivamente rigettato, conseguendone la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.