Quando si consuma il reato di infedele patrocinio?

La vicenda vede quale protagonista un avvocato che promette alla cliente di appellare la sentenza all’esito della quale ella era rimasta soccombente, consigliandole per questo di non pagare quanto dovuto alla controparte. In seguito, la cliente sarà sottoposta a pignoramento immobiliare a causa dell’inerzia del difensore. In tale contesto, la Suprema Corte chiarisce quando si consuma il reato di infedele patrocinio e precisa come si configura quello di falsità materiale.

Questo il contenuto della sentenza della Corte di Cassazione n. 27907/20, depositata il 7 ottobre. La Corte d’Appello di Torino riformava parzialmente la pronuncia di primo grado, assolvendo l’imputata per taluni reati a lei ascritti e confermando la sua condanna per altri. Nello specifico, l’imputata, nelle vesti di avvocato, era stata condannata per il reato di cui all’art. 380 c.p., poiché, all’esito di un giudizio in cui la sua cliente era risultata soccombente, ella le aveva proposto di non procedere al pagamento di quanto dovuto e di proporre appello, rendendosi poi infedele ai propri doveri professionali , non attivando alcuna iniziativa a tutela dell’assistita e omettendo di proporre appello, arrecando così un danno alla stessa, che era stata infatti sottoposta ad un pignoramento immobiliare. L’avvocato propone ricorso per cassazione, lamentando, tra i diversi motivi, l’omessa dichiarazione di estinzione del reato di cui all’art. 380 c.p. per prescrizione, tenendo conto che esso si sarebbe consumato al momento della scadenza del termine entro cui sarebbe stato possibile proporre appello contro la pronuncia di primo grado inoltre, la ricorrente lamenta la conferma delle statuizioni civili connesse alla declaratoria di estinzione di uno dei reati a lei ascritti, relativo al delitto di falsità materiale . La Corte di Cassazione dichiara fondato il primo motivo di ricorso, affermando che il reato di infedele patrocinio ex art. 380 c.p. si consuma nel momento in cui, in ragione dell’infedele adempimento dei doveri cui il patrocinatore è tenuto, si verifica un pregiudizio agli interessi della parte difesa, assistita o rappresentata dinanzi all’autorità giudiziaria . Nel caso di specie, il reato contestato all’imputata si era consumato quando ella, dopo aver garantito alla cliente l’utilità di impugnare la decisione sfavorevole e datale la sua disponibilità a tal fine, la stessa poi aveva fatto decorrere inutilmente il termine di sei mesi stabilito ai fini dell’impugnazione della pronuncia di primo grado. Essendo, dunque, irrilevanti le successive condotte della professionista, la sentenza impugnata viene annullata senza rinvio dalla Suprema Corte limitatamente alle residue statuizioni civili connesse, essendosi il reato estinto per prescrizione . Quanto al secondo motivo di ricorso, invece, la Corte rileva che è indifferente la circostanza di fatto relativa alla materiale esistenza dell’atto originale” dedotta dalla ricorrente, rispetto alla quale si sarebbe dovuto operare un confronto con la copia, in quanto l’intervento di falsificazione effettuato con modalità di contraffazione assume come riferimento non la copia, bensì il falso contenuto dichiarativo ovvero di attestazione che è stato apparentemente mostrato dalla natura della copia formata ed esibita dall’agente, laddove l’atto originale non esiste affatto ovvero, se realmente esistente, rimane inalterato e comunque estraneo alla vicenda . Ciò posto, nel caso concreto la ricorrente aveva predisposto ed esibito tre copie ai propri clienti, le quali avevano ad oggetto riproduzioni di documenti originali invero inesistenti , predisposte però in maniera tale da creare un’esterna apparenza di originalità, considerando che vi era stato apposto anche il timbro dell’ufficio di provenienza. Anche per tale ragione, la Corte di Cassazione dichiara il ricorso inammissibile nel resto.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 23 settembre – 7 ottobre 2020, n. 27907 Presidente Di Stefano – Relatore Aprile Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Torino riformava parzialmente la pronuncia di Primo grado emessa il 21 gennaio 2016 nei riguardi di G.M.C.M.E. - assolvendo l’imputata dai reati a lei ascritti ai capi B ed F perché fatto non è più previsto dalla legge come reato, dichiarando non doversi proèedere per i reati dei capi A ed E perché estinti per prescrizione e così rideterminando la pena finale - e confermava nel resto la medesima pronuncia con la quale il Tribunale di Ivrea aveva condannato la prevenuta in relazione al reato di cui all’art. 380 c.p., per avere, tra il omissis , quale avvocato incaricato di assistere professionalmente D.A. nel giudizio promosso dalla società Edil3, che aveva richiesto il pagamento della somma di 3.690,93 Euro per lavori eseguiti presso una villetta di omissis , all’esito della sentenza civile di primo grado che aveva visto soccombente la D. , proposto alla propria cliente di non procedere al pagamento di quanto dovuto e di proporre appello rendendosi infedele ai suoi doveri professionali non attivando alcuna iniziativa a tutela della D. e omettendo di interporre appello, arrecando un pregiudizio alla cliente che aveva subito un pignoramento immobiliare ed era stata costretta a pagare la somma di 15.000 Euro per ottenere la rinuncia all’esecuzione. Con la medesima sentenza venivano, altresì, confermate le statuizioni civili connesse all’imputazione del capo d’imputazione E , essendo stata la G.M. condannata al risarcimento dei danni subiti dalle parti civili M.I. , D.E.A. e C.S. , persone offese dei delitti di falso materiale commessi dalla imputata con riferimento a tre provvedimenti dell’autorità giudiziaria. 2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso la G.M. , con atto sottoscritto dai suoi difensori, la quale ha dedotto i seguenti motivi. 2.1. Vizio di motivazione, per illogicità, per avere la Corte territoriale ingiustificatamente disatteso la richiesta difensiva di proscioglimento della imputata per difetto di imputabilità per vizio totale di mente, senza debitamente considerare le indicazioni fornite dal consulente tecnico di parte riguardanti un episodio verificatosi nel 2008, idoneo a confermare il carattere di grave malattia psichica cui già in quel periodo era affetta la prevenuta. 2.2. Violazione di legge, in relazione all’art. 380 c.p., e mancanza di motivazione, per avere la Corte distrettuale omesso di rispondere alla lamentata assenza di un elemento costitutivo della fattispecie incriminatrice contestata al capo G , non essendo stato dimostrato che la D. avesse conferito alla G.M. uno specifico mandato professionale per impugnare quella sentenza civile di primo grado che l’aveva vista soccombente situazione, questa, che avrebbe potuto ingenerare una situazione di equivoco tra la cliente e la professionista, ragionevolmente favorita anche dalle precarie condizioni di salute mentale in cui la imputata si trovava in quel periodo. 2.3. Violazione di legge e mancanza di motivazione, per avere la Corte torinese erroneamente omesso di dichiarare la estinzione per prescrizione del reato ascritto alla imputata al capo G , tenuto conto che lo stesso doveva considerarsi consumato alla data di scadenza del temine entro il quale sarebbe stato possibile proporre appello averso la sentenza di primo grado pronunciata nella causa tra la società Edil 3 e la D. . 2.4. Violazione di legge, in relazione agli artt. 81, 476 e 482 c.p., e vizio di motivazione, per avere la Corte piemontese confermato le statuizioni civili connesse alla declaratoria di estinzione del reato ascritto alla G.M. nel capo d’imputazione E , benché la giurisprudenza di legittimità abbia oramai escluso che possa integrare il delitto di falsità materiale, punito dalle citate norme del codice penale, la predisposizione di una fotocopia di un atto pubblico in realtà inesistente. 2.5. Violazione di legge, per avere la Corte periferica erroneamente dichiarato la inammissibilità delle doglianze che con l’atto di appello erano state formulate in ordine alla mancata giustificazione da parte del giudice di primo grado delle ragioni relative alla quantificazione del danno cagionato alle costituite parti civili. Considerato in diritto 1. Ritiene la Corte che il ricorso sia fondato, sia pur nei limiti e con gli effetti di seguito precisati. 2. Con riferimento all’imputazione del capo G , va preliminarmente considerato il terzo motivo del ricorso, che appare meritevole di positiva valutazione. Il reato di infedele patrocinio previsto dall’art. 380 c.p. si consuma nel momento in cui, in ragione dell’infedele adempimento dei doveri cui il patrocinatore è tenuto, si verifica un pregiudizio agli interessi della parte difesa, assistita o rappresentata dinanzi all’autorità giudiziaria in questo senso Sez. 2, n. 12361 del 14/02/2019, Musmeci, Rv. 275383 . In tale ottica, è di tutta evidenza come il reato contestato alla G.M. , avvocato che aveva assistito D.A. nel giudizio civile di primo grado che l’aveva vista contrapposta alla Edil 3, ebbe a consumarsi nel momento in cui, dopo aver dato garanzie alla propria cliente sulla utilità di impugnare la sentenza sfavorevole che quel giudizio di primo grado e aver dato la disponibilità a presentare l’atto di appello, la professionista fece inutilmente decorrere il termine di sei mesi, decorrente dalla data del 18 novembre 2008 di pubblicazione della sentenza, previsto per l’impugnazione di tale provvedimento giudiziaria. È, perciò, alla data del 18 maggio 2009 che, resasi infedele ai propri doveri, l’imputata arrecò un irrimediabile nocumento agli interessi della propria assistita risultando a tal fine chiaramente irrilevanti tanto le ulteriori assicurazioni in seguito date all’assistita sull’esito positivo della procedura , trattandosi di condotta tenuta per celare un pregiudizio che si era già verificato, quanto gli ulteriori sviluppi verificatisi in sede di esecuzione immobiliare, rispetto ai quali non risulta accertata e neppure formalmente contestata la violazione di ulteriori specifici doveri professionali. La sentenza impugnata va, dunque, annullata senza rinvio limitatamente alle residue statuizioni civili, essendosi anche il reato sub capo G estinto per intervenuta prescrizione pur tenendo conto dei periodi di sospensione del relativo decorso . Non sono riscontrabili, nella sentenza della Corte distrettuale, elementi di giudizio da cui poter desumere la prova evidente dell’innocenza dell’imputato, nè, in generale, l’incontrovertibile insussistenza del fatto o non attribuibilità del medesimo all’imputata. Sono assenti, infatti, le condizioni per un proscioglimento dell’imputata nel merito ai sensi dell’art. 129 c.p.p., comma 2, potendosi rilevare che le prime due doglianze formulate con il ricorso oggi in esame - riguardanti la mancata valutazione di una circostanza fattuale segnalata dal consulente tecnico di parte in ordine alla natura del vizio di mente di cui era affetta l’imputata e l’incertezza relativa alla esistenza di un formale mandato ad impugnare - hanno sostanzialmente ad oggetto dubbi sulla tenuta motivazionale della decisione gravata e sono palesemente inidonei ad integrare quella evidenza della prova necessaria per far prevalere la formula assolutoria in relazione al predetto capo G . Al riguardo, non vi sono ragioni per disattendere il consolidato orientamento interpretativo di questa Corte secondo il quale, in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata in quanto il giudice del rinvio avrebbe comunque l’obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244275 . 3. Il quarto motivo del ricorso è manifestamente infondato. Proprio con riferimento ad una fattispecie analoga a quella esaminata dalla Corte di appello, sia pur ai sensi dell’art. 578 c.p.p., ai fini della conferma delle statuizioni civili in relazione all’imputazione del capo E , le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito che la formazione della copia di un atto inesistente non integra il reato di falsità materiale, salvo che la copia assuma l’apparenza di un atto originale. In pratica, si è ritenuto come sia penalmente punibile l’ipotesi in cui la copia di un documento si presenti o venga esibita con caratteristiche tali, di qualsiasi guisa, da voler sembrare un originale, ed averne l’apparenza, ovvero la sua formazione sia idonea e sufficiente a documentare nei confronti dei terzi l’esistenza di un originale conforme in tal caso la contraffazione si ritiene sanzionabile ex artt. 476 o 477 c.p., secondo la natura del documento che mediante la copia viene in realtà falsamente formato o attestato esistente lo stesso soggetto che produce la copia deve compiere anche un’attività di contraffazione che vada ad incidere materialmente sui tratti caratterizzanti il documento in tal modo prodotto, attribuendogli una parvenza di originalità, così da farlo sembrare, per la presenza di determinati requisiti formali e sostanziali, un provvedimento originale o la copia conforme, originale, di un tale atto ovvero comunque documentativa dell’esistenza di un atto corrispondente entro tale prospettiva deve ritenersi indifferente la circostanza di fatto legata alla materiale esistenza o meno dell’atto originale rispetto al quale dovrebbe operarsi il raffronto comparativo con la copia, perché l’intervento falsificatorio effettuato con la modalità della contraffazione assume come riferimento non tanto la copia in sé, quanto il falso contenuto dichiarativo o di attestazione apparentemente mostrato dalla natura della copia formata ed esibita dall’agente, laddove l’atto originale non esiste affatto ovvero, se realmente esistente, rimane inalterato e comunque estraneo alla vicenda Sez. U, n. 35814 del 28/03/2019, Marcis, Rv. 276285 . Di tale principio di diritto i giudici di merito hanno fatto buon governo, sottolineando come le tre copie che erano state predisposte dalla odierna imputata ed esibite ai propri clienti - riguardanti tre ordinanze, una del Tribunale di Ivrea, un’altra dell’autorità giudiziaria torinese per l’affido dei minori e una terza della Corte di appello, sempre relativa all’affido di quei minori, adottata nell’ambito di un giudizio di separazione coniugale - avevano ad oggetto le riproduzioni fotostatiche di documenti originali invero inesistenti, ma erano state predisposte in maniera tale da creare un’apparenza esterna di originalità, dunque da offendere l’interesse giuridico protetto della fede pubblica, tenuto conto che ciascuna di esse era stata completata con il timbro dell’ufficio di provenienza e con una - anch’essa falsa - attestazione di conformità all’originale. 4. Il quinto e ultimo motivo del ricorso è ugualmente privo di pregio, avendo la Corte distrettuale di Torino correttamente motivato la decisione di qualificare inammissibile la doglianza, formulata con l’atto di appello, con la quale la difesa si era doluta della genericità della motivazione della sentenza di primo grado nella parte riguardante la quantificazione dei danni che l’imputata era stata condannata a risarcire in favore delle tre costituite parti civili quel motivo dell’appello era stato avanzato in termini di certo aspecifici, a fronte di una statuizioni civile con la quale il Tribunale di Ivrea aveva ritenuto di dover liquidare i danni in via equitativa, avendo la produzione di quella documentazione falsa da parte della G.M. causato, più che un pregiudizio economicamente definibile, un danno morale legato ad un ingiustificato aumento della litigiosità dei due coniugi , parti della causa civile in corso. Soluzione, questa, conforme al pacifico indirizzo esegetico di questa Corte secondo il quale, in tema di risarcimento del danno per fatto illecito, la liquidazione del danno non patrimoniale, sfuggendo ad una piena valutazione analitica, resta affidata ad apprezzamenti discrezionali ed equitativi del giudice di merito, non sindacabili in sede di legittimità laddove nella relativa quantificazione siano stati indicati elementi fattuali tali da rendere la somma riconosciuta adeguata al particolare caso concreto ed evitare che la stessa rappresenti un simulacro di risarcimento Sez. 3, n. 3912 del 11/02/1991, Martinelli, Rv. 186780 . P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo G perché il reato è estinto per prescrizione. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.