La responsabilità del direttore tecnico di cantiere verso i terzi fruitori dell’opera finita e non conforme alla normativa

Nell’ambito di un cantiere il direttore tecnico risulta garante non soltanto della sicurezza dei lavoratori e di coloro che possono entrare fisiologicamente in contatto con loro nella fase dinamica della costruzione, ma anche della sicurezza dei terzi fruitori, a qualunque titolo, dell’opera, una volta essa sia realizzata, ove non siano stati rispettati i corretti canoni di costruzione.

Sul tema la Corte di Cassazione con la sentenza n. 27574/20, depositata il 6 ottobre. La Corte d’appello di Cagliari, in parziale riforma della sentenza di primo grado, riconosceva l’imputato, direttore tecnico dell’impresa esecutrice dei lavori di ristrutturazione di un hotel, colpevole di omicidio colposo , in cooperazione colposa con altri imputati, per non avere rispettato i requisiti di sicurezza rispetto al rischio di caduta, in relazione al rifacimento di un terrazzo. Quest’ultimo, infatti, presentava un parapetto di altezza inferiore a quanto consentito e numerosi appigli ed aperture che avevano consentito ad un bambino di 18 mesi di scavalcarlo, raggiungendone la cima ed infine perdendo l’equilibrio e precipitando nel vuoto. La Corte territoriale, peraltro, dichiarava non doversi procedere per estinzione del reato a causa della prescrizione, pur confermando le statuizioni civili. Avverso la sentenza l’imputato ricorreva per Cassazione, lamentando – con unico motivo – violazione di legge e vizio di motivazione, per due diverse ragioni. Da una parte, la difesa sottolineava come la Corte d’appello avesse riconosciuto in capo all’imputato una posizione di tutela dei terzi , nonostante egli fosse stato nominato direttore tecnico di cantiere e responsabile del servizio di prevenzione e protezione ai sensi e per gli effetti dell’art. 4 del D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547 e dunque ai soli fini della tutela dei lavoratori del cantiere. Dall’altra parte, la difesa sottolineava come non fosse immediatamente percepibile, anche da parte di un soggetto dotato di competenze in materia edilizia quale l’imputato, la lieve, secondo la difesa difformità del parapetto dalle prescrizioni di legge. La Suprema Corte condivideva le conclusioni della Corte territoriale in relazione alla sussistenza di una posizione di garanzia dell’imputato nei confronti dei fruitori dell’opera finita riteneva inoltre che la doglianza relativa alla non avvertibilità della difformità dell’opera rispetto alle prescrizioni di legge fosse manifestamente infondata. Pertanto, il ricorso veniva rigettato ed il ricorrente veniva condannato al pagamento delle spese processuali. La Suprema Corte rilevava, anzitutto, come l’imputato – cui era stata affidata la posizione di dirigente – fosse stato altresì nominato responsabile del servizio di prevenzione e protezione, in linea con quanto previsto dall’art. 18, comma 1, d.lgs. n. 81/2008 che attribuisce anche ai dirigenti una posizione di garanzia relativamente alla sicurezza dei lavoratori. Il Collegio si domandava, quindi, se il direttore tecnico dovesse altresì vigilare sulla conformità dell’opera alla normativa vigente, assumendo dunque una posizione di garanzia anche nei confronti di coloro che – a qualsiasi titolo – usufruiscano dell’opera una volta terminata. Per rispondere a tale quesito, la Suprema Corte prendeva le mosse dall’art. 6, commi 1,2 e 3 del Decreto del Ministero dei Lavori Pubblici n. 145/2000, secondo cui, per il tramite del direttore di cantiere, l’appaltatore assicura l’ organizzazione , la gestione tecnica e la conduzione del cantiere . Tale Decreto riguarda, più precisamente, il Regolamento recante il capitolato generale d’appalto dei lavori pubblici” ma – ritiene la Corte – le richiamate disposizioni costituiscono un principio generale che, dunque, trova applicazione anche per i lavori svolti da privati nel proprio interesse. Si evidenziava, poi, come la stessa Giurisprudenza di Legittimità avesse specificato come i summenzionati compiti del direttore di cantiere comportassero, tra l’altro, la verifica dell’impiego dei materiali, il controllo degli impegni contrattuali e la conformità delle opere al progetto Sez. IV, n. 2378 del 2006, dep. 2017 . Nel caso di specie, per vero, si rilevava come la realizzazione dell’opera fosse conforme al progetto, e tuttavia l’opera stessa non rispettasse la normativa urbanistica. Così ricostruito il quadro normativo, la Suprema Corte condivideva le conclusioni dei Giudici di merito, i quali avevano richiamato l’art. 29 d.P.R. n. 380/2001 Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia che, al comma 1, prevede la responsabilità del titolare del permesso di costruire , del committente e del costruttore per la conformità delle opere alla normativa urbanistica. Tale disposizione, inoltre, era altresì richiamata nella concessione edilizia relativa al caso di specie. A parere tanto della Suprema Corte quanto dei Giudici di merito, tale disposizione dovrebbe essere collegata con il summenzionato art. 6 del Decreto del Ministero dei Lavori Pubblici n. 145/2000, da cui deriva che il direttore tecnico del cantiere – in quanto diretta emanazione del costruttore – ha demandate le attività inerenti la gestione del cantiere, ivi comprese quelle relative alla conformità delle opere alla normativa vigente, con la conseguenza che le responsabilità del costruttore ex art. 29 d.P.R. n. 380/2001 si estendono anche a tale figura. La Suprema Corte precisava, altresì, come le caratteristiche del terrazzo – che in concreto hanno consentito la sua scalabilità” – fossero state ritenute macroscopiche dai giudici di merito e, pertanto, facilmente individuabili da un soggetto con esperienza nel settore edilizio.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 16 settembre – 6 ottobre 2020, n. 27574 Presidente Piccialli – Relatore Cenci Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Cagliari il 19 febbraio 2018, in parziale riforma della sentenza con cui il Tribunale di Cagliari il 10 gennaio 2017, all’esito del dibattimento, ha riconosciuto - anche - M.N. responsabile, in cooperazione colposa con altri imputati, di omicidio colposo, in conseguenza condannandolo alla pena di giustizia, oltre al risarcimento dei danni a favore della parte civile, ha dichiarato non doversi procedere per essere il reato estinto per prescrizione alla data del 18 marzo 2017 , nel contempo confermando le statuizioni civili. 2. Appare opportuno premettere brevissimi elementi conoscitivi tratti dalle sentenze di merito. 2.1. Il omissis un bambino di diciotto mesi, K.B. , è morto per il grave trauma riportato a seguito di precipitazione nel vuoto per 3,42 metri dalla terrazza della camera di albergo sita al quarto piano, occupata dalla sua famiglia, che si trovava in vacanza in Sardegna, sino ad una tettoia sottostante. I giudici di merito hanno ritenuto che il piccolo abbia scavalcato il parapetto della terrazza, parte in muratura e parte in metallo, infine perdendo l’equilibrio e cadendo all’esterno a testa in giù e che la ragione della precipitazione sia da individuarsi nella altezza del parapetto, inferiore a quanto consentito, e nella presenza nello stesso di una pluralità di vietati appigli battiscopa, componenti in ferro battuto della ringhiera, in particolare riccioli di metallo e di aperture di dimensioni superiori a 10 centimetri di diametro, tali cioè da consentire ipoteticamente l’attraversamento , in concreto adoperati dal bimbo per arrampicarsi, facendo leva con i piccoli piedi, sino in cima, per poi precipitare, essendo la parte superiore del corpo più pesante di quella inferiore. 2.2.Si è ritenuto, in particolare, in base a perizia e a consulenze tecniche, che il terrazzo dell’hotel che era stato oggetto di lavori di ristrutturazione autorizzati nel 2002-2003 ed ultimati il 31 marzo 2003 non presentasse i requisiti di sicurezza rispetto al rischio di caduta all’esterno imposti per le costruzioni non solo dalle norme di buona tecnica UNI ma da una pluralità di fonti normative L. 9 gennaio 1989, n. 13, recante Disposizioni per favorire il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati , art. 1 L.R. della Sardegna 30 agosto 1991, n. 32, Norme per favorire l’abolizione delle barriere architettoniche , art. 6 D.M. 14 giugno 1989, n. 236 Prescrizioni tecniche necessarie a garantire l’accessibilità, l’adattabilità e la visitabilità degli edifici privati e di edilizia residenziale pubblica sovvenzionata e agevolata, ai fini del superamento e dell’eliminazione delle barriere architettoniche , artt. 11, 41 ed 81 D.P.R. 21 aprile 1993, n. 246 Regolamento di attuazione della direttiva 89/106/CEE relativa ai prodotti da costruzione , all. A. 2.3. Sono stati ritenuti responsabili della morte del piccolo l’amministratore delegato della società proprietaria dell’albergo, committente dei citati lavori di ristrutturazione C.A. il responsabile dell’area tecnica del Comune che, a seguito di ispezione dei luoghi, non avendo rilevato che il parapetto e la ringhiera in questione erano stati realizzato in violazione delle prescrizioni di legge, dei regolamenti e delle specifiche regole dell’arte che disciplinano tale materia, aveva rilasciato il certificato di agibilità dell’immobile M.M.F.A. l’amministratore unico della società esecutrice, in virtù di subappalto, dei lavori in questione, s.r.l. Cosmared P.M.T. il direttore dei lavori di ristrutturazione in questione Pi.An. e, appunto, l’odierno ricorrente, M.N. , direttore tecnico dell’impresa esecutrice dei lavori. 2.4. La insufficiente vigilanza esercitata in concreto dai genitori sul piccolo, in tenerissima età, ha comportato il riconoscimento da parte dei giudici di merito di un concorso di colpa dei genitori nella produzione dell’evento letale nella misura del 70%. 3.Ciò posto, ricorre per la cassazione della sentenza M.N. , tramite difensore di fiducia, affidandosi ad un unico motivo, con il quale denunzia promiscuamente violazione di legge art. 40 c.p. e vizio di motivazione con riferimento all’attribuzione, che si stima illegittima ed erronea, di una posizione di garanzia a tutela dei terzi in capo all’imputato ricorrente. La Corte di appello si sarebbe limitata, ad avviso della difesa, a ribadire alla p. 56 la motivazione della sentenza di primo grado, superficialmente ed apoditticamente - si ritiene - affermando che il direttore tecnico di cantiere fosse titolare di una posizione di garanzia nei confronti dei terzi e che lo stesso fosse obbligato, analogamente al titolare della ditta esecutrice dei lavori, a verificare la conformità del parapetto alla normativa vigente. In realtà, il geometra M.N. , consulente esterno della ditta Cosmared come si desumerebbe dalla visura della camera di commercio, allegata al ricorso sub n. 1 , era stato indicato nel piano operativo di sicurezza del 18 novembre 2002 quale direttore tecnico di cantiere e quale responsabile del servizio di prevenzione e protezione come si desumerebbe dai documenti allegati sub nn. 2 e 3 nel caso di specie difetterebbe qualsiasi fonte - legge ovvero contratto ovvero effettiva presa in carico , per acta concludentia, del bene protetto - per poter affermare che lo stesso fosse tenuto a verificare la conformità del parapetto alla norma vigente, e ciò a tutela della incolumità dei terzi. Alla p. 37 del p.o.s. - si evidenzia nel ricorso - si legge che la nomina di M. era stata effettuata ai sensi e per gli effetti del D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, art. 4 e cioè - solo - per prevenire gli infortuni sul lavoro a tutela dei lavoratori operanti nel cantiere e non già per sovraintendere alla corretta esecuzione dei lavori in modo conforme alla normativa, come invece hanno in maniera non condivisibile affermato i giudici di merito pp. 25 e 56 della sentenza impugnata . Assume infine la difesa che le - ritenute - lievi difformità del parapetto rispetto alle prescrizioni di legge, si dice di pochi centimetri, non sarebbero state percepibili ictu oculi, ragion per cui non è neppure condivisibile l’assunto secondo cui il M.N. avrebbe dovuto avvertire il pericolo in quanto dotato di specifiche competenze in materia edilizia così a p. 6 del ricorso . Si chiede, dunque, l’annullamento della sentenza impugnata. Considerato in diritto 1. Il ricorso non è fondato, per i motivi che si passa ad illustrare. 2. Il ragionamento svolto dalla Corte territoriale quanto alla responsabilità dell’imputato si incentra, per quanto in questa sede rileva non si contesta, infatti, la dinamica della caduta nè la causa della morte nè il nesso tra la precipitazione e l’evento nè la riscontrata difformità del parapetto dai corretti canoni costruttivi nè la pericolosità dello stesso nè la cronologia delle modifiche all’immobile, aspetti sui quali si sofferma ampiamente la sentenza impugnata, in ragione del concreto contenuto degli appelli dei coimputati , su di un triplice passaggio v. pp. 25-27, 44-46 e 56-57 della decisione a M.N. era stata, in effetti, affidata anche la responsabilità della sicurezza dei lavoratori M. , in quanto direttore tecnico del cantiere dell’impresa esecutrice dei lavori Cosmared, era obbligato a procedere alla esecuzione delle opere in modo conforme alla normativa le conoscenze specifiche in materia di costruzione di cui era in concreto portatore, comunque, gli avrebbero dovuto consentire di prevedere agevolmente il pericolo dell’evento, ma così non è stato. 3.Le riferite affermazioni, non efficacemente aggredite dall’impugnazione di legittimità, risultano, a ben vedere, corrette. 3.1. Emerge, infatti, dagli stessi atti allegati dalla difesa al ricorso, sub nn. 2 e 3, che all’imputato era stata affidata, per contratto, la posizione di dirigente ed espressamente attribuita la responsabilità del servizio di prevenzione e protezione. Ciò è in linea con quanto legislativamente previsto già dal D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, art. 4 e, poi, dal D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, art. 18, comma 1, che attribuisce, oltre che al datore di lavoro, anche ai dirigenti una posizione di garanzia in tema di sicurezza dei lavoratori, come peraltro puntualizzato dalla S.C. ad esempio, da Sez. 4, n. 39606 del 28/06/2007, Marchesini ed altro, Rv. 237878, secondo cui In materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il direttore tecnico ed il capo cantiere sono titolari di autonome posizioni di garanzia in quanto egualmente destinatari, seppure a distinti livelli di responsabilità, dell’obbligo di dare attuazione alle norme dettate in materia di sicurezza sul lavoro. Ne consegue che la nomina di un capo cantiere non implica di per sé il trasferimento a quest’ultimo della sfera di responsabilità propria del direttore tecnico . 3.2. Ciò posto, il tema del processo non è se il direttore tecnico sia o meno garante della sicurezza dei lavoratori e di coloro che possano entrare, per così dire, fisiologicamente in contatto con loro nella fase dinamica della costruzione, perché ciò non è contestato nel caso di specie nè è contestabile ma è se tale figura sia anche garante della sicurezza dei terzi fruitori, a qualunque titolo, dell’opera, una volta essa sia realizzata, nella successiva fase, per così dire, statica , ove non siano stati rispettati i corretti canoni di costruzione se, in altre parole, sia o meno tenuto, come hanno ritenuto i giudici di merito pp. 25 e 56 della sentenza impugnata , a vigilare affinché l’opera sia eseguita in maniera conforme alla normativa vigente. Al quesito deve darsi risposta affermativa. Occorre prendere le mosse dalla previsione del Decreto del Ministero dei lavori pubblici 19 aprile 2000, n. 145, art. 6, commi 1, 2 e 3, secondo cui 1. L’appaltatore è responsabile della disciplina e del buon ordine nel cantiere e ha l’obbligo di osservare e far osservare al proprio personale le norme di legge e di regolamento. 2. L’appaltatore, tramite il direttore di cantiere assicura l’organizzazione, la gestione tecnica e la conduzione del cantiere. 3. La direzione del cantiere è assunta dal direttore tecnico dell’impresa o da altro tecnico formalmente incaricato dall’appaltatore . Al riguardo, la S.C. ha già condivisibilmente puntualizzato che i compiti di organizzazione, gestione tecnica e conduzione del cantiere comportano, tra gli altri, la verifica dell’impiego dei materiali, il controllo degli impegni contrattuali e la conformità delle opere al progetto Sez. 4, n. 2378 del 08/07/2016, dep. 2017, Benedetto e altro, Rv. 268874, non mass. sul punto, sub n. 6 del considerato in diritto , p. 6 . La norma richiamata, invero, è posta dal D.M. n. 145 del 2000, recante Regolamento recante il capitolato generale d’appalto dei lavori pubblici, ai sensi della L. 11 febbraio 1994, n. 109, art. 3, comma 5 e successive modificazioni ma non vi è ragione di ritenere che non ponga un principio generale valido anche per lavori svolti da privati nel proprio interesse. Osserva il Collegio che nel caso di specie non viene in rilievo la verifica circa l’impiego dei materiali nè il controllo degli impegni contrattuali e/o la conformità delle opere al progetto, ipotesi cui fa espresso riferimento la richiamata decisione di legittimità, poiché nelle sentenze di merito non si evidenziano difformità tra il progetto dell’opera e la realizzazione dello stesso. Viene in luce, invero, la conformità dell’opera alla normativa urbanistica, risultata non rispettata. I giudici di merito, a proposito del committente e del costruttore pp. 19-21 e 26-27 della sentenza di appello , valorizzano la portata del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 29, recante Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia , secondo cui il titolare del permesso di costruire, il committente e il costruttore sono responsabili della conformità delle opere alla normativa urbanistica, sottolineando anche che l’obbligo in capo, tra gli altri, al committente ed al costruttore di rispettare le leggi ed i regolamenti in materia edilizia ed urbanistica era espressamente previsto nel caso di specie anche al punto n. 12 della concessione edilizia rilasciata il 25 marzo 2003. Tanto precisato e passando, poi, alla specifica posizione del direttore tecnico dell’impresa esecutrice dei lavori, la sentenza impugnata pp. 25-26 condivisibilmente precisa che, poiché, ai sensi del richiamato del D.L. n. 145 del 2000, art. 6, comma 2, l’appaltatore, tramite il direttore di cantiere, assicura l’organizzazione, la gestione tecnica e la conduzione del cantiere, le responsabilità del costruttore del D.P.R. n. 380 del 2001, ex art. 29, si estendono al direttore tecnico, figura cui l’appaltatore, anziché agire in prima persona, demanda le attività inerenti la gestione del cantiere, tra cui certamente l’esecuzione delle opere in conformità alla normativa vigente. In altre parole così come tenuti alla tutela non solo dei lavoratori in corso d’opera ma anche degli utenti del manufatto una volta ultimato sono il committente e l’appaltatore-costruttore, allo stesso modo vi è tenuto il direttore tecnico, che è diretta emanazione nel cantiere dell’imprenditore-costruttore pp. 26-27 della sentenza impugnata nel caso di specie si è trattato di sub-appalto . 3.3. Infine, meramente assertiva e costruita in fatto è la censura incentrata sulle difformità, che si indicano dalla difesa come minuscole, quasi impercettibili, tra quanto consentito e quanto in difformità realizzato l’intera sentenza di appello, invero, descrive a più riprese in termini macroscopici la divergenze che hanno reso concretamente scalabile il parapetto dal bimbo altezza insufficiente del parapetto, fori più ampi del consentito, battiscopa idoneo quale appiglio, presenza di riccioli di metallo pp. 8-9, 49 e 53-55 della motivazione . Manifestamente infondata è, in conseguenza, la doglianza della difesa sul punto della non avvertibilità del pericolo da parte di soggetto la cui competenza emerge non soltanto dal titolo di studio ma dalla stessa qualificazione descritta nella documentazione difensiva allegata sub n. 3 al ricorso esperienza professionale e partecipazione a corsi . 4. Consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente, per legge art. 616 c.p.p. , al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.