Pena illegale inflitta in primo grado: alle Sezioni Unite la questione sull’applicazione della diminuente in appello

La Cassazione rimette alle Sezioni Unite la questione se il giudice di appello, investito dell’impugnazione del solo imputato che, giudicato con il rito abbreviato per un reato contravvenzionale, lamenti l’illegittimità della riduzione operata ai sensi dell’art. 442 c.p.p. nella misura di un terzo invece che della metà, debba applicare la diminuente nella misura di legge pur quando la pena inflitta dal giudice di primo grado sia illegale, perché in violazione delle previsioni edittali, e di favore per l’imputato .

Così con ordinanza n. 27711/20 depositata il 6 ottobre. In parziale riforma della sentenza resa dal Tribunale in esito al giudizio abbreviato nei confronti dell’imputato, condannato a due anni di arresto per il reato di porto abusivo di armi , la Corte d’Appello di Milano riqualificava il fatto nella contravvenzione di cui all’art. 4 l. n. 110/1975 recante porto di armi od oggetti atti ad offendere e confermava la pena irrogata. In particolare, la Corte territoriale osservava che la pena irrogata in primo grado, nonostante la mancata applicazione della riduzione per il giudizio abbreviato nella misura della metà, risultava comunque più favorevole di quella prevista dall’art. 4 l. n. 110/1975, che prevede un minimo edittale di 6 mesi di arresto. Avverso tale decisione il difensore dell’imputato ha proposto ricorso per cassazione, denunciando la mancata diminuzione, dopo la riqualificazione, per il giudizio abbreviato che per il reato contravvenzionale è pari alla metà della pena irrogata. Il ricorso in esame pone il problema di definire alcune questioni giuridiche, motivo per il quale la Corte rileva un contrasto giurisprudenziale e conclude con la rimessione della questione alle Sezioni Unite . In particolare, analizzate le argomentazioni utilizzate dalla Corte territoriale, secondo la Cassazione, la decisione resa si uniforma all’indirizzo giurisprudenziale secondo cui il giudice dell’impugnazione, a fronte di una pena illegalmente determinata a vantaggio dell’imputato, ben può negare gli effetti di ulteriore favore sulla pena conseguenti all’accoglimento dell’appello ora su un reato concorrente, ora sul riconoscimento di una circostanza attenuante o l’esclusione di una circostanza aggravante. Ne deriva che il meccanismo di riduzione della pena, che opera in caso di accoglimento dell’appello dell’imputato in punto di reato concorrente o circostanze esplica gli effetti tipici a condizione che la pena complessiva irrogata in primo grado sia stata determinata in modo legale. La mancata impugnazione del pubblico ministero per ricondurre la pena alla misura legale, se impedisce, in ragione del divieto della reformatio in peius , che sia oggetto di correzioni officiose, non giustifica la perpetuazione di un errore . Tale soluzione si pone tuttavia in contrasto con il consolidato orientamento secondo cui il giudice, in mancanza di impugnazione del pubblico ministero, non può modificare la sentenza che abbia irrogato la pena illegale di favore . Posti i principi ormai ben consolidati in tema di pena illegale , la giurisprudenza di legittimità è ferma nel ritenere che, ove l’illegalità della pena ridondi a vantaggio del condannato, essa non possa essere corretta. Tuttavia, l’immutabilità in senso deteriore della pena illegale di favore, in forza del divieto della reformatio in peius , trova un elemento di compensazione nell’impedimento al pieno esplicarsi del meccanismo di riduzione della pena, di cui all’art. 597, comma 4, c.p.p., che di quel divieto è completamento e rafforzamento . La questione che si pone, dunque, è quella di capire quali siano i rapporti tra divieto della reformatio in peius e obbligo , in caso di accoglimento dell’appello dell’imputato relativo a circostanze o a reati concorrenti, anche se unificati dalla continuazione, di diminuire corrispondentemente la pena complessiva . Il primo, ricorda la Corte, ha portata generale e pone un limite ai poteri decisori del giudice di appello, a cui si aggiunge, nei casi di cui all’art. 597, comma 4, il dovere di diminuire la pena complessiva irrogata in misura corrispondente all’accoglimento dell’impugnazione. Ciò detto, la Cassazione rileva come la diminuente per il rito abbreviato sia una circostanza che si ripercuote indubbiamente sulla pena ed ha la sua incidenza sostanziale, conservando tuttavia una natura processuale con caratteristiche che la differenziano nettamente dalle circostanze in senso proprio. Proprio in ragione di tali peculiarità l’applicazione della diminuente costituisce un posterius rispetto alle altre operazioni che concorrono alla definizione del trattamento sanzionatorio. Pertanto, la Corte rimette alle Sezioni Unite perché risolvano la questione se il giudice di appello, investito dell’impugnazione del solo imputato che, giudicato con il rito abbreviato per un reato contravvenzionale, lamenti l’illegittimità della riduzione operata ai sensi dell’art. 442 c.p.p. nella misura di un terzo invece che della metà, debba applicare la diminuente nella misura di legge pur quando la pena inflitta dal giudice di primo grado sia illegale, perché in violazione delle previsioni edittali, e di favore per l’imputato .

Corte di Cassazione, sez. I Penale, ordinanza 30 settembre – 6 ottobre 2020, n. 27711 Presidente Di Tomassi – Relatore Santalucia Ritenuto in fatto 1. In parziale riforma della sentenza con cui il Tribunale di Como, in esito al giudizio abbreviato, ha condannato A.T. alla pena di mesi due di arresto per il reato di cui all’art. 699 c.p. - commesso per aver portato fuori della propria abitazione un coltello a serramanico con lama della lunghezza di cm 11 -, la Corte di appello di Milano ha riqualificato il fatto nella contravvenzione di cui alla L. n. 110 del 1975, confermando, art. 4 la pena irrogata. Rilevato che il coltello non è stato descritto con le caratteristiche tipiche di un pugnale o di uno stiletto, e quindi con punta acuta e lama a due tagli, ha ritenuto la fattispecie di cui all’art. 4 L. n. 110 del 1975, senza però riconoscere l’attenuante della lieve entità, dato che l’imputato, gravato da precedenti penali, alla vista degli operanti che gli intimavano di fermarsi, si dette alla fuga, dopo aver tenuto il coltello, pronto all’uso, dentro il cassetto del cruscotto. 2. La Corte di appello ha poi osservato che la pena irrogata in primo grado, nonostante non sia stata applicata la riduzione per il giudizio abbreviato nella misura della metà, è comunque più favorevole di quella di cui alla L. n. 110 del 1975, art. 4, che prevede un minimo edittale di mesi sei di arresto. Ha quindi concluso che deve essere oggetto di conferma, perché, secondo quanto previsto dall’art. 597 c.p.p., non può applicarsi una pena più grave per specie e quantità. 3. Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore di A.T. , che ha dedotto vizio di violazione di legge. La Corte di appello ha operato una indebita commistione dei motivi di appello non applicando, dopo la riqualificazione, la diminuzione per il giudizio abbreviato che per il reato contravvenzionale è pari alla metà della pena irrogata. Considerato in diritto 1. Occorre muovere da alcune considerazioni di premessa per meglio definire le questioni giuridiche che il ricorso in esame pone. 2. Il giudice di primo grado ha pronunciato condanna affermando la piena fondatezza dell’imputazione, senza dunque discostarsi dall’ipotesi storico-giuridica formulata dal pubblico ministero. Ha quindi condannato per il reato di cui all’art. 699 c.p., comma 2, - porto abusivo di arma per cui non è ammessa licenza -,a cui previsione edittale di pena è compresa tra il minimo di diciotto mesi e il massimo di tre anni di arresto. Ciò nonostante, nella determinazione della pena ha fatto riferimento alle previsioni edittali dell’ipotesi criminosa del comma 1, che punisce il fatto diverso del porto abusivo di arma senza licenza con la pena dell’arresto da tre a diciotto mesi. Ha in tal modo individuato un trattamento sanzionatorio illegale, perché in alcun modo giustificabile alla luce delle disposizioni di legge che hanno ad oggetto il reato accertato. 3. La Corte di appello, investita esclusivamente dell’impugnazione dell’imputato, ha rigettato la richiesta di qualificazione del fatto secondo la disposizione di cui alla L. n. 110 del 1975, art. 4 nella parte in cui si occupa del fatto di lieve entità per il porto dei soli oggetti atti ad offendere. E però, posto dall’impugnazione il tema della qualificazione, ha corretto la decisione di primo grado, chiarendo che il fatto, sì come descritto nella sua componente storica, deve essere qualificato secondo altra disposizione incriminatrice, quella di cui alla L. n. 110 del 1975, art. 4, comma 2, la cui previsione di pena è meno grave rispetto a quella dell’art. 699 c.p., comma 2, su cui è incentrata l’imputazione accolta dalla sentenza di primo grado, ma di maggiore severità rispetto a quella dell’art. 699 c.p., comma 1, che, seppure erroneamente, ha costituito il parametro per la determinazione della pena in primo grado. 4. Non si tratta dell’unico errore in cui è incorso il giudice di primo grado. Come denunciato dall’imputato appellante, quel giudice ha errato nell’applicazione della diminuente per il giudizio abbreviato, modalità in cui si è svolto il processo di primo grado benché il reato imputato e ritenuto in sentenza, al di là della specifica disposizione incriminatrice a cui aver riguardo, sia contravvenzionale, ha ridotto la pena da irrogare non già della metà, come da previsione di legge, ma di un terzo. 5. La Corte territoriale, sollecitata su questo specifico punto dall’impugnazione, ha riconosciuto la fondatezza della doglianza, ma ha ritenuto di non poter trarre le conseguenze in punto di riforma della pena complessiva irrogata. Al di là delle argomentazioni utilizzate, la decisione si uniforma in sostanza all’indirizzo della giurisprudenza di legittimità per il quale il giudice dell’impugnazione, a fronte di una pena illegalmente determinata a vantaggio dell’imputato, ben può negare gli effetti di ulteriore favore sulla pena conseguenti all’accoglimento dell’appello ora su un reato concorrente ora sul riconoscimento di una circostanza attenuante o l’esclusione di una circostanza aggravante. 6. Le sentenze espressive dell’orientamento appena indicato non sviluppano particolari argomenti per una più robusta giustificazione della scelta interpretativa compiuta la tesi accolta è che le pretese dell’imputato, dirette ad ottenere una riduzione della pena complessiva, in tanto possono essere prese in considerazione in quanto si iscrivano, nella singola concreta vicenda, entro una cornice di pena che non ne faccia escludere in radice, ancor prima della verifica di fondatezza, l’astratta meritevolezza. In questa prospettiva non occorre interrogarsi sulle ragioni che di volta in volta fondano la richiesta di diminuzione della pena inflitta, ove essa sia già, una pena illegale di favore L’accoglimento della domanda di parte finirebbe infatti con l’approfondire la condizione di illegalità della pena e, al di là della specifica ragione fatta valere, realizzerebbe un effetto paradossale perché la correzione di un errore finirebbe per aggravare le conseguenze di un altro. E ciò anche se la doglianza di parte evidenzi un vizio di illegalità della pena rilevabile d’ufficio, come quello costituito dall’omessa applicazione della diminuente per il rito - Sez. 3, n. 38474 del 31/05/2019, Lasalvia, Rv. 276760 - o dall’applicazione della stessa diminuente in misura inferiore a quella di legge - Sez. 4, n. 26117 del 16/05/2012, Toma, Rv. 253562 -. 7. Si afferma pertanto che il meccanismo di riduzione della pena, che opera in caso di accoglimento dell’appello dell’imputato in punto di reato concorrente o circostanze - art. 597 c.p.p., comma 4 -, esplica gli effetti tipici a condizione che la pena complessiva irrogata in primo grado sia stata determinata in modo legale. La mancata impugnazione del pubblico ministero per ricondurre la pena alla misura legale, se impedisce, in ragione del divieto della reformatio in peius, che sia oggetto di correzioni officiose, non giustifica la perpetuazione di un errore - v. Sez. 3, n. 39882 del 03/10/2007, Costanzo, Rv. 238009 Sez. 4, n. 6966 del 20/11/2012, dep. 2013, Martinelli, Rv. 254538 Sez. 5, n. 51615 del 17/10/2017, Pala, Rv. 271604 -. 8. Secondo altra e opposta lettura, la soluzione fatta propria dall’appena richiamato indirizzo interpretativo si pone, anzitutto, in evidente contrasto con il consolidato orientamento per il quale il giudice, in mancanza di impugnazione del pubblico ministero, non può modificare la sentenza che abbia irrogato la pena illegale di favore - Sez. 5, n. 44088 del 09/05/2019, Dzemaili, Rv. 277845 -. Intorno al tema della pena illegale la giurisprudenza di legittimità ha elaborato alcuni principi ormai ben consolidati. 8.1. La pena illegale sfavorevole al condannato è evenienza da fronteggiare con ogni strumento. Ne sono attestazione le plurime pronunce delle Sezioni unite in materia, che hanno sperimentato soluzioni avanzate per rafforzare la tutela del bene fondamentale della libertà personale esposto alle ingiuste violazioni di una pena illegale ab origine o successivamente divenuta tale - v. Sez. U, n. 33040 del 26/02/2015, Jazouli, Rv. 264207, Sez. U, n. 47766 del 26/06/2015, Butera e altro, Rv. 265106-8, Sez. U, n. 42858 del 29/05/2014, P.M. in proc. Gatto, Rv. 260697, Sez. U, n. 37107 del 26/02/2015, Marcon, Rv. 264858 sulla rilevabilità d’ufficio della pena illegale, che sia tale ab origine o per fatti sopravvenuti, anche in caso di ricorso per cassazione inammissibile, purché non per tardività e sui poteri di intervento riconosciuti al giudice dell’esecuzione -. 8.2. Di contro, ove l’illegalità della pena ridondi a vantaggio del condannato, la posizione della giurisprudenza è ferma nel ritenere che non possa essere corretta. In tal modo si sono pronunciate Sez. 3, n. 34139 del 07/06/2018, Xhixha, Rv. 273677, secondo cui il giudice dell’impugnazione, in mancanza di uno specifico motivo di gravame da parte del pubblico ministero, non può modificare la sentenza che abbia inflitto una pena illegale di maggior favore per il reo. Fattispecie relativa all’irrogazione di una pena detentiva inferiore al minimo edittale Sez. 5, n. 44897 del 30/09/2015, Galiza Lima, Rv. 265529, per la quale nel giudizio di legittimità, l’illegalità ab origine della pena, inflitta in senso favorevole all’imputato, può essere corretta dalla Corte di cassazione solo in presenza di specifico motivo di gravame da parte del pubblico ministero, essendo limitato il potere di intervento d’ufficio, in sede di legittimità, ai soli casi nei quali l’errore sia avvenuto in danno dell’imputato e, ancor prima, Sez. 4, n. 49404 del 21/11/2013, Colombini, Rv. 258128 Sez. 6, n. 49858 del 20/11/2013, G., Rv. 257672 Sez. 5, n. 771 del 15/02/2000, P.M. in proc. Bosco, Rv. 215727 Sez. 1, n. 1413 del 07/03/1995, Casella, Rv. 200921. 9. L’assunto che l’immutabilità in senso deteriore della pena illegale di favore, in forza del divieto della reformatio in peius, debba trovare un elemento di compensazione nell’impedimento al pieno esplicarsi del meccanismo di riduzione della pena, di cui all’art. 597 c.p.p., comma 4, che di quel divieto è completamento e rafforzamento, si risolve, secondo la posizione critica espressa dalla già richiamata Sez. 5, n. 44088 del 09/05/2019, Dzemaili, Rv. 277845, in una inaccettabile violazione di legge. Il caso preso in esame da tale pronuncia atteneva alla dichiarazione di estinzione per prescrizione di due reati posti in continuazione con altro più grave, per il quale la pena pena-base della continuazione era stata determinata in modo illegale perché inferiore ai minimi edittali. Il giudice di appello, pur eliminando con pronuncia liberatoria due reati satellite concorrenti nella continuazione non aveva corrispondentemente diminuito la pena. La Corte di cassazione ha rilevato che non espungere quegli aumenti prima ancora di comportare una violazione della regola formale prevista dall’art. 597 c.p.p., significa omettere le implicazioni immediate di una decisione comunque liberatoria . Alla luce di queste ulteriori considerazioni si coglie meglio il senso della precedente affermazione sul contrasto dell’opposta soluzione con il consolidato orientamento circa l’intangibilità della pena illegale di favore. Se, infatti, la pena illegale di favore, mancando l’impugnazione del pubblico ministero, si impone alle valutazioni del giudice come dato non manipolabile in peius, predicare la necessità dell’inibizione di altro strumento permeato dalla stessa ratio sottesa al divieto della reformatio, che della posizione di premessa è fondamento, si sostanzia in un aggiramento del principio e quindi in una sua violazione. 10. Sui rapporti tra divieto della reformatio in peius e obbligo, in caso di accoglimento dell’appello dell’imputato relativo a circostanze o a reati concorrenti, anche se unificati dalla continuazione, di diminuire corrispondentemente la pena complessiva - art. 597 c.p.p., comma 4, sono intervenute più volte le Sezioni unite. Sez. U, n. 5978 del 12/05/1995, P, Rv. 201034 ha chiarito che le due previsioni regolano aspetti diversi ma interagiscono il divieto della reformatio in peius ha portata generale e pone un limite ai poteri decisori del giudice di appello, a cui si aggiunge, nei casi di cui all’art. 597, comma 4, il dovere di diminuire la pena complessiva irrogata in misura corrispondente all’accoglimento dell’impugnazione. Tale dovere, a differenza del divieto della reformatio, opera in ogni caso , e quindi anche quando, oltre all’imputato, è appellante il pubblico ministero, la cui impugnazione non può impedire le diminuzioni corrispondenti all’accoglimento dei motivi dell’imputato in ordine a reati concorrenti o a circostanze. Successivamente, Sez. U, n. 40910 del 27/09/2005, William Morales, Rv. 232066 ha ricordato la portata innovativa della disposizione dell’art. 597, comma 4, rispetto al previgente sistema processuale del ‘30, introdotta nel codice del 1988 per rafforzare il divieto della reformatio che, in precedenza, veniva eluso dalla giurisprudenza con l’affermazione che esso andava riferito solo alla pena complessivamente inflitta, lasciando senza conseguenze il riconoscimento di attenuanti, l’esclusione di aggravanti o il proscioglimento da alcune delle imputazioni contestate come concorrenti. Da qui la conclusione che il divieto o riguarda non soltanto il risultato finale ma anche tutti gli elementi del calcolo della pena. Ancora dopo Sez. U, n. 33752 del 18/04/2013, Papola, Rv. 255660, tornando sul tema, ha stabilito che non v’è violazione del divieto della reformatio e dell’obbligo di corrispondente diminuzione della pena quando il giudice di appello, esclusa una circostanza aggravante o riconosciuta una ulteriore circostanza attenuante in accoglimento dei motivi dell’impugnazione dell’imputato, confermi la pena applicata in primo grado ribadendo il giudizio di equivalenza tra circostanze, purché ne dia adeguata motivazione. Nel porre questo principio le Sezioni unite hanno nuovamente messo a fuoco la portata dell’obbligo di corrispondente diminuzione ed hanno evidenziato che esso è limitato ad ipotesi interessate da un metodo di calcolo comportante mere operazioni di aggiunta o eliminazione di entità autonome di pena rispetto alla pena-base, senza accenno alcuno ad ipotesi implicanti un giudizio di comparazione . Hanno quindi valorizzato il carattere autonomo e discrezionale del giudizio di comparazione che non può rispondere ad una logica rigidamente ed esclusivamente matematica . Può così dirsi che se di un indebolimento del carattere rigido dell’obbligo di corrispondente diminuzione può dirsi quando entra in gioco un potere discrezionale del giudice di appello, ciò non vale se l’accoglimento dei motivi dell’imputato riguardi componenti del trattamento sanzionatorio che implicano riduzioni automatiche e non determinabili quantitativamente in forza di apprezzamenti discrezionali. 11. Va allora ricordato che la diminuente per il rito abbreviato è una circostanza, a voler usare questa definizione, tutt’affatto particolare. Ha ricadute indubbie sulla pena da qui la sua incidenza sostanziale come affermato anche dalla Corte Edu con la sentenza del 17 settembre 2009 nel caso Scoppola c. Italia, ma conserva natura processuale con caratteristiche che la differenziano nettamente dalle circostanze in senso proprio. Come puntualizzato da Sez. U, n. 45583 del 25/10/2007, P.G. in proc. Volpe e altri, Rv. 237692, non attiene alla valutazione del fatto criminoso e alla personalità dell’imputato, non concorre a determinarne in termini di disvalore la quantità e gravità criminosa, consiste in un abbattimento fisso e predeterminato, caratterizzato da automatismo senza alcuna discrezionalità valutativa del giudice ed è applicata dopo la delibazione delle circostanze del reato e della continuazione ancora, si sottrae ontologicamente al giudizio di comparazione, ma è strettamente connessa ad effetti di rilievo sul piano sostanziale, risolvendosi comunque in un trattamento penale di favore cfr. anche Sez. U, n. 7707 del 21/05/1991, Volpe, Rv. 187851 e Sez. U, n. 44711 del 27/10/2004, Wajib, Rv. 229173-76 . Proprio in ragione di tali peculiarità l’applicazione della diminuente costituisce un posterius rispetto alle altre operazioni che concorrono alla definizione del trattamento sanzionatorio. 12. In ragione del rilevato contrasto, il ricorso va rimesso alle Sezioni unite perché risolvano la questione se il giudice di appello, investito dell’impugnazione del solo imputato che, giudicato con il rito abbreviato per un reato contravvenzionale, lamenti l’illegittimità della riduzione operata ai sensi dell’art. 442 c.p.p. nella misura di un terzo invece che della metà, debba applicare la diminuente nella misura di legge pur quando la pena inflitta dal giudice di primo grado sia illegale, perché in violazione delle previsioni edittali, e di favore per l’imputato. P.Q.M. Visto l’art. 618 c.p.p., dispone trasmettersi il ricorso alle Sezioni unite.