Ospiti di un banchetto nuziale intossicati, come si verifica il cattivo stato di conservazione del cibo somministrato?

Il cattivo stato di conservazione dei cibi deve essere verificato, prima ancora che sulla base delle prescrizioni legislative e regolamentari, in virtù delle regole di comune esperienza, degli usi e delle prassi, espressione della cultura tradizionale. Inoltre, la mal conservazione delle sostanze può essere accertata dal giudice di merito senza necessità del prelievo di campioni e di specifiche analisi di laboratorio, essendo la stessa ravvisabile nel caso di evidente inosservanza delle cautele igieniche e delle tecniche necessarie ad assicurare che gli alimenti si mantengano in condizioni adeguate per la successiva somministrazione.

Così si è pronunciata la Suprema Corte nella sentenza n. 27541/20, depositata il 5 ottobre. Il Tribunale di Bologna condannava una ristoratrice al pagamento di un’ammenda per aver somministrato ai commensali di un banchetto nuziale del cibo in cattivo stato di conservazione , risultato nocivo al punto di causare un’ intossicazione . Avverso la decisione l’imputata propone ricorso in Cassazione lamentando che il cattivo stato di conservazione del cibo non era stato accertato con modalità idonee a determinare il pericolo e il deterioramento delle sostanze ma erano solo stati sentiti gli invitati al banchetto. Inoltre, l’imputata lamenta che non può ritenersi responsabile il ristoratore per cibi consumati a distanza di tempo dai commensali e da questi prelevati senza consenso. Inoltre, a dire della ricorrente, mancava anche l’accertamento circa l’origine della contaminazione. La Cassazione, ritenendo infondato il ricorso, richiama la giurisprudenza SS.UU. n. 442/2001 per cui il cattivo stato di conservazione delle sostanze alimentari considerato dalla disposizione incriminatrice riguarda quelle situazioni in cui le sostanze stesse, pur potendo essere ancora perfettamente genuine e sane, si presentano mal conservate , cioè preparate o confezionate o messe in vendita senza l’osservanza di quelle prescrizioni - di leggi, di regolamenti, di atti amministrativi generali - che sono dettate a garanzia della loro buona conservazione sotto il profilo igienico - sanitario e che mirano a prevenire i pericoli della loro precoce degradazione o contaminazione o alterazione lett. b della L. n. 283/1962, art. 5 Secondo la giurisprudenza, infatti, a parametro di giudizio del cattivo stato di conservazione , prima ancora che atti normativi, si pongono regole di comune esperienza, usi e prassi, espressione della cultura tradizionale . Inoltre, proseguono i Giudici, è stato già chiarito Cass. n. 2690/19 che in tema di disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari, ai fini della configurabilità del reato di cui alla l. n. 283 del 1962, art. 5, comma 1, lett. b , il cattivo stato di conservazione degli alimenti può essere accertato dal giudice di merito senza necessità del prelievo di campioni e di specifiche analisi di laboratorio, sulla base di dati obiettivi risultanti dalla documentazione relativa alla verifica e dalle dichiarazioni dei verbalizzanti, essendo lo stesso ravvisabile, in particolare, nel caso di evidente inosservanza delle cautele igieniche e delle tecniche necessarie ad assicurare che le sostanze si mantengano in condizioni adeguate per la successiva somministrazione . Alla luce di questo, osserva la Cassazione, il Tribunale ha correttamente accertato il cattivo stato di conservazione, rilevando, tra altre cose, che sono state 37 le persone intossicate durante il banchetto nuziale. Chiarito questo, la Suprema Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. feriale Penale, sentenza 2 settembre – 5 ottobre 2020, n. 27541 Presidente Bricchetti – Relatore Calaselice Ritenuto in fatto 1. La sentenza impugnata, emessa il 23 gennaio 2020 dal Tribunale di Bologna, a seguito di opposizione a decreto penale, ha condannato A.S. alla pena di Euro cinquemila di ammenda per la contravvenzione di cui alla L. n. 283 del 30 aprile 1962, art. 5, lett. b e d , perché, nella veste di esercente attività di ristorazione, impiegava nella preparazione di alimenti e somministrava per il consumo, nel corso di un banchetto nuziale, sostanze alimentari in cattivo stato di conservazione, in stato di alterazione e nocive alla salute, tali da causare intossicazione. 2. Avverso il provvedimento descritto ha proposto ricorso per cassazione l’imputata, a mezzo dei difensori, deducendo, nei motivi di seguito riassunti ai sensi dell’art. 173 disp. att. c.p.p., tre vizi. 2.1. Con il primo motivo si denuncia erronea applicazione ed interpretazione della L. n. 283 del 1962, art. 5. Con riferimento all’ipotesi di cui all’art. 5, lett. b , legge cit., si deduce che, per giurisprudenza di questa Corte citando Sez. 3, n. 45701 del 11.11.2019 , il cattivo stato di conservazione degli alimenti ricorre quando è accertato che le modalità siano idonee, in concreto, a determinare il pericolo di danno o il deterioramento delle sostanze. Nella specie, invece, per la ricorrente, l’istruttoria fonderebbe solo sulla deposizione degli invitati, parti civili e dunque interessate. Nè risulterebbe accertato l’alimento specifico in cattivo stato di conservazione, anche per l’assenza di analisi complete circa l’alterazione degli alimenti. Si sottolinea, poi, che non può configurarsi la responsabilità del ristoratore per alimenti serviti ma consumati a distanza di tempo dai commensali e da questi prelevati senza consenso, in assenza, quindi, di qualsiasi possibilità di controllo sullo stato di conservazione. Infine, si deduce che in ordine alla fattispecie di cui alla L. n. 283 del 1962, art. 5, lett. d , contestata e ritenuta dal giudice, non vi sarebbe alcuna motivazione. 2.2. Con il secondo motivo si denuncia violazione degli artt. 40 e 43 c.p 2.2.1. Ai fini della responsabilità per colpa è necessario accertare l’origine della contaminazione. Nella specie, invece, in mancanza di esami completi, è da escludere che la contaminazione sia avvenuta durante la lavorazione degli alimenti acquistati, tenuto, peraltro, conto che l’ispezione presso le cucine del ristorante non avevano evidenziato alcuna carenza. 2.2.2. In ogni caso si invoca la declaratoria di estinzione del reato che sarebbe intervenuta nelle more del giudizio di cassazione fatto commesso il omissis . 2.3. Con il terzo motivo si denuncia vizio di motivazione in relazione all’art. 192 c.p.p. e L. n. 283 del 1962, art. 5, lett. b . Non è individuato con certezza l’alimento che ha indotto l’intossicazione avendo peraltro, gli invitati consumato la torta nuziale preparata da un invitato e, comunque, in presenza di analisi eseguite su campioni di cibo diverso dalle crespelle di esito negativo. Considerato in diritto 1. Il ricorso è manifestamente infondato e, comunque, inammissibile. 2. Il primo motivo è manifestamente infondato. Con riferimento alla dedotta erronea applicazione della L. n. 283 del 1962, art. 5, comma 1, lett. b si osserva che, secondo un risalente e consolidato orientamento di questa Corte di legittimità, il cattivo stato di conservazione delle sostanze alimentari considerato dalla disposizione incriminatrice riguarda quelle situazioni in cui le sostanze stesse, pur potendo essere ancora perfettamente genuine e sane, si presentano mal conservate, cioè preparate o confezionate o messe in vendita senza l’osservanza di quelle prescrizioni - di leggi, di regolamenti, di atti amministrativi generali - che sono dettate a garanzia della loro buona conservazione sotto il profilo igienico - sanitario e che mirano a prevenire i pericoli della loro precoce degradazione o contaminazione o alterazione lett. b della L. n. 283 del 1962, art. 5 Sez. U, n. 443 del 19/12/2001, dep. 2002, Butti, in motivazione, Sez. U., n. 1 del 27/09/1995, dep. 1996, Timpanaro, Rv. 203094 . Con l’espressione cattivo stato di conservazione secondo questa Corte di legittimità, quindi, a parametro di giudizio, prima ancora che atti normativi, si pongono regole di comune esperienza, usi e prassi, espressione della cultura tradizionale. Si è, inoltre, affermato che, in tema di disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari, ai fini della configurabilità del reato di cui alla L. n. 283 del 1962, art. 5, comma 1, lett. b , il cattivo stato di conservazione degli alimenti può essere accertato dal giudice di merito senza necessità del prelievo di campioni e di specifiche analisi di laboratorio, sulla base di dati obiettivi risultanti dalla documentazione relativa alla verifica e dalle dichiarazioni dei verbalizzanti, essendo lo stesso ravvisabile, in particolare, nel caso di evidente inosservanza delle cautele igieniche e delle tecniche necessarie ad assicurare che le sostanze si mantengano in condizioni adeguate per la successiva somministrazione Sez. 3, n. 2690 del 06/12/2019, dep. 2020, Barletta, Rv. 278248 . Ciò premesso, si osserva che, in tale prospettiva ermeneutica, il cattivo stato di conservazione, secondo i dati di cui dà conto la motivazione non illogica del Tribunale, è stato correttamente accertato. Invero, il giudice di merito ha preso in considerazione non solo, come dedotto, le convergenti deposizioni delle parti civili, ma soprattutto elementi di riscontro tratti dall’esito dell’esame della documentazione acquisita e delle dichiarazioni rese dai testi qualificati dell’Unità operativa profilassi e malattie infettive. Da tali risultanze è indicato essere emerso che, tra i 37 intossicati dopo la partecipazione al banchetto nuziale e, comunque, dopo aver mangiato presso il ristorante dell’imputata, vi erano persone che avevano accusato, nelle ore immediatamente successive all’ingestione, gravi disturbi gastro-intestinali o risultate affette da salmonellosi, in quanto positive ad un batterio che si trasmette proprio attraverso l’ingestione di cibi o bevande contaminate, durante la preparazione o conservazione. Non è specifica, poi, la critica circa l’insussistenza della responsabilità del ristoratore per alimenti serviti ma consumati a distanza di tempo dai commensali e da questi prelevati senza consenso, tenuto conto che la censura non si confronta con la motivazione nella parte in cui afferma che tutti gli intossicati avevano mangiato le crespelle, così individuate come causa dei disturbi riscontrati e che, alcune di quelle affette da tossinfezione, si erano allontanate dal convivio prima del taglio della torta nuziale, portata al banchetto dagli sposi, indicata dalla Difesa come possibile alimento da cui sarebbe potuta scaturire un’intossicazione del medesimo tipo di quella accertata. Si osserva, poi, che corretta, esauriente e non manifestamente illogica è la motivazione del Tribunale circa la sussistenza della fattispecie di chiusura di cui alla L. n. 283 del 1962, art. 5, comma 1, lett. d cfr. pagg. 5 e 6 della motivazione . Sicché la dedotta omessa motivazione sul punto, è censura del tutto destituita di fondamento che la mera lettura del provvedimento impugnato consente di smentire. In ogni caso l’impostazione corretta del Tribunale fa proprio l’indirizzo di questa Corte che, con riferimento ad alimenti contaminati da salmonella, ha individuato la sussistenza della contravvenzione di cui alla citata Legge, art. 5, comma 1, lett. d cfr. Sez. 3, n. 15998 del 12/02/2003, Scovenna, Rv. 224248 . 2.1. Il secondo motivo è manifestamente infondato. La norma incriminatrice fa divieto di detenere e vendere sostanze alimentari alterate, indipendentemente dall’indagine sulla consapevolezza del soggetto circa lo stato di alterazione degli alimenti stessi Sez. 4, n. 7692 del 16/01/2007, Grasso, Rv. 236101 . Trattandosi di contravvenzione, è sufficiente la mera colpa che può consistere anche in una condotta negligente nelle dovute verifiche sulla conformità alla normativa del prodotto alimentare somministrato e preparato. La residua parte della censura, poi, risulta versata in fatto e devolve un riesame delle risultanze istruttorie, non consentito in sede di legittimità. 2.2. Il terzo motivo è inammissibile. La critica non si confronta con il complesso della motivazione che valorizza, con ragionamento non manifestamente illogico, la circostanza secondo la quale tutti gli intossicati avevano consumato uno stesso alimento preparato dal ristoratore, alcuni di questi si erano allontanati prima dell’apertura della torta nuziale e, comunque, che tra i 37 intossicati vi era anche un cliente del ristorante che non aveva partecipato al banchetto. Così mostrando di aver fatto buon governo della norma sulla valutazione della prova di cui all’art. 192 c.p.p 2.3. La declaratoria di inammissibilità del ricorso impedisce di rilevare la prescrizione del reato, ove maturata nelle more del giudizio di legittimità. Va ricordato che, nella consolidata interpretazione di questa Corte, un ricorso per cassazione inammissibile, per manifesta infondatezza dei motivi o per altra ragione, non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 c.p.p. Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv 217266 Sez. 5, n. 15599 del 19/11/2014, Zagarella, Rv. 263119 Sez. 2, n. 28848 del 08/05/2013, Ciaffoni, Rv. 256463 Sez. 4, n. 18641 del 20/01/2004, Tricorni cosicché è preclusa la dichiarazione di prescrizione del reato ove maturata dopo la pronuncia della sentenza in grado di appello. 3. Segue alla pronuncia, la condanna della ricorrente alle spese processuali, nonché al pagamento dell’ulteriore somma indicata in dispositivo, in favore della Cassa delle ammende, non ricorrendo le condizioni previste dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, importo che si ritiene di determinare equitativamente, tenuto conto dei motivi devoluti. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.