L’ordine di demolizione non è soggetto a prescrizione

In tema di reati edilizi, l'ordine di demolizione del manufatto abusivo, non avendo natura punitiva - repressiva, ma avendo natura di sanzione amministrativa di carattere ripristinatorio, non è soggetto alla prescrizione stabilita dall'art. 173 c.p. per le sanzioni penali, né alla prescrizione stabilita dall'art. 28 l. n. 689/1981 che riguarda unicamente le sanzioni pecuniarie con finalità punitiva.

Lo ha confermato la terza sezione penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 26334, il 21 settembre 2020. La disciplina dell’ordine di demolizione nei reati edilizi Preliminarmente, occorre ricordare che l’ordine di demolizione è una sanzione amministrativa di natura ablatoria e giurisdizionale, la cui esecuzione compete all’autorità giudiziaria, non essendo ipotizzabile, né logicamente spiegabile, che l’esecuzione di un provvedimento, adottato dal giudice penale, venga affidato alla pubblica amministrazione. Peraltro, l’ordine di demolizione, pur avendo natura amministrativa, è atto giurisdizionale che deve essere disposto dal giudice con la sentenza di condanna. Ne consegue che, in caso di mancata statuizione in tal senso, il dispositivo della sentenza potrà essere integrato solo dal giudice di appello. Infatti, la procedura di cui all’art. 130 c.p.p. relativa alla correzione di errori materiali nel provvedimento emanato può essere applicata solo per porre rimedio ad errori od omissioni rilevabili dal contesto del provvedimento, e di natura tale da non modificare il contenuto essenziale dello stesso, mentre l’omissione in questione integra un vitium iudicando rettificabile solo in sede di impugnazione a seguito di rituale investitura del giudice di essa. Inoltre, l’obbligo di demolizione si configura come un dovere di restitutio in integrum dello stato dei luoghi, e come tale non può non avere ad oggetto sia il manufatto abusivo originariamente contestato, sia le opere accessorie e complementari nonché le superfetazioni successive, sulle quali si riversa il carattere abusivo della originaria costruzione. L'ordine di demolizione di cui all'art. 31, comma 9, del D.P.R. n. 380/2001 è sanzione caratterizzata dalla natura giurisdizionale dell'organo istituzionale al quale il relativo esercizio è attribuito, ma sostanzialmente amministrativa di tipo ablatorio, che il giudice deve disporre anche nella sentenza applicativa di pena concordata tra le parti ai sensi dell’art. 444 c.p.p A tale sentenza, sono ricollegabili tutti gli effetti di una sentenza di condanna, ad eccezione di quelli espressamente indicati dall'art. 445, comma primo, c.p.p., fra i quali non è compresa la sanzione in oggetto non trattandosi di pena accessoria nè di misura di sicurezza . Nessuna prescrizione quinquennale per l’ordine di demolizione. La sentenza in commento richiama l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’ordine di demolizione del manufatto abusivo, impartito dal giudice con la sentenza di condanna per reati concernenti l'edilizia e l'urbanistica, non è soggetto alla prescrizione quinquennale stabilita per le sanzioni amministrative dall'art. 28 l. 24 novembre 1981 n. 689, in quanto detta prescrizione riguarda le sanzioni pecuniarie con finalità punitiva, mentre la fattispecie in questione configura un obbligo di fare, imposto per ragioni di tutela del territorio. Inoltre, in materia di reati concernenti le violazioni edilizie, l'ordine di demolizione del manufatto abusivo, avendo natura di sanzione amministrativa di carattere ripristinatorio, non è soggetto alla prescrizione stabilita dall'art. 173 cod. pen. per le sanzioni penali, né alla prescrizione stabilita dall'art. 28 legge n. 689 del 1981 che riguarda unicamente le sanzioni pecuniarie con finalità punitiva. La natura amministrativa della sanzione demolitiva. Non deve meravigliare la possibilità di adottare da parte del giudice penale misure aventi natura di sanzione amministrativa si ritiene ormai superato il criterio che distingue tra sanzioni penali ed amministrative in base all'autorità competente ad adottarla, per cui è amministrativa la sanzione irrogata dall'autorità amministrativa, penale quella inflitta dalla relativa autorità giudiziaria. Del resto, in merito sembra fugare ogni dubbio la circostanza che il potere di ordinare la demolizione dell'opera abusiva da parte del giudice penale, non costituisce espressione di supplenza delle autorità amministrative, ma è manifestazione di un potere autonomo anche se coordinabile con quello della Pubblica Amministrazione. Quindi, tale potere ha una funzione direttamente ripristinatoria del bene offeso, attraverso l'eliminazione delle conseguenze del reato, riconnettendosi all'interesse statuale sotteso all'esercizio della potestà penale.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 15 luglio – 21 settembre 2020, n. 26334 Presidente Andreazza – Relatore Noviello Ritenuto in fatto 1. La Corte di Appello di Napoli, adita con istanza diretta ad ottenere, nell’interesse di A.F.E. , la dichiarazione di nullità o la revoca previa sospensione, dell’ingiunzione a demolire emessa il 21 marzo 2016 a seguito del passaggio in giudicato, in data 16 ottobre 2003, della sentenza del 7 maggio 2002 con cui la corte di appello di Napoli aveva condannato l’istante alla sanzione accessoria della demolizione dell’immobile abusivamente edificato e oggetto della medesima sentenza sopra indicata, rigettava l’istanza. 2. Avverso la pronuncia della Corte di appello sopra indicata, propone ricorso per cassazione A.F.E. , mediante il proprio difensore, che solleva quattro motivi di impugnazione. 4. Con il primo motivo deduce il vizio conseguente all’omesso esame delle argomentazioni elaborate con memoria ex art. 121 c.p.p., recante motivi integrativi dell’istanza introduttiva dell’incidente di esecuzione del 2 marzo 2016, riportati integralmente e individuati nella violazione del diritto alla inviolabilità del domicilio e nella sproporzione della sanzione, lesiva rispetto alla condizione della esecutata, oltre che nella violazione dell’art. 6 paragrafo 1 della CEDU, con riguardo alla mancata esecuzione dell’ordine di demolizione a far data dalla sentenza di condanna del 7 luglio 2003, divenuta irrevocabile il 10 ottobre 2003. Deduce anche la carenza di motivazione in relazione alla natura dell’abuso, inteso come di necessità, e la nullità ex art. 178 c.p.p., comma 1, lett. c , in relazione all’art. 125 c.p.p., comma 2. 5. Con il secondo motivo deduce il vizio ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b ed e , in relazione al rigetto del motivo avente ad oggetto la violazione del divieto del bis in idem. Si osserva come, contrariamente a quanto sostenuto dalla corte di appello, la ricorrente avrebbe dimostrato che il Comune di Procida ha disposto la demolizione delle opere e redatto verbale di non ottemperanza, cosicché la sanzione imposta dalla pubblica amministrazione avrebbe acquisito ormai carattere di definitività. Ed a fronte di ciò vi sarebbe duplicazione del procedimento sanzionatorio in violazione dell’art. 7 protocollo numero 7 della CEDU, che fa divieto di perseguire, giudicare e condannare due o più volte una persona già colpita dal procedimento sanzionatorio definitivo, a condizione che la seconda procedura sanzionatoria tragga origine da fatti identici o sostanzialmente identici rispetto a quelli che sono stati all’origine della prima condanna. Di tale quadro giuridico la corte d’appello non avrebbe tenuto conto, non considerando, tra l’altro, come in materia edilizia la sanzione comunale presenti caratteri tali da qualificarsi come di natura penale, essendo peraltro ancor più grave di quella applicata dal giudice penale in quanto, accanto alla distruzione della opera abusiva prevede anche, in caso di mancanza di spontanea demolizione, l’acquisizione al patrimonio dell’ente sia dell’immobile che dell’area di sedime di pertinenza, accanto anche ad una sanzione pecuniaria, ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 31, nuovo comma 4 bis. Da ultimo, si sottolinea come l’ordinanza impugnata non abbia adeguatamente preso posizione sulla effettiva duplicazione, non consentita, della misura applicata. 6. Con terzo motivo deduce i vizi di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b ed e , in relazione al rigetto dei motivi riguardanti la violazione dell’art. 173 c.p. e art. 6 della Cedu. Si sottolinea come la sanzione demolitoria disposta dal giudice non sia stata ritenuta, erroneamente, estinta, siccome risalente all’epoca antecedente al quinquennio di cui all’art. 173 c.p. In particolare, ribadendosi come alla luce della giurisprudenza della corte EDU l’ordine di demolizione di un abuso edilizio costituirebbe sanzione penale allorquando l’esecuzione avvenga a distanza di numerosi anni dall’accertamento del fatto e non vi sia prova per dimostrare che il richiedente abbia ostacolato in ogni fase il regolare svolgimento delle indagini, si osserva come l’autorità giudiziaria si sia astenuta per 17 anni dal prendere misure al fine di eseguire l’ordine di demolizione divenuto definitivo e, quindi, non vi sarebbe dubbio che le autorità italiane, in particolare l’autorità giudiziaria, abbiano privato di ogni utile effetto l’art. 6 paragrafo 1 della Cedu secondo cui ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata entro un termine ragionevole. 7. Con il quarto motivo deduce i vizi di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b ed e in ordine al rigetto del motivo con cui è stata denunciata la violazione del protocollo del 10 dicembre 2015, che fissa criteri per individuare gli immobili da demolire, secondo un ordine di decrescente priorità. In proposito, si osserva come sia non condivisibile la tesi per cui il citato protocollo sarebbe soltanto di tipo organizzativo, come tale privo di efficacia verso l’esterno e non vincolante. Si tratterebbe, al contrario, di un provvedimento con rilevanza esterna e vincolante per l’ufficio che lo ha adottato, alla luce anche di conformi considerazioni formulate dal procuratore della Repubblica nell’illustrare il protocollo. Considerato in diritto 1. Inammissibile è il primo motivo. 1.1. Quanto alle censure sull’omessa valutazione delle argomentazioni elaborate con memoria ex art. 121 c.p.p., recante motivi integrativi dell’istanza introduttiva dell’incidente di esecuzione del 2 marzo 2016, individuati nella violazione del diritto alla inviolabilità del domicilio e nella sproporzione della sanzione, lesiva rispetto alla condizione della esecutata, oltre che nella violazione dell’art. 6, paragrafo 1 della CEDU con riguardo alla mancata esecuzione dell’ordine di demolizione a far data dalla sentenza di condanna del 7 luglio 2003, divenuta irrevocabile il 10 ottobre 2003, va osservato che in assenza di allegazione della memoria, con particolare riguardo alla individuazione anche della relativa data di deposito funzionale alla verifica dell’onere di valutazione del giudice adito , trattasi di critiche prive del requisito della cd. autosufficienza, per cui è onere del ricorrente specificare le proprie doglianze fondate su atti processuali allegando o trascrivendo i medesimi. 1.2. In ogni caso, va osservato che quanto alla lamentata violazione del principio di proporzionalità in materia di diritti fondamentali, specie con riferimento ai diritti di libertà personale e reale, anche recentemente sottolineato dai Giudici di Strasburgo, questa Corte ha già esaminato la portata della decisione citata dalla difesa e assunta dalla Corte Edu, nel caso Ivanova e Cherkezov c. Bulgaria sentenza, V Sezione, 21 aprile 2016, n. 46577 . Va premesso che la Corte EDU nell’occasione citata ha affermato che l’ordine di demolizione costituisce una misura che, in una società democratica, è necessaria alla difesa dell’ordine e alla promozione del benessere economico del paese , ai sensi dell’art. 8. Tuttavia, quanto alla interferenza di tale principio sul diritto all’abitazione, la stessa Corte EDU ha ritenuto che i rimedi interni, previsti nell’ordinamento bulgaro, non garantiscono la verifica dei requisiti procedurali che impongono che ogni persona che sia esposta al rischio di perdere la propria abitazione - anche se non appartenente ad un gruppo vulnerabile - dovrebbe in linea di principio disporre della possibilità che la valutazione della proporzionalità di tale misura che comporta la perdita dell’abitazione sia effettuata da un giudice indipendente. È in tale quadro che i giudici di Strasburgo - nella considerazione, comunque, della legittimità convenzionale della demolizione, allorquando, valutandone la compatibilità con il diritto alla abitazione, il suo unico scopo sia quello di garantire l’effettiva attuazione delle disposizioni normative secondo cui gli edifici non possono essere costruiti senza autorizzazione, poiché la stessa può essere considerata come diretta a ristabilire lo stato di diritto, fatto salvo il rispetto della proporzionalità della misura con la situazione personale dell’interessato - hanno sottolineato come il giudice nazionale, con riferimento all’ordine di demolizione dell’abitazione, avesse dovuto, in quel caso, valutare e ponderare la difficile situazione personale dei ricorrenti e non limitarsi, piuttosto, ad un controllo meramente formale sulla illegalità o meno della costruzione, in quanto il rispetto del principio di proporzionalità impone che l’autorità giudiziaria valuti caso per caso se un determinato provvedimento possa ritenersi giustificato in considerazione delle ragioni espresse dal destinatario della misura, al fine di bilanciare il suo diritto alla tutela dell’abitazione, ai sensi dell’art. 8 Convenzione Edu o di altro diritto fondamentale come il diritto alla salute che nel caso in esame rilevava e l’interesse dello Stato ad impedire l’esecuzione di interventi edilizi, in assenza di regolare titolo abilitativo. Sicché deve essere il giudice a dover stabilire, tenuto conto delle circostanze del caso concreto dedotte dalle parti, se il provvedimento limitativo della libertà reale sia proporzionato rispetto allo scopo, riconosciuto peraltro legittimo dalla Corte Edu, che la normativa edilizia intende perseguire cfr. Sez. 3, non massimata n. 15141 del 2019 Sez. 3, Pignalosa sez. 3 n. 27840 del 23/03/2016 Rv. 267055 - 01 Calvisi . 1.3. Alla luce di tale determinazione giurisprudenziale, il motivo dedotto appare generico, in quanto la ricorrente si è limitata a richiamare i predetti principi senza allegare le concrete ragioni e circostanze del caso di specie, che avrebbero dovuto fondatamente sostenere l’affermata violazione del citato rapporto di proporzionalità. Ragioni che in ogni caso non possono coincidere con il mero interesse del singolo a permanere in una specifica abitazione, atteso, di contro, il principio per cui l’esecuzione dell’ordine di demolizione di un immobile abusivo non contrasta con il diritto al rispetto della vita privata e familiare e del domicilio di cui all’art. 8 CEDU, posto che, non essendo desumibile da tale norma la sussistenza di alcun diritto assoluto ad occupare un immobile, anche se abusivo, solo perché casa familiare, il predetto ordine non viola in astratto il diritto individuale a vivere nel proprio legittimo domicilio, ma afferma, in concreto, il diritto della collettività a rimuovere la lesione di un bene o interesse costituzionalmente tutelato ed a ripristinare l’equilibrio urbanistico-edilizio violato cfr. Sez. 3, n. 24882 del 26/04/2018 Rv. 273368 - 01 Ferrante sez. 3, n. 18949 del 10/03/2016 Rv. 267024 - 01 Contadini . 1.4. Quanto alla censura in merito alla violazione dell’art. 8 e art. 6, § 1 della Corte Edu, per tardività dell’ordine di demolizione, quale sanzione di natura penale, che come tale non può essere impedita, inficiata o ritardata in maniera eccessiva, richiamato il principio giurisprudenziale quanto alla inammissibilità della prospettazione di questioni giuridiche manifestamente infondate, va sottolineata l’insussistenza di alcun legittimo affidamento in capo alla ricorrente, consapevole della illecita realizzazione di un’opera abusiva va altresì osservato che il citato ordine, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa, non ha natura penale, con tutte le relative implicazioni anche in termini di necessaria tempestività o comunque non significativo ritardo della esecuzione questa Corte cfr. Sez. 3, n. 49331 del 10/11/2015 Rv. 265540 Delorier ha escluso invero la natura sanzionatoria dell’ordine di demolizione, sulla base di una un’articolata disamina della relativa disciplina di cui al D.P.R. n. 380 del 2001. Da essa si è evinto che la demolizione dell’abuso edilizio è stata disegnata dal Legislatore come un’attività avente finalità ripristinatorie dell’originario assetto del territorio imposta all’autorità amministrativa, la quale deve provvedervi direttamente nei casi previsti dall’art. 27, comma 2 TUE o attraverso la procedura di ingiunzione. Si tratta, dunque, di sanzioni amministrative, che prescindono dalla sussistenza di un danno e dall’elemento psicologico del responsabile, in quanto applicabili anche in caso di violazioni incolpevoli come tali sono rivolte non solo alle persone fisiche, ma anche alle persone giuridiche ed agli enti di fatto e sono generalmente trasmissibili nei confronti degli eredi del responsabile e dei suoi aventi causa che a lui subentrino nella disponibilità del bene cfr. anche. Consiglio di Stato, Sez. 4, n. 2266 del 12/4/2011 Consiglio di Stato, Sez. 4, n. 6554 del 24/12/2008. V. anche Cass. Sez. 3, n. 48925 del 22/10/2009, Viesti, Rv. 245918 . È stato in tal senso valorizzato anche il dato per cui, considerato il complesso delle disposizioni integranti la disciplina citata, i provvedimenti finalizzati alla demolizione dell’immobile abusivo adottati dall’autorità amministrativa risultano autonomi rispetto alle eventuali statuizioni del giudice penale e, più in generale, alle vicende del processo penale. Sempre questa Corte, nella sentenza in principio citata e con specifico riferimento alla demolizione ordinata dal giudice penale ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 31, comma 9 ha osservato, in primo luogo, che la disposizione si pone in continuità normativa con il previgente L. n. 47 del 1985, art. 7 cfr. Sez. 3, n. 32211 del 29/5/2003, Di Bartolo, Rv. 225548 e costituisce atto dovuto del giudice penale, esplicazione di un potere autonomo e non alternativo a quello dell’autorità amministrativa, con il quale può essere coordinato nella fase di esecuzione cfr. da ultimo Sez. 3, n. 55295 del 22/09/2016 Rv. 268844 Fontana . 1.5. Sulla base di queste premesse ha concluso nel senso che l’ordine in parola integra una sanzione amministrativa che assolve ad un’autonoma funzione ripristinatoria del bene giuridico leso, impone un obbligo di fare imposto per ragioni di tutela del territorio ed ha carattere reale. È per tali ragioni che l’ordine di demolizione impartito dal giudice può essere revocato dallo stesso giudice che lo ha emesso, quando risulti incompatibile con un provvedimento adottato dall’autorità amministrativa, indipendentemente dal passaggio in giudicato della sentenza Sez. 3, n. 47402 del 21/10/2014, Chisci, Rv. 260972 Sez. 3, n. 3456 del 21/11/2012 dep.2013 , Oliva, Rv. 254426 Sez. 3, n. 25212 del 18/1/2012, Maffia, Rv. 253050 Sez. 3, n. 73 del 30/4/1992, Rizzo, Rv. 190604 Sez. 3, n. 3895 del 12/2/1990, Migno, Rv. 183768 . 1.6. Tutte queste considerazioni dunque, incidono senza alcun dubbio, secondo questa Corte, sulla natura - di sanzione amministrativa - dell’ordine di demolizione impartito dal giudice, con ulteriori riflessi anche in tema di inefficacia dell’ordine medesimo per il decorso del tempo e quindi anche la seconda questione che la ricorrente sostiene di avere sollevata in memoria appare in ogni caso giuridicamente infondata e quindi inidonea a suscitare, come invece ritenuto dalla difesa, alcun vizio di motivazione. È noto infatti che il dedotto vizio di motivazione non è configurabile riguardo ad argomentazioni giuridiche delle parti. Queste ultime infatti, come ha più volte sottolineato la Suprema Corte, o sono fondate e allora il fatto che il giudice le abbia disattese motivatamente o meno dà luogo al diverso motivo di censura costituito dalla violazione di legge o sono infondate, e allora che il giudice le abbia disattese non può dar luogo ad alcun vizio di legittimità della pronuncia giudiziale, avuto anche riguardo al disposto di cui all’art. 619 c.p.p., comma 1 che consente di correggere, ove necessario, la motivazione quando la decisione in diritto sia comunque corretta cfr. in tal senso Sez. 1, n. 49237 del 22/09/2016 Rv. 271451 - 01 Emmanuele . Infine, la questione sulla natura dell’abuso come di necessità appare inammissibile innanzitutto per il carattere assolutamente generico, trattandosi di una mera asserzione non supportata da lacuna altra allegazione. 2. Inammissibile è anche il secondo motivo, avendo la corte, con dovizia di richiami giurisprudenziali correttamente citati, evidenziato l’insussistenza della violazione del divieto di bis in idem sul rilievo, innanzitutto, della natura amministrativa dell’ordine di demolizione, ancorché adottato dall’autorità giudiziaria cfr. Sez. 3, n. 51044 del 03/10/2018 Rv. 274128 - 01 M. . 3. Quanto al terzo motivo, nel solco delle argomentazioni già illustrate esaminando il primo motivo di ricorso, la giurisprudenza di legittimità, sempre con la sentenza sopra richiamata Sez. 3, n. 49331 del 10/11/2015 Rv. 265540 Delorier ha evidenziato, altresì, che l’ordine impartito dal giudice non è soggetto alla prescrizione quinquennale stabilita per le sanzioni amministrative dalla L. n. 689 del 1981, art. 28 che riguarda le sanzioni pecuniarie con finalità punitiva cfr. anche Sez. 3, n. 36387 del 07/07/2015 Rv. 264736 Formisano Sez. 3, n. 16537 del 18/2/2003, Filippi, Rv. 227176 e, stante la sua predetta natura, non si estingue neppure per il decorso del tempo ai sensi dell’art. 173 c.p. cfr. anche Sez. 3, n. 36387 del 7/7/2015, Formisano cit. Sez. 3, n. 19742 del 14/4/2011, Mercurio e altro, Rv. 250336 Sez. 3, n. 43006 del 10/11/2010, La Mela, Rv. 248670 , atteso che quest’ultima disposizione si riferisce alle sole pene principali Sez. 3, n. 39705 del 30/4/2003, Pasquale, Rv. 226573 . La suesposta ricostruzione interpretativa è stata anche valutata in rapporto alle decisioni della Corte EDU in tema di definizione del concetto di pena , osservandosi che per tali sue caratteristiche la demolizione non può ritenersi una pena nel senso individuato dalla giurisprudenza della Corte EDU e non è soggetta alla prescrizione stabilita dall’art. 173 c.p. cfr. Sez. 3, n. 49331 del 10/11/2015 Rv. 265540 Delorier cit e ancora Sez. 3, n. 41475 del 03/05/2016 Rv. 267977 Porcu . Si tratta di principi pienamente condivisi dal Collegio, cui si intende dare continuità, e che spiegano la chiara infondatezza di ogni doglianza che miri a dare rilievo, in termini di vizio, al profilo relativo al tempo in quanto tale, dell’esecuzione dell’ordine di demolizione. 4. Il quarto motivo, a fronte della rilevata genericità, da parte della corte di appello, della doglianza sul punto proposta dal ricorrente, non si confronta con tale assunto, peccando di carenza di specificità estrinseca, con applicazione nel caso di specie del principio per cui i motivi di ricorso per cassazione sono inammissibili non solo quando risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Sammarco, Rv. 255568 le ragioni di tale necessaria correlazione tra la decisione censurata e l’atto di impugnazione risiedono nel fatto che il ricorrente non può trascurare le ragioni del provvedimento censurato Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425 . Va inoltre condiviso il rilievo della corte di appello per cui, stante la natura dell’atto richiamato dal ricorrente, fonte meramente interna, non può venire in rilievo alcuno dei vizi di legittimità contestati. 5. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.