Acquisto concluso con assegni scoperti: condannati i compratori che hanno occultato la crisi irreversibile della loro società

Definitiva la condanna per il reato di truffa. Evidente il dolo nella condotta dei compratori, che non solo hanno pagato con assegni scoperti ma hanno anche omesso di rendere noto al venditore che la loro società era prossima al fallimento.

Operazione commerciale quasi conclusa la merce è consegnata ma il pagamento non si concretizza, poiché gli assegni consegnati al venditore sono a vuoto. Legittima la condanna dei compratori, ritenuti colpevoli di truffa . A inchiodarli non solo gli assegni scoperti ma anche l’aver taciuto sulle assai precarie condizioni della loro società, oramai prossima al fallimento. Cassazione, sentenza n. 26100/20, sez. II Penale, depositata il 16 settembre . Ricostruita nei dettagli la vicenda, i Giudici di merito optano per la condanna dei due soggetti sotto processo, entrambi ritenuti colpevoli del reato di truffa per avere ottenuto una partita di quattrocentoventi quintali di uva valore 25mila e 700 euro , pagandola con assegni non andati a buon fine, rassicurando falsamente il venditore sulla bontà dei titoli . Il difensore dei due uomini contesta però la pronuncia emessa in appello , sostenendo che, in realtà, non vi sarebbe stato alcun artificio e raggiro in danno della vittima , ma soltanto un inadempimento di natura civilistica, non preordinato in quanto dovuto a contingenze successive alla conclusione del contratto, note alla vittima stessa . Secondo il legale, mancano gli elementi costitutivi del reato di truffa, anche da un punto di vista soggettivo , e la condotta addebitata ai suoi clienti può essere catalogata come mera insolvenza fraudolenta . La linea difensiva non convince però i Giudici della Cassazione , i quali ribattono richiamando le condotte ingannevoli poste in essere dai due compratori e accertate tra primo e secondo grado. In particolare, l’elenco comprende l’avere prelevato l’uva di sabato, senza consentire alla vittima di poter verificare in banca, essendo giorno di chiusura, se l’assegno contestualmente consegnato fosse scoperto, cosa che si era potuta accertare solo successivamente il correo non ricorrente aveva fatto da intermediario nella transazione e aveva rassicurato la vittima sulla bontà dell’affare , e, infine, i compratori avevano taciuto al venditore che la loro impresa era prossima al fallimento . E già questa sola ultima circostanza – tenuto conto che il silenzio serbato riguardava un dato importante nella trattativa, idoneo, laddove noto, ad indurre la vittima a non effettuare la consegna è sufficiente, chiariscono dalla Cassazione, a rendere evidente il reato di truffa , escludendo l’ipotesi di un mero inadempimento di natura civilistica . E la preordinazione dimostrata dai compratori attraverso la commissione delle restanti condotte, con le rassicurazioni falsamente fornite , unite al silenzio nella trattativa sulle condizioni della loro società, esclude anche che il fatto possa essere qualificato come insolvenza fraudolenta , aggiungono dalla Cassazione.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 16 luglio – 16 settembre 2020, n. 26100 Presidente Diotallevi – Relatore Sgadari Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di Appello di Potenza, confermava la sentenza del Tribunale di Matera del 7 febbraio del 2017, che aveva condannato i ricorrenti alla pena di giustizia in relazione al reato di truffa, per avere ottenuto una partita di 420 quintali uva del valore di 25.700 Euro, pagandola con assegni non andati a buon fine, rassicurando falsamente la vittima sulla bontà dei titoli. 2. Ricorrono per cassazione gli imputati, con unico atto, deducendo 1 violazione di legge e vizio della motivazione per non avere la Corte dichiarato l'incompetenza territoriale del Tribunale di Matera, in favore di quello di Taranto, posto che in quest'ultimo luogo la persona offesa aveva posto all'incasso senza successo l'assegno consegnatogli dagli imputati, in quel momento consumandosi il reato di truffa 2 violazione di legge e vizio della motivazione in ordine all'affermazione di responsabilità degli imputati. Secondo i ricorrenti, non vi sarebbe stato alcun artificio e raggiro in danno della vittima, ma soltanto un inadempimento di natura civilistica, non preordinato in quanto dovuto a contingenze successive alla conclusione del contratto, note alla vittima stessa. Mancherebbero, pertanto, gli elementi costitutivi del reato di truffa, anche da un punto di vista soggettivo. In subordine, la condotta commessa, se reputata penalmente rilevante, avrebbe dovuto essere sussunta nella fattispecie della insolvenza fraudolenta, reato del quale andrebbe dichiarata l'improcedibilità per tardività della querela. Considerato in diritto Il ricorso è manifestamente infondato. 1. Quanto al primo motivo, l'incompetenza territoriale del Tribunale di Matera non era stata dedotta dagli odierni ricorrenti con i motivi di appello, sicché non poteva essere rilevata di ufficio dalla Corte territoriale, a ciò ostandovi la regola di cui all'art. 24 cod. proc. pen In questa sede, il motivo configura una violazione di legge non dedotta in appello ed è per questo inammissibile ex art. 606, comma 3, cod. proc. pen 2. Il secondo motivo è del tutto generico, poiché il ricorrente non tiene conto della motivazione della sentenza impugnata, nella parte in cui aveva messo in luce una serie di condotte decettive poste in essere dai ricorrenti - quella di avere prelevato l'uva di sabato senza consentire alla vittima di poter verificare in banca, essendo giorno di chiusura, se l'assegno contestualmente consegnato fosse scoperto, cosa che si era potuta accertare solo successivamente - che il correo non ricorrente Do. Bo., che aveva fatto da intermediario nella transazione, avesse rassicurato le vittime sulla bontà dell'affare - che gli imputati avevano taciuto al venditore che la loro impresa era prossima al fallimento. Già questa sola ultima circostanza - tenuto conto che il silenzio serbato riguardava un dato importante nella trattativa, idoneo ad indurre le vittime a non effettuare la consegna, laddove a loro noto - rende la condotta sussumibile nel reato di truffa, escludendo che si fosse potuto trattare di un mero inadempimento di natura civilistica. La preordinazione dimostrata dagli imputati attraverso la commissione delle restanti condotte, con le rassicurazioni falsamente fornite unite al silenzio nella trattativa sulle condizioni della loro società, esclude anche che il fatto possa essere qualificato come insolvenza fraudolenta. Devono ricordarsi i pacifici insegnamenti di legittimità secondo cui, in tema di truffa contrattuale, anche il silenzio, maliziosamente serbato su circostanze rilevanti ai fini della valutazione delle reciproche prestazioni da parte di colui che abbia il dovere di farle conoscere, integra l'elemento del raggiro, idoneo ad influire sulla volontà negoziale del soggetto passivo Sez. 6, Sentenza n. 13411 del 05/03/2019, C, Rv. 275463 Massime precedenti Conformi N. 5579 del 1998 Rv. 210613, N. 28791 del 2015 Rv. 264400 . Inoltre, il delitto di truffa si distingue da quello di insolvenza fraudolenta perché nella truffa la frode è attuata mediante la simulazione di circostanze e di condizioni non vere, artificiosamente create per indurre altri in errore, mentre nell'insolvenza fraudolenta la frode è attuata con la dissimulazione del reale stato di insolvenza dell'agente Sez. 7, Ordinanza n. 16723 del 13/01/2015, Caroli, Rv. 263360 Massime precedenti Conformi N. 5660 del 1982, N. 10792 del 2001 Rv. 218671, N. 45096 del 2009 Rv. 245695 . Alla declaratoria di inammissibilità consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila ciascuno alla Cassa delle Ammende, commisurata all'effettivo grado di colpa degli stessi ricorrenti nella determinazione della causa di inammissibilità. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila a favore della Cassa delle Ammende.