Normativa emergenziale: il comma 7 dell’art. 83 d.l. n. 18/2020 è il faro (spento) sulla normativa della sospensione dei termini di durata delle misure cautelari

Al fine di stabilire la violazione della normativa dettata in tema emergenziale in riferimento alla sospensione del termine di durata delle misure cautelari, il decreto legge 18/2020 con il proprio articolo 83 comma 7 detta una normativa primaria che necessita di essere integrata da dati di normativa secondaria dettata dal capo dell’ufficio giudiziario presso cui si procede.

Il caso. la vicenda sotto il profilo strettamente fattuale non mostra particolari complessità. In periodo emergenziale, soggetti sottoposti alla misura cautelare della custodia in carcere avanzavano, a mezzo dei rispettivi patroni, istanza al Tribunale del riesame per richiedere la declaratoria di inefficacia della misura cautelare dovuta all’intervenuto decorso del termine di loro efficacia. La richiesta traeva ragione dal tenore del provvedimento emesso dal GUP che invitava imputati e difensori a manifestare la propria volontà di celebrazione dell’udienza entro un termine stabilito. In assenza di detta comunicazione le udienze sarebbero state differite, ed i termini di durata sospesi, ad altra data. Uno dei due imputati formava la propria dichiarazione in data successiva al termine fissato per riceverla dal GUP. L’istanza così formata veniva dapprima respinta e poi accolta dal GUP che, sulla scorta della stessa fissava la richiesta udienza. I difensori dunque richiedevano che i termini di durata della misura cautelare riprendessero a decorrere dal giorno successiva al ricevimento dell’istanza così formata da parte del GUP e, quindi, così computati, fosse dichiara l’inefficacia della misura dovuta al loro spirare. Il Tribunale del riesame confermava le ordinanze del GUP che avevano respinto le istanze difensive e, deducendo violazione di legge in riferimento alle stesse, i difensori proponevano ricorso per Cassazione. La norma emergenziale. le disposizioni normative cui fare riferimento sono quelle note agli operatori del sistema e contenute nella congerie di decreti emessi e convertiti segnatamente i decreti legge 18 e 23 del 2020 e, ancor più nel dettaglio il comma 7 dell’art. 83 del d.l. n. 18/2020. Si tratta della norma che ha stabilito il rinvio dei procedimenti, civili, penali e amministrativi, a cagione della pandemia, dettando le norme che ad essi rinvii presiedevano ed indicando anche quali fossero i procedimenti da considerarsi non rinviabili e quali ancora urgenti. Nel dettaglio, e per quanto di interesse, i procedimenti inerenti misure cautelari personali potevano essere sospesi, con ogni effetto, in difetto di comunicazione da formarsi a cura del sottoposto alla misura o del proprio difensore, che avrebbe dato vita alla celebrazione dell’udienza con le modalità stabilite dall’ufficio procedente. Ora, a prescindere dal caso concreto, che gli attenti lettori della rivista avranno notato non viene analizzato dalla Suprema Corte che lo utilizza ai fini di fornire regolamentazione generale alla materia nihil sub soli novi , ciò che mi preme sottolineare è il tenore letterale del comma 7 dell’articolo 83 del. D.l. 18/2020. 7. Per assicurare le finalità di cui al comma 6, i capi degli uffici giudiziari possono adottare le seguenti misure - omissis - d l'adozione di linee guida vincolanti per la fissazione e la trattazione delle udienze” - omissis Il tenore letterale possono” e non debbono” a me, incolto operatore del diritto non lascia dubbi si tratta di facoltà e non di obbligo. La sentenza. L’opinione del Vostro umile commentatore, correttamente e giustamente definitosi incolto, non è condivisa dai Giudici del Supremo Collegio. Essi infatti ritengono che solo la violazione della normativa, definita di carattere secondario, dettata dal capo dell’ufficio procedente ex art. 83, comma 7, del d.l. n. 18/2020, possa assurgere a regola processuale il cui mancato rispetto integri il vizio tipico di violazione di legge, essendo insufficiente ad identificarlo e a completarlo la violazione della disciplina dettata e contenuta nel provvedimento emesso dal giudice procedente in relazione al singolo caso. In altri termini in assenza di dedotta violazione delle linee guida dettata dal capo dell’ufficio non può invocarsi alcuna violazione di legge fondate su provvedimenti autonomi resi dal singolo magistrato procedente. Il che, francamente, a me pare confliggere con due principi che ritengo, forse a torto, fondamentali il tenore letterale della norma e, se permesso ed ancor più, la tutela della Libertà personale, bene dotato di rango Costituzionale elevatissimo. La risposta che gli Ermellini forniscono non è appagante posto che la Corte non ritiene di interrogarsi circa la sollevata questione inerente la ripresa del decorrere dei termini di efficacia della misura, questione che ritengo sia stata sollevata in molti casi generati da una legislazione emergenziale che non sempre può definirsi esempio di normazione, frapponendo ad ogni vaglio lo schermo costituito dall’inesistenza di doglianze su di una normativa, di grado secondario , che, ben poteva non essere stata adottata. Quindi? Quindi ricorso rigettato perché in esso non si assumono violate le regole che ex art. 83 comma 7, d.l. n. 18/2020 il capo dell’Ufficio procedente poteva adottare. Quando si tratta di Libertà personale, la norma dovrebbe avere due caratteristiche fondamentali essere chiara ed applicata sembra nel rispetto del principio del favor libertatis ”.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 22 luglio – 10 settembre 2020, n. 25833 Presidente Zaza – Relatore Stanislao Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 5 maggio 2020, il Tribunale di Brescia, sezione per il riesame, confermava le ordinanze del Gup del medesimo Tribunale, del 15 aprile 2020, di rigetto dell’istanza avanzata nell’interesse di D.M.G. e di R.G. di declaratoria di inefficacia della misura cautelare della custodia in carcere loro applicata per essere decorsi i termini previsti dall’art. 303 c.p.p., comma 1, lett. a , n. 2 e art. 306 c.p.p 2. Propongono ricorso gli interessati, a mezzo dei rispettivi difensori. 2.1. L’Avv. Michele Cianci, per D.M.G. , deduce, con l’unico motivo, la violazione di legge, ed in particolare del D.L. n. 18 del 2020, art. 83 e D.L. n. 23 del 2020, art. 36, ed il vizio di motivazione in relazione all’erronea interpretazione delle norme relative alla sospensione dei termini custodiali. Ricorda che l’imputato era in custodia cautelare dal 23 settembre 2019, con scadenza, in considerazione del titolo dei reati contestati, al 22 marzo 2020 che l’udienza preliminare, fissata per il 13 marzo 2020, era stata rinviata dal Gup, con provvedimento del 10 marzo, al 3 aprile, in considerazione dell’emergenza Covid con nuovo provvedimento del 21 marzo, il Gup aveva invitato i difensori a comunicare le volontà degli imputati in ordine alla celebrazione dell’udienza, comunicazione da farsi entro il 27 marzo, anticipando che, altrimenti, l’udienza sarebbe stata rinviata al 24 aprile la richiesta di trattazione avanzata dal coindagato R. era stata rigettata perché pervenuta il 2 marzo, oltre l’indicato termine con nuovo provvedimento dell’8 aprile, il Gup disponeva il rinvio già anticipato dell’udienza al 24 aprile poiché la richiesta di R. avrebbe dovuto essere accolta, i termini di custodia era ripresi a decorrere il 3 aprile, esaurendosi il 12 aprile. Il Tribunale non aveva correttamente interpretato il precedente provvedimento del Gup del 21 marzo 2020 con il quale lo stesso non si era limitato a fornire indicazioni meramente organizzative per la fissata udienza preliminare del 3 aprile 2020, come sostenuto dal Tribunale per il riesame, fissando la data del 27 marzo come termine ultimo per richiedere la celebrazione dell’udienza stessa, in assenza della quale, l’udienza si sarebbe tenuta il successivo 24 aprile 2020. Tale rinvio precoce deve considerarsi del tutto illegittimo anche considerando che il provvedimento del 21 marzo era stato comunicato all’imputato in data successiva alla perenzione del termine, il 1 aprile 2020. L’udienza preliminare non si era poi svolta nonostante, come si è ricordato, un coimputato, il R. , avesse chiesto la sua celebrazione. 2.2. L’Avv. Michele Cianci, per R.G. deduce, con l’unico motivo, la violazione di legge, ed in particolare del D.L. n. 18 del 2020, art. 83 e D.L. n. 23 del 2020, art. 36, ed il vizio di motivazione in relazione all’erronea interpretazione delle norme relative alla sospensione dei termini custodiali. Si ricordava che l’imputato era in custodia cautelare dal 23 settembre 2019, con scadenza, in considerazione del titolo dei reati contestati al 22 marzo 2020 che l’udienza preliminare, fissata per il 13 marzo 2020 era stata rinviata dal Gup, con provvedimento del 10 marzo, al 3 aprile, in considerazione dell’emergenza Covid con nuovo provvedimento del 21 marzo, il Gup aveva invitato i difensori a comunicare le volontà degli imputati in ordine alla celebrazione dell’udienza, comunicazione da farsi entro il 27 marzo, anticipando che, altrimenti, l’udienza sarebbe stata rinviata al 24 aprile il R. stesso aveva chiesto la trattazione dell’udienza ma la sua istanza era stata rigettata perché pervenuta il 2 marzo, oltre l’indicato termine con nuovo provvedimento dell’8 aprile il Gup disponeva il rinvio già anticipato dell’udienza al 24 aprile poiché la richiesta di R. avrebbe dovuto essere accolta. Illegittimamente non si era tenuto conto del fatto che R. avesse formulato, il 2 aprile 2020, istanza che si procedesse alla celebrazione dell’udienza preliminare fissata per il giorno successivo, il 3 aprile 2020. Si era mal interpretato il precedente provvedimento del Gup del 21 marzo 2020 con il quale lo stesso non si era limitato a fornire indicazioni meramente organizzative per la fissata udienza preliminare del 3 aprile 2020, come sostenuto dal Tribunale per il riesame, fissando la data del 27 marzo come termine ultimo per richiedere la celebrazione dell’udienza stessa, in assenza della quale richiesta, l’udienza si sarebbe tenuta il successivo 24 aprile 2020. Tale rinvio precoce deve considerarsi del tutto illegittimo anche considerando che il provvedimento del 21 marzo era stato comunicato all’imputato in data successiva alla perenzione del termine, il 1 aprile 2020. 2.3. L’Avv. Daniela Serughetti, ancora per R.G. , articola due motivi. 2.3.1. Con il primo deduce la violazione di legge, ed in particolare degli artt. 310, 311 e 128 c.p.p. in ordine all’omessa notifica dell’ordinanza impugnata al medesimo difensore, nonostante ella fosse stata nominata dal R. il 26 marzo 2020. 2.3.2. Con il secondo motivo lamenta il difetto di motivazione in ordine alla ritenuta inefficacia della richiesta del R. di procedere. Ricordava che la sua istanza di celebrazione dell’udienza del 3 aprile era stata tempestiva perché inoltrata il 2 aprile subito dopo avere ricevuto, il 1 aprile alle ore 15.00, comunicazione del provvedimento del 13 marzo. Si ricordava che l’art. 83 del decreto Cura Italia non poneva alcun termine alla istanza di procedere allo svolgimento delle udienze fissate, così che illegittimo era il termine indicato dal Gup. L’affermazione contenuta nel provvedimento dell’8 aprile circa il mancato invio della richiesta di trattazione era pertanto palesemente erronea. Era poi inesatto il fatto che R. avesse comunicato la sola volontà di partecipare in videoconferenza e non avesse avanzato richiesta espressa di celebrazione dell’udienza. 2.3.3. Con il terzo motivo lamenta la violazione di legge in relazione alla mancata scarcerazione dell’imputato per decorrenza dei termini. La sospensione dei quali era subordinata al provvedimento di rinvio che il Gup non aveva correttamente disposto. Considerato in diritto Il ricorso promosso nell’interesse di R.G. è infondato, quello presentato a nome di D.M.G. è, invece, manifestamente infondato. 1. Nei giorni in cui erano stati emessi i provvedimenti, che costituivano il presupposto del provvedimento confermato dal Tribunale del riesame, dal Gup del Tribunale di Brescia, vigevano le norme contemplate dai D.L. nn. 11 e 18 rispettivamente dell’8 e del 17 marzo 2020. In applicazione degli stessi, il giudice procedente doveva rinviare le udienze penali ad una data successiva al 15 aprile 2020 con le modalità telematiche anch’esse previste dall’art. 83 dei decreti . Salvo che, per quanto qui di interesse, non si procedesse nei confronti di imputati ai quali è stata applicata una misura cautelare che abbiano avanzato espressa richiesta di trattazione dell’udienza altrimenti da rinviare. Lo stesso art. 83, al comma 7, demandava ai capi degli uffici giudiziari l’adozione di linee guida vincolanti per la fissazione e la trattazione delle udienze, non fissandole così la norma stessa. Ne deriva che l’eccezione di inefficacia delle misure difetta di un dato, di normazione secondaria, decisivo in quanto le regole che si assumono violate dovevano essere non quelle indicate nel decreto ma quelle integrative dettate dal capo dell’ufficio, nel caso di specie il Presidente del Tribunale di Brescia, regole che, nel ricorso non si assumono violate. 2. Si deve poi rilevare, in via più generale, come si è già avuto modo di sottolineare, come l’art. 83 dei decreti legge che si sono succeduti, non imponga alcun sollecito, da parte del giudice procedente della richiesta di trattazione dell’udienza formulabile dell’imputato ristretto in custodia cautelare, ed era pertanto onere del medesimo, e della difesa tecnica, dichiarare la propria volontà di celebrare l’udienza e farlo in termini utili a consentirne la conseguente, complessa in allora , organizzazione dell’attività processuale. Termini che non possono ragionevolmente essere assolti con l’invio dell’istanza il pomeriggio del giorno precedente, anche considerando che la stessa avrebbe potuto essere proposta fin dai giorni successivi all’approvazione del primo decreto, dell’8 marzo, che la prevedeva, così da consentire agevolmente la celebrazione dell’udienza richiesta, il 3 aprile 2020. Se ne deduce l’infondatezza della censura mossa al provvedimento impugnato ed ai presupposti e precedenti provvedimenti giudiziari dal R. . E tanto più infondata è la doglianza formulata dal coimputato D.M. che, non avendo avanzato alcuna istanza di trattazione dell’udienza, non avrebbe potuto essere chiamato a parteciparvi, non essendo previsto, dai ricordati decreti, che l’istanza formulata da un imputato ristretto in custodia cautelare valga anche nei confronti dei coimputati, che hanno legittimamente compiuto una diversa scelta difensiva. 3. Al rigetto del ricorso del R. segue la sua condanna al pagamento delle spese processuali, alla declaratoria di inammissibilità del ricorso del D.M. segue la medesima condanna e, versando il medesimo in colpa, anche al versamento della somma di Euro 3.000 a favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Rigetta il ricorso di R.G. e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Dichiara inammissibile il ricorso di D.M.G. e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui al disp. att. c.p.p., art. 94, comma 1 ter.