Revoca o sostituzione delle misure cautelari: come opera la preclusione derivante dalla pronuncia del Tribunale del riesame?

In materia cautelare, la preclusione derivante da una precedente pronuncia del Tribunale del riesame concerne le questioni esplicitamente o implicitamente trattate e non anche quelle deducibili e non dedotte.

Lo ha chiarito la Cassazione con sentenza n. 25440/20, depositata il 9 settembre. L’indagato ricorre per cassazione avverso l’ordinanza con cui il Tribunale del riesame ha confermato il rigetto della sua richiesta di revoca o sospensione della misura della custodia in carcere , lamentando l’insussistenza dei presupposti previsti dagli artt. 273, 274 e 275 c.p. per l’applicazione di tale misura. La sua incensuratezza e i chiarimenti forniti in sede di interrogatorio, oltre che il contributo ivi fornito, sarebbero dovuti essere sufficienti, a parere del difensore, per l’accoglimento del gravame da lui proposto. Ebbene, posta l’inammissibilità del ricorso, la Cassazione coglie l’occasione per ribadire che in materia cautelare una preclusione processuale è suscettibile di formarsi a seguito delle pronunzie emesse, all’esito del procedimento incidentale di impugnazione, dalla Corte Suprema ovvero dal Tribunale in sede di riesame o di appello, avverso le ordinanze in tema di misure cautelari . Tuttavia, tale preclusione ha una portata più modesta rispetto a quella determinata dalla cosa giudicata, sia perché è limitata allo stato degli atti, sia perché non copre anche le questioni deducibili, ma soltanto le questioni dedotte, implicitamente o esplicitamente, nei procedimenti di impugnazione avverso ordinanze in materia di misure cautelari personali, intendendosi queste ultime come le questioni che quantunque non enunciate in modo specifico, integrano il presupposto logico di quelle espressamente dedotte . In altri termini, precisa la Corte, la preclusione derivante da una precedente pronuncia del Tribunale del riesame concerne le questioni esplicitamente o implicitamente trattate e non anche quelle deducibili e non dedotte e, operando allo stato degli atti, è preordinata ad evitare ulteriori interventi giudiziari in assenza di una modifica della situazione di riferimento, con la conseguenza che essa può essere superata solo laddove intervengano elementi nuovi che alterino il quadro precedentemente definito . Sulla questione, è stato anche affermato che in tema di revoca o sostituzione di misure cautelari , una volta che la posizione dell’indagato sia stata vagliata in sede di appello o di riesame, tale valutazione costituisce un punto fermo a meno che non sopravvengano fatti nuovi e circa il tema degli elementi di novità in grado di superare il contesto preclusivo formatosi, è stato rilevato che, ai fini dell’attenuazione o della revoca della misura della custodia cautelare in carcere , il mero decorso di un pur lungo periodo di carcerazione non assume di per sé rilievo come fattore di attenuazione delle esigenze cautelari, esaurendo la sua valenza soltanto nell’ambito della disciplina dei termini di durata massima della custodia . Principio, quest’ultimo, estendibile anche ai casi revoca o sostituzione di altre misure cautelari, meno gravi della custodia.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 13 giugno – 9 settembre 2020, n. 25440 Presidente Ramacci – Relatore Noviello Ritenuto in fatto e considerato in diritto 1. Il Tribunale di Messina, sezione del riesame, adito da S.N. con atto di appello avverso il provvedimento con cui la locale Corte di appello aveva rigettato la richiesta di revoca o sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere, già applicata nei confronti di S.N. , decideva con ordinanza del 19.12.2019 rigettando l’impugnazione. 3. Avverso la pronuncia del giudice distrettuale della cautela propone ricorso per cassazione S.N. mediante il proprio difensore, che solleva un solo motivo d’impugnazione. 4. Si deduce il vizio ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b , per erronea applicazione degli art. 273, 274, 275 c.p.p Dalla motivazione dell’atto impugnato emergerebbe la carenza delle condizioni di applicabilità della misura della custodia in carcere, per insussistenza dei presupposti di cui agli artt. 273, 274 e 275 c.p.p Si osserva come l’incensuratezza dell’indagato e i chiarimenti forniti in sede di interrogatorio reso in sede di convalida giustificherebbero le critiche mosse contro il provvedimento impugnato, e in particolare il contributo fornito dall’indagato avrebbe dovuto far accogliere il proposto gravame. 5. Occorre premettere che in materia cautelare una preclusione processuale è suscettibile di formarsi a seguito delle pronunzie emesse, all’esito del procedimento incidentale di impugnazione, dalla Corte Suprema ovvero dal Tribunale in sede di riesame o di appello, avverso le ordinanze in tema di misure cautelari ma essa ha una portata più modesta rispetto a quella determinata dalla cosa giudicata, sia perché è limitata allo stato degli atti, sia perché non copre anche le questioni deducibili, ma soltanto le questioni dedotte, implicitamente o esplicitamente, nei procedimenti di impugnazione avverso ordinanze in materia di misure cautelari personali, intendendosi queste ultime come le questioni che quantunque non enunciate in modo specifico, integrano il presupposto logico di quelle espressamente dedotte cfr. Sez. U, n. 11 del 08/07/1994 Rv. 198213-01 Buffa in altri termini, la preclusione derivante da una precedente pronuncia del Tribunale del riesame concerne le questioni esplicitamente o implicitamente trattate e non anche quelle deducibili e non dedotte. Detta preclusione, operando allo stato degli atti, è preordinata ad evitare ulteriori interventi giudiziari in assenza di una modifica della situazione di riferimento, con la conseguenza che essa può essere superata laddove intervengano elementi nuovi che alterino il quadro precedentemente definito cfr. Sez. 3, n. 10976 del 19/01/2016 Rv. 266712-01 Grasso Sez. 2, n. 49188 del 09/09/2015 Rv. 265555-01 Masone . Si tratta di un indirizzo giurisprudenziale coerente con quanto già rilevato dalla Suprema Corte, allorquando ha stabilito che, in tema di revoca o sostituzione di misure cautelari, una volta che la posizione dell’indagato sia stata vagliata in sede di appello o di riesame, tale valutazione costituisce un punto fermo a meno che non sopravvengano fatti nuovi cfr. Sez. 4, n. 2395 del 03/10/1997 Rv. 209064-01 Luise . Nell’ambito di tale quadro giuridico la giurisprudenza di legittimità, approfondendo il tema degli elementi di novità in grado di superare il contesto preclusivo formatosi, ha rilevato che ai fini dell’attenuazione o della revoca della misura della custodia cautelare in carcere, il mero decorso di un pur lungo periodo di carcerazione non assume di per sé rilievo come fattore di attenuazione delle esigenze cautelari, esaurendo la sua valenza soltanto nell’ambito della disciplina dei termini di durata massima della custodia Sez. 1, n. 19818 del 23/03/2018 Rv. 273139-01 Ben Aicha . Si tratta di un principio che alla luce delle ragioni sottese, non estranee alla revoca o sostituzione di altre misure cautelari ancorché meno gravi della custodia, appare estensibile anche a questi ultimi casi. 6. Deve altresì rilevarsi che in tema di misure cautelari personali, una volta intervenuta la sentenza di condanna anche non definitiva, la valutazione degli elementi rilevanti ai fini del giudizio incidentale, anche in sede di riesame o di appello, deve mantenersi nell’ambito della ricostruzione operata dalla pronuncia di merito, non solo per quel che attiene all’affermazione di colpevolezza e alla qualificazione giuridica, ma anche per tutte le circostanze del fatto, non potendo essere queste apprezzate in modo diverso dal giudice della cautela. 7. Dei suindicati principi il tribunale della cautela, quale giudice di appello, ha fatto corretta applicazione, laddove ha evidenziato, innanzitutto, che il giudizio cautelare già espresso nei confronti del ricorrente in ordine alla sussistenza di gravi indizi di colpevolezza giustificativi della misura personale più rigorosa risultava precluso, alla luce della intervenuta condanna nel merito. Altrettanto correttamente ha rilevato - senza che emerga contestazione sul punto - l’assenza di sopravvenienze integranti elementi di novità giustificativi di un nuovo riesame, quantomeno delle esigenze cautelari, in rapporto alla applicazione di una misura meno incisiva sulla libertà del prevenuto, evidenziando al riguardo, da una parte, l’irrilevanza del mero decorso del tempo, dall’altra, come sia l’incensuratezza del S. quanto il racconto fornito in sede di interrogatorio fossero già stati considerati in sede di giudizio di riesame, poi connotato dal giudicato cautelare. Rispetto a tali valide motivazioni il ricorso appare altresì articolato in una generica rivendicazione di illegittimità del provvedimento impugnato, privo di puntuali e circostanziate censure rispetto alle argomentazioni elaborate dalla corte. 8. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3000,00 in favore della Cassa delle Ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter. Motivazione semplificata. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell’art. 52 D.Lgs. n. 196 del 2003, in quanto imposto dalla legge.