Vendita di carne contenente salmonella: l’analisi rapida non basta per far scattare la condanna

Il test rapido che accerti la presenza di salmonella nella carne venduta nel reparto macelleria non è sufficiente a far scattare la condanna del legale rappresentante della società produttrice dell’alimento, dovendo il risultato essere confermato con un metodo di analisi ufficiale.

Lo ha chiarito la Cassazione con sentenza n. 25256/20, depositata l’8 settembre. Il Tribunale condannava il legale rappresentante di una società poiché aveva detenuto la vendita involtini di suino preparato con contenete salmonella superiore ai parametri previsti dal Regolamento CE 2073/2005. Avverso la decisione propone ricorso in Cassazione l’imputato lamentando che con l’analisi biomolecolare del PCR Real time poteva essere accertata una positività, ma il risultato doveva essere confermato con un metodo ufficiale , essendo necessario effettuare ulteriori analisi per verificare se il batterio fosse vitale e quindi pericoloso. Inoltre, lamenta il ricorrente che non era stata accertata l’attitudine della sostanza contaminata a produrre effetti intossicanti o comunque un pericolo di danno per la salute del consumatore. La Cassazione, ritenendo fondato il ricorso, rileva che il Giudice non ha spiegato scientificamente, a fronte della contestazione che l’analisi effettuata era stata di tipo rapido e non aveva consentito di evidenziare per quale motivo il batterio fosse pericolo , le ragioni per cui riteneva idonea e sufficiente la comunicazione dell’Istituto zooprofilattico. Inoltre, rileva la Corte, sulla confezione c’era l’esplicita scritta relativa al fatto che la carne andasse consumata dopo la cottura e inoltre rientra nelle nozioni di comune esperienza che la carne di suino debba essere consumata cotta a causa dei maggiori rischi connessi al suo rapido deterioramento. Chiarito questo la sentenza viene annullata con rinvio al Giudice del Tribunale per una rivalutazione degli elementi probatori.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 2 luglio – 8 settembre 2020, n. 25256 Presidente Rosi – Relatore Macrì Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 31 maggio 2019 il Tribunale di Macerata ha condannato P.F. alle pene di legge per il reato di cui alla L. 30 aprile 1962, n. 283, art. 6 in relazione all’art. 5, lett. c stessa legge, poiché, in qualità di legale rappresentante della Il Macellaio S.r.l. con sede legale in , aveva detenuto per la vendita nell’esercizio commerciale in , posto all’interno di , involtini di suino preparati con carne contenente salmonella, pari a grammi 10 in una delle cinque unità campionate, superiore ai parametri previsti dal Reg. CE 2073/2005 che fissava i criteri microbiologici applicabili ai prodotti alimentari, in OMISSIS 2 L’imputato presenta sette motivi. Con il primo deduce la violazione di legge per contrasto con l’art. 27 Cost. Precisa che il prodotto era stato preparato la mattina stessa del controllo ed era stata seguita la procedura HACCP. La dipendente della macelleria aveva dichiarato che la carne di suino era arrivata in giornata, era stata lavorata e appena messa sul banco per la vendita erano arrivati gli addetti al controllo. Evidenzia la sua totale estraneità ai fatti. Con il secondo lamenta la violazione di legge in ordine all’art. 42 c.p., comma 4 e art. 43 c.p., comma 2. Nei reati contravvenzionali, la valorizzazione del principio di colpevolezza aveva portato a ritenere insufficiente la coscienza e volontà della condotta ed a ritenere necessario il dolo o la colpa, che dovevano essere accertati. Ritiene apodittica la motivazione sull’elemento psicologico e segnala che non sussisteva alcuna correlazione tra la condanna ed il capo d’imputazione in cui non v’era traccia degli elementi fattuali contestati sotto il profilo psicologico. Con il terzo eccepisce la violazione di legge in ordine al trattamento sanzionatorio. Per determinare la pena da irrogare, il Giudice doveva individuare l’intensità del dolo o il grado della colpa, con ciò non potendo esimersi dall’accertare se, nel caso concreto, fosse individuabile l’uno o l’altro. Chiede l’applicazione del beneficio della pena sospesa che non era stata riconosciuta per ragioni indecifrabili. Con il quarto denuncia il vizio di motivazione in ordine alla prova. Il consulente della difesa aveva affermato che con l’analisi biomolecolare del PCR Real Time poteva essere accertata una positività, ma il risultato doveva essere confermato con un metodo ufficiale. Quello utilizzato non era contemplato dal Regolamento CE n. 2073/2005. Era necessario effettuare ulteriori analisi per verificare se il batterio fosse vitale e quindi pericoloso. Dunque, il Tribunale avrebbe dovuto recepire la richiesta del Pubblico ministero d’udienza che aveva richiesto l’assoluzione ai sensi dell’art. 530 c.p.p., comma 2. Invece, il Tribunale di Macerata aveva ignorato le deposizioni dei testi a discarico della difesa ed aveva omesso di adottare il metodo falsificazionista nella valutazione della prova. Considerato che l’oggetto del processo era un reato contravvenzionale, la sentenza impugnata avrebbe dovuto recare una motivazione forte e convincente. In particolare, il Tribunale avrebbe dovuto applicare il criterio della neutralizzazione delle testimonianze contraddittorie. Con il quinto eccepisce la violazione di legge, perché l’omesso riferimento al criterio contemplato nel Regolamento CE n. 2073/2005 indeboliva la motivazione anche con riferimento al contrasto con il criterio della L. n. 283 del 1962. Lamenta che non era stata accertata l’attitudine della sostanza contaminata a produrre effetti intossicanti o comunque un pericolo di danno per la salute del consumatore, da accertarsi in concreto. Con il sesto censura il vizio di motivazione ed il vizio della consumabilità degli involtini crudi. Osserva che la salmonella era da considerarsi sempre nociva per gli alimenti destinati al consumo umano, ma, dalle nozioni di comune esperienza, si ricavava che nessuno poteva mangiare involtini di suino crudi come quelli oggetto della campionatura. Aggiunge che da una rapida scorsa del web poteva desumersi che gli esperti di alimentazione raccomandavano di cuocere la carne, perché la carne di maiale cruda o poco cotta veicolava l’epatite E. D’altra parte il Giudice non aveva tenuto conto che vi era agli atti la prova che nel punto vendita vi erano le comunicazioni all’utenza attestanti che gli involtini di suino dovevano essere consumati cotti. La teste aveva precisato che il prodotto doveva essere consumato alla temperatura di 75 gradi. Censura la sentenza laddove parlava di mode culinarie con riferimento alla consumazione di carne cruda. Con il settimo lamenta il vizio di motivazione, perché la libertà di apprezzamento della prova incontrava un limite nei principi razionali che dovevano trovare risalto nella motivazione, mentre, nella fattispecie concreta, risultavano assenti. Il complesso del compendio istruttorio non consentiva di attribuirgli il reato con un alto grado di credibilità razionale. Il Tribunale avrebbe dovuto applicare ai sensi dell’art. 6 CEDU lo standard logico dell’al di là di ogni ragionevole dubbio che era la soglia oltre la quale si poteva giustificare la dichiarazione di colpevolezza e la condanna. Considerato in diritto 3. Il ricorso è fondato. È stato contestato il reato della L. n. 283 del 1962, art. 5, lett. c secondo cui è vietato impiegare nella preparazione di alimenti o bevande, vendere, detenere per vendere o somministrare come mercede ai propri dipendenti o comunque distribuire per il consumo, sostanze alimentari . lett. c con cariche microbiche superiori ai limiti che saranno stabiliti dal regolamento di esecuzione o da ordinanze ministeriali. Il Giudice non ha spiegato scientificamente, a fronte della contestazione che l’analisi effettuata era stata di tipo rapido e non aveva consentito di evidenziare per quale motivo il batterio fosse vitale e pericoloso, le ragioni per cui riteneva idonea e sufficiente la comunicazione dell’Istituto zooprofilattico della Sezione di Tolentino. Ed invero, la giurisprudenza citata sulla discrezionalità tecnica nella scelta del metodo di analisi e campionamento non è coerente con il diverso tema introdotto dalla difesa sulla capacità dell’analisi rapida ad offrire delle informazioni determinanti ai fini della condanna. Inoltre, la deduzione congetturale, in particolare quella relativa alla moda culinaria del consumo di carne cruda, mal si attaglia al caso di specie in cui, dall’istruttoria dibattimentale, è emersa la presenza di cartelli che raccomandavano la cottura della carne. Del resto, così come prospettato dal ricorrente, rientra nelle nozioni di comune esperienza che la carne di suino debba essere consumata cotta a causa dei maggiori rischi connessi al suo rapido deterioramento per la differenza tra congetture, massime di esperienza e notorio, si veda tra le più recenti, Cass., Sez. 5, n. 25616 del 24/05/2019, Devona, Rv. 277312 - 01 . Infine, il Tribunale di Macerata, pur menzionando la disciplina della delega di funzioni, non ha svolto alcuna considerazione specifica rispetto al caso in esame, con riferimento alle concrete modalità operative dell’azienda ed al ruolo del suo amministratore delegato si veda sul punto, Cass., Sez. 3, n. 35159 del 01/03/2017, Panico, Rv. 270684 - 01 . S’impone pertanto l’annullamento della sentenza con rinvio ad altro Giudice del Tribunale di Macerata per una rivalutazione degli elementi probatori alla stregua dei rilievi svolti. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Macerata.