Svella il cancello per rubare nel cantiere: è furto aggravato dalla violenza sulle cose?

In tema di furto aggravato dalla violenza sulle cose, con particolare riferimento al concetto di mutamento di destinazione, è stato chiarito che l’aggravante si realizza tutte le volte in cui il soggetto, per commettere il fatto, manomette l’opera dell’uomo posta a difesa o a tutela del suo patrimonio in modo che, per riportarla ad assolvere la sua originaria funzione, sia necessaria un’attività di ripristino.

Così la Cassazione con sentenza n. 25211/20 depositata il 7 settembre. Confermata la condanna dalla Corte d’Appello per il reato di furto , l’imputato ricorre per cassazione lamentando la parte della sentenza avente ad oggetto la ritenuta aggravante della violenza sulle cose . I Giudici di legittimità rilevano anzitutto che, in base alla ricostruzione della vicenda effettuata dal Tribunale, l’imputato era riuscito ad entrare nel cantiere senza bisogno di rompere il lucchetto metallico perché il cancello non era infisso a terra ma posizionato su una base di appoggio in cemento che poteva essere sollevata e che era stata valorizzata la testimonianza che aveva riferito che il cancello che dava accesso al cantiere era chiuso con un lucchetto e che il giorno del furto, per entrare, l’anta del cancello era stata divelta dalle basi di appoggio. Pertanto, la violenza sulle cose è stata individuata dai Giudici di merito nella condotta di svellere il cancello o divellere l’anta dello stesso, che avrebbe comportato lo sradicamento, l’estirpazione o comunque un’azione di strappo del cancello stesso. Tuttavia, la Corte rileva anche che, a fronte delle scarne motivazioni fornite dai Giudici territoriali, ne è derivato un passaggio incongruo sotto il profilo logico-linguistico, in base al quale si è passati dall’accertato sollevamento dalla base di appoggio al ritenuto svellimento del cancello punto sul quale la difesa ha speso ampie argomentazioni a sostegno del ricorso proposto. Ciò premesso, la Corte di Cassazione ritiene utile ricordare che l’aggravante della violenza sulle cose , di cui all’art. 625, n. 2, c.p., sussiste ogniqualvolta il soggetto, per commettere il reato, fa uso di energia fisica diretta a vincere, anche solo immutandone la destinazione, la resistenza che la natura o la mano dell’uomo hanno posto a riparo o difesa della cosa altrui . Non solo, è stato puntualizzato che tale aggravante è presente anche quando l’energia fisica sia rivolta dal soggetto agente non sulla res oggetto dell’azione predatoria, ma verso lo strumento posto a sua protezione, purché sia stata prodotta una qualche conseguenza su di esso, provocando la rottura, il guasto, il danneggiamento, la trasformazione della cosa altrui o determinandone il mutamento di destinazione . Ne discende, che la violenza sulle cose, idonea ad integrare l’aggravante di cui si discute, può essere individuata nel dispiegarsi di energia fisica rivolta direttamente sulla res furtiva o sugli strumenti posti a suo presidio, purché, in entrambi i casi vi sia stata effrazione, rottura, guasto o danneggiamento della prima e/o dei secondi . Circa, poi, il concetto di mutamento delle cose , la Cassazione ribadisce che l’aggravante della violenza si realizza tutte le volte in cui il soggetto, per commettere il fatto, manomette l’opera dell’uomo posta a difesa o a tutela del suo patrimonio in modo che, per riportarla ad assolvere la sua originaria funzione, sia necessaria un’attività di ripristino essa, invece, non è configurabile ove l’energia spiegata sulla cosa, mediante la sua forzatura, non determina una manomissione ma si risolve in una semplice manipolazione che non implichi alcuna rottura, guasto, danneggiamento, trasformazione o mutamento di destinazione, a seguito dei quali cui sia necessaria un’opera di ripristino . Ebbene, alla luce di tali principi richiamati, secondo la Cassazione, la Corte d’Appello non ha chiarito le ragioni della ritenuta aggravante, pertanto, in accoglimento del ricorso la Corte annulla con rinvio la sentenza impugnata.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 3 luglio – 7 settembre 2020, n. 25211 Presidente Sabeone – Relatore De Gregorio Ritenuto in fatto Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Ancona ha confermato la pronunzia di primo grado nei confronti dell’imputato, condannato alla pena giustizia per il reato di furto aggravato dalla violenza sulle cose. Fatto di omissis . 1.Avverso la pronunzia ha proposto ricorso la difesa, che, col primo motivo, ha lamentato la violazione di legge e la manifesta illogicità di motivazione quanto alla ritenuta sussistenza del fatto-reato ed alla sua attribuibilità all’imputato. Sul punto sono state richiamante le prove testimoniali dei due principali testi di accusa, che non dimostrerebbero la responsabilità del giudicabile. 1.1 Per altro verso i Giudici del merito avevano considerata integrata l’aggravante della violenza sulle cose, poiché l’imputato avrebbe divelto il cancello che dava acceso al cantiere mentre le testimonianze già citate dimostravano che questi si era limitato a sollevare il cancello, che era semplicemente infilato in una base di appoggio in cemento, senza apportarvi alcun danno e senza provocarne la rottura in nessuna componente. 2.Nel secondo motivo si è lamentata l’illogicità della motivazione e la violazione di legge per la mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis c.p., che sarebbe stato possibile applicare previa la corretta esclusione dell’aggravante. 3.Tramite il terzo motivo ci si è doluti del mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e di quella del danno lieve. In data 14.10.2019 il difensore dell’imputato, avvocato Taormina, ha depositato nota difensiva. Il difensore del ricorrente ha proposto istanza per la trattazione orale del processo ai sensi del D.L. n. 18 del 2020, art. 83, comma 12-ter ed all’odierna udienza il PG, Dr.ssa Loy, ha concluso per l’inammissibilità e l’avvocato Taormina ha insistito per l’accoglimento del ricorso. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato limitatamente alla doglianza circa la confermata aggravante della violenza sulle cose. Tuttavia non è rilevabile la prescrizione del reato a causa della sospensione del suo corso disposta, in forza del D.L. n. 18 del 2020, art. 83, comma 4, nei procedimenti penali in cui opera la sospensione stabilita dalla legge per il periodo dal 9 marzo 2020 all’11 maggio 2020 e cioè per 64 giorni termine finale così prorogato dal D.L. 8 aprile 2020, n. 23, art. 36, comma 1, convertito con modificazioni, dalla L. 5 giugno 2020, n. 40 . Allo stato il computo del predetto periodo di sospensione è sufficiente a spostare il termine di compimento della prescrizione fino al 17 Luglio 2020, fatti salvi gli effetti degli ulteriori periodi di sospensione previsti dalla normativa eccezionale per contrastare il diffondersi della pandemia definita Covid 19, che per il momento non sono in rilievo. 1.1 Il precedente riferimento è alla diversa fattispecie di sospensione legislativa del corso della prescrizione applicabile alla generalità dei procedimenti penali delineata dall’art. 83, comma 9, cit. per il tempo in cui il procedimento è rinviato ai sensi del comma 7, lett. g e, in ogni caso, non oltre il 30 giugno 2020 - termine differito al 31 luglio 2020 dal D.L. 30 aprile 2020, n. 28, art. 3, comma 1, lett. i disposizione, questa, non convertita dalla legge di conversione 25 giugno 2020, n. 70 . A sua volta, l’art. 83, comma 7, lett. g cit. attribuisce ai dirigenti degli uffici giudiziari, al fine di contrastare l’emergenza epidemiologica COVID-19, il potere di adottare varie misure tra le quali la previsione del rinvio delle udienze a data successiva al 30 giugno 2020 nei procedimenti civili e penali, con le eccezioni indicate al comma 3 . Il predetto provvedimento di rinvio è stato adottato quanto alla trattazione del presente processo, originariamente fissato al 19 Marzo 2020, con il provvedimento del Primo Presidente della Corte di Cassazione del 13 Marzo 2020 ed attuato quanto ai processi di competenza della V Sezione con provvedimento del Presidente titolare in pari data. 2.Passando all’esame delle censure proposte dal ricorrenteiva osservato che il primo motivo di ricorso nella prima parte ha elevato censure sul tema della stessa affermazione di responsabilità del giudicabile ma in sostanza proponendo una diversa interpretazione delle prove testimoniali rese dal titolare del cantiere ove era avvenuto il furto, M. , e dEt1 Maresciallo operante, così esplicitamente in particolare alle pagine 10 e 13 dell’atto di ricorso. In tal modo, peraltro, l’impugnazione sotto l’apparente veste del vizio di motivazione illogica si caratterizza per la rappresentazione di una inammissibile ricostruzione probatoria dell’episodio, alternativa a quella ritenuta dai Giudici del merito. In tal senso la tesi difensiva, che ha inteso in particolare valorizzare il dato del mancato reperimento degli oggetti furtivi sull’auto in disponibilità dell’imputato è, altresì, meramente reiterativa dell’analoga doglianza già presentata in fase di appello. 2.1 In proposito la giustificazione offerta nella sentenza impugnata, confutando esplicitamente l’argomento difensivo, ha chiarito che la persona offesa M. aveva riconosciuto l’imputato nell’immediatezza del fatto, avendolo sorpreso sul cantiere al momento del furto, aveva annotato la targa dell’automobile e gli investigatori lo avevano identificato in base a questo elemento obbiettivo in seguito gli operanti lo avevano aspettato al ritorno a casa ed avevano notato che l’auto era sporca di fango, essendoci una buca profonda e piena di fango proprio in prossimità dell’anta del cancello ribaltata in base alla suindicata logica ricostruzione degli eventi è stato razionalmente valutato irrilevante ai fini della conferma dell’affermazione di responsabilità il mancato reperimento della refurtiva. 3. Il terzo motivo - di cui si anticipa la trattazione per ragioni di ordine logico-espositivo - è inammissibile. La difesa, infatti, quanto al mancato riconoscimento dell’attenuante del danno lieve, propone una valutazione sul merito dell’apprezzamento operato dalla Corte territoriale, che ha giudicato in modo non manifestamente illogico il danno di 300 Euro come non irrisorio e, quindi, al di fuori dell’operatività della invocata attenuante, per come interpretata da questa Corte regolatrice. Va,sul punto ribadito che, secondo il più che consolidato orientamento di questa Corte, l’applicazione della circostanza attenuante prevista dall’art. 62 c.p., n. 4, presuppone che il pregiudizio causato alla persona offesa sia di valore economico lievissimo o pressoché irrisorio, sia quanto al valore in sé della cosa sottratta, che per gli ulteriori effetti pregiudizievoli subiti dalla parte offesa. Ex multis Sez. 2, Sentenza n. 50660 del 05/10/2017 Ud. dep. 07/11/2017 Rv. 271695 Sez. 4, Sentenza n. 6635 del 19/01/2017 Ud. dep. 13/02/2017 Rv. 269241, connotazioni che, secondo la congrua giustificazione in esame, non si rinvengono nella fattispecie concreta, nella quale è stato considerato che il giudicabile aveva provocato un danno ammontante a 300 Euro. 3.1 Quanto al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche la doglianza non si confronta con la motivazione corretta in diritto e plausibile in fatto che ha posto in rilevo la presenza di più precedenti penali, di cui uno specifico. 4.Infine il primo motivo di ricorso, nella parte in cui ha ad oggetto la ritenuta aggravante della violenza sulle cose, è fondato. In ragione delle peculiari connotazioni fattuali della fattispecie concreta appare utile ricordare come le sentenze di merito hanno ricostruito la vicenda al loro esame. Secondo il Tribunale di Pesaro l’imputato era riuscito ad entrare nel cantiere senza bisogno di rompere il lucchetto metallico perché il cancello non era infisso a terra ma posizionato su una base di appoggio in cemento che poteva essere sollevata pagina 4 trascrizioni ottenendo di svellere il cancello stesso. Nella sentenza impugnata si è valorizzata la testimonianza di M. , che aveva riferito che il cancello che dava accesso al cantiere era chiuso con un lucchetto e che il giorno del furto, per entrare, l’anta del cancello era stata divelta dalle basi di appoggio. 4.1 La violenza sulle cose è stata, dunque, individuata dai Giudici del merito nella condotta di svellere il cancello o divellere l’anta dello stesso, il che secondo il significato proprio delle parole usate implicherebbe lo sradicamento, l’estirpazione oppure un’azione di strappo del cancello stesso, descrivendo i due verbi adoperati nelle sentenze in disamina il medesimo comportamento, che è stato sussunto nella fattispecie astratta del furto mediante violenza sulle cose. 4.2 Tuttavia, a fronte delle scarne motivazioni confezionate dai Giudici territoriali - delle quali quella di primo grado si segnala per un passaggio incongruo sotto il profilo logico-linguistico, passando acrobaticamente dall’accertato sollevamento dalla base di appoggio al ritenuto svellimento del cancello - le censure difensive hanno puntualmente documentato che la rappresentazione dei fatti resa dal teste persona offesa M. era stata profondamente diversa rispetto a quanto riportato nelle sentenze. Questi, infatti, aveva chiaramente dichiarato che il cancello in questione sarebbe stato sollevato dalla base di appoggio in cui era infilato. Su questo specifico punto la difesa ha speso ampie argomentazioni riportando - in particolare alle pagine da 28 a 33 dell’atto di impugnazione - le inequivocabili parole del teste, dalle quali emerge univocamente il dato che l’azione dell’imputato era consistita nello sfilare il cancello dalla sua base di appoggio. In particolare il medesimo teste, persona ben a conoscenza della struttura del cantiere, ha fornito anche una breve ma chiara descrizione delle basi di appoggio, costruite in modo da potervi inserire la base del cancello stesso. D’altra parte il teste Rappa ha descritto il cantiere come privo di una recinzione stabile ed ancorata in terra nelle parti laterali, essendo ivi delimitato solo da nastri grossi, rappresentazione che appare coerente con una struttura non fissata in terra stabilmente, come in sostanza opinato dalla difesa a sostegno della sua tesi. 4.3 Richiamata la ricostruzione in fatto operata dai Giudici del merito, a questo punto è utile ricordare la giurisprudenza di questa Corte regolatrice in tema di aggravante della violenza sulle cose ex art. 625 c.p., n. 2. Recenti pronunzie hanno ripreso il concetto tradizionalmente espresso nell’esegesi di legittimità secondo il quale essa sussiste ogniqualvolta il soggetto, per commettere il reato, fa uso di energia fisica diretta a vincere, anche solo immutandone la destinazione, la resistenza che la natura o la mano dell’uomo hanno posto a riparo o difesa della cosa altrui. Sez. 5, Sentenza n. 53984 del 26/10/2017 Ud. dep. 30/11/2017 Rv. 271889. In senso conforme Sez. 5, Sentenza n. 20476 del 17/01/2018 Ud. dep. 09/05/2018 Rv. 272705 ha puntualizzato che l’aggravante della violenza sulle cose è presente anche quando l’energia fisica sia rivolta dal soggetto agente non sulla res oggetto dell’azione predatoria, ma verso lo strumento posto a sua protezione, purché sia stata prodotta una qualche conseguenza su di esso, provocando la rottura, il guasto, il danneggiamento, la trasformazione della cosa altrui o determinandone il mutamento di destinazione. Tali pronunzie hanno ritenuto di individuare la violenza sulle cose, idonea ad integrare l’aggravante di cui si discute, nel dispiegarsi di energia fisica rivolta o direttamente sulla res furtiva o sugli strumenti posti a suo presidio, purché, in entrambi i casi vi sia stata effrazione, rottura, guasto o danneggiamento della prima e/o dei secondi. 4.4 Se le predette parole non presentano difficoltà interpretative, essendo ben comprensibile in sé il loro significato, meno chiaro risulta essere il concetto di mutamento di destinazione, che qui deve intendersi come uso o fine stabilito per una cosa, secondo la lezione del vocabolario della lingua italiana Zingarelli. Non è peregrino, infatti, in considerazione della pluralità di comportamenti in concreto azionabili dal soggetto agente, interrogarsi su quali siano i possibili casi e modi nei quali l’energia fisica dello stesso incida sull’uso al quale una cosa per sua natura è adibita o per suo scopo è destinata. Un apprezzabile sforzo interpretativo in tal senso è stato fatto da Sez. 5 Sentenza n. 11720 del 29/11/2019 Ud. dep. 09/04/2020 Rv. 279042, che è ricorsa ai concetti di manomissione, manipolazione e ripristino. Si è, infatti, affermato che l’aggravante della violenza, integrante la circostanza di cui all’art. 625 c.p., n. 2 , si realizza tutte le volte in cui il soggetto, per commettere il fatto, manomette l’opera dell’uomo posta a difesa o a tutela del suo patrimonio in modo che, per riportarla ad assolvere la sua originaria funzione, sia necessaria un’attività di ripristino essa, invece, non è configurabile ove l’energia spiegata sulla cosa, mediante la sua forzatura, non determina una manomissione ma si risolve in una semplice manipolazione che non implichi alcuna rottura, guasto, danneggiamento, trasformazione o mutamento di destinazione, a seguito dei quali cui sia necessaria un’opera di ripristino. In proposito pur se, a rigore, la parola manipolazione non appare la più adatta ad esplicitare il concetto che si è voluto intendere, tuttavia è chiaro il pensiero espresso nella sentenza, che ha inteso far riferimento ad una modifica non significativa, non durevole, non produttrice di guasti o danni ma solo momentanea dello stato delle cose e/o dei luoghi, per eliminare la quale non occorra alcuna azione di reintegrazione degli stessi. Ed infatti, nella fattispecie oggetto di esame in quell’occasione la Corte ha annullato la sentenza di appello, che aveva riconosciuto l’aggravante in un caso di violazione di un nastro di nylon che impediva l’accesso ad un locale, senza però verificare se esso fosse stato strappato o semplicemente sollevato. Alla luce dei principi e delle considerazioni che precedono la sentenza impugnata in nulla ha chiarito le ragioni della ritenuta presenza dell’aggravante di cui si discute, neppure sotto il profilo del mutamento di destinazione del cancello, e va, pertanto, annullata con rinvio per nuovo esame alla Corte d’Appello di Perugia limitatamente all’aggravante della violenza sulle cose. Il nuovo esame sarà condotto alla luce dei principi suindicati ed all’esito, nell’ipotesi della esclusione dell’aggravante da parte della Corte territoriale, questa dovrà affrontare, anche il tema dell’applicabilità o meno della causa di non punibilità ex art. 131 bis c.p. - oggetto del secondo motivo di ricorso, che resta assorbito - che nel precedente giudizio di secondo grado è stata esclusa correttamente a causa del limite edittale della pena previsto per il delitto di furto monoaggravato. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame alla Corte di Appello di Perugia.