Violenze, soprusi e ingiurie verso compagna e figli: condannato nonostante la ritrattazione della donna

Decisiva l’attendibilità riconosciuta ai racconti fatti dalla donna e attestanti il regime di vita imposto a lei e ai figli dall’uomo. Poco plausibile, invece, la ritrattazione da parte sua delle accuse mosse al compagno.

Violenze, soprusi e ingiurie nei confronti della compagna e dei figli. Ad inchiodare l’uomo è il racconto fatto dalla donna. Irrilevante, poiché poco plausibile, la ritrattazione da lei compiuta e mirata a dimostrare la falsità delle accuse presentandole come dovute anche al fastidio a lei arrecato dal lavoro del compagno come pastore Cassazione, sentenza n. 24027/20, sez. VI Penale, depositata oggi . Ricostruita la vicenda, grazie alle parole della donna e dei figli, l’uomo sotto processo viene condannato, sia in primo che in secondo grado, per il reato di maltrattamenti in famiglia e punito con quattro anni di reclusione. Per i Giudici d’Appello sono decisive, come già in Tribunale, le dichiarazioni rese dalle persone offese , cioè la compagna dell’uomo e i figli minori della coppia. Per quanto riguarda poi l’ attendibilità della donna, viene ritenuta irrilevante la ritrattazione delle accuse da lei compiuta, anche perché poggiata su una motivazione risibile. A questo proposito, difatti, la donna ha spiegato di essersi inventata tutto e di avere istruito i figli affinché accusassero il padre perché indispettita dal comportamento del compagno che lavorava come pastore tornando a casa la sera maleodorante e ha aggiunto che lui la infastidiva chiedendole di fare commissioni in sua vece . Proprio sulle parole della donna si sofferma il legale dell’uomo, presentando il ricorso in Cassazione e sostenendo che in secondo grado non è stata correttamente valutata la intervenuta ritrattazione della persona offesa , ritrattazione che, sempre secondo il legale, non è illogica o incredibile , mentre, invece, tenuto anche conto della provenienza familiare della persona offesa – figlia di una persona con trascorsi delinquenziali –, sono le primigenie dichiarazioni ad essere frutto di una pianificazione accusatoria in danno del compagno, colpevole, agli occhi della donna, di avere intrapreso un percorso riabilitativo che lo aveva condotto a vivere all’insegna della legalità, lavorando come pastore e riducendo le proprie capacità economiche , osserva il legale. Peraltro, mai prima della denuncia che ha occasionato il processo, la persona offesa aveva denunciato traversie personali, né la sua denuncia è assistita dalla produzione di certificati medici o referti , aggiunge il legale. Ampliando poi l’orizzonte, la difesa si sofferma sui comportamenti tenuti dall’uomo verso i figli, e ipotizza il reato di abuso dei mezzi di correzione , poiché la finalità era quella di impartire una buona educazione . Queste obiezioni non convincono però i magistrati della Cassazione, che invece confermano la condanna dell’uomo a quattro anni di reclusione. Nessun dubbio, innanzitutto, sulla attendibilità del racconto fatto dalla donna. A questo proposito, non rileva che non siano stati allegati referti, a comprova delle aggressioni fisiche subite dalla denunciante e dai figli, né la circostanza che ella, prima della querela, non avesse mai denunciato il compagno durante gli anni della loro convivenza . Al contrario, tra primo e secondo grado, è stato esaminato il contenuto delle dichiarazioni rese dalla persona offesa e dai figli minori queste ultime acquisite in sede di incidente probatorio e ciò ha permesso di portare alla luce un regime di convivenza familiare, funzionale alla sopraffazione dei congiunti, imposto dall’uomo all’intero nucleo familiare ed ispirato alla violenza, espressa con pestaggi e continue minacce ed accompagnata da epiteti ingiuriosi e volgari, situazione, questa, che aveva cagionato alla donna ed ai minori un protratto stato di prostrazione, aggravato dalla circostanza che ella non aveva trovato appoggio nel nucleo familiare di origine, che ne aveva sempre avversato la scelta dell’uomo come compagno e che, anche quando si era decisa ad abbandonare la casa familiare, non l’aveva appoggiata, temendo ritorsioni dell’uomo, per il suo carattere violento e aggressivo . Per quanto concerne poi la ritrattazione delle accuse che la donna, dopo la conferma delle prime dichiarazioni, aveva svolto nel dibattimento , ne va esclusa la valenza favorevole all’uomo , alla luce del movente indicato dalla donna a fondamento delle accuse originarie e ritenuto del tutto non plausibile, avendo giustificato ella la scelta di accusare il compagno perché questi, che svolgeva l’attività di pastore, rincasava maleodorante e la costringeva a sbrigare commissioni per lui . Per i giudici ci si trova di fronte a una giustificazione non credibile , alla pari di quella offerta dalla difesa dell’uomo a sostegno della calunniosità delle accuse , e cioè che la donna non sopportasse le restrizioni di vita che la scelta del compagno di abbandonare la vita criminale aveva cagionato . Su quest’ultimo punto si è evidenziato come, in tal caso, la donna si sarebbe limitata a lasciare il compagno senza necessariamente ricorrere alla denuncia penale e senza timori di rappresaglie, appartenendo a famiglia nota nella criminalità locale . In sostanza, è decisiva l’acclarata dinamica dei rapporti personali e familiari che hanno visto la denunciante completamente sola rispetto alla scelta di denunciare l’ex compagno e rispetto alle minacce che l’uomo era solito rivolgerle, già durante la convivenza, per impedirle di denunciarlo . Tirando le somme, è evidente il drammatico regime di vita imposto dall’uomo alla compagna e ai figli minori e concretizzatosi in aggressioni fisiche, con botte anche a mezzo di oggetti, minacce di morte, ingiurie ed improperi . Di conseguenza, per la ricorrenza delle condotte abusanti e lo stato di prostrazione che ne era derivato alla donna ed ai figli minori , è logico parlare di maltrattamenti , protrattisi, peraltro, per anni ai danni dell’intero nucleo familiare. Per quanto concerne infine l’ipotesi difensiva dell’ abuso dei mezzi di correzione , i giudici ribattono che ci si trova di fronte a reiterate e conclamate condotte violente , come, ad esempio, l’episodio in cui l’uomo aveva legato una corda intorno al collo del figlio, strattonandolo come fosse un cane, e minacciando di uccidere, legandole una corda al collo, la compagna che difendeva il bambino . Logico, anche su questo fronte, parlare di maltrattamenti, poiché non possono essere considerate come aventi finalità educative condotte vessatorie, umilianti e violente ai danni dei figli.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 21 gennaio – 24 agosto 2020, n. 24027 Presidente Ricciarelli – Relatore Giordano Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Catanzaro ha confermato la condanna, con la contestata recidiva, di Vi. Cu. alla pena di anni quattro di reclusione per il reato di cui all'art. 572 cod. pen., in danno della convivente e dei figli minori. A fondamento del giudizio di colpevolezza la Corte ha valorizzato le dichiarazioni rese dalle persone offese dal reato, An. Gi. De Ci. e i figli minori, e dalla madre e sorella della predetta. Nel confermare il giudizio di attendibilità delle dichiarazioni accusatorie la Corte distrettuale si è soffermata, in particolare, sulla circostanza che dopo avere confermato le originarie dichiarazioni accusatorie nei confronti del compagno, nel prosieguo della deposizione An. Gi. De Ci. aveva ritrattato le accuse sostenendo di essersi inventata tutto perché indispettita dal comportamento del compagno che lavorava come pastore tornando a casa la sera maleodorante e che la infastidiva chiedendole di fare commissioni in sua vece e di avere, a questo fine, istruito anche i figli affinchè accusassero il padre. 2. Con i motivi di ricorso, di seguito sintetizzati ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen. nei limiti strettamente indispensabili ai fini della motivazione, il ricorrente chiede l'annullamento della sentenza perchè inficiata da plurimi vizi di violazione di legge e vizi di motivazione. La Corte distrettuale, appiattendosi sulla motivazione della sentenza di primo grado, non ha correttamente valutato la intervenuta ritrattazione della persona offesa le cui dichiarazioni, possono essere poste a fondamento del giudizio di colpevolezza, solo se sottoposte a rigoroso vaglio critico, ad un riscontro di attendibilità e credibilità e se assistite da riscontri, che, come per gli altri indizi, devono essere apprezzati per gravità, precisione e concordanza. La ritrattazione delle dichiarazioni rese, in prima battuta, dinanzi al Tribunale da parte della persona offesa non è illogica o incredibile ma, tenuto anche conto della provenienza familiare della persona offesa - figlia di una persona di rispetto con trascorsi delinquenziali nella sibaritide - sono le primigenie dichiarazioni ad essere frutto di una pianificazione accusatoria in danno dell'imputato, colpevole, agli occhi della moglie, di avere intrapreso un percorso riabilitativo che lo aveva condotto a vivere all'insegna della legalità, lavorando come pastore e riducendo le proprie capacità economiche e, ancora, sospettato di avere intrapreso una relazione extraconiugale. Mai prima della denuncia che ha occasionato il processo la persona offesa aveva denunciato traversie personali né la sua denuncia è assistita dalla produzione di certificati medici o referti per i maltrattamenti subiti silenzio che la persona offesa aveva giustificato, nella denuncia, temendo ripercussioni in suo danno. Con motivazione approssimativa sono state disattese le testimonianza, ex adverso, prodotte dalla difesa. Sotto altro aspetto il ricorrente contesta la qualificazione giuridica, sub specie del reato di cui all'art. 572 cod. pen., delle condotte in danno dei figli sussumibili, dandone per buono il narrato, nella diversa fattispecie di cui all'art. 571 cod. pen. poiché la finalità dell'imputato era quella di impartire una buona educazione oltre alla ritenuta sussistenza del delitto di maltrattamenti in danno del coniuge, difettando la prova dell'abitualità della condotta e del dolo. Infine denuncia vizio di motivazione in punto di diniego delle circostanze attenuanti generiche, avuto riguardo al tempo e luogo del commesso reato, all'intensità del dolo, alla condotta successiva al reato ed ai motivi a delinquere del reo e la mancanza di motivazione, rispetto alla deduzione difensiva relativa allo scostamento dal minimo edittale della pena inflitta in primo grado, del tutto sproporzionata alla gravità in concreto del fatto. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile perché proposto per motivi generici e manifestamente infondati che si risolvono in una inammissibile richiesta di valutazione alternativa, da parte del giudice di legittimità, delle prove dichiarative, a fronte della completa e logica valutazione sviluppata nella sentenza impugnata e del convergente giudizio di attendibilità delle dichiarazioni accusatorie espresso dai giudici del merito nei due gradi di giudizio. 2. Le conclusioni della sentenza impugnata, scandite da passaggi ineccepibili sul piano logico con riguardo al giudizio di attendibilità delle persone offese, sono anche giuridicamente corrette ove si rifletta che alle dichiarazioni rese dalla persona offesa non si applicano le regole dettate dall'art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. e che le stesse possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, previa verifica, più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone e corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto Sez. 2, n. 43278 del 24/09/2015, Manzini, Rv. 265104 . Non rileva, dunque, ai fini del riscontro, che non siano stati allegati referti, a comprova delle aggressioni fisiche subite dalla denunciante e dai figli né la circostanza che la donna, prima della querela del luglio 2012, non avesse mai denunciato il Cu. durante gli anni della loro convivenza. 3. In particolare, la Corte di merito, ma ancora prima il Tribunale, si sono fatti carico di esaminare il contenuto delle dichiarazioni rese dalla persona offesa e dai figli minori queste acquisite in sede di incidente probatorio e che, in termini convergenti, hanno restituito la prova di un regime di convivenza familiare, funzionale alla sopraffazione dei congiunti, imposto dall'imputato all'intero nucleo familiare ed ispirato alla violenza, espressa con pestaggi e continue minacce ed accompagnata da epiteti ingiuriosi e volgari, situazione, questa, che aveva cagionato alla donna ed ai minori un protratto stato di prostrazione, aggravato dalla circostanza che la predetta non aveva trovato appoggio nel nucleo familiare di origine, che ne aveva sempre avversato la scelta del Cu. come compagno e che, anche quando si era decisa ad abbandonare la casa familiare, non l'aveva appoggiata, temendo ritorsioni del Cu., per il carattere violento e aggressivo dell'uomo. 4. La sentenza impugnata si è soffermata sulla ritrattazione delle accuse che la teste, dopo la conferma delle prime dichiarazioni, aveva svolto nel dibattimento e ne ha disatteso la valenza favorevole all'imputato soffermandosi sul movente indicato dalla donna a fondamento delle accuse originarie, ritenuto del tutto implausibile, avendo giustificato la scelta di accusare il compagno perché questi, che svolgeva l'attività di pastore, rincasava maleodorante e la costringeva a sbrigare commissioni per lui, giustificazione non credibile non meno di quella offerta dalla difesa dell'imputato a comprova della calunniosità delle accuse, che, cioè, la donna non sopportasse le restrizioni di vita che la scelta del compagno di abbandonare la vita criminale aveva cagionato. La Corte di merito, a questo riguardo, ha evidenziato come, in tal caso, la donna si sarebbe limitata a lasciare il compagno senza necessariamente ricorrere alla denuncia penale e senza timori di rappresaglie, appartenendo a famiglia nota nella criminalità locale. Si tratta di argomentazioni logiche ma soprattutto, complete perché approfondite sulla scorta di una complessiva valutazione della dinamica dei rapporti personali e familiari che avevano visto la denunciante completamente sola rispetto alla scelta di denunciare l'ex compagno ed alle minacce che questi era solito rivolgerle per impedirle di denunciarlo, già durante la convivenza. Parimenti la Corte ha ritenuto inattendibili le dichiarazioni rese da testimoni indotti dall'imputato che non potevano avere piena cognizione delle reali ed effettive dinamiche del rapporto familiare. 5. Il regime di vita imposto dall'imputato alla denunciante ed ai figli minori, ben compendiato nel capo di imputazione nel quale sono enucleati aggressioni fisiche, con botte anche a mezzo di arnesi quali fruste e tubo delle capre, minacce di morte, ingiurie ed improperi, integra, per la ricorrenza delle condotte abusanti e lo stato di prostrazione che ne era derivato alla compagna ed ai figli minori, di otto e nove anni al momento della denuncia, il reato di maltrattamenti. Questo è ravvisabile in presenza del compimento di più atti, delittuosi o meno, di natura vessatoria che determinano sofferenze fisiche o morali, realizzati in momenti successivi, senza che sia necessario che essi vengano posti in essere per un tempo prolungato e nel caso in esame, peraltro, protrattisi per anni e ai danni dell'intero nucleo familiare, non rilevando, data la natura abituale del reato, che durante lo stesso siano riscontrabili nella condotta dell'agente periodi di normalità e di accordo con il soggetto passivo. 6. Con riguardo al reato di maltrattamenti in danno dei figli minori non esiste alcuno spazio per la configurabilità del reato di abuso dei mezzi di correzione, a fronte di reiterate e conclamate condotte violente, fra le quali appare emblematica quella che, in un'occasione. l'imputato aveva legato una corda intorno al collo del figlio, strattonandolo come fosse un cane, e minacciando di uccidere, legandole una corda al collo, la compagna che difendeva il bambino. La Corte di merito, ha evidenziato che non possono essere considerate come aventi finalità educative condotte vessatorie, umilianti e violente facendo corretta applicazione dei principi dettati da questa Corte secondo i quali, nel caso di uso sistematico di violenza fisica e morale, come ordinario trattamento del minore affidato, anche se sorretto da animus corrigendi , deve escludersi la configurabilità del meno grave delitto previsto dall'art. 571 cod. pen. Sez. 3, Sentenza n. 17810 del 06/11/2018, dep. 2019, B., Rv. 275701 Sez. 6, n. 36564 del 10/05/2012, C, Rv. 253463 . 7. Il riferimento contenuto nella sentenza impugnata alla gravità e reiterazione delle condotte illecite costituisce motivazione adeguata a giustificazione dell'entità della pena inflitta, in misura superiore al minimo edittale, dal momento che il giudice del merito non è tenuto a valorizzare ogni e qualsiasi elemento fra quelli indicati nell'art. 133 cod. pen., poiché è sufficiente, ai fini del legittimo e motivato esercizio del potere sanzionatorio, che dia conto delle ragioni della prevalenza di uno degli elementi che rinviano alla condotta ed al contributo soggettivo dell'agente. 8. A fronte della descrizione della condotta illecita, protratta nel tempo e sostenuta da dolo abituale che si estrinseca nella persistente consapevolezza di persistere in un'attività vessatoria, e dell'indole violenta dell'imputato valorizzata dalla Corte di merito, si rivelano generiche le argomentazioni difensive sul diniego di applicazione delle circostanze attenuanti generiche che, nella prospettazione difensiva, sarebbero state giustificate dal tempo e luogo del commesso reato, dalla intensità del dolo, dalla condotta successiva al reato e dai motivi a delinquere, criteri all'evidenza del tutto vaghi ed indeterminati con riferimento alla tipologia di reato ed alle caratteristiche soggettive delle vittime del reato. 9. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, essendogli imputabile la colpa nella proposizione di siffatto ricorso, al versamento della somma indicata in dispositivo in favore della cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000.00 in favore della cassa delle ammende.