Interdizione all’esercizio della professione legale: la promessa di chiudere lo studio legale non esclude il pericolo di recidiva

Confermata la misura dell’interdizione all’esercizio della professione forense per l’avvocato che, nonostante abbia manifestato la sua volontà di chiudere lo studio legale per dedicarsi ad altra professione, risulti inaffidabile nei suoi intenti al punto da intensificare il pericolo di recidivazione.

Così si esprime la Suprema Corte nella sentenza n. 23862/20, depositata l’11 agosto. Il Tribunale del riesame di Firenze respingeva l’appello proposto dall’imputato contro l’ordinanza con cui il GIP aveva revocato le misure cautelari dell’obbligo di dimora e di quello di presentazione alla polizia giudiziaria ed applicato l’ interdizione all’esercizio della professione forense per un anno. Tale decisione trovava fondamento nei reati contestati al legale, ovvero concorso in bancarotta fraudolenta , commessi per avere egli suggerito, nelle vesti di avvocato civilista e consulente, le modalità per la realizzazione delle condotte criminose, nonché per avere predisposto gli atti giuridici necessari a tal fine e la documentazione finalizzata a nascondere gli illeciti. Contro tale pronuncia, l’avvocato propone ricorso per cassazione, lamentando la riproduzione da parte del Tribunale delle stesse argomentazioni che erano state oggetto dell’ordinanza applicativa della misura interdittiva e l’incoerenza della motivazione in essa contenuta rispetto alle indicazioni fornite nella sentenza della Corte di Cassazione , che si era già espressa sulla vicenda annullando con rinvio per un nuovo giudizio relativo alle esigenze cautelari il provvedimento di conferma della misura degli arresti domiciliari, che era stata imposta per gli stessi reati. La Corte di Cassazione dichiara il ricorso infondato , riprendendo la decisione emessa dal Tribunale. A tal fine, gli Ermellini osservano come quest’ultimo si sia soffermato sul fatto che i reati contestati al ricorrente fossero stati realizzati nelle vesti di avvocato civilista e di consulente legale, e come, proprio per questo motivo, esso avesse ravvisato l’impossibilità di dare importanza alle intenzioni dell’indagato di cessare la sua attività legale per dedicarsi ad altra professione, soprattutto per via delle ulteriori informazioni acquisite grazie alla prosecuzione delle indagini. Proprio da tali ulteriori investigazioni, infatti, il Tribunale aveva dedotto il suo giudizio di persistenza ed aggravamento dell’esigenza attuale e concreta di impedire al ricorrente di ripetere reati pregiudicando le procedure concorsuali. Ciò trovava fondamento nella inaffidabilità degli intenti del ricorrente, manifestati solo allo scopo di ottenere una misura cautelare meno grave. Il giudizio negativo sulla sua personalità, inoltre, poteva desumersi dai comportamenti tenuti durante la sottoposizione a misura cautelare, per via della spregiudicata varietà dei fatti commessi per dare modo agli imprenditori di realizzare i fatti di bancarotta e di aggirare le conseguenze sul piano sanzionatorio in pregiudizio dei creditori, sempre grazie alla sua attività di avvocato. All’esito di tale ricostruzione, gli Ermellini rilevano che dalla volontà di chiudere lo studio legale per dedicarsi ad altra attività lavorativa non può certo escludersi di per sé il pericolo di recidivazione , che si desume anche dalle modalità e dalla gravità delle condotte poste in essere, come suggerito dalla stessa Corte di Cassazione nella sua precedente pronuncia sul caso. Inevitabile il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 10 luglio – 11 agosto 2020, n. 23862 Presidente Di Tomassi – Relatore Boni Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza in data 28 febbraio 2020 il Tribunale del riesame di Firenze rigettava l'appello proposto da To. Ro. avverso l'ordinanza del G.i.p. del Tribunale di Firenze del 27 gennaio 2020, che aveva revocato la misure cautelari dell'obbligo di dimora nel comune di Firenze e dell'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria ed applicato l'interdizione all'esercizio della professione di avvocato per il periodo di dodici mesi. A fondamento della decisione il Tribunale osservava che, in relazione all'addebito di concorso nei reati di bancarotta fraudolenta commessi in riferimento al fallimento della s.r.l. Officine Contabili e della s.a.s. Gu. Gi. di Ma. Gi. e c., contestatogli per avere quale avvocato civilista e consulente, suggerito le modalità per la realizzazione delle condotte di bancarotta contabile e per evitare il fallimento, nonché le responsabilità penali connesse e predisposto gli atti giuridici necessari e la documentazione fittizia per occultare gli illeciti compiuti, i fatti di reato ipotizzati erano stati realizzati nella qualità di avvocato esercente la professione legale. In merito alla dedotta cessazione delle esigenze cautelari, osservava che la prospettata chiusura dello studio professionale e l'intenzione di dedicarsi ad altra attività erano smentite dalla dimostrata presentazione di opposizione a richiesta di archiviazione per conto di un proprio assistito in un momento in cui il Ro. era sottoposto ad arresti domiciliari e dalla sua partecipazione ad un'udienza in data 29 novembre 2019 presso la Corte di appello di Firenze in un momento in cui egli era soggetto all'obbligo di dimora e di presentazione alla p.g., elementi ritenuti indicativi di una volontà contraria a quella manifestata e del persistente pericolo di reiterazione di altre condotte criminose, già dimostrato dalla sua personalità e dalla gravità oggettiva dei fatti commessi con perseveranza e intensa determinazione. 2. Avverso l'indicato provvedimento ha proposto ricorso l'indagato a mezzo dei difensori, avv.ti Gi. Pa. e Al. Ro., che, premessa l'intenzione di impugnare contestualmente anche le ordinanze emesse dal Tribunale di Firenze nei separati procedimenti sub n. 1690/2019 R.G. TL e sub n. 1813/2019 R.G. TL, ne hanno chiesto l'annullamento senza rinvio per i seguenti motivi a quanto all'ordinanza nel procedimento sub n. 1813/2019 R.G. TL, violazione di legge ed illogicità della motivazione. Il provvedimento ha ribadito il giudizio già espresso e censurato nella sentenza di annullamento, mentre avrebbe dovuto dichiarare inammissibile il ricorso per sopravvenuta carenza d'interesse, stante l'intervenuta sostituzione degli arresti domiciliari con altra misura meno gravosa. Inoltre, è illogico ritenere sussistente il pericolo di recidivazione in base alla gravità dei fatti contestati e, sebbene sia dimostrato che il ricorrente, nonostante la manifestazione della volontà di non proseguire l'attività legale, ancora sottoposto a cautela, aveva redatto un atto processuale e in altra occasione aveva partecipato ad un'udienza dinanzi alla Corte di appello di Firenze, l'ordinanza ripropone il vizio già riscontrato in quella precedente annullata dalla Corte di cassazione poiché l'esercizio di attività legale non dimostra il pericolo concreto ed attuale che egli reiteri fatti di bancarotta in concorso con altri, né la violazione degli obblighi imposti con la misura cautelare. Pertanto, il ricorrente non avrebbe dovuto nemmeno essere condannato al pagamento delle spese processuali. b In merito all'ordinanza emessa nel procedimento sub n. 1690/2019 R.G.TL, il Tribunale ha reiterato le argomentazioni dell'ordinanza genetica, frutto di lettura superficiale degli artt. 282 e 283 cod. proc. pen. per avere confermato la sottoposizione del ricorrente all'obbligo di dimora in relazione alla prospettata commissione di condotte di bancarotta riguardanti fallimenti dichiarati nel comprensorio, dal quale gli era stato impedito di allontanarsi. Il Tribunale avrebbe, invece, dovuto dichiarare inammissibile l'appello per sopravvenuta carenza d'interesse dal momento che quelle misure erano state sostituite dal divieto temporaneo di esercitare la professione di avvocato e non pronunciare la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. c In riferimento all'ordinanza emessa nel presente procedimento sub n. 119/2020 R.G. TL, il Tribunale con motivazione illogica e carente non ha tenuto conto delle indicazioni contenute nella sentenza di annullamento con rinvio di altro provvedimento emesso nel proc. sub n. 1813/2019 R.G. TL, che, seppur non vincolanti, dovevano essere considerate e ha fondato la decisione sulla protrazione dell'attività di patrocinatore da parte del ricorrente. Tale elemento non indica però nessun concreto ed attuale pericolo di reiterazione di fatti di bancarotta. Inoltre, sussiste anche la violazione di legge in relazione agli artt. 274, 275, 290 e 299 cod. proc. pen. per avere il Tribunale ricalcato il ragionamento già censurato dal giudice di legittimità senza avere evidenziato l'effettiva probabilità che l'indagato possa sfruttare le proprie competenze per commettere ulteriori condotte nel settore fallimentare anche la protrazione dell'attività forense, avvenuta in modo lecito, non attiene ai reati in contestazione. L'ordinanza è affetta anche da assoluta mancanza di motivazione circa la documentazione prodotta dalla difesa riguardante la irrilevante incidenza numerica delle pratiche fallimentari trattate rispetto alla complessiva attività professionale svolta. E' comunque censurabile e non corretta la decisione di mantenere separati i tre procedimenti cautelari. 3. Disposta la trattazione scritta del procedimento per l'udienza del 10 luglio 2020 ai sensi dell'art. 83 del D.L. n. 18 del 17/03/2020, convertito dalla legge n. 27 del 24/04/2020, il Procuratore Generale presso la Corte di cassazione, dr.ssa Fr. Za., ha depositato requisitoria scritta, con la quale ha chiesto il rigetto del ricorso. 4. Successivamente è pervenuta memoria con la quale i difensori del ricorrente hanno replicato alle conclusioni del Procuratore Generale, ribadendo la piena ammissibilità e fondatezza della proposta impugnazione. Considerato in diritto Il ricorso è infondato e non merita accoglimento. 1. In primo luogo, ritiene il Collegio di dover disattendere la pretesa difensiva di trattare congiuntamente tutti e tre i procedimenti riguardanti la posizione del ricorrente in termini indifferenti alla decisione del Tribunale di Firenze di non accogliere la richiesta di procedere alla loro riunione. Si ricorda al riguardo che, secondo il costante ed ormai risalente orientamento di questa Corte, le determinazioni assunte in ordine alla riunione o meno dei procedimenti rientra nella sfera dei poteri discrezionali del giudice di merito e cioè nel profilo ordinatorio della sua attività e delle correlative esigenze di speditezza e di economia processuale e non può pertanto essere oggetto di sindacato in cassazione sez. 5, n. 6019 del 27/03/1984, De Lucia, rv. 165011 . Più di recente si é affermato che anche l'eventuale violazione delle prescrizioni in merito alla riunione e separazione dei processi di cui agli artt. 17, 18 e 19 cod. proc. pen. non é causa di nullità, né consente la contestazione mediante proposizione di un mezzo di impugnazione avverso il relativo provvedimento o quello conclusivo del procedimento sez. 3, n. 17368 del 31/01/2019, Giampaolo, rv 275945 sez. 3, n. 37378 del 09/07/2015, Di Martino, rv. 265088 sez. 1, n. 27958 del 20/01/2014, Zahid e altri, rv. 262252 . Va quindi seguito l'approccio procedimentale del Tribunale ed esaminata in modo separato ciascuna impugnazione proposta avverso i tre provvedimenti riguardanti il ricorrente. 2. Tanto premesso, il ricorrente lamenta infondatamente la riproduzione da parte del Tribunale delle argomentazioni esposte nell'ordinanza applicativa della misura interdittiva e l'incoerenza dell'impianto giustificativo rispetto alle indicazioni ermeneutiche contenute nella sentenza con la quale la Corte di cassazione aveva annullato con rinvio per un rinnovato giudizio sulle esigenze cautelari il diverso provvedimento di conferma della misura degli arresti domiciliari, imposta per i medesimi fatti di reato. 2.1 In quella sede il giudice di legittimità aveva censurato la motivazione dell'ordinanza annullata laddove, pur avendo correttamente riscontrato la non necessaria ed automatica relazione di dipendenza tra la possibilità di reiterare reati fallimentari e lo svolgimento di attività professionale quale avvocato, aveva omesso di considerare se la dedotta volontà di chiudere lo studio legale e di dedicarsi ad altro impegno lavorativo, nonché la dismissione degli incarichi in procedure fallimentari, fosse in grado di escludere o scemare il pericolo di recidivazione anche alla stregua della valutazione delle modalità della condotta e della gravità degli episodi. 2.2 Ebbene, il Tribunale, ricostruite sul piano indiziario le condotte criminose ascritte in via provvisoria al ricorrente, ha osservato che i reati di bancarotta erano stati realizzati dal Ro. nella qualità di avvocato civilista e di consulente legale degli imprenditori, le cui società si erano trovate in condizioni di insolvenza, cui aveva suggerito come realizzare i loro propositi illeciti ed ai quali aveva offerto un contributo anche materiale nella loro perpetrazione mediante redazione di atti e dei bilanci esponenti dati non veritieri. In perfetta aderenza al dictum della sentenza emessa dalla Corte di cassazione, richiamata dalla difesa, ha riscontrato l'impossibilità di assegnare rilievo e credito alle intenzioni manifestate dall'indagato di cessare l'impegno di legale per dedicarsi ad altra professione a ragione delle informazioni acquisite grazie alla prosecuzione delle investigazioni, dalle quali era emerso come costui avesse svolto attività di patrocinatore in plurimi procedimenti in base ad accordi raggiunti con i propri clienti in un momento in cui era ancora soggetto alla misura degli arresti domiciliari ed in palese contrasto con i propositi rappresentati ai giudici cautelari. Da tali premesse il Tribunale ha dedotto il giudizio di persistenza e di aggravamento dell'esigenza, attuale e concreta, di impedire al Ro. di reiterare gravi reati in pregiudizio delle procedure concorsuali e ciò, non per avere egli violato le prescrizioni della misura coercitiva in atto, stante l'intervenuta eliminazione del divieto di incontro con terzi non conviventi, quanto per la sostanziale inaffidabilità dei suoi intenti, manifestati soltanto per poter conseguire il beneficio della sottoposizione a regime cautelare meno limitativo. Il giudizio negativo espresso sulla sua personalità, desunto dai comportamenti recentissimi tenuti durante la sottoposizione a misura cautelare ed a parallelo procedimento disciplinare, dalle modalità dei fatti e dalla loro gravità per la reiterazione nel tempo e la spregiudicata varietà degli interventi compiuti per consentire agli imprenditori di realizzare i fatti di bancarotta e per eludere le conseguenze sanzionatorie di tali illeciti in pregiudizio dei creditori grazie all'attività di avvocato civilista ed alle connesse conoscenze giuridiche, dà conto in modo esauriente e del tutto logico della ravvisata intensificazione del pericolo di recidivazione in aderenza delle indicazioni, seppur non vincolanti nello specifico procedimento, fornite dalla Corte di cassazione. Per le considerazioni svolte il ricorso va respinto con la conseguente condanna del proponente al pagamento delle spese processuali. P. Q. M. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.