Validità ed efficacia del provvedimento di espulsione dello straniero non annullato in sede di opposizione

Laddove il provvedimento di espulsione dello straniero dal territorio nazionale, adottato dal Magistrato di sorveglianza ex art. 16, comma 5, d.lgs. n. 268/1998, quale misura alternativa della pena detentiva inferiore a due anni, sia stato emesso nel ricorso delle condizioni legittimanti e successivamente non annullato in sede di opposizione o non revocato dall’autorità che lo ha emesso, resta valido ed efficace e può essere portato ad esecuzione anche se nel frattempo l’espiazione della pena detentiva è terminata.

Così con sentenza n. 23705/20 depositata il 10 agosto. Nell’ambito di un giudizio avente ad oggetto la trasgressione da parte dello straniero del divieto di fare rientro nel territorio nazionale per 10 anni, disposto con decreto di espulsione dal magistrato di sorveglianza, la Corte di Cassazione ha avuto modo di affermare un nuovo principio di diritto in tema di espulsione dello straniero. In particolare, la S.C. ha affermato che il provvedimento di espulsione dello straniero dal territorio nazionale , adottato dal Magistrato di sorveglianza ai sensi dell’art. 16, comma 5, d.lgs. n. 268/1998 quale misura alternativa della pena detentiva inferiore ad anni due, se emesso nel ricorso delle condizioni legittimanti e successivamente non annullato in sede di opposizione o non revocato dall’autorità che lo ha emesso, è valido ed efficace e può essere portato ad esecuzione anche se nel frattempo l’espiazione della pena detentiva sia terminata .

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 18 giugno – 10 agosto 2020, n. 23705 Presidente Iasillo – Relatore Boni Ritenuto in fatto 1. Con sentenza pronunciata dalla Corte di appello di Torino del 24.04.2019 è stata confermata la sentenza del Tribunale di Biella in data 18.12.2018, che aveva condannato l'imputato Il. Al. alla pena di anni uno, mesi quattro e giorni venti di reclusione e al pagamento delle spese processuali, in quanto ritenuto responsabile del reato di cui all'art. 13, comma 13-bis, D.Lgs. 286/1998 per avere fatto rientro in Italia prima del termine di dieci anni dall'allontanamento avvenuto in data 15 giugno 2015 in forza del provvedimento del Tribunale di sorveglianza di Vercelli del 2 febbraio 2015, accertato in Biella il 5 dicembre 2018. 2. Avverso la indicata sentenza ha proposto ricorso l'imputato per il tramite del difensore, avv.to Ma. Ca., il quale ne ha chiesto l'annullamento per i seguenti motivi a contraddittorietà della motivazione per avere la Corte di appello ritenuto violato il divieto di reingresso sul territorio nazionale, sebbene non fosse stato riportato nel provvedimento di espulsione, adottato dal Magistrato di sorveglianza di Vercelli. Tale motivazione si basa su documentazione inesistente, poiché nessun divieto di reingresso sul territorio nazionale è esplicitato nel predetto provvedimento di espulsione, né in quello di esecuzione della Procura Generale emesso il 03.02.2015, che contiene soltanto l'avvertimento che, in caso di rientro, si procederà all'esecuzione della pena residua, secondo quanto previsto dall'art. 16 D.Lgs. 286/1998. Difettano dunque i presupposti per formulare il giudizio di responsabilità. b Violazione dell'art. 521, comma 2, e dell'art. 546 cod. proc. pen Il ricorrente non fu espulso in forza del provvedimento del Tribunale di sorveglianza, in quanto, trattandosi di provvedimento di espulsione adottato dal Tribunale di Sorveglianza ex art. 16 D.Lgs. 286/1998 in sostituzione della detenzione, esso cessa di avere efficacia al momento della scarcerazione del detenuto per espiazione della pena. Come deducibile dal provvedimento del Questore di Biella n. 4156/2015 egli fu rilasciato per fine pena e ne fu disposto il trattenimento presso il Centro di Identificazione ed Espulsione di Bari Palese, quindi allontanato in base ad un non meglio precisato decreto di espulsione. La condotta descritta nel capo di imputazione pertanto non si è verificata ed il fatto ascritto ad Al. Il. non sussiste, come dedotto anche dal Procuratore Generale presso la Corte di appello di Torino, che aveva chiesto all'esito dell'udienza di discussione l'annullamento della sentenza impugnata e la restituzione degli atti al pubblico ministero. c Violazione della legge penale in relazione all'art. 13, comma 13-bis D.Lgs. 286/1998. Secondo la Corte di appello il provvedimento del Tribunale di sorveglianza di Vercelli del 02.02.2015 e quello conseguente di esecuzione della Procura Generale del 03.02.2015 sarebbero rimasti efficaci, nonostante il destinatario avesse espiato integralmente la pena detentiva, con conseguente operatività del divieto di reingresso. In realtà, i provvedimenti adottati ex art. 16 D.Lgs. 286/1998 al fine di convertire la residua pena detentiva inferiore a due anni in provvedimento di espulsione perdono efficacia ove non eseguiti entro il termine di fine pena del detenuto, sicché nel caso l'espulsione fu eseguita in base a provvedimento amministrativo imprecisato. In ogni caso, il divieto di reingresso sul territorio nazionale, secondo quanto previsto dalla legge n. 129/2011, poteva avere una durata da tre a cinque anni, risultando possibile che, anche ove fosse stato adottato un provvedimento di divieto di reingresso nei confronti del ricorrente, lo stesso fosse di tre anni e dunque non fosse più vigente al momento del controllo operato il 5 dicembre 2018. In nessun caso il divieto avrebbe potuto avere durata decennale, atteso che, a seguito della entrata in vigore della legge n. 129/2011, l'art. 13 comma 14 del D.Lgs. 286/1998 è stato modificato, riducendo ad un periodo compreso tra tre e cinque anni il periodo nel quale può essere inibito allo straniero espulso il divieto di reingresso sul territorio nazionale. La Corte di Appello ha ignorato tale contestazione, osservando in modo non pertinente che in precedenza l'Al. abbia ricevuto la notifica di altri provvedimenti di espulsione, il che lo aveva reso edotto della durata del divieto in base ad una presunzione illegittima. 3. Disposta la trattazione scritta del procedimento ai sensi dell'art. 83 del D.L. n. 18 del 17/03/2020, convertito dalla legge n. 27 del 24 aprile 2020 per l'udienza del 18 giugno 2020, il Procuratore Generale presso la Corte di cassazione, dr. Lu. Bi., ha depositato requisitoria scritta con la quale ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso perché basato su motivi manifestamente infondati. 4. In data 12 giugno 2020 è pervenuta memoria a firma del difensore, che ha controdedotto alla requisitoria del Procuratore Generale e ribadito la piena ammissibilità e fondatezza dei motivi di ricorso. Considerato in diritto Il ricorso è infondato e non merita dunque accoglimento. 1. Giova premettere in punto di fatto che l'addebito mosso al ricorrente, come formalmente contestato nell'imputazione, riguarda la trasgressione del divieto di fare rientro nel territorio nazionale, valevole per la durata di dieci anni e discendente dal decreto di espulsione emesso dal Magistrato di sorveglianza di Vercelli in data 2 febbraio 2015, del quale era stata disposta l'esecuzione con provvedimento della Procura Generale presso la Corte di appello di Torino del 3 febbraio 2015, esecuzione materialmente avvenuta il 15 giugno 2015, mediante accompagnamento coattivo, dalla frontiera aerea dell'aeroporto di Roma Fiumicino. La tesi difensiva, riproposta con i il ricorso all'odierno esame, si articola in profili diversi di contestazione. 1.1 Per ragioni di ordine logico prima ancora che giuridico s'impone la disamina prioritaria del secondo motivo di ricorso, che assume la violazione dell'obbligo di correlazione tra accusa e sentenza, stabilito dall'art. 521, comma 2, cod. proc. pen. a ragione dell'avvenuta espulsione dell'imputato dal territorio nazionale in forza di un provvedimento diverso da quello indicato nell'imputazione, posto che il decreto emesso dal Magistrato di sorveglianza di Vercelli il 2 febbraio 2015 non era stato eseguito immediatamente e che nel frattempo il destinatario aveva concluso l'espiazione della pena detentiva, in alternativa della quale l'espulsione era stata ordinata. Diverso ed imprecisato era il provvedimento che ne aveva decretato il forzato abbandono del paese. 1.2 La Corte di appello, preso atto della deduzione del Procuratore Generale distrettuale, adesiva all'assunto difensivo, ha ritenuto di doverlo disattendere e di escludere che il decreto del Questore del 21 aprile 2015 costituisse un autonomo provvedimento di espulsione, per avere disposto l'internamento nel C.i.e. di Bari Palese dell'Al., -soggetto straniero soggiornante nel paese in modo irregolare perchè privo di titolo per l'ingresso ed in condizioni di essere espulso ai sensi dell'art. 13, comma 2, T.U. immigrazione-, e la sua permanenza in tale centro sino a quando non fosse stata assunta la decisione sulla domanda di protezione internazionale nel frattempo avanzata. Ha attribuito piena validità ed efficacia al decreto di espulsione del Magistrato di sorveglianza di Vercelli del 2 febbraio 2015, perchè emesso nella sussistenza dei presupposti di legge e perchè la sua esecuzione era stata ritardata, dapprima dall'opposizione proposta dall'interessato, quindi dalla presentazione della domanda di protezione internazionale. 1.3 La questione assume rilievo nel caso di specie, in quanto dalla natura e dalla tipologia del provvedimento di espulsione, discende la possibilità di riscontrare la corretta contestazione del presupposto di fatto della condotta trasgressiva, per la quale il ricorrente ha riportato condanna e di individuare la relativa disciplina normativa. 1.3.1 Dagli atti processuali, prodotti in allegato alla memoria difensiva pervenuta il 12 giugno 2020, e dalla ricostruzione fattuale delle due conformi sentenze di merito è pacifica l'avvenuta adozione nei confronti dell'Al. ai sensi dell'art. 16, comma 5, D.Lgs. n. 286/98 dell'espulsione dal territorio nazionale quale misura alternativa alla residua pena detentiva da espiare, inferiore ad anni due di reclusione, già inflittagli con la sentenza irrevocabile della Corte di appello di Torino del 21 ottobre 2014 è altrettanto certo che l'allontanamento è stato eseguito in un momento in cui il destinatario aveva già terminato di espiare la pena stessa. Se ne trae conferma dal citato decreto emesso dal citato Questore di Biella, che, preso atto della già disposta espulsione da parte del Magistrato di sorveglianza, del rigetto dell'opposizione pronunciato dal Tribunale di sorveglianza in data 2 aprile 2015, della già intervenuta scarcerazione, della proposizione di richiesta di protezione internazionale da parte dell'Al., ne disponeva il collocamento temporaneo presso il centro di identificazione di Bari Palese in attesa che sulla domanda intervenisse la decisione della commissione territoriale competente. 1.3.2 E' dunque certo, perché deducibile dal decreto del Questore di Biella e dai conseguenti atti di esecuzione dell'allontanamento dell'imputato, che nessun altro provvedimento espulsivo era intervenuto e tale non può ritenersi, come correttamente rilevato anche dalla Corte di appello, il predetto provvedimento del Questore di Biella. Né la difesa ha potuto dimostrare qualche emergenza contraria, cosa che era in suo potere fare, posto che qualsiasi ulteriore e diverso atto di espulsione fosse intervenuto sarebbe stato portato a conoscenza del destinatario e quindi avrebbe potuto essere oggetto di puntuale allegazione ed eventuale impugnazione. 1.3.3 Tanto convince dell'infondatezza del secondo motivo di ricorso il fatto come risultato dalla compiuta istruttoria è stato correttamente apprezzato e ritenuto dimostrato dai giudici di merito senza sia rintracciabile la dedotta violazione del principio di corrispondenza tra accusa e sentenza di cui all'art. 521, comma 2, cod. proc. pen 2. Non ha pregio nemmeno il primo motivo. La dedotta carenza nel decreto di espulsione dell'indicazione circa la protrazione temporale del divieto di fare rientro nel territorio dello Stato non compromette la possibilità di configurare la fattispecie penale astratta contestata. 2.1 Si rileva in diritto che, secondo consolidati principi tratti dalla giurisprudenza di legittimità, l'espulsione dello straniero di cui all'art. 16, comma 5, D.Lgs. n. 286 del 1998, da ultimo modificato dall'art. 6, comma 1, D.L. 23 dicembre 2013, n. 146, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 10, ha natura amministrativa e costituisce un'atipica misura alternativa alla detenzione, finalizzata a evitare il sovraffollamento carcerario, della quale è obbligatoria l'adozione in presenza delle condizioni fissate dalla legge sez. 1, n. 45601 del 14/12/2010, Turtulli, rv. 249175 Corte cost., ord. n. 226 del 2004 , salve le situazioni di inespellibilità di cui all'art. 19, che devono essere integrate dalla ricorrenza, al momento della decisione, della compiuta situazione delineata dalla norma di rinvio sez. 1, n. 26753 del 27/05/2009, Boshi, rv. 244715 . Essa presuppone che lo straniero destinatario versi nelle situazioni di cui all'art. 13, comma 2, stesso testo legislativo, che consentono di disporne l'espulsione amministrativa, alla quale si dovrebbe comunque e certamente dare corso al termine dell'esecuzione della pena detentiva, cosicché, nella sostanza, viene solo ad essere anticipato un provvedimento di cui già sussistono le condizioni Corte cost., ord. 369 del 1999 e 226 del 2004 . Infine, va ricordato che il sistema sanzionatorio stabilito dall'art. 13, comma 13-bis, ha già superato anche i dubbi di non conformità alla Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 2008/115/CE, la quale disciplina unicamente il rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno sia irregolare, senza avere inteso armonizzare integralmente le norme degli Stati membri sul soggiorno degli stranieri. Come riconosciuto dalla Corte di Giustizia dell'Unione Europea nella sentenza dell'1/10/2015, Celaj, nella causa C-290/14, punto 20, tale direttiva, quindi, non vieta, in linea di principio, che il diritto di uno Stato membro qualifichi come reato il reingresso illegale di un cittadino di un paese terzo in violazione di un divieto di ingresso e preveda sanzioni penali per scoraggiare e reprimere la commissione di siffatta infrazione v., per analogia, sentenze Achughbabian, C-329/11, EU C 2011 807, punto 28, e Sagor, C-430/11, EU C 2012 777, punto 31 , consentendo anche l'irrogazione della pena detentiva nei confronti del cittadino di un paese terzo soggiornante in modo irregolare, il quale, dopo essere ritornato nel proprio paese d'origine nel quadro di un'anteriore procedura di rimpatrio, rientri irregolarmente nel territorio del suddetto Stato, trasgredendo un divieto di ingresso. 2.2 Va poi considerato che l'art. 16, al comma I-bis, introdotto dall'art. 3, comma 1 lett. b della legge 30 ottobre 2014, n. 161, stabilisce che la misura dell'espulsione a seguito di sentenza di condanna per i reati di cui all'art. 10-bis o all'art. 14, commi 5-rer e 5-quater può essere disposta per la durata stabilita dall'art. 13, comma 14 , mentre nella seconda parte prevede che negli altri casi di cui al comma 1, la misura dell'espulsione può essere disposta per un periodo non inferiore a cinque anni . La disposizione normativa ha introdotto una regolamentazione differenziata quanto all'individuazione del periodo di vigenza del divieto di reingresso nel paese del condannato straniero espulso in funzione della tipologia di fattispecie penale per la quale è intervenuta condanna e della natura, penale o amministrativa, della misura di allontanamento coatto dello straniero. Nelle situazioni indicate nella prima proposizione del comma I-bis il rinvio al disposto dell'art. 13, comma 14, comporta che la durata dell'espulsione è stabilita in una misura compresa tra i due limiti temporali, minimo di tre anni e massimo di cinque anni, mentre nei casi di espulsione disposta dall'autorità amministrativa tale durata può superare i cinque anni determinata tenendo conto di tutte le circostanze pertinenti il singolo caso qualora, invece, con la condanna sia pronunciata l'espulsione previo accertamento di responsabilità per reati diversi dalle violazioni del T.U. immigrazione, la seconda proposizione della norma specifica soltanto la durata minima dell'espulsione che non può essere inferiore a cinque anni. Tanto implica dunque la possibilità di determinazione anche in misura superiore e pari a dieci anni, come ritenuto nel caso specifico, in cui il presupposto di operatività dell'espulsione è costituito da pronuncia di condanna per maltrattamenti in famiglia, commessi in danno della moglie e dei figli. Nell'ulteriore e diverso caso contemplato dal comma 5 dell'art. 16 predetto, che rileva ai fini del presente giudizio, sul piano normativo non è stabilito nessun termine di durata del divieto. Ciò nonostante, si è già affermato da parte di questa Corte e qui si ribadisce che, se il termine in questione fosse pari a cinque o, come sostiene la difesa, a tre anni, resterebbe priva di spiegazione e finalità la previsione per la quale l'effetto estintivo del reato, prodotto dall'espulsione, si produce, ai sensi del comma 8, soltanto una volta che siano decorsi dieci anni dall'esecuzione della sanzione alternativa, così come sarebbe senza significato la successiva proposizione normativa, che prevede la revoca dell'espulsione nel caso in cui, prima del termine decennale, il soggetto trasgredisca il divieto di reingresso. In entrambi i casi il riferimento al parametro temporale decennale avvalora l'affermazione di principio, secondo cui il divieto di rientro dello straniero nel territorio dello Stato in caso di espulsione disposta, ex art. 16, comma 5, del D.Lgs. citato, a titolo di sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione, deve ritenersi stabilito per la durata di dieci anni, mentre il limite di cinque anni riguarda soltanto la espulsione ordinata in via amministrativa, ovvero quella disposta come sanzione alternativa alla detenzione ai sensi del comma 1 dello stesso articolo sez. 1, n. 13130 del 9/2/2017, Alali, rv. 269674 sez. 1, n. 26873 del 7/03/2019, Pg. in proc. Dalipaj, rv. 276914 sez. 1, n. 9921 del 13/02/2020, Zotaj, rv. 278504 . 2.2 La contraria tesi difensiva, che identifica in tre anni la protrazione del divieto di reingresso, non considera che, a norma del comma 14 dell'art. 13 D.Lgs. n. 286/98, la determinazione in quella misura della proibizione stessa inerisce al diverso istituto dell'espulsione disposta dall'autorità amministrativa ai sensi del comma 13 dello stesso articolo, e non a quella di cui al comma 5 dell'art. 16, ordinata dal Magistrato di sorveglianza in luogo dell'esecuzione di pena detentiva breve, situazione che, per quanto già esposto, ricorre nel caso presente. 2.3 Non ha fondamento nemmeno la deduzione che assume non essere stato il ricorrente a conoscenza della vigenza del divieto e della sua estensione temporale. Al riguardo la Corte di appello ha correttamente evidenziato che, sebbene non inserita nel testo del decreto di espulsione, la sua durata decennale era specificata nel provvedimento del Procuratore Generale presso la Corte di appello di Torino del 3 febbraio 2015, che ne aveva curato l'esecuzione e che in ogni caso l'Al. era già stato informato del meccanismo legale di operatività della misura espulsiva e delle relative conseguenze, essendo stato destinatario di tre precedenti decreti di espulsione, -menzionati esplicitamente anche nel decreto del Questore di Biella del 21 aprile 2015-, che aveva violato, avendo fatto reiteratamente ed illegalmente rientro in Italia in via anticipata rispetto al termine di legge. La difesa nega dunque pretestuosamente che egli fosse rimasto all'oscuro dell'obbligo di cui era gravato, posto che in punto di fatto tale conoscenza è ampiamente dimostrata e che sul piano giuridico l'imposizione di non rientrare nel paese per dieci anni discende direttamente dalla legge integratrice del precetto penale, che ad essa rimanda nel descrivere la condotta incriminata di trasgressione del divieto di reingresso e non è frutto di determinazione giudiziale assunta in via discrezionale. Pertanto, ai sensi dell'art. 5 cod. pen., non può essere invocata l'ignoranza del precetto penale e delle norme che lo integrano, tanto più che il ricorrente aveva pacificamente già fatto esperienza della vicenda espulsiva e ne aveva violato gli obblighi, subendone le conseguenze sanzionatorie e che lo stesso, come si legge in sentenza, nell'interrogatorio reso all'udienza di convalida dell'arresto aveva ammesso di non essersi munito di autorizzazione ministeriale per fare rientro in Italia e non si era nemmeno recato al Tribunale di Biella per partecipare all'udienza della causa di divorzio, ma nei pressi dell'abitazione della ex moglie, ove, individuato dalle forze dell'ordine, si era dato alla fuga. 3. Resta da esaminare l'ulteriore profilo, dedotto in punto di diritto, circa l'inefficacia del decreto di espulsione perché eseguito in un momento nel quale il destinatario aveva già terminato di espiare la pena detentiva sostituita con l'espulsione. 3.1 L'art. 13, comma 13, del T.U. immigrazione prevede che lo straniero espulso dal territorio dello Stato non possa fare rientro in Italia senza una speciale autorizzazione del Ministro dell'interno, mentre il successivo comma 13-bis stabilisce che, in caso di trasgressione a tale divieto a fronte di espulsione giudizialmente disposta, egli sia punito con la reclusione da uno a quattro anni e con la nuova espulsione mediante accompagnamento coattivo immediato alla frontiera. Ai fini della corretta interpretazione della disposizione incriminatrice assume rilievo l'origine storica ed il dato testuale l'iniziale formulazione, che individuava il soggetto attivo del reato nello straniero espulso , è stata sostituita dall'art. 3, comma 1, lett. c n. 8 del decreto legge 23 giugno 2011, n. 89, convertito con modificazioni dalla legge 12 novembre 2011, n. 271, con la dizione lo straniero destinatario di provvedimento di espulsione . La novellazione, adottata al fine di dare esecuzione in Italia alla Direttiva dell'Unione Europea 2008/115/CE, recante norme e procedure comuni agli Stati membri per il rimpatrio dei cittadini di Paesi terzi in posizione irregolare, indica chiaramente come la violazione del divieto integrante l'elemento oggettivo dell'illecito sia riferibile, non al cittadino straniero che abbia subito l'allontanamento coatto con la materiale fuoriuscita dal territorio dello Stato, ma a colui nei cui riguardi sia stato emesso il provvedimento di espulsione e che, per poterne superare gli effetti preclusivi del rientro nel medesimo territorio, debba munirsi di apposita autorizzazione ministeriale. In tal senso è illuminante la relazione di accompagnamento, atto n. 4449 Camera dei Deputati, al disegno di legge di conversione del decreto legge n. 89 del 2011, nella quale si specifica testualmente che la modifica dell'art. 13, comma 13, del T.U. in coerenza con la nozione di rimpatrio , inteso quale processo di ritorno di un cittadino di un paese terzo, adempiuto sia volontariamente, che in modo coatto, intende sanzionare in termini più ampi rispetto alla previgente formulazione qualsiasi straniero che rientri in territorio nazionale prima della scadenza del divieto di reingresso, indipendentemente dalla tipologia di provvedimento di espulsione adottato volontaria o forzata . In tal modo la sanzione penale viene comminata anche allo straniero espulso mediante l'intimazione a lasciare il territorio nazionale, in quanto destinatario di una decisione di rimpatrio . In altri termini, il legislatore, nel delineare la fattispecie incriminata, ha inteso assegnare rilievo all'ordine formalizzato di fuoriuscita dello straniero, che abbia ricevuto adempimento e sia successivamente violato. 3.2 Né argomenti valutabili per approdare a soluzione difforme sono rinvenibili nel testo dell'art. 13 e nemmeno nell'art. 16 del T.U. immigrazione, nessuna delle cui disposizioni stabilisce la perdita di efficacia del provvedimento espulsivo, adottato in sede giudiziale, se non eseguito prima che sia terminata l'espiazione della pena detentiva. Soltanto la pendenza del termine per proporre opposizione e del relativo procedimento e sino alla decisione del tribunale di sorveglianza produce effetto sospensivo dell'esecuzione del decreto espulsivo a norme del comma 7 dell'art. 16, che, una volta divenuto irrevocabile contiene un comando cogente, da attuarsi anche coattivamente. Del resto nel caso in esame il decreto era stato emanato in osservanza delle condizioni di legge, era valido, efficace ed incontrovertibile, essendo stato confermato dal Tribunale di sorveglianza di Torino, che aveva respinto l'opposizione del destinatario e la sua non immediata attuazione era stata impedita dalla proposizione, prima della predetta impugnazione, poi dell'istanza di protezione internazionale, anch'essa respinta. Nell'assenza di esplicite previsioni normative che dispongano in tal senso non può rinvenirsi una causa sopravvenuta di invalidità o inefficacia dell'espulsione, già legittimamente disposta, in conseguenza della successiva conclusione dell'esecuzione della pena, che, come riscontrato dai giudici di appello, può rilevare soltanto sotto il profilo della inapplicabilità del comma 4 dell'art. 16, nel senso di impedire il ripristino dell'espiazione della pena residua, nonostante il rientro anticipato ed illegale. Per contro, l'Al., esauritosi il rapporto esecutivo, nel cui contesto era stata ordinata la sua espulsione, avrebbe potuto chiederne la revoca allo stesso ufficio di sorveglianza che l'aveva disposta o far valere la relativa evenienza quale motivo legittimante il rilascio dell'autorizzazione ministeriale al rientro anticipato, opportunità che non ha coltivato. 3.3 Inoltre, si è affermato e si ribadisce in questa sede che la già rimarcata natura dell'espulsione, prevista dal D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 16, commi 5 e 6, quale misura di carattere amministrativo, non postula anche la necessaria natura amministrativa del procedimento e provvedimento applicativo di essa, che resta di natura giurisdizionale e soggetto alle regole proprie dell'ordinamento processuale penale, il che preclude la possibilità di disapplicare il decreto di espulsione, emesso dal magistrato di sorveglianza e già infruttuosamente opposto, nell'ambito del successivo giudizio penale in cui si contesti, come nel caso presente, la responsabilità dello straniero rientrato nel territorio nazionale in via anticipata ed illegale sez. 1, n. 48160 del 23/10/2013, Saoudi, rv. 257718 . Può dunque formularsi in seguente principio di diritto Il provvedimento di espulsione dello straniero dal territorio nazionale, adottato dal Magistrato di sorveglianza ai sensi dell'art. 16, comma 5, del D.Lgs. n. 286 del 1998 quale misura alternativa della pena detentiva inferiore ad anni due, se emesso nel ricorso delle condizioni legittimanti e successivamente non annullato in sede di opposizione o non revocato dall'autorità che lo ha emesso, è valido ed efficace e può essere portato ad esecuzione anche se nel frattempo l'espiazione della pena detentiva sia terminata . Il ricorso, destituito di fondamento in tutte le sue prospettazioni, va dunque respinto con la conseguente condanna del proponente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.