Alla declaratoria di inammissibilità consegue sempre la condanna al pagamento di una somma alla Cassa delle ammende?

Con ordinanza n. 21317/20, la Corte di Cassazione ha chiarito che il fondamento della condanna al pagamento della somma in favore della Cassa delle Ammende, che consegue alla declaratoria di inammissibilità del ricorso, deve essere sempre connesso ad un profilo di colpa nella sua proposizione.

Nell’esaminare il ricorso proposto dal difensore per intervenuta prescrizione dei reati commessi dall’imputato, oggetto della sentenza di patteggiamento notificata allo stesso, rimasto contumace, dopo 16 anni, la Cassazione ne ha affermato l’inammissibilità, ribadendo l’orientamento delle Sezioni Unite secondo cui è inammissibile il ricorso per cassazione proposto unicamente per far valere la prescrizione maturata dopo la decisione impugnata e prima della sua presentazione, privo di qualsiasi doglianza relativa alla medesima, in quanto viola il criterio della specificità dei motivi enunciato nell’art. 581 c.p.p., lett. c , ed esula dai casi in relazione ai quali può essere proposto a norma dell’art. 606 c.c. . Non ritenendo poi di dover far conseguire alla declaratoria di inammissibilità del ricorso anche la condanna al pagamento di una somma a favore della Cassa delle ammende , la Suprema Corte ha anche affermato che il fondamento della condanna al pagamento della somma in favore della Cassa delle Ammende è sempre connesso ad un profilo di colpa nella proposizione del ricorso . In tal senso, si è pronunciata anche la Corte costituzionale che aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 615 c.p.p., nella parte in cui non prevede che la Corte di Cassazione, in caso inammissibilità del ricorso, possa non pronunciare la condanna in favore della Cassa delle ammende, a carico della parte privata che abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità . Tale pronuncia, proseguono gli Ermellini, non può considerarsi superata dalla modifica dell’art. 616 c.p.p., comma 1, ad opera della l. 23 giugno 2017, n. 103, art. 1 comma 64, perché tale novum riguarda la sola facoltà, concessa alla Corte, in vista della ragione di inammissibilità del ricorso, di aumentare fino al triplo la somma da versare alla Cassa delle ammende. Resta così impregiudicata la possibilità di non irrogare la sanzione in caso di inammissibilità del ricorso per causa non imputabile al ricorrente .

Corte di Cassazione, sez. II Penale, ordinanza 16 giugno – 17 luglio 2020, n. 21317 Presidente Cammino – Relatore Pardo Ritenuto in fatto 1.1 Con sentenza in data 28 febbraio 2007 il tribunale di Latina applicava a R.N. ex art. 444 c.p.p., la pena di mesi 5 di reclusione ed Euro 400 di multa in ordine ai reati di truffa e sostituzione di persona allo stesso contestati. La predetta pronuncia emessa nei confronti di imputato dichiarato contumace veniva notificata ex art. 161 c.p.p., al predetto in data 9 agosto 2019. 1.2 Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore dell’imputato avv.to Angeloni deducendo con unico motivo l’intervenuta prescrizione dei reati commessi nel lontano ottobre 2003 ed oggetto della sentenza di patteggiamento che risultava essere stata notificata all’imputato contumace soltanto nell’agosto del 2019. Considerato in diritto 2.1 L’unico motivo è manifestamente infondato ed il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile. Invero, secondo l’orientamento delle Sezioni Unite di questa corte è inammissibile il ricorso per cassazione proposto unicamente per far valere la prescrizione maturata dopo la decisione impugnata e prima della sua presentazione, privo di qualsiasi doglianza relativa alla medesima, in quanto viola il criterio della specificità dei motivi enunciato nell’art. 581 c.p.p., lett. c , ed esula dai casi in relazione ai quali può essere proposto a norma dell’art. 606 medesimo codice ed in motivazione, si è chiarito che nella specie si è in presenza di un ricorso soltanto apparente e, pertanto, inidoneo a instaurare il rapporto di impugnazione Sez. U, n. 33542 del 27/06/2001, Rv. 219531 . Con altra pronuncia si è affermato che l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 c.p.p. Sez. U, Sentenza n. 32 del 22/11/2000 Cc. dep. 21/12/2000 Rv. 217266 . E poiché nel caso in esame non è stato neppure dedotto alcun vizio della sentenza impugnata essendosi limitato il ricorso a lamentare l’intervenuta prescrizione dei reati maturata dopo l’emissione della pronuncia, l’assenza di qualsiasi doglianza proposta preclude anch’essa la formazione del rapporto processuale e la possibilità di dichiarare l’estinzione dei reati. In conclusione, l’impugnazione deve ritenersi inammissibile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 3 alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Non ritiene questa corte dovere fare seguire alla declaratoria di inammissibilità del ricorso anche la condanna al pagamento di una somma a favore della Cassa delle ammende, ex art. 616 c.p.p., comma 1, e ciò perché risulta assente ogni profilo di colpa nella predisposizione dell’atto di impugnazione al proposito, va ricordato, come il particolare rilievo di profili colposi nella predisposizione del ricorso per cassazione quale fondamento della condanna alla Cassa delle Ammende risulta affermata in altri casi analoghi. In particolare, invero, si è stabilito che nell’ipotesi di inammissibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse a discuterlo per una causa non imputabile al ricorrente nel caso di specie il provvedimento impugnato era stato nel frattempo revocato , quest’ultimo, anche successivamente alla modifica dell’art. 616 c.p.p., operata dalla L. 23 giugno 2017, n. 103, art. 1, comma 64, può essere condannato solo al pagamento delle spese processuali e non anche al versamento in favore della Cassa per le ammende Sez. 5, n. 23636 del 21/03/2018, 273325 Sez. 5, n. 39521 del 04/07/2018, Rv. 273882 . Tale principio risulta ribadito anche nel caso di rinuncia, essendosi stabilito che la rinuncia all’impugnazione fondata sulla emersione di nuovi elementi di fatto, non conosciuti all’atto della proposizione del ricorso e tali da comportare una diversa valutazione dell’interesse ad impugnare da parte del ricorrente, costituisce una opzione riconosciuta dall’ordinamento giuridico ed è estranea a profili di colpa, non è, pertanto, idonea a fondare la pronuncia di condanna al pagamento in favore della Cassa delle Ammende della sanzione prevista dall’art. 616 c.p.p. Sez. 5, n. 9831 del 15/12/2015, Rv. 267565 . Può, pertanto, affermarsi che il fondamento della condanna al pagamento della somma in favore della Cassa delle Ammende è sempre connesso ad un profilo di colpa nella proposizione del ricorso. In tal senso è, infatti, la pronuncia della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 che aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 615 c.p.p., nella parte in cui non prevede che la Corte di cassazione, in caso inammissibilità del ricorso, possa non pronunciare la condanna in favore della Cassa delle ammende, a carico della parte privata che abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità. Va poi aggiunto che la citata pronuncia non può considerarsi superata dalla modifica dell’art. 616 c.p.p., comma 1, ad opera della L. 23 giugno 2017, n. 103, art. 1 comma 64, perché tale novum riguarda la sola facoltà, concessa a questa Corte, in vista della ragione di inammissibilità del ricorso, di aumentare fino al triplo la somma da versare alla Cassa delle ammende. Resta così impregiudicata la possibilità di non irrogare la sanzione in caso di inammissibilità del ricorso per causa non imputabile al ricorrente. Così, peraltro, salvaguardando un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma. L’applicazione dei sopra esposti principi nel caso in esame deve portare ad escludere la condanna alla Cassa delle Ammende non sussistendo rilevanti profili di colpa nella proposizione del ricorso che, pur avverso sentenza di patteggiamento, risulta essere stato causato dalla più che tardiva notificazione della sentenza di all’imputato contumace avvenuta a 12 anni di distanza dalla pronuncia del tribunale monocratico di Latina. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.