Troppi gatti nel ‘ricovero’: condannata la responsabile

Evidenti le precarie condizioni igienico-sanitarie sopportate dai felini. Nessun dubbio sulla consapevolezza della donna a cui il Comune aveva affidato in gestione la struttura. Ella dovrà non solo pagare 8mila euro di ammenda ma anche versare un adeguato ristoro economico a due associazioni animaliste costituitesi parti civili.

Troppi animali – gatti, per la precisione – accolti a fronte del limitato spazio a disposizione. Inevitabili le sofferenze per i felini, rinvenuti in condizioni igienico-sanitarie precarie. Consequenziale la condanna per la responsabile della struttura – a lei affidata con una convenzione del Comune – la donna, ritenuta colpevole di abbandono di animali , viene sanzionata con 8mila euro di ammenda e obbligata anche a versare un corposo risarcimento a due associazioni animaliste Cassazione, sentenza n. 21174/20, sez. III Penale, depositata oggi . Ricostruita la vicenda, i Giudici del Tribunale ritengono evidenti le colpe della donna che in qualità di responsabile di una associazione animalista si è ritrovata a gestire un ‘canile - gattile’ a lei affidato con una convenzione ad hoc da un Comune. A inchiodarla le precarie condizioni dei gatti, alcuni addirittura ricoverati dopo il sequestro operato dalle forze dell’ordine. Per i Giudici è evidente che la donna ha cagionato ai felini lesioni serie, sottoponendoli per nove mesi a sevizie con comportamenti non compatibili con le loro caratteristiche etologiche . In particolare, si è appurato che il numero degli animali era eccessivo, a fronte dello spazio disponibile, e ciò ha comportato per loro precarie condizioni igienico-sanitarie. Consequenziale la condanna della donna a pagare 8mila euro di ammenda e a versare un risarcimento a due associazioni animaliste costituitesi parti civili. Secondo il difensore, però, la sua cliente non può essere ritenuta colpevole. E in questa ottica egli pone in rilievo, nel contesto della Cassazione, il fatto che la struttura era stata presa in gestione a seguito di convenzione con l’amministrazione comunale , convenzione che aveva ad oggetto le attività di cattura, ricovero, cura e custodia di cani e gatti randagi o vaganti , ed era sottoposta alla vigilanza da parte dell’Azienda sanitaria . In sostanza, il ‘canile - gattile’ era ispezionato periodicamente dagli addetti del servizio veterinario dell’Azienda sanitaria, senza riscontrare problemi o criticità e senza formulare prescrizioni in ordine alle modalità di custodia dei felini presenti e una veterinaria si era recata nella struttura almeno tre volte al mese, senza mai riscontrare problemi di carattere sanitario, tanto che non aveva mai ritenuto necessario fare richiami o dare indicazioni alla responsabile della struttura a proposito delle modalità di custodia dei felini . E in questa ottica il legale aggiunge che a seguito delle denunce presentate da un’associazione animalista erano stati eseguiti due sopralluoghi a sorpresa da parte dei NAS e del Corpo Forestale dello Stato e una procedura di audit interno da parte di veterinari di un altro distretto della medesima provincia , senza rilevare gravi irregolarità . Di conseguenza, la responsabile della struttura non aveva consapevolezza di aver violato la legge e di commettere un reato, in quanto , osserva il legale, tutte le autorità preposte ai controlli previsti dalla normativa vigente in materia non avevano mai riscontrato violazioni, né impartito prescrizioni , cosicché non erano addebitabili a lei violazioni di legge o condotte negligenti , a lei che si era sempre attenuta alle indicazioni del veterinario responsabile della struttura e aveva fatto affidamento sulle valutazioni di conformità dei veterinari dell’Azienda sanitaria . Peraltro, la struttura gestita non è un allevamento, né una clinica, né una pensione, ma un ricovero per animali che, nella maggior parte dei casi, vi facevano ingresso in pessime condizioni, trattandosi di soggetti randagi o abbandonati, molto spesso di età avanzata e affetti dalle più varie patologie sanitarie e comportamentali , e quindi, secondo il legale, è illogico sostenere che le condizioni in cui si trovavano gli animali al momento del sequestro fossero conseguenza delle modalità di custodia presso la struttura . Le obiezioni difensive non convincono però i Giudici della Cassazione, che confermano la condanna per la responsabile del ‘canile - gattile’. In prima battuta i magistrati ritengono irrilevante il dato relativo al mancato riscontro di irregolarità significative sia da parte dei veterinari della Azienda sanitaria, sia da parte dei responsabili veterinari della struttura, sia da parte dei NAS e del Corpo Forestale dello Stato in occasione di sopralluoghi a sorpresa . Ciò che conta, invece, come stabilito in Tribunale, è quanto accertato in ordine alle condizioni in cui al momento del sequestro gli animali erano custoditi nella struttura . E su questo fronte non è emerso che la condotta della responsabile fosse caratterizzata da crudeltà o consistesse nella somministrazione di stupefacenti o altre sostanze nocive , mentre non si può mettere in discussione, osservano i giudici, la sua piena consapevolezza delle condizioni in cui si trovavano gli animali ricoverati nella sua struttura , e quindi è logico parlare di responsabilità a titolo di colpa per la detenzione degli animali in condizioni incompatibili con le loro caratteristiche etologiche e produttive di gravi sofferenze . A questo proposito, è ritenuto inequivocabile il quadro tracciato in occasione del blitz compiuto dalle forze dell’ordine nella struttura gli animali presenti nel ricovero erano custoditi in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze , come certificato dalle deposizioni di diversi testimoni, i quali hanno osservato gli animali, ne hanno constatato le gravi patologie e hanno avuto contezza delle condizioni igieniche delle struttura . Tutto ciò, assieme alla documentazione fotografica, consente di ritenere provata una situazione prolungata e sistematica dei felini, incompatibile con la loro natura e produttiva di grandi sofferenze . Acclarata la responsabilità della donna, i giudici ribadiscono anche il diniego della ammissione alla oblazione speciale decisivo il dato relativo alla gravità delle condotte in discussione. Confermata perciò la condanna della responsabile della struttura a pagare 8mila euro e a versare una adeguato risarcimento alle due associazioni animaliste costituitesi parti civili.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 7 – 16 luglio 2020, n. 21174 Presidente Lapalorcia – Relatore Liberati Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 22 novembre 2019 il Tribunale di Modena ha condannato Ma. Ga. Si. alla pena di Euro 8.000,00 di ammenda e al risarcimento dei danni subiti dalle parti civili, Associazione LAV e Associazione Animai Liberation, in relazione al reato di cui all'art. 727, comma 2, cod. pen. ascrittole per avere, quale responsabile della Associazione Dimensione Animali e gestore del ricovero a lei affidato per convenzione con il Comune di Finale Emilia, cagionato ai felini ivi ricoverati lesioni, sottoponendoli a sevizie con comportamenti incompatibili con le loro caratteristiche etologiche commesso dal 20 maggio 2014 al 24 febbraio 2015 , così riqualificata l'originaria contestazione di consumazione del reato di cui all'art. 544 ter cod. pen. 2. Avverso tale sentenza l'imputata ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi. 2.1. In primo luogo, ha lamentato, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b , cod. proc. pen., l'errata applicazione dell'art. 727, comma 2, cod. pen., con riferimento alla affermazione della configurabilità della contravvenzione prevista da tale disposizione. Ha censurato, in particolare, l'affermazione della sussistenza dell'elemento soggettivo di tale contravvenzione, alla quale il Tribunale era pervenuto omettendo di considerare che il ricovero per animali gestito dalla ricorrente operava presso la sede di Finale Emilia dal 1996, e dal 2010 aveva stipulato con l'amministrazione comunale una convenzione che aveva a oggetto le attività di cattura, ricovero, cura e custodia di cani e gatti randagi o vaganti, attività nell'ambito della quale la struttura era sottoposta alla vigilanza da parte della ASL di Modena in adempimento di tale obbligo di vigilanza la struttura era stata ispezionata periodicamente dagli addetti del servizio veterinario di detta ASL, senza riscontrare problemi o criticità e senza formulare prescrizioni in ordine alle modalità di custodia dei felini presenti. Ha lamentato anche l'omessa considerazione, nella affermazione della sussistenza dell'elemento soggettivo della contravvenzione ascrittale, del fatto che i Dott. Pi. e Ga. avevano assunto il ruolo di responsabili veterinari della struttura e che in tale veste la Dott.ssa Ga. si era recata nella struttura almeno tre volte al mese, senza mai riscontrare problemi di carattere sanitario, tanto che non aveva mai ritenuto necessario fare richiami o dare indicazioni alla Si. a proposito delle modalità di custodia dei felini. Infine, sempre con riferimento alla affermazione della sussistenza dell'elemento psicologico di detta contravvenzione, ha lamentato la mancata considerazione della circostanza che a seguito delle denunce presentate dalla L.A.V. erano stati eseguiti due sopralluoghi a sorpresa da parte dei NAS e del Corpo Forestale dello Stato e una procedura di audit interno da parte di veterinari di un altro distretto della medesima provincia , senza rilevare gravi irregolarità. Tanto premesso, circa i plurimi e ripetuti controlli ai quali era stata sottoposta la struttura gestita dalla ricorrente, ne ha contestato la consapevolezza di aver violato la legge e di commettere un reato, in quanto tutte le autorità preposte ai controlli previsti dalla normativa vigente in materia non avevano mai riscontrato violazioni, né impartito prescrizioni, cosicché non erano ravvisabili violazioni di legge o condotte negligenti da parte della imputata, non ricavabili dal fatto che la L.A.V. e il NIRDA di Roma che aveva eseguito il sequestro della struttura gestita dalla imputata hanno degli standard valutativi differenti e molto più severi rispetto a quelli utilizzati dalle autorità locali, giacché ciò non consentiva di addebitare alla Si. alcuna responsabilità, in quanto la stessa si era sempre attenuta alle indicazioni del veterinario responsabile della struttura la Dott.ssa Ga. e aveva fatto affidamento sulle valutazioni di conformità dei veterinari della ASL di Modena. 2.2. Con un secondo motivo ha lamentato, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e , cod. proc. pen., la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione, nella parte relativa alla affermazione della sussistenza dell'elemento oggettivo del reato di cui all'art. 727, comma 2, cod. pen., non essendo stato considerato quanto esposto dal consulente tecnico della difesa, Dott. Ta., che aveva evidenziato l'inattendibilità e la genericità di quanto indicato nel verbale di sequestro in ordine alle condizioni degli animali presenti nella struttura gestita dalla ricorrente, valutate in modo superficiale dal Dott. Romano in sede di sequestro. Ha, inoltre, prospettato la contraddittorietà della motivazione a causa della mancata considerazione del fatto che la struttura gestita dalla ricorrente non è un allevamento, né una clinica, né una pensione, ma un ricovero per animali che, nella maggior parte dei casi, vi facevano ingresso in pessime condizioni, trattandosi di soggetti randagi o abbandonati, molto spesso di età avanzata e affetti dalle più varie patologie sanitarie e comportamentali, cosicché per poter affermare che le condizioni nelle quali si trovavano gli animali al momento del sequestro fossero conseguenza delle modalità di custodia presso la struttura sarebbe stato necessario individuare per ogni soggetto il periodo in cui vi aveva fatto ingresso e in quali condizioni, indagine che il Tribunale aveva del tutto omesso, affidandosi alle fotografie scattate al momento del sequestro e alle valutazioni di persone prive di competenza in materia medico veterinaria, che si erano sostanzialmente limitate a riportare le proprie impressioni. 2.3. Infine, con il terzo motivo, ha lamentato, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e , cod. proc. pen., la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione nella parte relativa al rigetto della richiesta di ammissione alla oblazione speciale ai sensi dell'art. 162 bis cod. pen., in quanto tale diniego era stato giustificato dal Tribunale con la gravità del fatto ricavata dalla durata prolungata delle condotte, dalla pluralità di fattori che avevano determinato l'incompatibilità della detenzione degli animali con la loro natura, dall'elevato numero di felini detenuti in tali condizioni , omettendo di considerare la mancanza di rilievi in occasione dei controlli compiuti dalle autorità preposte e la prognosi di non recidivanza formulata sul conto della ricorrente alla quale era stato riconosciuto il beneficio della sospensione condizionale della pena . 3. Il Procuratore Generale ha concluso nelle sue richieste scritte per l'inammissibilità del ricorso, sottolineando la corretta valutazione delle emergenze istruttorie da parte del Tribunale e la logicità della, conseguente, affermazione della configurabilità della contravvenzione di cui all'art. 727, comma 2, cod. pen., e anche l'adeguatezza della motivazione nella parte relativa al rigetto della istanza di ammissione all'oblazione. 4. La parte civile Associazione LAV Onlus ha fatto pervenire memoria, con la quale ha eccepito l'inammissibilità di tutti i motivi di ricorso, sottolineando il contenuto non consentito del primo e del secondo motivo, in quanto volti a conseguire una rivalutazione degli elementi di prova allo scopo di escludere la colpa della Si. e la sussistenza dell'elemento oggettivo del reato addebitatole, e l'adeguatezza della motivazione nella parte relativa alla valutazione di gravità della condotta, posta a fondamento della esclusione della ammissione alla oblazione, non incompatibile con il riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena, fondato sul giudizio prognostico favorevole sulla personalità della imputata. 5. La parte civile Associazione Animai Liberation ha depositato conclusioni scritte, mediante le quali ha chiesto di dichiarare inammissibile o infondato il ricorso e di confermare la sentenza impugnata. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 2. Il primo motivo, mediante il quale è stata denunciata l'errata applicazione dell'art. 727 cod. pen., con riferimento alla affermazione della sussistenza dell'elemento soggettivo di tale contravvenzione, cui il Tribunale sarebbe pervenuto omettendo di considerare il mancato riscontro di irregolarità significative sia da parte dei veterinari della ASL di Modena, sia da parte dei responsabili veterinari della struttura gestita dalla ricorrente, sia da parte dei NAS e del Corpo Forestale dello Stato in occasione dei sopralluoghi a sorpresa presso tale struttura, non è fondato. Mediante tale censura la ricorrente, attraverso la analitica sottolineatura degli esiti della attività di vigilanza svolta sulla struttura da essa gestita da parte dei veterinari della ASL competente, dei responsabili veterinari della struttura, dei NAS e del Corpo Forestale dello Stato, tende, tra l'altro mediante una non consentita rivalutazione della situazione di fatto accertata in occasione di tali controlli e del sequestro, a far conseguire dal mancato rilievo di irregolarità l'insussistenza dell'elemento soggettivo richiesto per poter ritenere configurabile la contravvenzione di cui all'art. 727, comma 2, cod. pen., facendo derivare dalla mancanza di rilievi l'insussistenza di violazioni di legge o di condotte negligenti. Tale ricostruzione, oltre a implicare una non consentita rivalutazione degli elementi di fatto considerati dal Tribunale per addivenire alla affermazione di responsabilità, che dovrebbero, secondo la prospettazione della ricorrente, essere letti e rivalutati nell'ottica dalla stessa suggerita, comporta una impropria sovrapposizione tra gli esiti di dette attività di vigilanza e l'indagine in ordine alla sussistenza dell'elemento soggettivo, che il Tribunale ha desunto, correttamente, da quanto accertato in ordine alle condizioni in cui al momento del sequestro gli animali erano custoditi nella struttura gestita dalla ricorrente, dalle quali ha tratto, in modo logico, la prova dell'elemento soggettivo della contravvenzione addebitata alla imputata. Il Tribunale, pur avendo escluso la configurabilità del delitto di cui all'art. 544 ter cod. pen. contestato alla imputata, non essendo emerso che la sua condotta fosse caratterizzata da crudeltà o consistesse nella somministrazione di stupefacenti o altre sostanze nocive, come richiesto per poter ritenere configurabili le ipotesi delittuose previste dal primo e dal secondo comma di detta disposizione, ha sottolineato la piena consapevolezza da parte della ricorrente delle condizioni in cui si trovavano gli animali ricoverati nella sua struttura, traendone, in modo pienamente logico, stante l'evidenza dimostrativa di tali condizioni, la prova della sua responsabilità a titolo di colpa per il reato di cui all'art. 727, comma 2, cod. pen. per la detenzione degli animali in condizioni incompatibili con le loro caratteristiche etologiche e produttive di gravi sofferenze , cosicché le doglianze della ricorrente in ordine alla erroneità della affermazione della sussistenza dell'elemento soggettivo di tale reato risultano manifestamente infondate. 3. Il secondo motivo, con il quale sono state denunciate la violazione dell'art. 727 cod. pen. e la contraddittorietà della motivazione, con riferimento alla affermazione della sussistenza dell'elemento oggettivo della contravvenzione ascritta alla ricorrente, per non essere state adeguatamente accertate né le reali condizioni degli animali presenti nella struttura gestita dalla ricorrente medesima, né la riconducibilità di tali condizioni alle modalità di custodia presso tale luogo, è anch'esso inammissibile, per essere volto, attraverso una rivisitazione delle risultanze istruttorie, in particolare del verbale di sequestro, delle fotografie a questo allegate, delle dichiarazioni rese dai testi a carico e dal consulente tecnico della difesa, a conseguirne una non consentita rilettura allo scopo di escludere che gli animali presenti nel ricovero gestito dalla ricorrente fossero custoditi in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze. E' necessario rammentare che alla Corte di cassazione è preclusa la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei gradi di merito, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l'apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall'esterno tra le altre, Sez. U., n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260 Sez. 2, n. 20806 del 5/05/2011, Tosto, Rv. 250362 Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, D'Ippedico, Rv. 271623 . Resta, dunque, esclusa, pur dopo la modifica dell'art. 606, comma 1, lett. e , cod. proc. pen. la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch'essa logica, dei dati processuali, o una diversa ricostruzione storica dei fatti, o un diverso giudizio di rilevanza, o comunque di attendibilità delle fonti di prova Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rovinelli, Rv. 276970 Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, Cammarota, Rv. 262575 Sez. 3, n. 12226 del 22/01/2015, G.F.S., non massimata Sez. 3, n. 40350, del 05/06/2014, C.C. in proc. M.M., non massimata Sez. 3, n. 13976 del 12/02/2014, P.G., non massimata Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099 Sez. 2, n. 7380 del 11/01/2007, Messina ed altro, Rv. 235716 . Nel caso in esame il Tribunale ha ampiamente dato atto delle risultanze dell'istruttoria svolta e di come da questa sia emersa in modo chiaro e univoco la condizione illecita di custodia degli animali, sottolineando il contenuto delle deposizioni dei testi che avevano osservato gli animali, ne avevano constatato le gravi patologie e avevano avuto contezza delle condizioni igieniche delle struttura Ferioli Laura, Zuccari Mirko Romano, Daniele Tozzi, Rossano Tassi, Bettina Lancellotti, Annalisa De Flippo , traendone, unitamente alla documentazione fotografica, la prova di una situazione prolungata e sistematica dei felini, incompatibile con la loro natura e produttiva di grandi sofferenze. Il Tribunale non ha, poi, affatto omesso di considerare quanto esposto dai consulenti della difesa, evidenziando le risultanze di segno contrario alle loro tesi emergenti dalle deposizioni dei testi che avevano avuto modo di accedere al ricovero per animali e dalle fotografie allegate al verbale di sequestro, così escludendo la rilevanza di quanto prospettato dalla difesa. Ne consegue la manifesta infondatezza e il carattere non consentito delle doglianze della ricorrente, volte a conseguire una rilettura delle emergenze istruttorie, alternativa rispetto a quella, priva di illogicità manifeste, compiuta dal Tribunale. 4. Considerazioni in parte analoghe possono essere svolte a proposito del terzo motivo, mediante il quale la ricorrente ha lamentato la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione, nella parte relativa al diniego della ammissione alla oblazione speciale di cui all'art. 162 bis cod. pen., giacché anche mediante tale censura la ricorrente critica una valutazione di merito compiuta dal Tribunale, in ordine alla gravità delle condotte, di cui è stata fornita motivazione non apparente, né contraddittoria, né manifestamente illogica, posto che il rigetto della richiesta della imputata è stato giustificato adeguatamente, attraverso la sottolineatura degli indici di gravità della condotta, senza incorrere in contraddizioni posto che tale affermazione non si pone in contrasto con altre asserzioni contenute nella medesima motivazione, né con il riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena, che attiene alla dimensione personale del responsabile e alla sua capacità e inclinazione a commettere altri reati , o in manifeste illogicità risultando conforme a nozioni di comune esperienza la valutazione di gravità della condotta sulla base degli indici elencati dal Tribunale , cosicché anche tale doglianza risulta diretta a censurare sul piano del merito una valutazione compiuta dal Tribunale in modo non manifestamente illogico, con la conseguente inammissibilità della censura. 5. Il ricorso deve, in conclusione, essere dichiarato inammissibile, stante il contenuto non consentito nel giudizio di legittimità di tutte le censure cui è stato affidato. L'inammissibilità originaria del ricorso esclude il rilievo della eventuale prescrizione verificatasi successivamente alla sentenza impugnata, giacché detta inammissibilità impedisce la costituzione di un valido rapporto processuale di impugnazione innanzi al giudice di legittimità, e preclude l'apprezzamento di una eventuale causa di estinzione del reato intervenuta successivamente alla decisione impugnata Sez. un., 22 novembre 2000, n. 32, De Luca, Rv. 217266 conformi, Sez. un., 2/3/2005, n. 23428, Bracale, Rv. 231164, e Sez. un., 28/2/2008, n. 19601, Niccoli, Rv. 239400 in ultimo Sez. 2, n. 28848 del 8.5.2013, Rv. 256463 Sez. 2, n. 53663 del 20/11/2014, Rasizzi Scalora, Rv. 261616 nonché Sez. U, n. 6903 del 27/05/2016, dep. 14/02/2017, Aiello, Rv. 268966 . Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento, nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 3.000,00, e la condanna della ricorrente alla rifusione delle spese processuali sostenute nel giudizio di legittimità dalla parte civile L.A.V. Onlus, che ne ha fatto richiesta, e non anche a favore dell'altra parte civile, Associazione Animai Liberation, che si è limitata a chiedere il rigetto del ricorso e la conferma della sentenza impugnata, ma non anche la condanna della ricorrente alla rifusione delle spese processuali, per la quale occorre una specifica richiesta cfr. Sez. 4, n. 2311 del 5/12/2018, dep. 18/1/2019, Grasso, Rv. 274957 Sez. 3, n. 31865 del 17/3/2016, Vacca, 267666 . P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 a favore della Cassa delle Ammende, nonché alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile L.A.V. Onlus, che liquida in complessivi Euro 3.000,00, oltre accessori di legge.