Avvocato affetto da riduzione della memoria a breve termine: la patologia giustifica la rimessione in termini?

La patologia dell’avvocato consistente nella riduzione di memoria a breve termine costituisce una situazione di fatto immediatamente riconducibile alla nozione di forza maggiore che, di per sé, determina le condizioni per la concessione della rimessione in termini per proporre impugnazione. Infatti, le conseguenze della patologia del difensore non devono ricadere sull’assistito, il quale non può farsi carico di accertare preventivamente le condizioni del difensore e neppure assicurarsi che egli sia in grado di adempiere al mandato.

Così ha deciso la cassazione con la sentenza n. 20956/20, depositata il 15 luglio. La Corte d’Appello respingeva la richiesta avanzata dall’imputato per vedersi rimettere in termini per impugnare la sentenza del Tribunale. A parere della Corte territoriale il comportamento dell’ avvocato era stato gravemente negligente poiché egli, pur avendo uno stato di salute grave che non gli consentiva di esercitare la propria professione, aveva accettato l’incarico di proporre impugnazione avverso la sentenza del Tribunale, la cui proposizione sarebbe perenta dopo solo tre giorni. Avverso la decisione propone ricorso per Cassazione l’avvocato lamentando l’inosservanza della legge processuale penale in tema di corretta individuazione delle condizioni legittimanti la richiesta di restituzione nel termine art. 175 c.p.p. , in particolare per ciò che concerne la forza maggiore, risultante dalla certificazione medica allegata all’istanza di rimessione, dalla quale emergeva che l’avvocato è affetto da riduzione della memoria a breve termine . La Cassazione, ritenendo fondato il ricorso, rileva che la Corte d’Appello ha sottolineato che la decorrenza di soli tre giorni dall’assunzione dell’incarico alla scadenza del termine per proporre appello denota un comportamento qualificabile come inescusabile perché volontariamente negligente. In realtà, sottolinea la Suprema Corte, non si è tenuto conto di tutte le variabili che hanno potuto determinare la dimenticanza aggravamento della condizione, mancata assunzione di farmaci o incapacità di rendersi conto delle proprie capacità fisico-psichiche . Inoltre, anche ove la condotta dell’avvocato sia stata gravemente negligente, le conseguenze non devono ricadere sull’assistito , il quale non poteva certamente farsi carico di accertarsi preventivamente delle condizioni del difensore e neppure assicurarsi che egli fosse in grado di adempiere al mandato conferitogli. A tal proposito, i Giudici sottolineano che, nel valutare se la mancata presentazione dell’impugnazione nei termini di legge da parte della difesa tecnica sia riconducibile a colpa personale o professionale o a fattori esterni riconducibili alle nozioni di caso fortuito o forza maggiore, il giudice deve in particolare dar conto dell’idoneità o meno di essi a consentire, con l’ordinaria diligenza, un’utile ed efficace tempestiva presentazione dell’impugnazione . La Corte dunque ritiene che la grave situazione di salute di cui è stato vittima il legale di fiducia del ricorrente, pur se preesistente alla sua nomina, costituisca situazione di fatto immediatamente riconducibile alla nozione di forza maggiore che, di per sé, determina le condizioni per la nuova decorrenza dell’intero termine. Alla luce di questo la Suprema Corte annulla l’ordinanza senza rinvio e dispone la restituzione del termine per proporre appello.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 9 giugno – 15 luglio 2020, n. 20956 Presidente Cervadoro – Relatore Pellegrino Ritenuto in fatto e considerato in diritto 1. Con ordinanza in data 18/03/2019, la Corte di appello di Bologna respingeva la richiesta proposta nell’interesse di S.S. per essere rimesso in termini per impugnare la sentenza del Tribunale di Bologna n. 289/2019. La Corte territoriale, nel proprio provvedimento, rilevava che - era stato documentato il grave stato di salute del difensore dello S. , avv. Daniele D’Urso, stato che non gli aveva consentito di attendere alle ordinarie occupazioni e di esercitare la propria attività professionale - in data 28/01/2019, l’avv. D’Urso aveva accettato l’incarico, conferitogli dallo S. , di proporre impugnazione avverso la sentenza del Tribunale di Bologna n. 289/2019, la cui proposizione sarebbe perenta dopo solo tre giorni da quella data - dal precedente 14/01/2019, il Dott. B. aveva diagnosticato all’avv. D’Urso un disturbo dell’adattamento con umore depresso di grado moderato - severo formulando altresì un giudizio di probabile rilevante compromissione della working memory - la certificazione medica allegata all’istanza difensiva non lambiva l’ambito della capacità di intendere e di volere, di talché doveva concludersi che l’incarico fu accettato con negligenza che si riverbera nell’espletamento dell’attività professionale, che ben poteva essere nella specie, ma anche in generale, provvisoriamente delegata ad altro collega . 2. Avverso detta ordinanza, nell’interesse di S.S. , viene proposto ricorso per cassazione per lamentare, quale formale motivo unico, l’inosservanza della legge processuale penale in punto di retta individuazione dei parametri e delle precondizioni legittimanti la richiesta ex art. 175 c.p.p., in particolare per ciò che afferisce alla categoria dommatica della forza maggiore, nonché carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità del provvedimento impugnato, risultante dal testo dello stesso, dal contenuto dell’istanza difensiva nonché dalla certificazione medica allegata all’istanza stessa. Assume il ricorrente come nella fattispecie siano stati posti due piano di ragionamento il primo, statico, afferente la scelta di accettare un mandato difensivo il secondo, dinamico, riguardante la modalità con cui l’attività professionale si dipana in ossequio al mandato conferito. Piani che, se in situazioni ordinarie si sovrappongono, in una contingenza di palese intermittenza delle capacità lavorative, si distinguono e differenziano. Dalla stigmatizzata scelta di accettare l’incarico, la Corte territoriale fa apoditticamente discendere il non aver atteso agli obblighi professionali discendenti dalla relativa assunzione tale valutazione risulta quantomeno azzardata, considerando che nella documentazione medica si riconosce come l’avv. D’Urso fosse affetto da riduzione della memoria a breve termine. Il sottolineare che la decorrenza di soli tre giorni dall’assunzione dell’incarico alla scadenza del termine per proporre appello denota, da parte della Corte territoriale, una sorta di autoattribuzione di competenze in materia sanitaria, in quanto sembra esprimere un parere medico a favore di un comportamento qualificabile come inescusabile perché volontariamente negligente . In realtà, non si tiene conto di tutta una serie di possibili variabili che potevano aver determinato quella dimenticanza ingravescenza della propria condizione, mancata assunzione di farmaci, incapacità di rendersi conto delle proprie capacità fisiche e psichiche in relazione al proprio stato . Infine, non si era in alcun modo considerato come, quand’anche si fosse ritenuta colpevole perché gravemente negligente la condotta dell’avv. D’Urso, non si vede per quale ragione debba pagarne le conseguenze il certamente incolpevole S. , che si era limitato a rivolgersi al legale per la propria assistenza professionale e a cui non poteva certamente farsi carico di preventivamente accertarsi di quali fossero le condizioni di salute del professionista e di valutare se lo stesso fosse o meno in grado di adempiere al mandato conferitogli. 3. Il ricorso è fondato e va accolto, con conseguente annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata ed ordine di restituzione del termine per proporre appello da parte dell’imputato avverso la sentenza del Tribunale di Bologna n. 289/2019. 4. Va premesso che, nel valutare se la mancata presentazione dell’impugnazione nei termini di legge, da parte dell’imputato o della difesa tecnica nel suo interesse, sia riconducibile a colpa o malizia, personale o professionale, della parte intesa nella sua articolazione di imputato e difensore ovvero a fattori esterni riconducibili alle nozioni di caso fortuito o forza maggiore, quando ricorrano peculiari o inusuali fattori esterni il giudice deve in particolare dar conto dell’idoneità o meno di essi a consentire, con l’ordinaria diligenza un’utile ed efficace tempestiva presentazione dell’impugnazione. Fermo quanto precede, ritiene questa Corte che la grave situazione di salute di cui è stato vittima il legale di fiducia del ricorrente, pur se preesistente alla sua nomina, costituisca situazione di fatto immediatamente riconducibile alla nozione di forza maggiore che, di per sé, determina le condizioni per la nuova decorrenza dell’intero termine, ricorrendo il carattere dell’assolutezza del fattore esterno determinante e considerando altresì i ristrettissimi tempi residuati per proporre l’impugnazione tre giorni . Su questi presupposti fattuali, che rendono la situazione del tutto peculiare, appariva inesigibile da parte dell’imputato una costante verifica della circostanza se il suo difensore fosse stato o meno in grado di eseguire il suo mandato così come non poteva ritenersi che a carico del difensore, affetto da gravi patologie, sorgesse il dovere di informare, direttamente o per interposta persona, l’imputato della sua impossibilità, ovvero anche semplice difficoltà, ad adempiervi cfr., Sez. 2, n. 21726 del 17/04/2019, Iannotti, in fattispecie assimilabile alla presente . P.Q.M. Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata e dispone la restituzione del termine per proporre appello avverso la sentenza del Tribunale di Bologna n. 289/2019 del 17 gennaio 2019, decorrente dalla notifica del dispositivo della presente sentenza. Sentenza a motivazione semplificata.