Detenuto vuole incontrare la sorella disabile: permesso concesso solo con la scorta

Confermata in Cassazione la presa di posizione del Tribunale di sorveglianza. Irrilevante il fatto che l’uomo avesse già ottenuto altri permessi con modalità meno restrittive. Legittima la valutazione dei Giudici sulla pericolosità sociale del detenuto, condannato per alcuni omicidi di matrice camorristica.

Scorta obbligata e niente ritorno nella terra d’origine se il detenuto – condannato per omicidi di matrice camorristica – ha davvero desiderio di rivedere la sorella disabile. Irrilevante l’avere usufruito precedentemente di altri permessi con modalità meno restrittive Cassazione, sentenza n. 20728/20, sez. I Penale, depositata il 13 luglio . Concessa al detenuto – condannato per omicidi di matrice camorristica – la possibilità di recarsi in una ‘casa di accoglienza’ per incontrare per quattro ore la sorella disabile proveniente dalla Campania, a patto però che, tra l’altro, vi sia l’accompagnamento della scorta . Il permesso però non soddisfa l’uomo che prima si rivolge inutilmente al Tribunale di sorveglianza e poi alla Cassazione, dopo avere inviato al magistrato di sorveglianza la comunicazione che, in relazione alle modalità indicate nel provvedimento, egli rinunciava a fruire del permesso . Obiettivo del legale è mettere in discussione prescrizioni e modalità del permesso accordato al suo cliente. In particolare, l’avvocato spiega che il Tribunale di sorveglianza ha omesso di considerare che, in precedenza, il condannato aveva fruito di venticinque permessi, di cui soltanto cinque con la cautela della scorta , e che il magistrato di sorveglianza ha dato atto della assenza di collegamenti con la criminalità organizzata . Inoltre, le motivazioni dei provvedimenti concessivi dei ‘permessi’ che si erano susseguiti nel tempo avevano reputato non necessario l’accompagnamento della scorta proprio per i risultati positivi dell’osservazione, tali da far escludere ragionevolmente il pericolo di fuga , sicché è ingiustificata , secondo il legale, l’affermazione di accertata e immutata pericolosità sociale del detenuto, senza l’indicazione di elementi nuovi, se non l’apparente motivazione consistita nella valorizzazione della gravità dei reati commessi . In premessa viene chiarito che, come osservato da magistrato di sorveglianza e Tribunale di sorveglianza, nessun dubbio può nutrirsi circa le problematiche condizioni di salute della sorella del detenuto, accertate con documentazione medica della cui affidabilità non si ha ragione di dubitare, dopo che per anni sulla sua base sono stati concessi i precedenti ‘permessi di necessità’ . Invece i giudici di sorveglianza hanno sottolineato l’impossibilità di utilizzare il ‘permesso di necessità’ in funzione trattamentale, con l’effetto che non deve individuarsi alcun arretramento ‘securitario’ nella modificazione delle modalità di fruizione dello stesso ‘permesso’, dovendo, invece, condividersi la valutazione compiuta in ordine all’attuale pericolosità sociale del detenuto, pericolosità desumibile dai gravissimi reati da lui compiuti e dal fatto che, dall’inizio dell’esperienza inframuraria, egli, al di là della mancata collaborazione con la giustizia, non ha dato segni di aver reciso i legami con l’organizzazione criminale di appartenenza, in cui aveva operato a livello apicale . Per altro verso, il Tribunale ha rimarcato che nemmeno è risultata accertata l’impossibilità della sorella del detenuto di affrontare il viaggio necessario per giungere nel luogo individuato per l’incontro con la specifica finalità di evitarle lo stress emotivo del contatto con l’ambiente penitenziario . A fronte di questo quadro i giudici della Cassazione ritengono pretestuose le osservazioni critiche mosse dal detenuto tramite il proprio legale, alla luce di quello che è l’istituto del ‘permesso di necessità’ regolato dall’articolo 30 dell’ordinamento penitenziario . Innanzitutto, viene ricordato che il ‘permesso di necessità’ è un beneficio di eccezionale applicazione, rispondente a finalità di umanizzazione della pena, non un istituto di natura trattamentale, esso non può che essere concesso al verificarsi di situazioni di particolare gravità che hanno incisive ripercussioni nella sfera personale e familiare del detenuto, non anche in funzione dell’esigenza di attenuare l’isolamento del medesimo attraverso il mantenimento delle relazioni familiari e sociali . Ciò significa che assume determinante importanza nella configurazione della situazione di fatto legittimante il ‘permesso di necessità’ è la sua natura di evento non ordinario, del tutto al di fuori della quotidianità, per il suo intrinseco rilievo fattuale o per la sua incidenza nella vita del detenuto, sempre in relazione alla sua sfera familiare, con i conseguenti, incisivi riflessi sull’esperienza umana della detenzione carceraria . Dunque, esso costituisce uno strumento concretato da un ampliamento eccezionale delle possibilità di contatto del detenuto con persone estranee all’ambiente inframurario, ma da individuarsi nell’ambito esclusivamente familiare, senza interferenze con la finalità trattamentale . In questo caso, invece, il detenuto ha trascurato di considerare in modo adeguato l’assenza di finalità trattamentale nella funzione che connota il ‘permesso di necessità’ , osservano i giudici della Cassazione. Di conseguenza, è irrilevante è il riferimento ai permessi da lui conseguiti in tempo pregresso, quasi che l’ottenimento dell’ulteriore ‘permesso di necessità’, nelle forme da lui richieste, dovesse essere l’effetto del semplice esercizio di un diritto di insistenza al relativo conseguimento, con le modalità più ampie da lui prefigurate , ossia da un lato, con la possibilità di incontrare la sorella disabile in Campania e dall’altro, con l’esclusione della scorta . Infine, è corretto, spiegano dalla Cassazione, il riferimento dei giudici di sorveglianza alla persistente pericolosità del detenuto, riferimento connesso non soltanto alla gravità dei delitti il cui accertamento ha determinato la pena in esecuzione, ma anche al vissuto inframurario del condannato alla luce delle informazioni fornite dalla direzione dell’istituto penitenziario . Confermata, quindi, la legittimità della decisione del Tribunale di sorveglianza sulle modalità di strutturazione del permesso circa le prescrizioni della sua fruizione e la necessità della scorta , mentre è inutile il richiamo del detenuto ai ‘permessi’ conseguiti in precedenza per invocare la reiterazione delle medesime prescrizioni e modalità .

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 22 giugno – 13 luglio 2020, n. 20728 Presidente Di Tomassi – Relatore Siani Ritenuto in fatto 1. Con l'ordinanza in epigrafe, resa il 20 novembre 2019, il Tribunale di sorveglianza di Venezia ha rigettato il reclamo proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Padova e quello proposto da Ug. De Lu. avverso il provvedimento del 22 maggio 2019 con cui il Magistrato di sorveglianza di Padova aveva accordato a De Lu., detenuto nella Casa di reclusione di Padova, il permesso di recarsi in Padova, presso la Casa di accoglienza Piccoli passi , al fine di incontrare la sorella St. e gli altri familiari, per la durata di quattro ore esclusi i viaggi di andata e ritorno, con accompagnamento di scorta e con le altre prescrizioni specificate in atto. Il Tribunale di sorveglianza - premessa la carenza di titolo di De Lu. all'ammissione all'esperienza premiale, in quanto soggetto in espiazione della pena dell'ergastolo per la perpetrazione di tre omicidi in Napoli al fine di agevolare l'organizzazione camorristica Di La., a cui apparteneva, e richiamata l'analisi compiuta dal Magistrato di sorveglianza circa la ricorrenza delle condizioni stabilite dall'art. 30 Ord. pen. per la concessione del permesso di necessità in questa fattispecie, in ragione delle gravi problematiche di natura psichica da cui era affetta la congiunta - ha preso in esame le questioni proposte dal reclamo dell'Autorità requirente, secondo cui mancavano, nel caso in esame, i presupposti per la concessione del beneficio, essendo attrezzata, la Casa di reclusione di Padova, anche per i colloqui con persone che presentavano le problematiche evidenziate da St. De Lu., le cui condizioni patologiche avrebbero dovuto essere accertate da apposita perizia e la cui volontà di colloquiare con il congiunto, d'altronde, non era stata accertata, nonché le censure articolate dalla difesa del condannato, che riteneva inadeguato il permesso rilasciato, dopo un percorso che aveva già contemplato la concessione di permessi di necessità con possibilità del detenuto di recarsi anche in Campania per far visita ai familiari, ivi inclusa la sorella malata, sempre restando fuori dal contesto inerente alla sua originaria abitazione e al suo quartiere. All'esito della corrispondente disamina, il Tribunale ha concluso per l'infondatezza dell'uno e dell'altro reclamo. 2. Avverso questo provvedimento ha proposto ricorso il difensore di De Lu., dopo avere inviato al Magistrato di sorveglianza la comunicazione che, in relazione alle modalità indicate nel provvedimento, il detenuto rinunciava a fruire del permesso. Il ricorrente ha affidato l'impugnazione a un solo motivo con cui lamenta la mancanza e l'illogicità della motivazione con riferimento alle prescrizioni e alla modalità di fruizione del permesso accordato ai sensi dell'art. 30 Ord. pen., in relazione al disposto dell'art. 64 D.P.R. n. 230 del 2000. Secondo la difesa, il Tribunale, non facendo buon governo della disciplina suindicata, ha omesso di considerare che, in precedenza, il condannato aveva fruito di 25 permessi, di cui soltanto 5 con la cautela della scorta, e che lo stesso Magistrato di sorveglianza aveva dato atto, nel 2015, che De Lu. aveva ottenuto il provvedimento di declassificazione dalla categoria AS per assenza di collegamenti con la criminalità organizzata e aveva avanzato domanda ex art. 58-ter Ord. pen. Si è sottolineato, altresì, che le motivazioni dei provvedimenti concessivi dei permessi che, si erano susseguiti nel tempo avevano reputato non necessario l'accompagnamento della scorta proprio per i risultati positivi dell'osservazione, tali da far escludere ragionevolmente il pericolo di fuga, sicché si censura come ingiustificata l'affermazione di accertata e immutata pericolosità sociale del detenuto, senza l'indicazione di elementi nuovi, se non l'apparente motivazione consistita nella valorizzazione della gravità dei reati commessi. 3. Il Procuratore generale ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso, evidenziando che il permesso di necessità non ha natura trattamentale, sicché la prospettazione di una regressione rispetto allo stato del trattamento, da ricollegarsi alle modalità del permesso, non può essere utilmente avanzata, pure se dovessero porsi a confronto tali modalità con quelle contrassegnanti i. permessi precedenti, avendo d'altronde, il Tribunale, dato specifico conto delle ragioni poste alla base della valutazione di persistente pericolosità sociale di De Lu. e della concreta individuazione del luogo di incontro con la sorella St Considerato in diritto 1. L'impugnazione si appalesa infondata. 2. Si premette che il Tribunale è pervenuto all'esito indicato in parte narrativa condividendo, nella sostanza, il percorso logico disegnato dal Magistrato di sorveglianza e, per tale ragione, evidenziando anzitutto che nessun dubbio può nutrirsi circa le problematiche condizioni di salute di St. De Lu., accertate con documentazione medica della cui affidabilità non si ha ragione di dubitare, dopo che per anni sulla sua base sono stati concessi i precedenti permessi di necessità, potendo soltanto valutarsi se la cronicità delle affezioni che gravano la congiunta del detenuto avrebbero potuto, ma non era stata sollevata questione in merito, indurre a modificare le modalità della loro concessione, essendo per il resto ultroneo indagare sulla volontà della congiunta di incontrare il fratello. Con particolare riferimento al reclamo proposto dal condannato, i giudici di sorveglianza hanno sottolineato l'impossibilità di utilizzare il permesso di necessità in funzione trattamentale, con l'effetto che non deve individuarsi alcun arretramento securitario nella modificazione delle modalità di fruizione dello stesso, dovendo, invece, condividersi la valutazione compiuta dal primo giudice in ordine all'attuale pericolosità sociale di De Lu., desumibile dai gravissimi reati da lui compiuti e dal fatto che, dall'inizio dell'esperienza inframuraria, il condannato, al di là della mancata collaborazione con la giustizia, non ha dato segni di aver reciso i legami con l'organizzazione criminale di appartenenza, in cui aveva operato a livello apicale. Per altro verso, il Tribunale ha rimarcato che nemmeno è risultata accertata l'impossibilità della sorella del detenuto, St., di affrontare il viaggio necessario per giungere a Padova, nel luogo individuato per l'incontro con la specifica finalità, di evitare alla stessa lo stress emotivo del contatto con l'ambiente penitenziario. 3. Il tessuto argomentativo ora richiamato resiste alla critica svolta dal ricorrente, siccome esso si pone in linea con l'interpretazione dell'istituto del permesso di necessità regolato dall'art. 30 Ord. pen. e non evidenzia alcun vizio logico tale da metterne in crisi la linearità. 3.1. La norma, dopo aver contemplato al primo comma, i permessi in ipotesi di imminente pericolo di vita di un familiare o di un convivente del condannato oltre che dell'internato e dell'imputato , disciplina al comma successivo i permessi di necessità stabilendo che analoghi permessi possono essere concessi eccezionalmente per eventi familiari di particolare gravità. Si è evidenziato, in merito all'esegesi di questo istituto, che, ai fini della concessione del permesso di necessità previsto dall'art. 30, secondo comma, Ord. pen., devono sussistere i tre requisiti dell'eccezionalità della concessione, della particolare gravità dell'evento giustificativo e della correlazione dello stesso con la vita familiare, con la specificazione che il relativo accertamento deve essere compiuto tenendo conto dell'idoneità del fatto a incidere nella vicenda umana del detenuto Sez. 1, n. 15953 del 27/11/2015, dep. 2016, Vitale, Rv. 267210 . In coerente consecutio con la funzione rieducativa della pena e con le esigenze di rango costituzionale art. 27, terzo comma, Cost. di umanizzazione della pena stessa, si ritiene che primario, se non decisivo, rilievo è da annettersi - nella valutazione da compiersi nel contesto dei requisiti caratterizzanti l'evento che legittima la concessione del permesso di necessità - al contatto con i familiari e alla corrispondente salvaguardia dei legami emergenti come basilari per il condannato con la famiglia stessa. E, proprio perché il permesso di necessità è un beneficio di eccezionale applicazione, rispondente a finalità di umanizzazione della pena, non un istituto di natura trattamentale, esso non può che essere concesso al verificarsi di situazioni di particolare gravità che hanno incisive ripercussioni nella sfera personale e familiare del detenuto, non anche in funzione dell'esigenza di attenuare l'isolamento del medesimo attraverso il mantenimento delle relazioni familiari e sociali Sez. 1, n. 57813 del 04/10/2017, Graviano, Rv. 272400 v., poi Sez. 1, n. 56195 del 16/11/2018, Arena, Rv. 274655, per uno sviluppo costituito dalla precisazione che nella nozione di evento di particolare gravità di cui all'art. 30 cit. può rientrare anche la strutturazione progressiva di una condizione la quale, all'esito di un periodo sensibilmente lungo, si faccia apprezzare in termini di particolare gravità per la vita familiare del detenuto, in tale alveo essendosi ritenuta legittima la concessione del permesso fondata sull'assenza di visite dei familiari protrattasi per più di un biennio a causa di oggettive difficoltà dei medesimi di raggiungere il luogo in cui il congiunto era ristretto . 3.2. In definitiva, ciò che assume determinante importanza nella configurazione della situazione di fatto legittimante il permesso di necessità è la sua natura di evento non ordinario, del tutto al di fuori della quotidianità, per il suo intrinseco rilievo fattuale o per la sua incidenza nella vita del detenuto, sempre in relazione alla sua sfera familiare, con i conseguenti-, incisivi riflessi sull'esperienza umana della detenzione carceraria. Esso costituisce, dunque, uno strumento concretato da un ampliamento eccezionale delle possibilità di contatto del detenuto con persone estranee all'ambiente inframurario, ma da individuarsi nell'ambito esclusivamente familiare, senza interferenze con la finalità trattamentale Sez. 1, n. 45741 del 25/09/2019, Della Chiave, n. m. Sez. 1, n. 38220 del 01/04/2019, Ambruoso, Rv. 276846 . 4. Assodato quanto precede, emerge che il ricorrente, nell'articolare la suindicata doglianza, ha trascurato di considerare in modo adeguato l'assenza di finalità trattamentale nella funzione che connota il permesso di necessità. 4.1. Non fondato, in tal senso, è il riferimento ai permessi da lui conseguiti in tempo pregresso, quasi che l'ottenimento dell'ulteriore permesso di necessità, nelle forme da lui richieste, dovesse essere l'effetto del semplice esercizio di un diritto di insistenza al relativo conseguimento, con le modalità più ampie da lui prefigurate ossia, da un lato, con la possibilità di incontrare la sorella disabile in Napoli, e non in Padova, e, dall'altro, con l'esclusione della scorta. 4.2. Anche la contestazione dell'inquadramento della sua persistente pericolosità, inquadramento espresso dal Tribunale con riferimento, non soltanto alla gravità dei delitti il cui accertamento ha determinato la pena in esecuzione, ma anche al vissuto inframurario del condannato, per un verso, tende a una diversa interpretazione dei dati congruamente valutati dal giudice di merito e, per altro verso, non tiene conto che la valutazione compiuta si è inserita nel solco delle regole poste a presidio della corretta configurazione del quomodo del permesso stesso. L'art. 64 D.P.R. n. 230 del 2000, infatti, prescrive che, nel provvedimento di concessione, sono stabilite le opportune prescrizioni ed è, in ogni caso, specificato se il beneficiario del permesso deve o meno essere scortato per tutto o parte del tempo del permesso, avuto riguardo alla personalità del soggetto e all'indole del reato per il quale lo stesso è stato condannato, con possibilità per il giudice di acquisire le necessarie informazioni dalla direzione dell'istituto. D'altro canto - se per quanto concerne l'an del permesso di necessità lo spazio della valutazione giudiziale, a fronte dei rigidi vincoli posti dall'art. 30 Ord. pen., appare circoscritto alla verifica della sussistenza dei presupposti stabiliti dalla norma, pur con la considerazione di situazioni costituite dalla maturazione progressiva dell'evento familiare di particolare gravità legittimante la concessione di questo strumento di sostegno - appare innegabile che, per quanto concerne invece le modalità di strutturazione del permesso, circa le prescrizioni della sua fruizione e la necessità o meno della scorta, i giudici sorveglianza possiedono ampia discrezionalità in rapporto alla ponderazione degli indici suindicati tanto che, sullo specifico snodo, pur se con riferimento al regolamento di attuazione previgente, quello di cui al D.P.R. n. 431 del 1976, Sez. 1, n. 29372 del 27/06/2001, Sessa, Rv. 219440, ha ritenuto insindacabile l'opzione del magistrato di sorveglianza relativamente alle modalità del permesso concesso . Ed è evidente che siffatta ponderazione va compiuta dal magistrato di sorveglianza e, in caso di reclamo, dal tribunale di sorveglianza tenendo conto dei fattori delibabili al momento del rilascio del permesso e della conseguente configurazione delle modalità relative alla sua fruizione sicché, al di fuori di ogni prospettiva di. natura trattamentale, non appare congruente il richiamo operato da De Lu. ai premessi conseguiti in precedenza per invocare la reiterazione delle medesime prescrizioni e modalità. 4.3. Per il resto, l'affermazione che la congiunta disabile - per consentire il mantenimento del rapporto con la quale è stato concesso il permesso in questione con le prescrizioni contestate dal ricorrente - non potesse raggiungere il congiunto in Padova è restata allo stadio di deduzione priva di persuasiva dimostrazione. 5. Poste queste linee, è conseguente concludere nel senso che l'impugnazione ha svolto una censura che non è fondata per i riferimenti utilizzati al fine di sostenere l'addotta violazione di legge, che nemmeno ha prospettato una tesi accoglibile nella parte in cui ha tentato di accreditare un - non configurabile - status trattamentale consolidato sulle modalità dei permessi di necessità e che ha mosso contestazioni alla valutazione giudiziale della sua personalità come ancora connotata da pericolosità sociale contraddistinte da argomenti finalisticamente incongrui, oltre che debordanti nella disamina di merito. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato nel suo complesso. Ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., le spese processuali vanno poste a carico del ricorrente. 6. Secondo quanto stabilisce l'art. 52 d.lgs. n. 196 del 2003, deve disporsi in considerazione dell'oggetto dell'impugnazione, coinvolgente la relazione fra il condannato e la sua congiunta in condizione di disabilità, in guisa tale da esigere la corrispondente tutela che in caso di diffusione del presente provvedimento dovranno omettersi le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 D.Lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge.