La sentenza CEDU sul caso Contrada non si estende a casi analoghi

I principi affermati dalla sentenza della Corte EDU, sez. IV, 14 aprile 2015 n. 66655/13 c.d. sentenza Contrada , non si estendono nei confronti di coloro che, estranei a quel giudizio, si trovino nella medesima posizione quanto alla prevedibilità della condanna per il reato di concorso esterno in associazione a delinquere di tipo mafioso, in quanto la sentenza non è una sentenza pilota e non può considerarsi espressione di una giurisprudenza europea consolidata.

Lo ha ribadito la sesta sezione penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20572, depositata il 9 luglio 2020. I casi di revisione del processo penale. Diverse sono le ipotesi di revisione previste dal codice di procedura penale. Fra queste, più volte, in passato, la giurisprudenza di legittimità ha sottolineato la decisività della perizia ai fini della revisione del processo penale , a condizione del requisito di novità delle metodiche scientifiche poste alla base di essa. Parimenti, la Suprema Corte ha ribadito che, in tema di revisione, il concetto di inconciliabilità fra sentenze irrevocabili di cui all'art. 630 comma 1 lett. a c.p.p., non deve essere inteso in termini di contraddittorietà logica tra le valutazioni effettuate nelle due decisioni, ma con riferimento ad una oggettiva incompatibilità tra i fatti su cui si fondano le diverse sentenze. Perché la sentenza Contrada non costituisce un leading case? Secondo quanto stabilito dalle Sezioni Unite sentenza n. 8544/2019 , la sentenza Contrada si sviluppa mediante l'esame del caso specifico ed analizza l'imputazione elevata al ricorrente nel processo celebrato a suo carico, la linea di difesa adottata, le risposte giudiziarie ottenute ed i relativi percorsi giustificativi, incentrati sul tema della definizione giuridica del fatto e della sua prevedibilità. Esprime quindi il giudizio finale di violazione dell'art. 7 CEDU in termini strettamente individuali, ma senza specificare se la trasgressione rilevata riguardi il primo o il secondo periodo dell'art. 7, p. 1, ossia se risieda nell'accertamento in sè di responsabilità penale, oppure nel titolo e nella connessa punizione, come pare potersi dedurre dal seguente inciso conclusivo della motivazione, secondo cui Il ricorrente non poteva dunque conoscere nella fattispecie la pena in cui incorreva per la responsabilità penale derivante dagli atti da lui compiuti p. 74, cit. . Infine, la sentenza non è corredata da una qualsiasi indicazione in ordine ai rimedi adottabili, suscettibili di applicazione individuale a favore del ricorrente vittorioso, oppure generalizzata nei riguardi di soggetti protagonisti di casi identici o similari per prevenire il futuro ripetersi di violazioni analoghe a quella accertata. Ne discende che, ad avviso delle Sezioni Unite, la statuizione adottata nei confronti del ricorrente Contrada dalla Corte EDU non è vincolante per il giudice nazionale al di fuori dello specifico caso risolto e non consente di affermare in termini generalizzati l'imprevedibilità dell'incriminazione per concorso esterno in associazione mafiosa per tutti gli imputati italiani condannati per avere commesso fatti agevolativi di un siffatto organismo criminale, e che non abbiano adito la Corte Europea, ottenendo a loro volta una pronuncia favorevole. Il dictum della sentenza in commento. La sentenza in commento ha ribadito l’importante regola secondo cui, in tema di concorso esterno in associazione a delinquere di tipo mafioso , i principi enunciati dalla sentenza della Corte EDU, sez. IV, 14 aprile 2015 n. 66655/13, non si estendono a coloro che, pur trovandosi nella medesima posizione, non abbiano proposto ricorso in sede europea, in quanto la richiamata decisione del giudice sovranazionale non è una sentenza pilota e non può neppure ritenersi espressione di un orientamento consolidato della giurisprudenza europea. In altre parole, dal giudicato della Corte Europea nel caso Contrada non è possibile rintracciarvi contenuti che consentano di estrarvi, per espressa indicazione, oppure in base al complessivo percorso ermeneutico seguito, la individuazione di una fonte generale di violazione dei diritti individuali, garantiti dalla Convenzione.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 7 – 9 luglio 2020, n. 20572 Presidente Bricchetti – Relatore Aprile Ritenuto in fatto 1. Con l’ordinanza sopra indicata la Corte di appello di Messina dichiarava l’inammissibilità della istanza di revisione presentata da M.V. avverso la sentenza del 3 ottobre 2001, divenuta irrevocabile, con la quale la Corte di appello di Catania lo aveva condannato in relazione ai reati di cui agli artt. 319 c.p. capo a , 110 e 416 bis c.p. capo b . Rilevava la Corte messinese come nella fattispecie non vi fossero i presupposti per l’instaurazione di un giudizio di revisione di quella sentenza di condanna in base all’art. 630 c.p.p. - così come derivante dalla sentenza di accoglimento della Corte costituzionale a contenuto additivo n. 113 del 2011, con la quale è stata dichiarata la illegittimità di tale art. 630 c.p.p. nella parte in cui non prevede un diverso caso di revisione della sentenza o del decreto penale di condanna al fine di conseguire la riapertura del processo, quando ciò sia necessario, ai sensi dell’art. 46, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, per conformarsi ad una sentenza definitiva della Corte Europea dei diritti dell’uomo , in quanto la pronuncia della Corte di Strasburgo emessa il 2015 nel caso Contrada non è direttamente applicabile alla vicenda del M. , che del processo svoltosi dinanzi al giudice Europeo non è stato parte e che, comunque, il dictum di tale pronuncia della Corte Europea non sarebbe riferibile alla posizione del M. , condannato con decisione passata in giudicato per un concorso esterno in associazione mafiosa, ipotesi di reato ampiamente prevedibile nel periodo anteriore al 1993, oggetto di dell’imputazione. 2. Avverso tale ordinanza ha presentato ricorso il M. , con atto sottoscritto dal suo difensore, il quale, formalmente con cinque distinti punti, ha dedotto la violazione di legge, in relazione all’art. 117 Cost., artt. 46, 32, 13 e 14 CEDU, artt. 2, 24, 97 e 111 Cost., artt. 629 e 630 c.p.p., e vizio di motivazione, per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità, per avere la Corte territoriale erroneamente omesso di applicare la disciplina della c.d. revisione Europea, estendendo gli effetti della sentenza adottata dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo nel caso Contrada, avente un profilo generalista ed espressione di un orientamento consolidato, anche alla vicenda del ricorrente che, al pari di quell’altro condannato, si trovava al momento della commissione del fatto in una uguale situazione di deficit di prevedibilità, sicché non può oggi patire gli effetti di una irragionevole discriminazione, pena la violazione del diritto ad un ricorso effettivo ciò in attuazione di quanto previsto dal predetto art. 46 CEDU che, anche per l’interpretazione datane dalla giurisprudenza costituzionale, impone allo Stato membro di conformarsi alle decisioni della Corte di Strasburgo adottando le misure generali necessarie a prevenire nuove violazioni in situazioni analoghe e, comunque, in applicazione del principio generale secondo cui nessuno può essere punito per un fatto di reato ritenuto tale dalla elaborazione giurisprudenziale formatasi successivamente alla commissione di quel fatto. In via subordinata, il ricorrente ha chiesto rimettersi il ricorso alle Sezioni Unite della Cassazione allo scopo di consentire che tale Alto Consesso possa risolvere le esposte questioni, di particolare importanza e rilevanza, oggetto di un contrasto giurisprudenziale ovvero, in alterativa, sollevare una questione di legittimità costituzionale dell’art. 630 c.p.p., nella parte in cui non prevede che possa essere chiesta la revisione della sentenza o del decreto penale di condanna al fine di conseguire la riapertura del processo quando ciò sia necessario per conformarsi ad una sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo emessa nei confronti di un altro soggetto, che si trovi in condizioni identiche a quelle in cui versa l’istante. Tali doglianze sono state successivamente riprese nella memoria difensiva pervenuta nella cancelleria di questa Corte il 26 marzo 2019. 3. Con requisitoria scritta depositata il 26 febbraio 2019, il Sostituto Procuratore generale in sede ha chiesto il rigetto del ricorso. Considerato in diritto 1. Ritiene la Corte che il ricorso vada rigettato. 2. Come noto, sulle questioni oggetto del ricorso oggi in esame si sono recentemente pronunciate le Sezioni Unite di questa Corte, le quali hanno affermato che, in tema di concorso esterno in associazione a delinquere di tipo mafioso, i principi enunciati dalla sentenza della Corte EDU del 14 aprile 2015, Contrada c. Italia, non si estendono a coloro che, pur trovandosi nella medesima posizione, non abbiano proposto ricorso in sede Europea, in quanto la richiamata decisione del giudice sovranazionale non è una sentenza pilota e non può neppure ritenersi espressione di un orientamento consolidato della giurisprudenza Europea Sez. U, n. 8544 del 24/10/2019, dep. 2020, Genco, Rv. 278054 . In particolare, le Sezioni Unite hanno chiarito che l’anzidetta sentenza della Corte di Strasburgo non rientra nella categoria delle sentenze pilota, cioè di quelle decisioni che, a mente dell’art. 61 del regolamento CEDU, i giudici Europei possono emettere ove venga rilevata una violazione strutturale dell’ordinamento statale che sia stata causa della proposizione di una pluralità di ricorsi di identico contenuto, con l’indicazione alla Stato convenuto della natura della questione sistemica riscontrata e delle misure riparatorie da adottare a livello generalizzato per conformarsi al decisum della sentenza stessa con eventuale rinvio dell’esame di tutti i ricorsi e neppure rientri nella categoria delle sentenze c.d. a portata generale, vale a dire di quelle che, accertata la violazione di norme convenzionali in tema di diritti della persona, siano suscettibili di ripetersi con analoghi effetti pregiudizievoli nei riguardi di una pluralità di soggetti diversi dal ricorrente, ma versanti nella medesima condizione. In tale ottica, la motivazione della ordinanza emessa dalla Corte di appello di Messina sulla istanza di revisione a suo tempo proposta dall’odierno ricorrente pur adottata in un momento in cui vi erano ancora oscillazioni esegetiche risulta oggi in linea con le indicazioni interpretative offerte nella sentenza Genco delle Sezioni Unite, tenuto conto che nella pronuncia adottata dalla Corte di Strasburgo nel caso Contrada non è rinvenibile l’affermazione, esplicita e chiaramente rintracciabile dall’interprete, della natura generale della violazione riscontrata essa, al contrario, si sviluppa mediante l’esame del caso specifico ed analizza l’imputazione elevata al ricorrente nel processo celebrato a suo carico, la linea di difesa adottata, le risposte giudiziarie ottenute ed i relativi percorsi giustificativi, incentrati sul tema della definizione giuridica del fatto e della sua prevedibilità. Esprime quindi il giudizio finale di violazione dell’art. 7 CEDU in termini strettamente individuali, ma senza specificare se la trasgressione rilevata riguardi il primo o il secondo periodo dell’art. 7, § 1, ossia se risieda nell’accertamento in sé di responsabilità penale, oppure nel titolo e nella connessa punizione come pare potersi dedurre dal seguente inciso conclusivo della motivazione, secondo cui Il ricorrente non poteva dunque conoscere nella fattispecie la pena in cui incorreva per la responsabilità penale derivante dagli atti da lui compiuti § 74, cit. . Infine, va ribadito come la sentenza del giudice Europeo non sia corredata da una qualsiasi indicazione in ordine ai rimedi adottabili, suscettibili di applicazione individuale a favore del ricorrente vittorioso, oppure generalizzata nei riguardi di soggetti protagonisti di casi identici o similari per prevenire il futuro ripetersi di violazioni analoghe a quella accertata. È stata la stessa Corte Europea a richiamare tali ragioni nella successiva sentenza del 2016 riguardante il caso Dell’Utri, nella quale si è sottolineato come, pur evidenziando le criticità derivanti dalla tumultuosa evoluzione giurisprudenziale in tema di concorso esterno in associazione mafiosa non realizza , dovesse negarsi la sussistenza di una considerazione generalizzata di illegittimità convenzionale di qualsiasi affermazione di responsabilità, per fatti antecedenti al 1994, divenuta irrevocabile , non essendo rinvenibile nella giurisprudenza Europea una univoca e costante impostazione interpretativa ed applicativa dei concetti di accessibilità e prevedibilità del diritto penale, intesi quale possibilità materiale per il cittadino di prendere anticipata conoscenza del comando normativo penale e precognizione delle conseguenze punitive in caso di sua trasgressione, entrambi requisiti qualitativi del principio di legalità In numerose pronunce, sia precedenti, che successive a quella resa nei confronti del Contrada, è accolta la concezione soggettiva della prevedibilità, apprezzata in riferimento ad attività professionali, qualifiche ed esperienze individuali, dalle quali si è ricostruito il dovere per l’imputato, nonché la materiale possibilità, di conoscere l’illiceità penale dei comportamenti che aveva in animo di tenere, nonostante la relativa proibizione non fosse stata ancora trasfusa in un testo normativo o non fosse stata oggetto di precedenti interpretazioni giudiziali Corte EDU, 01/09/2016, X e Y c. Francia 6/10/2011, Soros c. Francia 10/10/2006, Pessino c. Francia 28/03/1990, Groppera Radio AG c. Svizzera . In altre situazioni la Corte Europea ha fatto ricorso non al patrimonio di conoscenze personali del soggetto giudicato, ma al dato formale del contenuto precettivo della legge, puntuale e determinato, e dell’interpretazione giudiziale già formatasi in precedenza Corte EDU, 26/04/1979, Sunday Times c. Regno Unito 25/05/1993, Kokkinakis c. Grecia GC, 15/11/1996, Cantoni c. Francia GC, 21/10/2013, Del Rio Prada c. Spagna . In altre ancora è stata oggetto di valutazione l’evoluzione della considerazione sociale del comportamento come antigiuridico, ritenendo prevedibile l’incriminazione persino se in contrasto con un testo normativo dal tenore liberatorio e pur in assenza di indicatori orientativi oggettivi Corte EDU, 22/11/1995, S.W. c. Regno Unito e C.R. c. Regno Unito 24/05/1988, Muller c. Svizzera . Con la conseguenza - nel caso di specie pienamente rispettata dai giudici del merito - che la statuizione adottata nei confronti del ricorrente Contrada dalla Corte EDU non è vincolante per il giudice nazionale al di fuori dello specifico caso risolto e non consente di affermare in termini generalizzati l’imprevedibilità dell’incriminazione per concorso esterno in associazione mafiosa per tutti gli imputati italiani condannati per avere commesso fatti agevolativi di un siffatto organismo criminale prima della sentenza Demitry e che non abbiano adito la Corte Europea, ottenendo a loro volta una pronuncia favorevole. Ciò anche tenuto conto che è singolare e non rispondente al reale contenuto delle decisioni adottate nel panorama giurisprudenziale interno sul tema del concorso esterno in associazione mafiosa, intervenute prima del 1994, l’affermazione circa la creazione giurisprudenziale della fattispecie. La configurabilità come reato del concorso esterno in associazione mafiosa non è stato l’esito di operazioni ermeneutiche originali e svincolate dal dato normativo, operate dalla giurisprudenza di legittimità ex abrupto in termini innovativi rispetto allo spettro delle soluzioni praticabili già affermate al contrario, discende dall’applicazione in combinazione di due disposizioni già esistenti nel sistema codicistico della legge scritta, pubblicata ed accessibile a chiunque, ossia degli artt. 110 e 416-bis c.p., la prima norma generale sul concorso di persone, la seconda avente funzione più specificamente incriminatrice . I contrasti interpretativi sorti al riguardo non avevano pregiudicato la possibilità di comprendere e conoscere la possibile punizione per le condotte agevolatrici o di rafforzamento di una formazione di stampo mafioso, ritenute integrare la fattispecie del concorso esterno, ma al contrario costituivano il fondamento giuridico di un dovere di informazione mediante qualsiasi utile accertamento, e, nella persistenza dell’incertezza, di astensione in via prudenziale e precauzionale dalla commissione di comportamenti, che vi era il rischio incorressero nella contestazione dello stesso reato . 3. Escluso che vi siano le condizioni per portare nuovamente le questioni in argomento all’attenzione delle Sezioni Unite, va pure disattesa la sollecitazione della difesa a sollevare una questione di legittimità costituzionale della norma contenuta nell’art. 630 c.p.p., interpretata nei termini innanzi esposti. Si tratta, infatti, di questione che appare manifestamente infondata, avendo già avuto la Corte costituzionale modo di puntualizzare che, nei rapporti tra giudice Europeo e giudice interno, hanno valore vincolante e fondante l’obbligo conformativo per lo Stato condannato nel giudizio celebrato dinanzi la Corte sovranazionale solamente le statuizioni contenute in sentenze pilota ovvero in quelle che tendano ad assumere un valore generale e di principio Corte Cost., sent. n. 236 del 2011 sent. n. 49 del 2015 . Negli altri casi, si è precisato, il giudice comune non resta relegato nella posizione di mero esecutore o di recettore passivo del comando contenuto nella pronuncia del giudice Europeo, poiché una tale subordinazione finirebbe per violare la funzione assegnatagli dall’art. 101 Cost., comma 2, ed eludere il principio che ne prevede la soggezione soltanto alla legge e non ad altra fonte autoritativa il giudice nazionale dispone quindi di un margine di apprezzamento del significato e delle conseguenze della pronuncia della Corte EDU, purché ne rispetti la sostanza e la stessa esprima una decisione che si collochi nell’ambito del diritto consolidato e dell’uniformità dei precedenti, mentre nessun obbligo esiste in tal senso, a fronte di pronunce che non siano espressive di un orientamento oramai divenuto definitivo Corte Cost., sent. n. 236 del 2011 e n. 311 del 2009 . Altri casi nei quali il giudice comune resta svincolato dal dovere di osservanza della linea interpretativa adottata dalla Corte EDU nella risoluzione della singola fattispecie concreta sent. n. 49/2015 . 4. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.