Affidamento in prova terapeutico: il giudice deve escludere il pericolo di recidiva del condannato

Al fine della concessione della misura dell’affidamento in prova terapeutico, il giudice deve condurre una valutazione sul probabile conseguimento delle finalità del programma proposto, prendendo in esame non solo l’astratta attitudine del trattamento a realizzare il reinserimento del condannato ma anche la concreta possibilità che egli riesca a contenere e a controbilanciare la sua pericolosità sociale.

Lo ha chiarito la Cassazione con sentenza n. 20104/20 depositata il 7 luglio. Il Tribunale di Sorveglianza rigettava l’istanza di ammissione all’affidamento in prova terapeutico del detenuto, in quanto soggetto dotato di consistente pericolosità sociale . Avverso tale decisione, il detenuto ha proposto ricorso per cassazione. Nell’esaminare il ricorso, la Suprema Corte ha innanzitutto ricordato che la pericolosità sociale e il rischio di recidiva rendono inidonea allo scopo la misura dell’affidamento terapeutico nei confronti della persona tossicodipendente o alcoldipendente . In particolare, l’ art. 94, comma 4, d.P.R. n. 309/1990 , a seguito delle modifiche introdotte dalla l. n. 49/2006, prevede espressamente che il programma di recupero debba assicurare la prevenzione dei reati, nella logica che impone al giudice di valutare la pericolosità del condannato, la sua attitudine a intraprendere positivamente un trattamento, al fine di garantire un effettivo reinserimento nel consorzio civile . Tuttavia, il giudizio di idoneità del programma terapeutico non vincola il giudice , che resta soggetto alla sola legge e non anche agli atti della P.A. così che egli possa condurre una valutazione sul probabile conseguimento delle finalità del programma proposto, prendendo in esame non solo l’astratta attitudine del trattamento a realizzare il reinserimento nella società ma anche la concreta possibilità che esso riesca a contenere e a controbilanciare la pericolosità del condannato. Nella fattispecie in esame, il Tribunale di Sorveglianza ha valutato negativamente la posizione del detenuto, fornendo una motivazione immune da vizi e argomentazioni esaustive, oltre che logiche e prive di contraddittorietà. Pertanto, la Cassazione ha dichiarato il ricorso del detenuto inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 22 giugno – 7 luglio 2020, n. 20104 Presidente Di Tomassi – Relatore Aliffi Ritenuto in fatto Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di sorveglianza di Milano ha rigettato l’istanza di ammissione alla misura alternativa dell’affidamento in prova terapeutico di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 94 proposta dal detenuto A.M. , in quanto soggetto dotato di consistente pericolosità sociale, tale da rendere il beneficio richiesto inidoneo ad assicurare la prevenzione del pericolo che egli commetta altri atti illeciti penalmente rilevanti. 2. Avverso il provvedimento ha proposto ricorso per cassazione l’A. , per mezzo del difensore di fiducia, avv. Camillo Bongiorni, denunziando, quale unico motivo di impugnazione, violazione di regge in riferimento al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 94 nonché vizio di motivazione e mancata valutazione di prove decisive. Secondo il ricorrente, il Tribunale, pur avendo dato atto di tutte le circostanze favorevoli dedotte nell’istanza ed in particolare del giudizio positivo espresso nella relazione di sintesi in considerazione della positiva evoluzione della sua personalità e l’idoneo contesto familiare, ha incongruamente fondato la decisione di rigetto solo sulla pendenza di altro procedimento penale per reati commessi dall’A. in epoca precedente o contigua rispetto a quello oggetto del sentenza in esecuzione senza adeguatamente valutare il fruttuoso percorso di resipiscenza già avviato. Considerato in diritto 1, In premessa va ricordato che è pacifico il principio secondo cui la pericolosità sociale e il rischio di recidiva rendono inidonea allo scopo la misura dell’affidamento terapeutico nei confronti di persona tossicodipendente o alcoldipendente. A seguito delle modiche introdotte dalla L. n. 49 del 2006, il comma 4 prevista dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 94 prevede espressamente che il programma di recupero debba assicurare la prevenzione dei reati, nella logica che impone al giudice di valutare la pericolosità del condannato, la sua attitudine a intraprendere positivamente un trattamento, al fine di garantire un effettivo reinserimento nel consorzio civile cfr. Sez. 1, n. 15963 del 21/03/2013 P.G. in proc. Inerte, Rv. 255690 Sez. 1, n. 48041 del 09/10/2018, Massimino, Rv. 274665 . Il giudizio di idoneità del programma terapeutico non vincola, d’altro canto, il giudice che è soggetto solo alla legge e non anche agli atti della pubblica amministrazione egli, pertanto, deve compiere una complessa valutazione sul probabile conseguimento delle finalità del programma proposto prendendo in esame non solo l’astratta attitudine del trattamento a realizzare il reinserimento nella società ma anche la concreta possibilità che esso riesca a contenere e a controbilanciare la pericolosità del condannato Sez. 1, n. 23343 del 23/03/2017, Arzu, Rv. 270016 Sez. 1, n. 53761 del 22/09/2014, Palena, Rv. 261982 . Anche la Corte Costituzionale, con sentenza 5 dicembre 1997, n. 377, ha chiarito che la ratio dell’affidamento terapeutico è quella di perseguire la cura del soggetto, per cui il programma di recupero assume un ruolo di centralità nella applicazione della misura, vista nell’ottica di un affrancamento del soggetto stesso dalla droga e/o dall’alcool ovvero dal mondo della devianza. A fronte, però, di una valutazione di serio pericolo di recidiva del condannato, ben può ritenersi insufficiente il solo programma terapeutico, posto che la riuscita del progetto di recupero dipende dalla collaborazione dell’interessato, negata dalla condizione di persona pericolosa e dagli indici sintomatici che emergano nella specifica vicenda all’esame del giudice. 3 1.2. Attenendosi a tali principi, il Tribunale di sorveglianza, con motivazione immune da vizi, ha valutato negativamente, con argomentazioni esaustive e logiche, prive di contraddittorietà, la posizione dell’A. evidenziando come lo stesso, nonostante la condotta regolare tenuta durante la recente detenzione anche domiciliare, il rafforzamento della consapevolezza rispetto ai meccanismi delle dipendenze e delle connesse problematiche e, infine, il parere favorevole espresso della equipe, aveva dato dimostrazione di una rilevante capacità di commettere gravi reati fino ad epoca recente e contigua ai reati oggetto della condanna ricettazione, utilizzo indebito di carte di credito, furto in appartamento aggravato, commessi con recidiva qualificata dal 12.6.2013 al 3.5.2017 , in adesione ad una spinta recidivante non controllabile attraverso l’esecuzione del programma in atto. L’A. , infatti, era stato sottoposto a misura cautelare, confermata anche in sede di riesame, perché gravemente indiziato della consumazione fino al 2017 di ben ventinove reati, anche della stessa specie di quelli accertati dal giudice della cognizione. Rispetto a detto dato fattuale, valutato in ragione della sua pregnanza e significatività, prevalente su quelli di segno contrario, non ignorati ma espressamente presi in esame, il ricorso nulla di concreto oppone, limitandosi a sollecitare un nuovo e diverso apprezzamento di merito estraneo al giudizio di legittimità. 3. Alla luce di quanto premesso il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. 4. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuale e della somma di Euro tremila alla Cassa delle Ammende non ricorrendo ipotesi di esonero. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.