Inapplicabilità della causa di non punibilità per tenuità del fatto al reato di resistenza a pubblico ufficiale: la questione alla Consulta

Va sollevata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 16, comma 1, lett. b , d.l. 14 giugno 2019, n. 53, come convertito con modificazioni nella l. 8 agosto 2019, n. 77, nella parte in cui, modificando l’art. 131-bis, comma 2, c.p., prevede che l’offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità nel caso di cui all’art. 337 c.p., quando il reato è commesso nei confronti di un pubblico ufficiale nell’esercizio delle proprie funzioni, per violazione degli artt. 3, 25 comma 2, 27, commi 1 e 3, 77 Cost

È quanto ha ritenuto la sezione penale della Tribunale di Torre Annunziata, con la ordinanza n. 2681/19 del 16 giugno 2020. Rissa, male interpretata”. Nel caso di specie, un giovane coinvolto in una rissa, raggiunto dalle forze dell’ordine, ha iniziato ad inveire contro gli agenti, aggredendoli ed insultandoli fino ad essere trasportato in caserma. Secondo la difesa, l’arrestato si sarebbe reso autore delle violenze contro gli agenti siccome costoro, anziché prendersela con la controparte della rissa assunto il responsabile del litigio , avrebbero - ingiustamente ed esclusivamente - concentrato l’attenzione contenitiva nei suoi confronti. In occasione del giudizio direttissimo celebrato in relazione al reato di resistenza a pubblico ufficiale art. 337 c.p. - domandato il rito abbreviato - il Tribunale ha ritenuto sussistenti gli indici-criteri della particolare tenuità dell’offesa e della non abitualità del comportamento richiesti dall’art. 131-bis c.p., tanto ai fini del riconoscimento della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto ivi prevista. Particolare tenuità del fatto causa di non punibilità inibita. Nondimeno, il Tribunale ha osservato come l’applicazione della causa di non punibilità richiamata al caso concreto fosse preclusa dalla previsione dell’art. 131-bis, comma 2, c.p., come modificato da ultimo dall’art. 16, comma 1, lett. b del d.l. 14 giugno 2019, n. 53, convertito con modificazioni nella legge 8 agosto 2019, n. 77, nella parte in cui prevede che L’offesa non può altresì essere ritenuta di particolare tenuità nei casi di cui agli articoli 337 quando il reato è commesso nei confronti di un pubblico ufficiale nell’esercizio delle proprie funzioni . Ebbene, secondo il Tribunale, la disposizione, ostando - in radice - alla possibilità che il giudice consideri l’offesa arrecata in concreto da un fatto-reato sussumibile nella fattispecie inter alia di cui all’art. 337 c.p., avrebbe introdotto una presunzione assoluta di non particolare tenuità dell’offesa ulteriore rispetto a quelle già previste al comma 2 dell’art. 131-bis c.p., allorché tale reato sia commesso nei confronti di un pubblico ufficiale resta ferma, dunque, la possibilità di tale configurazione nel caso di incaricato di pubblico servizio . Presunzione assoluta illegittima è questione di legittimità costituzionale. In altri termini – nelle parole del Tribunale – con tale disposizione il legislatore ha inteso privare il giudice di ogni margine di discrezionalità nella valutazione dell’offesa, impedendogli, sempre e in ogni caso, di ritenere di particolare tenuità l’offesa arrecata dal delitto di cui all’art. 337 c.p., commesso nei confronti di un pubblico ufficiale, in ogni sua possibile modalità concreta di manifestazione . Data la rilevanza della norma nel caso esaminato, il Tribunale ha dunque ritenuto di sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 16, comma 1, lett. b , cit. nella parte in cui, modificando l’art. 131-bis, comma 2, c.p., prevede che l’offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità nel caso di cui all’art. 337 c.p., quando il reato è commesso nei confronti di un pubblico ufficiale nell’esercizio delle proprie funzioni. Nell’opinione del giudice a quo, invero la previsione risulterebbe lesiva, in primo luogo, dell’art. 77 Cost., a fronte dell’assunto superamento dei limiti di emendabilità del decreto legge ad opera della legge di conversione i.e., in estrema sintesi, la legge di conversione si sarebbe eccessivamente defilata dal contenuto originario del decreto legge a monte . Il Tribunale ha altresì ritenuto che la presunzione assoluta di non particolare tenuità dell’offesa nel caso di delitto di resistenza a pubblico ufficiale, prevista dall’art. 131-bis, comma 2, c.p., risulti contraria ai principi di uguaglianza, ragionevolezza e proporzionalità art. 3 Cost. , di responsabilità per il fatto e personalità della responsabilità penale artt. 25, comma 2 e 27, comma 1, Cost. e della finalità rieducativa della pena art. 27, comma 3 Cost. . Fonte ilpenalista.it

Tribunale di Torre Annunziata, sez. Penale, ordinanza 16 giugno 2020 Giudice Contieri Nel giudizio penale a carico di omissis , nato a omissis , luogo del domicilio dichiarato Libero – già presente difeso di fiducia dall’avv. Antonio De Martino del foro di Torre Annunziata IMPUTATO per il reato di cui all’art. 337 c.p., perché, a fronte dell’intervento di personale della locale Polizia Municipale e, precisamente, degli agenti omissis , omissis e omissis , e dell’assistente capo omissis , accorsi presso il bar Viviani, sito a omissis , in quanto era stata segnalata una lite, nonché del successivo intervento di personale della locale Compagnia dei carabinieri, per opporsi ad essi mentre compivano un atto del loro ufficio consistente negli accertamenti in ordine alla cennata lite*, ripettivamente, nel riportarlo alla calma atteso che stava inveendo contro due persone e contro gli stessi vigili urbani, usava minaccia profferendo reiteratamente all’indirizzo di questi ultimi le seguenti parole Andate via, non è successo nulla. Ve ne dovete andare tuttiTe schiatto ‘a capa si nun te ne vajeo schiattemi se tien ‘e palle”, per poi afferrare due bottiglie di birra rompendole e puntando i cocci contro gli stessi vigili urbani, dicendo ancora che dovevano andare tutti via, finché, sopraggiunto il brigadiere dei carabinieri omissis , lo minacciava dicendogli che si doveva allontanare altrimenti gliel’avrebbe fatta pagare ed usava violenza contro di lui strattonandolo più volte fino a rovinare a terra entrambi, ed ancora, una volta rialzato, usava ulteriore violenza contro gli operanti sferrando calci in Castellammare di Stabia, il 1 novembre 2019 * parola così sostituita dal Pubblico Ministero, in luogo della precedente rissa”, all’udienza del 2 novembre 2019 . per sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 16, comma 1, lett. b del decreto-legge 14 giugno 2019, n. 53, come convertito con modificazioni nella legge 8 agosto 2019, n. 77, nella parte in cui, modificando l’art. 131-bis, comma 2, c.p., prevede che l’offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità nel caso di cui all’art. 337 c.p., quando il reato è commesso nei confronti di un pubblico ufficiale nell’esercizio delle proprie funzioni, per violazione degli artt. 3, 25 comma 2, 27, commi 1 e 3, 77 Cost. 1. Svolgimento del processo All’udienza del 2 novembre 2019 omissis è stato presentato in stato di arresto da personale della Compagnia dei Carabinieri di Castellammare di Stabia per la convalida ed il contestuale giudizio direttissimo, sulla base della contestazione formulata dal Pubblico Ministero. Sentita la relazione orale dell’agente di polizia giudiziaria che aveva proceduto all’arresto, sentito l’arrestato, il Giudice ha convalidato l’arresto e ha rigettato la richiesta di misura cautelare formulata dal Pubblico Ministero per carenza di esigenze cautelari. Dopo la convalida, il Giudice ha quindi disposto procedersi al giudizio direttissimo, avvisando l’imputato della facoltà di chiedere la definizione del giudizio con un rito alternativo, salva in ogni caso la facoltà di chiedere un termine a difesa. L’imputato, assistito dal proprio difensore, ha chiesto un termine a difesa. Alla successiva udienza del 10 dicembre 2019 il difensore, munito di procura speciale, ha chiesto la definizione del giudizio nelle forme del rito abbreviato. Il Tribunale ha ammesso il rito, ha acquisito il fascicolo del Pubblico Ministero e ha rinviato per la discussione. L’udienza del 3 marzo 2020, fissata per la discussione, è stata rinviata d’ufficio, su disposizione della Presidenza del Tribunale, per ragioni di sanità pubblica quella successiva, fissata per il 3 aprile 2020, è stata rinviata ai sensi dell’art. 83 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18. All’udienza del 16 giugno 2020 il Tribunale ha invitato le parti a formulare le rispettive conclusioni e si è ritirato in camera di consiglio. All’esito della stessa, prima di pronunciarsi nel merito dell’imputazione, ritiene il Tribunale di dover sollevare d’ufficio la questione di legittimità costituzionale che di seguito si esporrà, e dunque sospendere il procedimento e trasmettere gli atti alla Corte costituzionale per la sua risoluzione. 2. La rilevanza della questione 2.1. Il fatto storico Dagli atti contenuti nel fascicolo del Pubblico Ministero e da quelli inerenti all’udienza di convalida, utilizzabili ai fini della decisione in virtù del rito prescelto dall’imputato, il fatto sottoposto al vaglio di questo Tribunale deve essere ricostruito nei termini che seguono. In data 1 novembre 2019, alle ore 20,25 circa, personale della Polizia Municipale di Castellammare di Stabia, nel transitare al Corso Vittorio Emanuele della medesima città a bordo di un’auto di servizio, fu avvicinato da un uomo, il quale riferì che, all’interno del bar Viviani”, poco distante, era in corso una rissa. Una volta entrati nel bar, gli agenti tuttavia trovarono soltanto il barista e un ragazzo – poi identificato nell’odierno imputato omissis – che, con escoriazioni ed ecchimosi al volto, camminava nervosamente in evidente stato di agitazione. Quindi, gli operatori gli si avvicinarono per chiedergli cosa fosse successo, ma il omissis , con modi bruschi, intimò loro di andare via infastidito dall’insistenza dei vigili urbani, egli li minacciò dicendo reiteratamente andate via, non è successo nulla e ve ne dovete andare tuttite schiatto ‘a capa si nun te ne vajeo schiatteme si tien’ ‘e ppalle” quindi, prese dal frigorifero due bottiglie di birra, le ruppe privandole del fondo, e le agitò all’indirizzo degli operanti, continuando a minacciarli con analoghe espressioni. Quindi, riuscito ad uscire dal bar, sempre con le bottiglie in mano, inveì contro i numerosi presenti, inclusi alcuni suoi parenti che nel frattempo erano accorsi e avevano provato ad invitarlo alla calma, per poi lanciare in aria due sedie e i cocci delle bottiglie che aveva in mano. In quel frangente giunse una volante della Compagnia dei Carabinieri di Castellammare di Stabia, chiamata in ausilio, e composta dall’App. omissis e dal Brig. omissis . Poiché, peraltro, vi era molto traffico, l’ omissis rimase in auto, e il omissis si incamminò a piedi una volta giunto al bar Viviani”, egli notò il omissis in stato di forte agitazione che inveiva all’indirizzo degli astanti che provavano a calmarlo. Quindi, il omissis gli si avvicinò e provò a bloccarlo, ma il omissis dapprima gli intimò di allontanarsi, minacciandolo che altrimenti ‘gliel’avrebbe fatta pagare’, e poi, una volta che il omissis lo ebbe immobilizzato, lo spinse e lo strattonò, sicché entrambi caddero a terra. In quel momento sopraggiunse l’App. omissis a bordo dell’auto di servizio, insieme con due operatori del reparto motociclisti della Polizia Municipale tutti insieme riuscirono a bloccare ed ammanettare il omissis , nonostante questi sferrasse calci all’indirizzo degli operanti per sottrarsi alla presa. Il omissis fu dunque portato presso gli Uffici della Compagnia per l’identificazione, ove si calmò immediatamente e mostrò un atteggiamento ampiamente collaborativo fu accertato che lo stesso era sottoposto alla misura alternativa dell’affidamento in prova ai servizi sociali, e fu arrestato per il reato di cui all’art. 337 c.p. Il barista omissis , in sede di sommarie informazioni, oltre a confermare la versione dell’accaduto riversata negli atti di polizia giudiziaria, ha dichiarato che l’intervento dei vigili urbani era stato determinato dal fatto che tra il omissis – da lui conosciuto soltanto di vista – e un altro uomo che, insieme alla propria moglie, si trovava all’esterno del bar, era scoppiata all’improvviso un’animata e turbolenta discussione. Il omissis , sottopostosi ad interrogatorio, ha ammesso pienamente gli addebiti, confermando la versione resa dagli operanti di polizia giudiziaria e il diverbio occorso con l’uomo e la donna all’esterno del bar poco prima dell’intervento dei vigili. Egli ha peraltro spiegato che la sua veemente e spropositata reazione nei confronti della polizia giudiziaria intervenuta era stata determinata dalla rabbia di essersi sentito ingiustamente accusato ed ‘etichettato’, dal momento che i vigili avevano concentrato la loro attenzione esclusivamente su di lui, tentando di fermarlo e immobilizzarlo, soltanto in ragione di un pregiudizio personale, ma non avevano fatto altrettanto nei confronti dell’uomo con cui aveva avuto poco prima la discussione, che era oltretutto sfociata in un’aggressione fisica reciproca, tant’è che lui stesso aveva riportato ecchimosi e tumefazioni in volto. 2.2. La qualificazione giuridica del fatto ai sensi della fattispecie di cui all’art. 337 c.p. Ritiene il Tribunale che il fatto, così come ricostruito, sia pienamente sussumibile nella fattispecie incriminatrice di cui all’art. 337 c.p. ipotizzata dall’Ufficio del Pubblico Ministero. Quanto alla fattispecie oggettiva del delitto in questione, non vi è dubbio che la frase te schiatto ‘a capa si nun te ne vaje”, proferita all’indirizzo degli agenti della polizia municipale intervenuti per sedare la lite, e quella ‘te la faccio pagare’, indirizzata al Brig. dei Carabinieri omissis pubblici ufficiali nell’esercizio delle proprie funzioni ai sensi dell’art. 357 c.p. siano da qualificarsi quali minacce né vi è dubbio che tali espressioni, per essere state proferite in una situazione di eccezionale concitazione da una persona evidentemente e particolarmente agitata e quantomeno in apparenza violenta benché caratterizzate, come subito si dirà, da modestissimo rilievo offensivo fossero dotate di quel sufficiente grado di credibilità e serietà da rientrare nella nozione di minaccia penalmente rilevante sul punto cfr., ex multis, Cass. pen., sez. 2, sentenza n. 21974/2017 al contempo risulta parimenti provato che il omissis abbia poco dopo strattonato e spintonato il Brig. omissis , atti senz’altro qualificabili in termini di violenza sia pur anch’essi di modestissima entità . Tali minacce e violenze sono state inoltre poste in essere all’indirizzo dei suddetti pubblici ufficiali mentre essi compievano atti del loro ufficio, consistenti nel cercare di riportarlo alla calma e di porre fine al suo stato di agitazione, nell’accertare quanto accaduto poco prima relativamente alla lite segnalata e nell’identificare le persone coinvolte, anche al fine di acquisire eventuali notizie di reato e compiere gli adempimenti conseguenti, ai sensi degli artt. 55 e 347 c.p.p. Sussiste, infine, anche una concreta offesa ai beni giuridici tutelati dalla fattispecie incriminatrice in questione, atteso che le condotte del omissis hanno compresso, sia pure per un ristrettissimo lasso temporale, il regolare e sereno esercizio della funzione pubblica svolta dai pubblici ufficiali destinatari della condotta su tale bene giuridico quale oggetto di tutela del delitto di cui all’art. 337 c.p. cfr. Cass. pen., Sez. Un., sentenza n. 40981/2018 , ritardando, seppur di poco, e rendendo più gravoso il compimento degli atti del loro ufficio e ciò mediante la coartazione, sia pur momentanea, di quella libera autodeterminazione delle persone fisiche preposte all’esercizio della pubblica funzione di polizia di prevenzione e, al contempo, di polizia giudiziaria , che del regolare funzionamento della pubblica amministrazione costituisce parte integrante ancora, in termini, Cass. pen., Sez. Un., sez. ult. cit. . Quanto alla fattispecie soggettiva, sussiste il dolo specifico richiesto, giacché il omissis non soltanto era pienamente consapevole della qualità di pubblici ufficiali degli operanti, che erano in divisa, ma ha anche volontariamente agito – come già detto – al precipuo fine di opporsi ai loro atti. Dagli atti utilizzabili ai fini della decisione non emerge, infine, che il descritto comportamento abbia costituito una reazione ad eventuali atti arbitrari degli stessi pubblici ufficiali, sicché non sussistono i presupposti per la riconduzione dello stesso nell’alveo dell’esimente di cui all’art. 393-bis c.p. Osserva inoltre il Tribunale che, pur potendosi considerare unica l’azione posta in essere dal omissis in ragione dell’omogeneità degli atti, dell’unicità di contesto spazio-temporale in cui gli stessi sono stati posti in essere e del fine perseguito dall’agente cfr., proprio in tema di resistenza a pubblico ufficiale, Cass. pen., Sez. Un., sentenza n. 40981/2018, in cui, aderendo alla tesi dottrinale del concetto ‘normativo-sociale’ di azione, si afferma che Nel concetto di azione unica vanno ricompresi tanto i casi in cui l'azione si risolva in un atto unico conforme alla condotta normativamente prevista , quanto i casi in cui l'azione si realizzi attraverso il compimento di una pluralità di atti” che siano contestuali nello spazio e nel tempo ed abbiano fine unico” , due devono ritenersi i fatti-reato configurabili nella specie, e al di là dell’irrilevante impiego del sostantivo reato” al singolare anziché al plurale in fatto descritti nella complessa imputazione formulata dall’Ufficio del Pubblico Ministero infatti, come affermato dalle Sezioni Unite della Cassazione, con decisione pienamente condivisa dal Tribunale, In tema di resistenza a pubblico ufficiale, integra un concorso formale di reati, a norma dell'art. 81, comma primo, cod. pen., la condotta di chi, nel medesimo contesto fattuale, usa violenza o minaccia per opporsi a più pubblici ufficiali o incaricati di un pubblico servizio mentre compiono un atto del loro ufficio o servizio” Cass. pen., Sez. Un., sentenza ult. cit. . 2.3. La sussistenza, in concreto, dei presupposti della particolare tenuità dell’offesa e della non abitualità del comportamento art. 131-bis c.p. Nondimeno, ritiene il Tribunale che sussistano nel caso di specie gli indici-criteri della particolare tenuità dell’offesa e della non abitualità del comportamento richiesti dall’art. 131-bis c.p. ai fini del riconoscimento della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto ivi prevista. Quanto al primo indice, di natura oggettiva, della particolare tenuità dell’offesa, va infatti rilevato che il danno arrecato al regolare funzionamento della pubblica amministrazione, bene giuridico tutelato dalla fattispecie incriminatrice di cui all’art. 337 c.p., pur sussistente secondo quanto si è rilevato supra, deve al contempo considerarsi particolarmente esiguo infatti, sia le minacce rivolte in un primo momento agli agenti della polizia locale, sia quelle successivamente indirizzate al brigadiere omissis rispettivamente te schiatto ‘a capa” e ‘te la faccio pagare’ , analogamente alla modestissima violenza commessa ai suoi danni uno spintone , erano dotate di una carica intimidatoria particolarmente esigua, hanno determinato un soltanto momentaneo e transeunte turbamento della libera autodeterminazione dei pubblici ufficiali cui sono state rivolte e, di conseguenza, complessivamente una modestissima compromissione del regolare svolgimento della pubblica funzione di polizia di prevenzione e di polizia giudiziaria lo stesso ufficiale di polizia giudiziaria che ha relazionato in merito all’arresto ha infatti dichiarato che il omissis è subito tornato alla calma, sicché il ritardo e la maggiore difficoltà nel compimento degli atti d’ufficio sono stati davvero minimi, poiché egli è stato immediatamente immobilizzato dai Carabinieri intervenuti a sostegno dei vigili, e condotto presso gli uffici della Compagnia per gli accertamenti di rito, all’esito dei quali è stato tratto in arresto. Analogamente, non appaiono particolarmente allarmanti le modalità della condotta, e ciò alla luce sia del fatto che l’obiettivo principale del omissis non erano gli operanti, bensì la persona con cui poco prima aveva avuto una lite, sia del fatto che – come spiegato dallo stesso in sede di interrogatorio di convalida – si era trattato di un accesso di rabbia dovuto alla sensazione di star subendo un’ingiusta discriminazione da parte delle forze dell’ordine, che si erano concentrate esclusivamente su di lui e non anche sull’altro uomo con cui egli poco prima aveva avuto la lite e da cui pure era stato aggredito. La stessa circostanza, pur descritta nell’imputazione, secondo cui egli aveva puntato i cocci di bottiglia all’indirizzo degli operanti per minacciarli, si è rivelata infondata, desumendosi infatti dagli atti e dalla relazione orale dell’ufficiale di polizia giudiziaria che egli, lungi dal puntarli contro qualcuno, li agitava in aria gesticolando in modo concitato. D’altro canto, come si è già detto, una volta immobilizzato, il omissis ha assunto un atteggiamento di ampia e totale collaborazione con gli operanti, cui egli – una volta portato presso i relativi uffici – ha subito spiegato il motivo della sua rabbia. Non sussiste, dunque, neppure alcuno degli indici presuntivi di cui all’art. 131-bis, comma 2, c.p., idonei ad escludere la qualificazione dell’offesa in termini di particolare tenuità motivi abietti o futili, crudeltà o sevizie, minorata difesa della vittima, eventi di morte o lesioni gravissime . Sotto tale primo profilo deve ritenersi, in definitiva, che si è trattato di una reazione scomposta e sproporzionata di un soggetto in evidente stato di alterazione, di breve durata e di scarsa entità, e che dunque si è risolta in un’offesa decisamente lieve ai beni giuridici tutelati dalla fattispecie criminosa in questione. Quanto al secondo indice, di natura soggettiva, della non abitualità del comportamento, non risulta agli atti che il omissis abbia già in passato commesso condotte della medesima indole, o comunque a questa analoghe o assimilabili, né tantomeno abbia già altrimenti beneficiato della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis c.p. Non risultano carichi pendenti, ma – secondo quanto dichiarato dallo stesso arrestato in sede di domande preliminari all’interrogatorio ex artt. 66 c.p.p. e 21 disp. att. c.p.p. egli risulta infatti incensurato dal certificato del casellario giudiziario – soltanto una condanna definitiva per il delitto di cui all’art. 73, D.P.R. n. 309/1990, dunque non ostativa ai fini che in questa sede interessano. Né osta alla qualificazione in termini di non abitualità del comportamento la disposizione di cui all’art. 131-bis, comma 3, c.p., secondo cui Il comportamento è abituale nel caso in cui l’autoreabbia commesso più reati della stessa indolenonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali o reiterate”. Ed invero, quanto all’elemento ostativo della pluralità, abitualità o reiterazione delle condotte, si è già osservato che nel caso di specie, pur al cospetto di plurimi atti di minaccia e violenza, deve ritenersi sussistente non già una pluralità, bensì un’ unicità di azione” – pur composta da più atti – configurandosi così un’ipotesi di concorso formale, e non già materiale, di reati. Quanto, invece, all’ulteriore elemento ostativo della pluralità di reati, per definizione intrinseca all’ipotesi del concorso formale, condivide pienamente il Tribunale quell’orientamento di legittimità secondo cui La dichiarazione di non punibilità per particolare tenuità del fatto non è preclusa dalla presenza di più reati legati dal vincolo del concorso formale, poiché questo istituto non implica l'abitualità del comportamentoed invero, il fatto che la disposizione rivolga l'attenzione al soggetto che abbia commesso più reati” consentirebbe di includere il concorso formale se si intendesse l'espressione come riferita al risultato della condotta ed, invece, di escluderlo se si intende riferito all'unica azione od omissione che ha poi comportato la violazione di diverse disposizioni di legge, ovvero la commissione di più violazioni della medesima disposizione. Tale ultima soluzione risulta maggiormente plausibile, considerando che la stessa conformazione dell'art. 81 cod. pen. mal si attaglia a situazioni, quali quelle considerate dal terzo comma dell'art. 131-bis cod. pen., che il legislatore considera comunque sintomatiche di quella abitualità”, seppure largamente intesa, impeditiva della declaratoria di particolare tenuità, difficilmente confrontabile con una condotta unica, seppure produttiva di plurime violazioni di legge” cfr., per tutte, Cass. pen., sez. 3, sentenza n. 47039/2015 . In altri termini, la ricorrenza di un concorso formale tra reati, in quanto espressione di un’unicità di risoluzione criminosa, non è di per sé condizione ostativa alla configurazione della non abitualità del comportamento, sotto il profilo della reiterazione di reati della stessa indole”, di cui all’art. 131-bis, comma 3, c.p., dovendosi per tale intendere la reiterazione in diversi contesti del medesimo reato, frutto di distinte risoluzioni criminose dell’agente al contrario, casi come quello per cui si procede sono caratterizzati da un’unicità di azione e di contesto spazio-temporale degli atti che la compongono, e dunque da un’unitarietà del disvalore espresso dai più reati in concorso formale tra loro. Il disvalore connesso ai reati commessi dall’imputato attiene ad una porzione fattuale che, sebbene scomposta secondo il giudizio normativo dell’ordinamento in diverse ipotesi di reato, appare unitaria nella dinamica concreta degli eventi, e non è tale da fondare un giudizio di abitualità nel reato ostativo ad una pronuncia ex art. 131-bis c.p. In definitiva sussistono, nel caso di specie, tutti i presupposti normativi che consentirebbero l’applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis c.p., giacché il delitto di cui all’art. 337 c.p. è punito con pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento non è abituale. 2.4. La preclusione all’applicazione della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto al delitto di cui all’art. 337 c.p., introdotta dall’art. 16, comma 1, lett. b del decreto-legge 14 giugno 2019, n. 53, come convertito e modificato dalla legge 8 agosto 2019, n. 77 L’applicazione della causa di non punibilità in questione al caso di specie è tuttavia preclusa dal disposto dell’art. 131-bis, comma 2, c.p., come modificato da ultimo dall’art. 16, comma 1, lett. b del decreto-legge 14 giugno 2019, n. 53, convertito con modificazioni nella legge 8 agosto 2019, n. 77, nella parte in cui prevede che L’offesa non può altresì essere ritenuta di particolare tenuitànei casi di cui agli articoli337quando il reato è commesso nei confronti di un pubblico ufficiale nell’esercizio delle proprie funzioni”. Tale disposizione, precludendo in radice la possibilità che il giudice consideri l’offesa arrecata in concreto da un fatto-reato sussumibile nella fattispecie – tra le altre – di cui all’art. 337 c.p., introduce evidentemente una presunzione assoluta di non particolare tenuità dell’offesa ulteriore e diversa, come pure meglio si dirà , rispetto a quelle supra evidenziate e già previste al comma 2 dell’art. 131-bis c.p., allorché tale reato sia commesso nei confronti di un pubblico ufficiale resta ferma, dunque, la possibilità di tale configurazione nel caso di incaricato di pubblico servizio . In altri termini, con tale disposizione il legislatore ha inteso privare il giudice di ogni margine di discrezionalità nella valutazione dell’offesa, impedendogli, sempre e in ogni caso, di ritenere di particolare tenuità l’offesa arrecata dal delitto di cui all’art. 337 c.p., commesso nei confronti di un pubblico ufficiale, in ogni sua possibile modalità concreta di manifestazione. Per tali ragioni, è in definitiva rilevante nel presente giudizio la questione di legittimità costituzionale di tale disposizione, giacché questa costituisce l’unico ostacolo all’applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis c.p. al fatto per cui si procede ove questa venisse dichiarata costituzionalmente illegittima, il fatto posto in essere dal omissis , per le ragioni in precedenza addotte, potrebbe dunque essere senz’altro considerato di particolare tenuità. 2.4.1. Impossibilità di un’interpretazione alternativa della disposizione di legge censurata E’ appena il caso di rilevare, infine, che la chiarezza e l’univoca perentorietà della disposizione non ne consentono un’interpretazione diversa da quella qui prospettata e immune dalle censure che verranno di seguito esposte in altri termini, l’impiego del verbo al modo indicativo e del verbo ‘potere’, preceduto dalla locuzione ‘non’ costituisce un indice evidente della natura assoluta e non soltanto relativa della presunzione, che dunque non ammette eccezioni e non può essere superata in via interpretativa. 3. La non manifesta infondatezza della questione Tanto premesso in punto di rilevanza della questione, ritiene il Tribunale che la disposizione in esame violi gli artt. 77, comma 2, 3, 25, comma 2, 27, commi 1 e 3 Cost. per i motivi che di seguito si esporranno. 3.1. Violazione dell’art. 77, comma 2, Cost. 3.1.1. Innanzitutto, la disposizione censurata appare in contrasto con l’art. 77, comma 2, Cost. in quanto non è omogenea, quanto ad oggetto e finalità, rispetto al contenuto originario del decreto-legge nel cui corpo è stata inserita. La presunzione di non particolare tenuità dell’offesa nei casi di cui all’art. 337 c.p. è stata infatti introdotta soltanto in sede di conversione del decreto-legge 14 giugno 2019, n. 53, approvato dal Governo ed emanato dal Presidente della Repubblica l’originaria formulazione dell’art. 16, comma 1, lett. b del provvedimento si limitava, infatti, ad escludere la configurabilità della causa di non punibilità in questione quando si procede per delitti, puniti con una pena superiore nel massimo a due anni e sei mesi di reclusione, commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive”. Orbene, com’è noto, i limiti di emendabilità del decreto-legge ad opera della legge di conversione sono stati tracciati, soprattutto negli ultimi anni, da una copiosa e significativa giurisprudenza costituzionale. La Corte costituzionale, dopo aver rivendicato la propria competenza a sindacare la sussistenza sia pure nei limiti dell’”evidente carenza” dei presupposti di straordinaria necessità e urgenza di cui all’art. 77, comma 2, Cost. sentenza n. 29 del 1995 , ha affermato che uno dei principali indici sintomatici dell’assenza di tali presupposti è rappresentato dalla disomogeneità materiale e/o funzionale tra le disposizioni contenute in un decreto-legge infatti, la urgente necessità del provvedere può riguardare una pluralità di norme accomunate dalla natura unitaria delle fattispecie disciplinate, ovvero anche dall’intento di fronteggiare situazioni straordinarie complesse e variegate, che richiedono interventi oggettivamente eterogenei, afferenti quindi a materie diverse, ma indirizzati all’unico scopo di approntare rimedi urgenti a situazioni straordinarie venutesi a determinare” da ciò deriva che la semplice immissione di una disposizione nel corpo di un decreto-legge oggettivamente o teleologicamente unitario non vale a trasmettere, per ciò solo, alla stessa il carattere di urgenza proprio delle altre disposizioni, legate tra loro dalla comunanza di oggetto o di finalità” al contrario, l’inserimento di norme eterogenee all’oggetto o alla finalità del decreto spezza il legame logico-giuridico tra la valutazione fatta dal Governo dell’urgenza del provvedere ed i provvedimenti provvisori con forza di legge”, di cui alla norma costituzionale citata. Il presupposto del caso” straordinario di necessità e urgenza inerisce sempre e soltanto al provvedimento inteso come un tutto unitario, atto normativo fornito di intrinseca coerenza, anche se articolato e differenziato al suo interno” in tal caso, il decreto-legge, inteso come insieme di disposizioni omogenee per la materia o per lo scopo”, si trasforma in una congerie di norme assemblate soltanto da mera casualità temporale” sentenza n. 22 del 2012 v. pure già sentenza n. 171 del 2007 e n. 128 del 2008 . Per le medesime ragioni la Corte, superando un proprio precedente e meno restrittivo orientamento, ha poi affermato che il requisito della omogeneità deve essere rispettato non soltanto dal decreto, ma anche dalla legge di conversione quest’ultima, infatti, si configura quale legge a competenza tipica” sentenza n. 32 del 2014 , attesa l’esistenza di un nesso di interrelazione funzionale tra decreto-legge, formato dal Governo ed emanato dal Presidente della Repubblica, e legge di conversione, caratterizzata da un procedimento di approvazione peculiare rispetto a quello ordinario” ancora, sentenza n. 22 del 2012 , la cui lesione, determinata dall’inserimento nella legge di conversione di norme estranee all’oggetto o alla finalità del decreto-legge, costituisce non già un sintomo dell’assenza dei presupposti di necessità e urgenza, bensì un’autonoma violazione dell’art. 77, comma 2, Cost. che scaturisce dall’uso illegittimo, da parte del Parlamento, del potere di conversione che la Costituzione gli attribuisce. Più specificamente, la Corte ha osservato che La legge di conversione è fonte funzionalizzata alla stabilizzazione di un provvedimento avente forza di legge ed è caratterizzata da un procedimento di approvazione peculiare e semplificato rispetto a quello ordinario sentenza n. 247 del 2019 essa, pertanto, essendo una legge funzionalizzata e specializzata”non può aprirsi a qualsiasi contenuto ulteriore, anche nel caso di provvedimenti governativi ab origine eterogenei ordinanza n. 34 del 2013 , ma ammette soltanto disposizioni che siano coerenti con quelle originarie o dal punto di vista oggettivo e materiale, o dal punto di vista funzionale e finalistico” sentenza n. 32 del 2014 . Sicché, se il legame essenziale tra decretazione d’urgenza e potere di conversione viene spezzato la violazione dell’art. 77, secondo comma, Cost., non deriva dalla mancanza dei presupposti di necessità e urgenza per le norme eterogenee aggiunte, che, proprio per essere estranee e inserite successivamente, non possono collegarsi a tali condizioni preliminari sentenza n. 355 del 2010 , ma per l’uso improprio, da parte del Parlamento, di un potere che la Costituzione gli attribuisce, con speciali modalità di procedura, allo scopo tipico di convertire, o non, in legge un decreto-legge” ancora, sentenza n. 22 del 2012 ma v. pure ordinanza n. 34 del 2013 e sentenza n. 32 del 2014 lo scrutinio relativo alla evidente carenza, o meno, di tali presupposti rispetto alle nuove norme, rileverà invece, in via subordinata, soltanto nel caso in cui le norme aggiunte dalla legge di conversione del decreto-leggenon siano del tutto estranee rispetto al contenuto della decretazione d’urgenza mentre tale valutazione non è richiesta quando la norma aggiunta sia eterogenea rispetto a tale contenuto” sentenza n. 355 del 2010 . Tanto premesso in via generale, a giudizio del Tribunale la presunzione assoluta di non punibilità in questa sede cesurata, introdotta soltanto in sede di conversione con l’aggiunta di un periodo finale all’art. 16, comma 1, lett. b del decreto-legge, risulta manifestamente estranea, sia dal punto di vista oggettivo e materiale, sia dal punto di vista funzionale e finalistico, al contenuto originario del provvedimento. In proposito va rilevato che il decreto-legge in questione è composto di tre capi il capo I artt. da 1 a 7 concernente Disposizioni urgenti in materia di contrasto all’immigrazione illegale e di ordine e sicurezza pubblica” il capo II artt. da 8 a 12 concernente Disposizioni urgenti per il potenziamento dell’efficacia dell’azione amministrativa a supporto delle politiche di sicurezza” il capo III, che più da vicino ci occupa in questa sede artt. da 13 a 18 , concernente infine Disposizioni urgenti in materia di contrasto alla violenza in occasione di manifestazioni sportive”. Ebbene, come già è agevole evincersi dalle relative rubriche, i primi due capi non contenevano e tuttora non contengono alcun riferimento all’art. 131-bis c.p. o al reato di cui all’art. 337 c.p. rispetto ad essi la disposizione in questa sede censurata risulta del tutto estranea sia dal punto di vista del contenuto, sia dal punto di vista delle finalità, non essendo, per la radicale eterogeneità delle materie trattate, neppure astrattamente ipotizzabile un qualsivoglia collegamento contenutistico e/o finalistico. L’ultimo capo comprende invece alcune disposizioni in materia di violenze commesse in occasione di manifestazioni sportive ispirate dalla comune ratio politico-criminale di inasprirne il trattamento giuridico. In particolare, e a titolo meramente esemplificativo, l’art. 13 interviene sulla legge n. 401/1989 e sul decreto-legge n. 8/2007, specificando ed ampliando i presupposti applicativi del c.d. DASPO l’art. 14 modifica l’art. 77 del d.lgs. n. 159/2011 c.d. codice antimafia , estendendo l’applicabilità del fermo di indiziato di delitto ai reati commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive, a prescindere dai limiti edittali delle singole fattispecie ipotizzabili l’art. 15 rende definitivamente permanente la disciplina del c.d. arresto differito” per i reati commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive previsto dal decreto-legge n. 14/2017, convertito con modificazioni nella legge n. 48/2017 l’art. 17 estende l’ambito di applicabilità delle sanzioni amministrative previste per il c.d. bagarinaggio. Proprio in questo identico ambito si muoveva, effettivamente, l’art. 16 nella sua originaria formulazione, rubricato Modifiche agli articoli 61 e 131-bis del codice penale”, in quanto, da un lato, intervenendo sull’art. 61 c.p., introduceva al nuovo n. 11-septies c.p. la circostanza aggravante comune del ”l’avere commesso il fatto in occasione o a causa di manifestazioni sportive o durante i trasferimenti da o verso il luoghi in cui si svolgono dette manifestazioni” dall’altro, come si è anticipato, intervenendo sull’art. 131-bis c.p., introduceva un’ulteriore presunzione assoluta di non particolare tenuità dell’offesa quando si procede per delitti, puniti con una pena superiore nel massimo a due anni e sei mesi di reclusione, commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive” entrambe le disposizioni, dunque, si limitavano ad inasprire il trattamento sanzionatorio degli illeciti commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive, esattamente come le altre disposizioni contenute nel medesimo capo. Orbene, a giudizio del Tribunale tale disposizione, che pure faceva in qualche modo riferimento all’istituto di cui all’art. 131-bis c.p., non è sufficiente a determinare un collegamento tra il contenuto originario del decreto e la disposizione in questa sede censurata tale da assicurare il necessario requisito di omogeneità, giacché quest’ultima non si riferisce soltanto agli illeciti commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive, ma è applicabile a qualsivoglia forma di manifestazione del reato di cui all’art. 337 c.p. L’inserimento in sede di conversione, accanto all’originaria disposizione derogatoria, dell’ulteriore presunzione assoluta di non particolare tenuità dell’offesa in relazione – tra gli altri – al reato di cui all’art. 337 c.p. a prescindere da ogni collegamento con gli illeciti commessi in occasione di manifestazioni sportive costituisce un elemento radicalmente innovativo e del tutto estraneo alla materia e alle finalità originarie del decreto. Infatti, esso non soltanto non nulla ha a che vedere con alcuna delle tre macro-materie da esso originariamente regolate, suddivise nei tre capi in cui si articola il decreto, ma non presenta alcun legame neppure con la disposizione dello stesso art. 16, nella sua formulazione originaria, che pure in qualche modo faceva riferimento all’art. 131-bis c.p. invero, la nuova norma derogatoria – come meglio si dirà in prosieguo – lungi dal riferirsi ai soli casi di resistenza a pubblico ufficiale commessa in occasione o a causa di manifestazioni sportive”, si caratterizza invece per una portata generalizzata ed onnicomprensiva, in quanto è idonea a ricomprendere qualsivoglia forma e tipo di resistenza commessa nei confronti di un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, a prescindere dalle specifiche peculiarità del caso concreto e dall’essere la stessa posta in essere in occasione o a causa di manifestazioni sportive. Si tratta, in sostanza, di una vera e propria novella legislativa che interviene in modo radicale e del tutto innovativo sulla generale disciplina a regime” dell’art. 131-bis c.p., sorretta oltretutto da finalità politico-criminali che nulla hanno a che vedere con il contrasto delle forme di violenza commesse in occasione di manifestazioni sportive né tantomeno, ovviamente, con il ‘contrasto all’immigrazione clandestina’ o con il ‘potenziamento dell’efficacia dell’azione amministrativa a supporto delle politiche di sicurezza’, di cui ai capi I e II del decreto , e che dunque, per essere del tutto slegata da contingenze particolari”, né dettata dall’esigenza di regolare situazioni già esistenti e bisognose di urgente intervento normativo”, vale a dire dall’”esigenza di approntare rimedi urgenti a situazioni straordinarie venutesi a creare” sentenza n. 22 del 2012 , ma avente ad oggetto, al contrario, una regolamentazione restrittiva degli ordinari presupposti di applicabilità di una causa di non punibilità, appare manifestamente inconferente rispetto alle materie oggetto del decreto e, per ciò solo, in contrasto con l’art. 77, comma 2, Cost. D’altro canto, è appena il caso di rilevare, in conclusione, che l’eterogeneità tra la legge di conversione e l’originario contenuto del decreto, oltre che essere rilevata da numerosi contributi dottrinari, fu sottolineata anche dal Presidente della Repubblica, il quale, contestualmente alla promulgazione della legge di conversione, in una lettera dell’8 agosto 2019 indirizzata ai Presidenti delle Camere ed al Presidente del Consiglio, ebbe a rilevare che I contenuti del provvedimento appena promulgato sono stati, in sede di conversione, ampiamente modificati dal Parlamento e non sempre in modo del tutto omogeneo rispetto a quelli originari del decreto legge presentato dal Governo” per quanto ampia, ed evidentemente riferita anche ad altre disposizioni introdotte ex novo nel testo della legge di conversione cfr. le rilevanti e radicali modifiche apportate all’art. 2, nonché l’introduzione degli artt. 3-bis, 8-bis, 8-ter, 8-quater, 10-bis, 12-bis, 12-ter, 16-bis, 17-bis , tale osservazione non poteva che riferirsi, e ben si attaglia, anche alla disposizione in questa sede censurata. 3.1.2. In via subordinata, ove la Corte costituzionale dovesse invece ritenere che la disposizione di cui si lamenta l’illegittimità costituzionale non sia del tutto estranea rispetto al contenuto originario del decreto-legge, dovrebbe allora essere effettuata anche per essa, in ossequio alla medesima giurisprudenza costituzionale sopra ampiamente richiamata, la valutazione in merito alla sussistenza dei presupposti fattuali di necessità e urgenza infatti, come la Corte ha avuto modo di chiarire in più occasioni v. soprattutto sentenze n. 355 del 2010, n. 22 del 2012 e n. 247 del 2019 tutte le norme del decreto-legge, e dunque pure quelle introdotte in sede di conversione ‘non del tutto estranee’ al contenuto o alle finalità dell’originario decreto, devono essere assistite dal presupposto dell’‘urgente necessità del provvedere’, di cui all’art. 77, comma 2, Cost. questo, inoltre, deve essere necessariamente unico per ciascun decreto-legge, quale ‘provvedimento normativo fornito di intrinseca coerenza’. D’altra parte, come la Corte costituzionale ha avuto modo di rimarcare, una volta chiarita la necessaria sussistenza di un nesso di interrelazione contenutistica o funzionale tra legge di conversione e decreto-legge, il rigoroso rispetto, da parte del Governo, del presupposto di necessità e urgenza assume vieppiù un rilievo fondamentale nel garantire l’ordinario riparto di competenze tra organo legislativo ed esecutivo stabilito dalla Costituzione e caratterizzante la stessa forma di Governo sentenza n. 171 del 2007 invero, Il carattere peculiare della legge di conversione comporta anche che il Governo – stabilendo il contenuto del decreto-legge – sia nelle condizioni di circoscrivere, sia pur indirettamente, i confini del potere di emendamento parlamentare. E, anche sotto questo profilo, gli equilibri che la Carta fondamentale instaura tra Governo e Parlamento impongono di ribadire che la possibilità, per il Governo, di ricorrere al decreto-legge deve essere realmente limitata ai soli casi straordinari di necessità e urgenza di cui all’art. 77 Cost. sentenze n. 128 del 2008 e n. 171 del 2007 ” sentenza n. 154 del 2015 . Ebbene, a giudizio del Tribunale il difetto dei presupposti di necessità ed urgenza alla base del decreto in questione, e dunque anche della disposizione di cui all’art. 16, comma 1, lett. b , è evidente” nel senso indicato soprattutto a partire dalla sentenza n. 171 del 2007, sopra citata . Innanzitutto, tale carenza si desume dalla radicale eterogeneità delle materie oggetto di intervento, dall’assenza di un’unitaria finalità che riconduca ad unità se non contenutistica, quantomeno teleologica tali diverse ed eterogenee materie, nonché dalla totale assenza, al momento dell’approvazione del decreto, di una qualche ‘eccezionale e straordinaria situazione di fatto bisognosa di un urgente intervento normativo’. Basta semplicemente porre mente alle rubriche dei capi in cui l’atto normativo è suddiviso per rendersi conto che le numerose disposizioni contenute nel decreto non soltanto non rispettano il requisito della comunanza dell’oggetto, in quanto sono riconducibili a materie radicalmente eterogenee, ma non appaiono neppure caratterizzate da quella intrinseca coerenza funzionale e finalistica, e dunque da quell’identità di ratio che, secondo la giurisprudenza costituzionale, deve connotare le singole disposizioni di un decreto-legge dal contenuto oggettivamente e materialmente eterogeneo cfr., oltre alla sentenza n. 22 del 2012, avente ad oggetto addirittura un decreto c.d. milleproroghe”, per definizione caratterizzato da contenuto eterogeneo, l’ordinanza n. 34 del 2013, e la sentenza n. 32 del 2014 . Infatti, come si è anticipato nel paragrafo precedente, il capo I prevede disposizioni concernenti il conferimento di poteri speciali al Ministro dell’Interno per limitare o vietare l’accesso, il transito o la sosta di navi nel mare territoriale, per motivi di ordine e sicurezza pubblica, nonché la previsione di sanzioni amministrative, anche a carattere reale quale la confisca della nave, nei confronti del comandante della stessa che non ottemperi al divieto artt. 1 e 2 l’ampliamento delle attribuzioni della Procura distrettuale in materia di associazioni finalizzate alla commissione di alcuni delitti in materia di immigrazione clandestina art. 3 l’incremento dei fondi per le operazioni di polizia sotto copertura art. 4 la modifica delle modalità di comunicazione alle questure del nominativo delle persone alloggiate da parte dei titolari di strutture ricettive art. 5 la previsione di nuovi reati, ovvero di nuove circostanze aggravanti o modifiche della pena edittale, volte complessivamente ad inasprire il trattamento sanzionatorio previsto per condotte lato sensu violente commesse in occasione di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico artt. 6 e 7 . Le disposizioni inserite nel capo II invece prevedono l’assunzione straordinaria di personale del Ministero della Giustizia per rafforzare gli organici del personale deputato all’esecuzione delle sentenze di condanna art. 8 la proroga di alcuni termini per l’attuazione della normativa inerente alla protezione dei dati personali e in tema di intercettazioni art. 9 l’assunzione di nuovo personale per l’operazione Strade sicure” in occasione delle Universiadi di Napoli art. 10 l’estensione di alcune agevolazioni in materia di soggiorno di breve durata, previste dalla legge n. 68 del 2007 in favore di stranieri che giungono in Italia per visite, affari, turismo e studio, anche alle ipotesi correlate alla partecipazione di atleti e gare sportive art. 11 l’istituzione di un fondo destinato a finanziare interventi di cooperazione allo sviluppo nei confronti di Paesi terzi, ovvero intese bilaterali, con finalità premiali per la particolare collaborazione nel settore della riammissione art. 12 . Infine, come pure si è detto, al capo III sono previste alcune disposizioni volte ad inasprire il trattamento, amministrativo e penale, delle condotte di violenza commesse in occasione di manifestazioni sportive in tale ambito si inseriscono le novelle, di cui si è detto, concernenti il DASPO art. 13 , il fermo di indiziato di delitto art. 14 , l’arresto differito art. 15 , la nuova circostanza aggravante comune di cui all’art. 61, n. 11-septies c.p. e la non applicabilità dell’art. 131-bis ai più gravi reati commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive” art. 16 , l’ampliamento del novero delle condotte di bagarinaggio cui si applica la speciale normativa amministrativa sanzionatoria art. 17 . Si tratta, dunque, di un intervento normativo ad amplissimo spettro, riconducibile a tre macro-materie tra loro radicalmente eterogenee, che non appaiono accomunate da alcuna unitaria finalità di intervento né appare in alcun modo ipotizzabile la sussistenza di un’unitarietà di ratio che possa accomunare disposizioni così diversificate in materia di immigrazione clandestina, reati commessi in luoghi pubblici o aperti al pubblico, proroga dei termini per l’attuazione del codice della privacy, disposizioni concernenti condotte violente commesse in occasione di manifestazioni sportive, etc. disposizioni concernenti l’organizzazione delle Universiadi di Napoli e ciò si riflette, inevitabilmente, e a fortiori, sulla norma in questa sede censurata, in quanto quest’ultima non appare contenutisticamente legata a nessuna delle tre macro-materie in cui si articola il provvedimento. Tali osservazioni valgono ancor più in relazione alla disposizione in questa sede censurata. Sul punto va infatti ulteriormente ribadito e specificato quanto già evidenziato in precedenza, e cioè che la norma in questione costituisce un’innovazione a regime” della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis c.p. incidente in modo radicale sui relativi presupposti applicativi che essa non presenta – come si è già osservato – alcun legame contenutistico e/o finalistico con le altre invero già tra loro eterogenee materie disciplinate dal decreto che la sua introduzione non era legata ad alcuna specifica contingenza storica e sociale tale da richiedere un urgente intervento normativo. Per tali ragioni, l’inserimento di tale disposizione in un decreto-legge non può ritenersi costituzionalmente legittimo, non essendo stato reso necessario da quell’”esigenza di approntare rimedi urgenti a situazioni straordinarie venutesi a creare” ancora, sentenza n. 22 del 2012 che, ai sensi dell’art. 77 Cost. e secondo la giurisprudenza costituzionale, giustifica il ricorso alla decretazione d’urgenza da parte del Governo. D’altronde, ulteriore indice dell’insussistenza di tali presupposti è costituito dall’assenza, nel titolo e nel preambolo del decreto-legge, di ogni riferimento all’art. 131-bis c.p. o all’art. 337 c.p. D’altro canto, pur a voler ritenere diversamente e dunque a voler ipotizzare la sussistenza in relazione alla novella dell’art. 131-bis c.p. di un autonomo caso” straordinario di necessità ed urgenza che legittimava il Governo ad intervenire con lo strumento del decreto-legge, il vizio di cui all’art. 77, comma 2, Cost. non potrebbe comunque ritenersi escluso ed infatti – in disparte ogni pur possibile considerazione circa la sussistenza di tale medesimo requisito in relazione alle ulteriori ed eterogenee materie oggetto del decreto, sopra brevemente illustrate – si tratterebbe comunque di un caso” di necessità ed urgenza autonomo e del tutto distinto da quelli ipotizzabili per le altre materie contenute nel decreto immigrazione clandestina, reati commessi in occasione di manifestazioni sportive mentre al contrario – come si è accennato in precedenza – per ormai consolidata giurisprudenza costituzionale uno e singolo deve essere il caso” di necessità e urgenza sotteso a ciascun decreto-legge, atteso che La scomposizione atomistica della condizione di validità prescritta dalla Costituzione si pone in contrasto con il necessario legame tra il provvedimento legislativo urgente ed il ‘caso’ che lo ha reso necessario” sentenza n. 22 del 2012 . Il provvedimento in questione, dunque, non risponde ad alcuno dei presupposti di legittimità delineati dalla Corte costituzionale, non potendosi in alcun modo considerare, per le ragioni sin qui addotte, ‘un tutto unitario, atto normativo fornito di intrinseca coerenza, anche se articolato e differenziato al suo interno’, ma appare, piuttosto, come ‘una congerie di norme assemblate soltanto da mera casualità temporale’. In definitiva, la radicale eterogeneità contenutistica tra la disposizione censurata rispetto alle altre materie pur tra esse quanto mai eterogenee oggetto di regolamentazione, l’assenza di una ratio unitaria che riconduca ad unità funzionale i diversi ambiti di intervento, la circostanza che la norma censurata sottenda una modifica a regime” di una causa di non punibilità di generale applicazione, l’assenza di ogni contingenza fattuale e storico-sociale che giustificasse l’urgente necessità di provvedere, rendono evidente l’assenza dei presupposti normativi richiesti dall’art. 77 Cost. per il legittimo esercizio, senza delega, del potere di decretazione da parte del Governo. 3.2. Violazione degli artt. 3, 25, comma 2, 27, commi 1 e 3 Cost. Ritiene altresì il Tribunale che la presunzione assoluta di non particolare tenuità dell’offesa nel caso di delitto di resistenza commesso nei confronti di un pubblico ufficiale, prevista dall’art. 131-bis, comma 2, c.p., sia contraria ai principi di uguaglianza, ragionevolezza e proporzionalità art. 3 Cost. , di responsabilità per il fatto e personalità della responsabilità penale artt. 25, comma 2 e 27, comma 1, Cost. e della finalità rieducativa della pena art. 27, comma 3 Cost. . Al solo fine di rendere più agevole l’esposizione dei dubbi di legittimità costituzionale nutriti da questo Giudice, appare opportuno premettere qualche breve considerazione sulla figura della particolare tenuità del fatto. Com’è noto, con l’introduzione dell’art. 131-bis c.p. ad opera del d.lgs. 16 marzo 2015, n. 28, emanato in attuazione della delega contenuta nella legge 28 aprile 2014, n. 67, il legislatore ha finalmente introdotto nel sistema penale comune italiano una disciplina, invero sollecitata da decenni dalla dottrina penalistica, delle c.d. microviolazioni non autonome. La soluzione dommatica prescelta dal legislatore delegante e da quello delegato è stata l’introduzione di una causa generale di non punibilità su tale pacifica natura giuridica cfr. Cass. pen., Sez. Un., sentenza n. 13681/16, Tushaj, nonché Corte cost., sentenza n. 207 del 2017 . Si tratta di una norma di parte generale che, combinata di volta in volta con le singole fattispecie criminose, delinea la fisionomia dell’illecito bagatellare non punibile, vale a dire quel fatto-reato che – mutuando delle efficaci espressioni impiegate dalla dottrina penalistica tedesca – pur essendo in astratto ‘meritevole di pena’ strafwurdig in quanto offensivo di un bene giuridico meritevole di tutela penale, per l’esiguità dell’offesa ad esso in concreto arrecata e del grado di responsabilità individuale, non ne è in concreto ‘bisognoso’ strafbedurftig – rectius, non è bisognoso di una pena, come quella delineata dall’art. 27, comma 3, Cost., orientata alla rieducazione, e non alla mera retribuzione. La rinuncia dell’ordinamento all’applicazione di una pena per fatti di scarsa gravità costituisce dunque l’attuazione dei principi, di rango costituzionale, di sussidiarietà o extrema ratio del diritto penale e di proporzionalità, inteso nella sua componente tripartita della idoneità Geeignetheit , della necessità Erforderlichkeit e della proporzione in senso stretto Verhaltnismabigkeit im engeren Sinne , intimamente connessi, come meglio si tenterà di porre in evidenza, ai principi di responsabilità per il fatto art. 25, comma 2, Cost. , di personalità della responsabilità penale art. 27, comma 1, Cost. e a quello rieducativo della pena art. 27, comma 3, Cost. . Come già anticipato in punto di rilevanza della questione, il legislatore ha tracciato il campo applicativo della causa di non punibilità in esame ancorando il suo riconoscimento a tre distinte condizioni, tra loro cumulative art. 131-bis, comma 1 c.p. 1 che si tratti di reato punito con pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero con pena pecuniaria, sola o congiunta alla prima 2 che l’offesa sia di particolare tenuità, tenuto conto della gravità del danno o del pericolo e delle modalità della condotta 3 che il comportamento non sia abituale La valutazione legislativa circa la particolare tenuità del fatto è dunque fondata su tre criteri quantitativo-qualitativi di selezione dell’illecito penale bagatellare il primo è di natura astratta, in quanto agganciato all’entità della pena detentiva massima comminata il secondo e il terzo sono invece di natura concreta, in quanto ancorati alla scarsa gravità oggettiva e soggettiva dell’illecito hic et nunc considerato, desunte dagli indici-criteri della tenuità dell’offesa a sua volta da valutarsi in base agli indici-requisiti dell’entità del danno o del pericolo cagionato e delle modalità non allarmanti della condotta, id est del disvalore d’evento e del disvalore oggettivo d’azione e della non abitualità del comportamento id est, dalla non pericolosità dell’autore . Dall’analisi di tali criteri emerge dunque che il legislatore, in linea con una concezione gradualistica dell’illecito nelle sue componenti sia oggettive che soggettive, ha considerato suscettibili di essere considerati di particolare tenuità reati appartenenti ad un’ampia ed eterogenea macro-categoria, caratterizzata esclusivamente dalla circostanza che la relativa pena detentiva edittale massima non sia superiore a cinque anni al di sopra di tale limite vi è una presunzione assoluta di non particolare tenuità del fatto, che la Corte costituzionale ha già avuto modo di ritenere di per sé non irragionevole sentenza n. 207 del 2017 . Al di sotto di tale limite, invece, qualsiasi reato può essere considerato in concreto di particolare tenuità, ove il fatto storico conforme alla fattispecie incriminatrice sia caratterizzato dagli indici-criteri della tenuità dell’offesa e della non abitualità del comportamento, la cui ricorrenza va di conseguenza accertata, di volta in volta, dal giudice mediante una valutazione mirata sulla manifestazione del reato, sulle sue conseguenze”, dal momento che non esiste un’offesa tenue o grave in chiave archetipica. E’ la concreta manifestazione del reato che ne segna il disvalore”, di talché al di sotto del limite di pena detentiva massima di cinque anni non si dà tipologia di reato per la quale non sia possibile la considerazione della modalità della condotta ed in cui sia quindi inibita ontologicamente l’applicazione del nuovo istituto” in termini Cass. pen., Sez. Un., Tushaj, cit. . E’ pertanto inevitabile che, nella valutazione di tali indicatori, analogamente a quanto avviene – e non a caso – in fase di commisurazione della pena, il giudice goda di un ampio margine di apprezzamento, strettamente connesso alla variegata gamma di possibili manifestazioni concrete di una medesima fattispecie di reato, fatte salve le sole presunzioni assolute di non particolare tenuità dell’offesa previste dall’art. 131-bis, comma 2, c.p. L’offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità, ai sensi del primo comma” e di abitualità del comportamento, previste dal comma 3 Il comportamento è abituale” , su cui ci si è soffermati in sede di rilevanza della questione, e su cui tra poco si tornerà. D’altronde, l’ampiezza della valutazione giurisdizionale circa la gravità concreta del fatto di reato non può stupire, ma costituisce un’inevitabile conseguenza della natura gradualistica dell’illecito penale, a sua volta intrinsecamente connessa alla sua natura di illecito non soltanto formale, ma anche sostanziale, quale fatto carico di disvalore – oggettivo e soggettivo – in rapporto ai valori fondamentali dell’ordinamento ed invero, inteso non già quale mera disobbedienza al comando normativo, bensì in senso sostanziale quale offesa concreta ad un bene giuridico realizzata volontariamente o per colpa, meritevole e bisognosa di sanzione, il reato è giocoforza un’entità non riducibile ad un giudizio binario di mera insussistenza/sussistenza, ma al contrario un quid suscettibile di essere graduato secondo coefficienti crescenti di gravità. In altri termini, nell’ottica sostanzialistica ed assiologicamente orientata propria del nostro ordinamento penale, la gravità di un fatto-reato, e con essa la risposta sanzionatoria approntata dall’ordinamento, dipende, in astratto, dal grado di meritevolezza del bene giuridico tutelato e dall’astratta tipologia di elemento psicologico richiesto dalla fattispecie elementi valutati in astratto dal legislatore, mediante la previsione di differenziate cornici edittali e, in concreto, dalla gravità dell’offesa concreta arrecata al bene, dalle modalità della condotta, dall’intensità e dal grado dell’elemento psicologico, nonché dal grado di responsabilità colpevole del suo autore in altri termini, dalla specificità della concreta e irripetibile modalità di manifestazione dell’illecito nella realtà fenomenica. Non a caso, tutti tali criteri sono espressamente previsti dall’art. 133 c.p. quali parametri di commisurazione della pena nell’ambito della cornice edittale. Come le stesse Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno osservato citando l’insegnamento del Carrara, ‘nella ricerca sul grado si esamina un fatto nelle eccezionali accidentalità del suo concreto modo di essere nella individualità criminosa nella quale si estrinseca’ e, nel rispetto della legge, tale giudizio non può che essere rimesso al magistrato ‘perché l’uomo deve essere condannato secondo la verità e non secondo le presunzioni’” Cass. pen., Sez. Un., Tushaj, cit. . Ciò premesso in via generale, va rilevato che dalla macro-categoria dei reati puniti con pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, nel cui ambito, come si è detto, qualsiasi reato può essere considerato, in concreto, di particolare tenuità, la disposizione di cui al novellato art. 131-bis, comma 2, seconda parte, esclude tout court accanto a quelli di cui agli artt. 336 e 341-bis c.p. il delitto di cui all’art. 337 c.p., se commesso nei confronti di un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, sul presupposto che l’offesa” da esso cagionata non puòessere ritenuta di particolare tenuità”. Tale reato viene così sottoposto ad un regime sanzionatorio peculiare e del tutto eccezionale, giacché, pur trattandosi di delitto punito con pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, esso è sottratto in radice dall’ambito applicativo della particolare tenuità del fatto la presunzione assoluta introdotta dal legislatore fa sì che, pur ove – come nel caso di specie – esso sia caratterizzato da una scarsa offensività concreta, il giudice non può mai, ad onta di ogni evidenza fattuale contraria, ritenere l’offesa di particolare tenuità. Non ignora il Tribunale che la configurazione dei reati e la determinazione delle sanzioni per essi previste, e così anche la previsione di presunzioni assolute attinenti ad uno o più elementi del reato ovvero alla modulazione del trattamento sanzionatorio, rientrano, in linea di principio, nel margine di discrezionalità politica del legislatore, insindacabile dalla Corte costituzionale in base all’art. 28 della legge 11 marzo 1953, n. 87. Proprio in tema di cause di non punibilità la Corte costituzionale ha invero già avuto modo di chiarire che l’estensione di cause di non punibilità, le quali costituiscono altrettante deroghe a norme penali generali, comporta strutturalmente un giudizio di ponderazione a soluzione aperta tra ragioni diverse e confliggenti, in primo luogo quelle che sorreggono la norma generale e quelle che viceversa sorreggono la norma derogatoria un giudizio che è da riconoscersiappartenere primariamente al legislatore” sentenza n. 140 del 2009, nonché, più di recente, sentenza n. 207 del 2017 . Tuttavia, anche in tali ambiti le scelte legislative devono rispettare il limite della ragionevolezza, come pure la stessa Corte costituzionale ha più volte ribadito ex multis, sentenza n. 185 del 2015 Secondo la costante giurisprudenza costituzionale, l’individuazione delle condotte punibili e la configurazione del relativo trattamento sanzionatorio rientrano nella discrezionalità legislativa, il cui esercizio non può formare oggetto di sindacato, sul piano della legittimità costituzionale, salvo che si traduca in scelte manifestamente irragionevoli o arbitrarie ex multis sentenze n. 68 del 2012, n. 47 del 2010, n. 161 del 2009, n. 22 del 2007 e n. 394 del 2006 ” . Analogamente, le presunzioni assolute attinenti ad elementi del reato ovvero alla modulazione del trattamento sanzionatorio, nonché quelle previste in ambito processuale, non possono considerarsi, di per sé, incompatibili con il dettato costituzionale. Tuttavia, anche in questo caso, per costante giurisprudenza costituzionale, la discrezionalità politica e politico-criminale del legislatore incontra l’inderogabile limite dei principi di uguaglianza, ragionevolezza e proporzionalità, a loro volta strettamente connessi ai principi di personalità della responsabilità penale e della finalità rieducativa della pena. Ed infatti, la Corte ha più volte ribadito che le presunzioni assolute specie quando limitano un diritto fondamentale della persona, violano il principio di eguaglianza, se sono arbitrarie e irrazionali, cioè se non rispondono a dati di esperienza generalizzati, riassunti nella formula dell’id quod plerumque accidit sentenze n. 139 del 1982, n. 333 del 1991, n. 225 del 2008 ”, specificando che l’irragionevolezza della presunzione assoluta si può cogliere tutte le volte in cui sia agevole” formulare ipotesi di accadimenti reali contrari alla generalizzazione posta a base della presunzione stessa sentenza n. 41 del 1999 ” così, ex multis, sentenze n. 232 e n. 233 del 2012 ma v. pure sentenze n. 182, n. 164 del 2011, n. 265 del 2010 e, da ultimo, n. 253 del 2019 in altri termini, la valutazione legislativa sottesa alla presunzione, se può certamente essere dettata da valutazioni politiche e politico-criminali del legislatore di natura discrezionale, in quanto tali non sindacabili, non può al contempo sfociare nell’arbitrio, nel senso che una siffatta valutazione deve pur sempre dimostrarsi ancorata a ‘vincoli di realtà’, ossia possedere un radicamento empirico verificabile o falsificabile da ultimo, particolarmente significative in tal senso appaiono le note decisioni, sia pur adottate in ambito processuale, aventi ad oggetto le presunzioni di adeguatezza di cui all’art. 275 comma 3, c.p.p., n. 265 del 2010, n. 164 del 2011, n. 110 del 2012, n. 57 del 2013, nonché, in materia di c.d. ergastolo ostativo, la citata n. 253 del 2019 . Ebbene, come subito più dettagliatamente si illustrerà facendo applicazione dei suddetti criteri direttivi tracciati dalla Corte, la presunzione assoluta di non particolare tenuità dell’offesa di cui di discorre appare a questo Giudice fondata su di una valutazione di tipo aprioristico, assoluta ed onnicomprensiva, giacché essa è legata esclusivamente al titolo del reato e non già – come nelle fattispecie presuntive già previste dal comma 2 dell’art. 131-bis c.p. e nella formulazione originaria del decreto legge n. 53/2019 – a specifiche peculiarità dell’offesa e/o delle modalità della condotta caratterizzanti il singolo fatto storico oggetto di vaglio giurisdizionale. Di talché, sottraendo eccezionalmente il delitto di cui all’art. 337 c.p. dall’ambito applicativo della disciplina ordinaria approntata dal legislatore all’art. 131-bis c.p., da un lato, sottopone tale delitto ad una disciplina irragionevolmente differenziata rispetto a quella tuttora applicabile anche per reati analoghi dall’altro, e di conseguenza, introduce un automatismo sanzionatorio che costringe il giudice ad irrogare una pena anche in relazione a fatti che non ne sono in realtà ‘bisognosi’ alla luce dei criteri generali approntati, per ogni altro reato, dal medesimo legislatore, e dunque oltre la misura della responsabilità del singolo individuo in relazione al fatto commesso tale pena, pertanto, risulta irragionevole in quanto sproporzionata nell’an ancor prima che nel quantum e non può svolgere, di conseguenza, alcuna finalità rieducativa, ma soltanto una funzione di riaffermazione simbolica del valore della norma violata, strumentalizzando così l’individuo per finalità di politica criminale. La norma in questa sede censurata sembra aver introdotto, in sostanza, un automatismo sanzionatorio intrinsecamente ed estrinsecamente irragionevole, e perciò contrario ai principi di uguaglianza, ragionevolezza e proporzione di cui all’art. 3, comma 1, Cost. e che, imponendo l’applicazione di una pena ad un fatto di essa non bisognoso, si pone in contrasto con gli ulteriori principi di responsabilità per il fatto e di personalità della responsabilità penale di cui agli art. 25, comma 2 e 27, comma 1 Cost., nonché con il principio della finalità rieducativa della pena, di cui all’art. 27, comma 3 Cost. Passando ora più concretamente all’esposizione delle ragioni su cui tali dubbi di legittimità costituzionale si fondano, osserva il Tribunale quanto segue. Quanto all’irragionevolezza intrinseca, non sembra esservi innanzitutto alcuna ratio giustificatrice del regime eccezionale previsto per l’art. 337 c.p., giacché, come si è detto, la presunzione di non particolare tenuità dell’offesa non è stata ancorata come invece era avvenuto nella formulazione originaria del decreto a specifiche peculiarità del fatto storico hic et nunc considerato, ma esclusivamente al titolo del reato, che viene dunque escluso ‘in blocco’ dall’ambito di operatività della non particolare tenuità del fatto, a prescindere dalle sue concrete modalità di manifestazione. In altri termini, la presunzione in questione non è legata ad alcun elemento del fatto come concretamente accertato in giudizio, incidente sugli ordinari indici-requisiti dell’entità del danno o del pericolo cagionato e/o caratterizzante le modalità della condotta, e dunque comprende anche fatti caratterizzati da offese modestissime al bene giuridico, poste in essere in situazioni concrete affatto allarmanti. Non vi è, tuttavia, alcuna valida ragione logico-giuridica in base alla quale poter ragionevolmente sostenere che l’offesa cagionata dal delitto di cui all’art. 337 c.p., a differenza di quella prodotta da qualsiasi altro delitto egualmente punito con pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni e, come subito si dirà, anche di altri analoghi delitti contro la pubblica amministrazione, possa essere considerata, ex se e in astratto, in tutte le sue possibili, innumerevoli forme di manifestazione concrete, di non particolare tenuità. La generalizzazione sottesa a tale presunzione non è dunque ancorata ad alcun vincolo di realtà, non è supportata e giustificata da alcun criterio logico-giuridico razionale, empiricamente e/o assiologicamente fondato, oggettivamente né verificabile né falsificabile essa risulta, perciò, irragionevole e arbitraria. Al contrario, la fattispecie delittuosa di cui all’art. 337 c.p., come peraltro testimoniato dalla sua ampia cornice edittale che va da sei mesi a cinque anni di reclusione, ben può assumere, in concreto, una variegata molteplicità di forme di manifestazione e di gradi di gravità. Per quanto più specificamente concerne l’offesa intesa lato sensu, comprendendo in essa non soltanto il grado della lesione o messa in pericolo, ma anche le modalità dell’aggressione al bene , la cui non particolare tenuità è presunta iuris et de iure dal legislatore, va osservato che la sua intensità può variare a seconda che il delitto venga posto in essere con minaccia o con violenza, nonché in ragione della tipologia specifica di minaccia o di violenza, che l’azione sia di breve o di lunga durata, che la condotta consti di un solo o di più atti, ovvero venga posta in essere in una situazione pienamente controllabile da parte del pubblico ufficiale, ovvero nel corso di eventi o interventi particolarmente delicati, che il regolare esercizio della funzione pubblica sia stato soltanto momentaneamente turbato, ovvero irrimediabilmente menomato, etc. Se, dunque, estremamente variegate sono le modalità con cui l’offesa sottesa al delitto in esame può manifestarsi, non appare allora ragionevole la previsione di una presunzione assoluta di non particolare tenuità dell’offesa applicabile ad ogni possibile forma di resistenza a pubblico ufficiale fatti di scarsissima rilevanza sono non soltanto ‘agevoli da immaginare’, ma quanto mai frequenti nella prassi giudiziaria. D’altra parte, proprio quello che ci occupa in questa sede rappresenta un chiaro e lampante caso ‘contrario alla generalizzazione posta a base della presunzione”’, giacché esso presenta, come si è tentato di argomentare in punto di rilevanza della questione, tutti gli indici-requisiti richiesti in via generale dal 131-bis c.p. per la qualificazione in termini di particolare tenuità. E ciò nonostante esso non può, per espresso divieto normativo, essere considerato tale. Il confronto tra tale presunzione e le altre già previste dal medesimo comma 2 dell’art. 131-bis c.p., lungi dallo smentire l’irragionevolezza di tale ulteriore previsione derogatoria, sembra al contrario confermarne il fondamento. Invero, tali presunzioni appaiono strutturalmente diverse da quella in questa sede censurata, giacché non sono caratterizzate da un’analoga assolutezza ed onnicomprensività esse non sono legate, infatti, al mero titolo del reato, bensì alla peculiare macro-tipologia di offesa in concreto cagionata morte, lesioni gravissime , ovvero alle modalità e alle specifiche circostanze di tempo o di luogo della condotta, ovvero alla peculiare concreta condizione della persona offesa crudeltà o sevizie, condizione di minorata difesa della persona offesa , ovvero ai motivi a delinquere motivi abietti o futili . In altri termini, esse non comportano l’aprioristica esclusione di una singola, specifica e determinata fattispecie dall’alveo applicativo dell’istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto, ma possono attagliarsi a qualsivoglia reato o categoria di reati e sono comunque legate esattamente agli stessi parametri c.d. indici-requisiti , di valutazione della ‘particolare tenuità dell’offesa’, di cui al comma 1 l’esiguità del danno o del pericolo e le modalità della condotta. Inoltre – ad eccezione delle sole ipotesi di morte e lesioni gravissime – si tratta di elementi del fatto sottesi ad altrettante circostanze aggravanti comuni previste dall’art. 61 c.p. e/o a parametri commisurativi della pena, sub specie gravità del reato”, previsti dall’art. 133 c.p., come tali dunque attinenti al singolo fatto storico accertato in giudizio e non già alla fattispecie criminosa che astrattamente viene in rilievo. Tali presunzioni, in altri termini, sono ancorate a peculiari circostanze del fatto storico che incidono su specifici elementi dell’illecito penale, quali la tipologia, la qualità o il grado dell’offesa, le circostanze di tempo e di luogo della condotta, l’intensità e/o il grado dell’elemento psicologico, l’entità della colpevolezza/responsabilità, determinandone, a giudizio del legislatore, la sua concreta e non astratta non particolare tenuità. Al contrario, si ripete, la disposizione qui censurata realizza una generalizzata e indiscriminata sottrazione al regime ordinario di applicabilità dell’art. 131-bis c.p. di tutte le possibili forme di manifestazione del delitto di cui all’art. 337 c.p. commesso nei confronti di pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, non supportata da alcun fondamento giustificativo razionale la prassi giudiziaria dimostra, al contrario, la straordinaria frequenza di ipotesi contrarie alla generalizzazione posta alla base della presunzione, dovendosi pertanto ritenere che l’esclusione aprioristica della fattispecie di cui all’art. 337 c.p. dall’ambito operativo della causa di non punibilità della non particolare tenuità del fatto si fonda su di una valutazione non corrispondente all’id quod plerumque accidit, e dunque intrinsecamente irragionevole, in violazione dell’art. 3 Cost. Quanto ai profili di irragionevolezza estrinseca, va rilevato che la presunzione assoluta in questione si risolve innanzitutto in un eguale trattamento di situazioni eterogenee non consentendo al Giudice di apprezzare i profili di particolare tenuità dell’offesa pur emergenti nel caso concreto sottoposto al suo vaglio, essa rende infatti comunque punibile tale fatto, alla medesima stregua di fatti connotati da un disvalore oggettivo effettivamente superiore alla soglia della particolare tenuità dell’offesa. Ma siffatta irragionevolezza emerge soprattutto dalla circostanza che rispetto ad altri reati, caratterizzati da identico bene giuridico tutelato e analoghe modalità di aggressione – e che dunque sembrano poter essere correttamente elevati a tertia comparationis – risulta tuttora applicabile la causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis c.p. la disposizione censurata determina, pertanto, anche un trattamento differenziato di situazioni omogenee. Come si è avuto modo di osservare in punto di rilevanza della questione, secondo l’interpretazione fornita dalle Sezioni Unite, condivisa dal Tribunale, il delitto di cui all’art. 337 c.p. tutela il regolare funzionamento della pubblica amministrazione”, sia pure inteso in senso lato – alla luce di una concezione organica della stessa – fino a ricomprendervi la sicurezza e libertà di determinazione e di azione degli organi pubblici, mediante la protezione delle persone fisiche che singolarmente o in collegio ne esercitano le funzioni” e che ne manifestano all’esterno la volontà ma in termini sostanzialmente analoghi si era espressa già la Corte costituzionale con l’ordinanza n. 425 del 1996 . Così definito, si tratta di un bene giuridico ad ampio spettro, comune a numerosissimi delitti contro la pubblica amministrazione, siano essi commessi dal pubblico ufficiale, siano essi commessi dai privati, moltissimi dei quali peraltro puniti con pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, e dunque rientranti nell’ambito applicativo dell’art. 131-bis c.p.1. Volendo rimanere nell’ambito dei delitti commessi dai privati contro la pubblica amministrazione”, di cui al capo II del titolo II del codice penale, nell’ambito dei quali rientra appunto quello di cui all’art. 337 c.p., può richiamarsi in questa sede l’attenzione innanzitutto sulla fattispecie di Interruzione di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità” prevista dall’art. 340 c.p., punita con la reclusione fino a un anno nell’ipotesi base e da uno a cinque anni se il fatto è commesso dai capi, promotori od organizzatori comma 2 . Dal punto di vista del bene giuridico si tratta di un delitto del tutto omogeneo a quello di resistenza a pubblico ufficiale e rispetto ad esso addirittura più grave nell’ipotesi di cui al comma 2 invero, come nell’ipotesi prevista dall’art. 337 c.p., anche qui la condotta del privato – sia pure a forma libera – cagiona un’indebita interruzione o un turbamento della regolarità di un servizio o ufficio pubblico o di un servizio di pubblica necessità , impedendo il regolare funzionamento della pubblica amministrazione”. Ebbene, nulla osta a che, in concreto, alla luce dell’esiguità del danno o del pericolo cagionato al bene giuridico e delle modalità non allarmanti della condotta, il giudice qualifichi l’offesa in termini di particolare tenuità ai sensi dell’art. 131-bis c.p. Ancora, può essere ulteriormente preso in considerazione il delitto di Oltraggio a un magistrato in udienza” previsto dall’art. 343 c.p., punito con la reclusione fino a tre anni nell’ipotesi base comma 1 , da due a cinque anni nel caso in cui l’offesa consista nell’attribuzione di un fatto determinato comma 2 , e con le medesime pene, aumentate fino a un terzo, se il fatto è commesso con violenza o minaccia” comma 3 . Tale delitto è caratterizzato da una ancora più marcata omogeneità rispetto a quello di cui all’art. 337 c.p., poiché anche in questo caso l’offesa al regolare funzionamento della pubblica amministrazione” nella specie, della funzione giurisdizionale viene realizzata per mezzo dell’aggressione alla persona che per essa agisce la figura generica del pubblico ufficiale nel caso di cui all’art. 337 c.p., quella specifica del magistrato nel caso di cui all’art. 343 c.p. l’omogeneità è peraltro pressoché totale nell’ipotesi di cui all’art. 343, comma 3, c.p., caratterizzata da identiche modalità di aggressione al bene violenza o minaccia . Ebbene, anche in questo caso nulla osta a che, in concreto, alla luce dell’esiguità del danno o del pericolo cagionato al bene giuridico e delle modalità non allarmanti della condotta, il giudice qualifichi l’offesa in termini di particolare tenuità ai sensi dell’art. 131-bis c.p. Il confronto con fattispecie analoghe, e pur tuttavia non escluse dall’ambito di operatività dell’art. 131-bis c.p., sembra dunque condurre a ritenere che la presunzione assoluta in questa sede censurata oltre ad essere in sé irragionevole si traduce in una discriminatoria disparità di trattamento tra chi commette una violenza o minaccia nei confronti di un pubblico ufficiale ascrivibile all’art. 337 c.p. la cui offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità , e chi invece commette, egualmente mediante violenza o minaccia, un oltraggio a un magistrato in udienza egualmente un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni , la cui offesa invece potrà essere ritenuta, in concreto, di particolare tenuità. La disposizione in questa sede censurata, così, sottopone senza alcun fondamento empirico giustificativo il delitto di cui all’art. 337 c.p. ad una disciplina differenziata e deteriore rispetto a quella ordinariamente prevista non soltanto per ogni altro reato punito con pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ma anche per delitti ad esso del tutto analoghi quanto a bene giuridico tutelato e a modalità di aggressione tra cui, ad esempio, quelli previsti dagli artt. 340 e 343 c.p. . In definitiva, per le ragioni sin qui esposte, essa appare caratterizzata anche da un’irragionevolezza estrinseca, giacché determina, al contempo, un irragionevole trattamento differenziato di situazioni omogenee e un irragionevole trattamento omogeneo di situazioni differenti, e perciò anche sotto tale profilo in contrasto con l’art. 3 Cost. Chiariti i profili della ritenuta irragionevolezza intrinseca ed estrinseca, va poi ulteriormente rilevato che tale disposizione si traduce in un automatismo sanzionatorio che preclude al giudice un vaglio individualizzante del singolo e irripetibile fatto storico portato alla sua attenzione, costringendolo così ad irrogare una pena sproporzionata nell’an ancor prima che nel quantum, poiché applicata ad un fatto che, in base ai criteri generali fissati dal medesimo legislatore, non ne è invece ‘bisognoso’ ciò, come si è anticipato in premessa, determina una violazione non soltanto del principio di uguaglianza, sub specie ragionevolezza e proporzione, ma anche dei principi di responsabilità per il fatto, di personalità della responsabilità penale e della finalità rieducativa della pena di cui rispettivamente agli artt. 25, comma 2 e 27, commi 1 e 3, Cost. Infatti, l’individualizzazione del trattamento sanzionatorio costituisce evidente attuazione del mandato costituzionale di personalità” della responsabilità penale di cui all’art. 27, primo comma, Cost.” Corte cost., sentenza n. 222 del 2018 al contempo, una pena non proporzionata alla gravità del fatto e non percepita come tale dal condannato si risolve in un ostacolo alla sua funzione rieducativa” Corte cost., ult. cit. ma v. già, ex multis, sentenza n. 236 del 2016 e n. 68 del 2012 . E come ormai da tempo la Corte, superando la concezione c.d. polifunzionale della pena, ha inequivocabilmente affermato, il rispetto della finalità rieducativa della pena di cui all’art. 27 comma 3 della Costituzione, implica e al contempo impone un principio di proporzione” tra qualità e quantità della sanzione, da una parte, e offesa, dall’altra” e, lungi dal rappresentare una mera generica tendenza riferita al solo trattamento, indica invece proprio una delle qualità essenziali e generali che caratterizzano la pena nel suo contenuto ontologico e l’accompagnano da quando nasce, nell’astratta previsione normativa, fino a quando in concreto si estingue” Corte cost., sentenza n. 313 del 1990 . Il rispetto di tali principi, dunque, impone la necessità di calibrare specie e durata della sanzione, sia in sede normativa sia in sede applicativa, alle reali necessità rieducative del soggetto destinatario della stessa, il quale, per poter scegliere di aderire al programma di trattamento offerto, deve poter innanzitutto avvertire la pena inflitta come ‘giusta’, e non già come una inutile sofferenza senza scopo. Come, da ultimo, la giurisprudenza costituzionale ha vigorosamente rimarcato allorché le pene comminate appaiano manifestamente sproporzionate rispetto alla gravità del fatto previsto quale reato, si profila un contrasto con gli artt. 3 e 27 Cost., giacché una pena non proporzionata alla gravità del fatto si risolve in un ostacolo alla sua funzione rieducativa ex multis, sentenze n. 236 del 2016, n. 68 del 2012 e n. 341 del 1994 . I principi di cui agli artt. 3 e 27 Cost. esigono di contenere la privazione della libertà e la sofferenza inflitta alla persona umana nella misura minima necessaria e sempre allo scopo di favorirne il cammino di recupero, riparazione, riconciliazione e reinserimento sociale” sentenza n. 179 del 2017 in vista del progressivo reinserimento armonico della persona nella società, che costituisce l’essenza della finalità rieducativa” della pena da ultimo, sentenza n. 149 del 2018 . Al raggiungimento di tale impegnativo obiettivo posto dai principi costituzionali è di ostacolo l’espiazione di una pena oggettivamente non proporzionata alla gravità del fatto, quindi, soggettivamente percepita come ingiusta e inutilmente vessatoria e, dunque, destinata a non realizzare lo scopo rieducativo verso cui obbligatoriamente deve tendere” sentenza n. 40 del 2019 v., da ultimo, sentenza n. 102/2020 . Ma, a ben vedere, l’ineludibile esigenza di proporzione, se deve caratterizzare il rapporto tra entità della pena comminata e irrogata, da un lato, e la gravità del fatto anche in rapporto al suo autore , dall’altro, non può che imporsi ugualmente, ed a fortiori, allorché, come nel caso di specie, venga in rilievo non già il quantum, ma addirittura e in radice l’an della sanzione penale, ricomprendendo cioè i casi in cui ad essere sproporzionata non sia l’entità della pena, bensì il fatto stesso della sua applicazione invero, come da tempo la stessa Corte costituzionale ha inequivocabilmente affermato Il principio di proporzionalità va inteso non soltanto quale proporzione tra gravità del fatto e sanzione penale bensì, anche e soprattutto, quale ‘criterio generale’ di congruenza degli strumenti normativi rispetto alle finalità da perseguire” Corte cost., sentenza n. 487 del 1989 e ciò equivale a negare legittimità alle incriminazioni che, anche se presumibilmente idonee a raggiungere finalità statuali di prevenzione, producono, attraverso la pena, danni all'individuo ai suoi diritti fondamentali ed alla società sproporzionatamente maggiori dei vantaggi ottenuti o da ottenere da quest’ultima con la tutela dei beni e valori offesi dalle predette incriminazioni” sentenza n. 409 del 1989 . Ebbene, l’applicazione di una pena, anche minima, ad un illecito considerato di particolare tenuità alla luce dei criteri previsti dallo stesso ordinamento, e dunque di essa non bisognoso, costituisce una reazione sproporzionata dell’ordinamento, che sacrifica e banalizza la libertà personale dell’individuo, dichiarata inviolabile” dall’art. 13 Cost., a fronte di fatti che non dimostrano alcun reale bisogno di pena la sua inflizione realizza, pertanto, un ingiustificato, inutile e intollerabile sacrificio della libertà personale, in violazione dei principi di uguaglianza, ragionevolezza e proporzionalità, di personalità della responsabilità penale e di rieducazione, oltre che di sussidiarietà del diritto penale o extrema ratio, il quale esige che la sanzione più grave di cui l’ordinamento dispone sia attivata esclusivamente in relazione a fatti realmente bisognosi di pena, in mancanza di strumenti alternativi di tutela cfr., per tutte, la sentenza n. 364 del 1988 . Piuttosto, l’applicazione di una pena sproporzionata in sé in quanto non necessaria per il perseguimento delle finalità di risocializzazione di cui all’art. 27, comma 3 Cost. assume un significato eminentemente simbolico benché simbolici non siano affatto i risultati concreti che essa produce sulle persone ‘in carne ed ossa’ , essendo orientata all’esclusiva finalità politica più che politico-criminale di rimarcare e ‘significare’ la prevalenza delle ragioni istituzionali connesse al regolare svolgimento della funzione amministrativa sulle garanzie individuali. La punizione del singolo che abbia commesso un fatto di resistenza a pubblico ufficiale in concreto scarsamente offensivo, e dunque non bisognoso di pena, appare invero funzionale al solo obiettivo rimarcare il ‘valore’ dell’istituzione e la sua ritenuta incondizionata preminenza sull’individuo in questo modo viene tuttavia riproposta quell’anacronistica concezione autoritaria e sacrale delle istituzioni”, viste come un bene in sé e non già quale strumento al servizio del cittadino, propria dello stato etico e di altre e passate stagioni politiche, che non a caso la stessa Corte costituzionale si è da tempo incaricata di giudicare incompatibile con l’assetto di valori sotteso alla Costituzione, affermando che essa è estranea alla coscienza democratica instaurata dalla Costituzione repubblicana, per la quale il rapporto tra amministrazione e società non è un rapporto di imperio, ma un rapporto strumentale alla cura degli interessi di quest’ultima” sentenza n. 341 del 1994 ma in termini analoghi si esprimono anche le sentenze n. 140 del 98 e n. 236 del 16 . La presunzione assoluta di non particolare tenuità dell’offesa sancita per il delitto di cui all’art. 337 c.p. si traduce dunque in una strumentalizzazione del singolo per finalità di politica-criminale, in quanto egli viene punito non già poiché il fatto-reato ha dimostrato il suo bisogno di ‘rieducazione’ nel senso di cui all’art. 27, comma 3, Cost., ma al solo fine di riaffermare il valore della norma violata secondo le note cadenze della Normgeltungstheorie di stampo funzionalistico ma l’assegnazione alla pena della mera funzione di riaffermazione simbolica del valore della norma costituisce una violazione dei principi di responsabilità per il fatto e di personalità della responsabilità penale di cui agli artt. 25, comma 2 e 27 comma 1 Cost., che esigono che ciascuno venga punito esclusivamente per e nei limiti de il fatto compiuto e non per finalità ulteriori di politica criminale, oltre che, ovviamente, della finalità rieducativa della pena, di cui all’art. 27, comma 3, Cost. In definitiva, a giudizio del Tribunale, non diversamente da quanto avviene nel caso di applicazione di una pena sproporzionata rispetto alla gravità del fatto, anche l’applicazione di una pena sproporzionata in sé in quanto irrogata a fronte di un fatto di essa non bisognoso appare in contrasto con i principi di proporzionalità, di responsabilità per il fatto e di personalità della responsabilità penale, nonché della finalità rieducativa della pena, profilandosi così una violazione, anche sotto tale profilo, dell’art. 3 Cost., nonché degli artt. 25, comma 2 e 27, commi 1 e 3 Cost. E’, peraltro, appena il caso di rilevare, in conclusione, che il vizio in questa sede denunciato è, sotto tale profilo, diverso rispetto a quello in passato prospettato da altro rimettente, concernente l’impossibilità di applicare l’art. 131-bis c.p. alla fattispecie attenuata di ricettazione di cui all’art. 648, comma 2, c.p., risolto in senso negativo dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 207 del 2017. Infatti, la declaratoria di illegittimità costituzionale in questa sede invocata non presupporrebbe l’individuazione, da parte della Corte, di un criterio di selezione dei fatti astrattamente suscettibili di essere ritenuti di non particolare tenuità alternativo e diverso rispetto a quello previsto dal legislatore id est, il limite massimo di pena detentiva pari a cinque anni , ma al contrario proprio la valorizzazione di tale criterio selettivo, indebitamente compresso dalla novella in questa sede censurata mediante una clausola derogatoria manifestamente irragionevole un’eventuale pronuncia di accoglimento, infatti, determinerebbe esclusivamente la naturale riespansione di quel criterio generale fissato dallo stesso legislatore. P.Q.M. Dichiara d’ufficio rilevante nel presente giudizio e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 16, comma 1, lett. b del decreto-legge 14 giugno 2019, n. 53, come convertito con modificazioni nella legge 8 agosto 2019, n. 77, nella parte in cui, modificando l’art. 131-bis, comma 2, c.p., prevede che l’offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità nel caso di cui all’art. 337 c.p., quando il reato è commesso nei confronti di un pubblico ufficiale nell’esercizio delle proprie funzioni, per violazione degli artt. 3, 25 comma 2, 27, commi 1 e 3, 77 Cost. Sospende il giudizio Ordina l’immediata trasmissione alla Corte costituzionale della presente ordinanza e degli atti del giudizio, insieme con la prova delle comunicazioni e notificazioni di cui al successivo capoverso Dispone che la presente ordinanza sia notificata all’imputato e al Presidente del Consiglio dei Ministri e che sia comunicata ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati Dà atto che la presente ordinanza è stata letta in udienza e che, pertanto, essa deve intendersi notificata a coloro che sono o devono considerarsi presenti, ex art. 148, comma 5, c.p.p. 1 Possono essere richiamate, in proposito, quali delitti puniti con pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, numerosissime fattispecie, come ad esempio artt. 314, comma 2 peculato d’uso , 319 quater per chi dà o promette denaro o altra utilità , 323 abuso d’ufficio , 329 rifiuto o ritardo di obbedienza commessi da un militare o da un agente della forza pubblica , 331 interruzione di servizio di pubblica necessità commesso dall’esercente , 337 bis occultamento, custodia o alterazione di mezzi di trasporto , 346 bis traffico di influenze illecite , 342 oltraggio a un corpo politico, amministrativo o giudiziario , 347 usurpazione funzioni pubbliche , 348 esercizio abusivo di una professione , 349 violazione di sigilli , 351 violazione della pubblica custodia di cose , 353 e 353 bis turbata libertà degli incanti e del procedimento di scelta del contraente , 355 e 356 inadempimento di contratti di pubbliche forniture e frode del codice penale.