Condanna irrevocabile… ma interviene una pronuncia di illegittimità costituzionale che impone la rideterminazione della pena

In tema di rideterminazione della pena a seguito di intervento di una sentenza di illegittimità costituzionale che abbassi il minimo edittale, il giudice dell’esecuzione che operi un intervento correttivo in senso conservativo dell’originaria sanzione irrogata è tenuto a esplicitare compiutamente in virtù di quali parametri la pena originariamente determinata risulti ancora conforme al disvalore del fatto e funzionale al reinserimento sociale del condannato, pur in un quadro edittale ridefinito in melius.

Sul tema la Corte di Cassazione con la sentenza n. 19371/20 depositata il 26 giugno. Un soggetto condannato per reati in materia di stupefacenti ha chiesto la rideterminazione della pena , a seguito della pronuncia di illegittimità costituzionale n. 40/2014 in relazione al trattamento sanzionatorio previsto per la detenzione di sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alle tabelle I e III previste dall’art. 14 t.u. stup. c.d. droghe pesanti . Già la Corte di Cassazione aveva annullato con rinvio la prima ordinanza del giudice dell’esecuzione che aveva ritenuto la sanzione applicata conforme alla cornice edittale vigente post sentenza di incostituzionalità e congrua rispetto alla condotta concreta, all’uopo valorizzando la quantità di sostanza stupefacente e le modalità dell’azione. La S.C. aveva osservato come, a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale, l’illegalità della sanzione discendesse automaticamente dalla circostanza oggettiva della diversità tra quadro sanzionatorio vigente al momento di conclusione dell’accordo processuale sulla pena e quadro normativo ripristinato a seguito della sentenza costituzionale n. 40/2014. La Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 73 t.u. stup. nella parte in cui prevedeva la pena minima edittale nella reclusione pari ad anni otto , anziché ad anni sei , per fatti non lievi aventi ad oggetto le c.d. droghe pesanti. La sentenza di illegittimità costituzionale ha comportato la illegalità della sanzione , illegalità che deriva automaticamente dalla circostanza oggettiva della diversità tra quadro sanzionatorio vigente al momento di conclusione dell’accordo processuale sulla pena e quadro normativo ripristinato successivamente alla sentenza della Corte costituzionale. In ordine alle pene irrogate, con sentenza irrevocabile di condanna, in data antecedente alla pronuncia di illegittimità costituzionale di una norma penale diversa da quella incriminatrice, incidente sulla commisurazione del trattamento sanzionatorio , e quest’ultimo non sia interamente eseguito, il giudice dell’esecuzione deve rideterminare la pena in favore del condannato. Il provvedimento correttivo non ha contenuto predeterminato potendo il giudice dell’esecuzione avvalersi di penetranti poteri di accertamento e di valutazione, fermi restando i limiti fissati dalla pronuncia di cognizione, in applicazione di norme diverse da quelle dichiarate incostituzionali. L’ interesse concreto e attuale del condannato – che legittima l’intervento in sede esecutiva – alla rideterminazione della pena inflitta con sentenza irrevocabile, sulla base di parametri edittali più favorevoli vigenti a seguito di dichiarazione di illegittimità costituzionale di una norma penale riguardante il trattamento sanzionatorio, sussiste non solo se la pena non sia stata ancora interamente espiata ma anche quando una quota della pena espiata in eccesso , rispetto alla sopravvenuta cornice edittale più favorevole, possa essere imputata alla condanna per altro reato, sempre che la detenzione in eccesso sia sofferta dopo la commissione del reato per cui si chiede la fungibilità. Afferma la Corte che, al fine di rendere l’esecuzione in linea con i parametri sanciti dalla sentenza di illegittimità costituzionale, l’intervento incidente sull’entità della pena si impone anche quando l’entità della pena in concreto fissata sia collocabile all’interno del range edittale corrispondente a quello costituzionale . Già la Corte di Cassazione, annullando la prima ordinanza del giudice dell’esecuzione, aveva chiarito che la necessità di adattare la sanzione al mutato quadro edittale derivante dalla sentenza costituzionale, imponesse uno scrutinio compiuto rinnovando il giudizio di proporzione sostanziale” tra sanzione edittale e portata lesiva della condotta tenuta in concreto, in applicazione del principio di adeguatezza fra trattamento sanzionatorio e quadro normativo restaurato”. Non sono sufficienti, invece, né il richiamo alla conformità formale della pena originariamente applicata, in relazione alle cornici edittali vigenti al momento del fatto e della originaria decisione di merito né l’evocazione di solo affermati criteri di adeguatezza ed equità della pena applicata, perché criteri che si fondano su ragionamenti puramente nominali. La Corte ha ricordato che, nel caso delle droghe pesanti, la dichiarazione di illegittimità costituzionale ha inciso solo sul minimo del trattamento sanzionatorio . Pertanto, il giudice non può operare la rideterminazione partendo dalla stessa pena base individuata in origine S.U. Jazouli 2015 . In particolare, ciò vale quando, come nel caso di specie, la pena originaria sia stata determinata in misura prossima al minimo allora, otto anni diversamente sarebbe nelle ipotesi in cui la pena originariamente irrogata si sia assestata nel massimo o in misura prossima al massimo, ovvero in misura notevolmente superiore al minimo e prossima al valore medio rispetto alla cornice edittale previgente, perché, in tali ipotesi, non sussisterebbe la condizione di sproporzione e di inadeguatezza della pena, rilevabile, invece, nei casi puniti con la reclusione nel minimo pari ad otto anni. In sede di esecuzione, pur dovendo apportare una correzione sanzionatoria in melius , non è imposto al giudice di operare con rigidi criteri di riduzione di tipo matematico-proporzionale , ovvero automatismi che replichino le scelte di cognizione. Al giudice dell’esecuzione va anzi riconosciuto un ampio potere discrezionale ai fini della rideterminazione, esercitabile secondo gli stessi parametri utilizzati dal giudice della cognizione artt. 132 e 133 c.p. , tenuto conto del contenuto del giudicato che segna i contorni oggettivi e soggettivi del fatto e del loro disvalore, secondo gli accertamenti intervenuti in sede di cognizione. Afferma la Corte che in tale modo viene a definirsi un incidente di cognizione” funzionale alla rideterminazione della pena il giudice dell’esecuzione dovrà commisurare la pena discrezionalmente, secondo i parametri normativi indicati nonché tenuto conto dei dati cristallizzati nella sentenza irrevocabile nondimeno, il giudice dell’esecuzione dovrà esplicitare nella motivazione gli indicatori valutati in riferimento alla nuova cornice edittale. Dell’esercizio del potere discrezionale , il giudice dovrà fornire giustificazione in motivazione , articolando un percorso argomentativo tanto più persuasivo quanto più si discosti dal minimo edittale e dai parametri sanzionatori vigenti all’epoca in cui si è formato l’accordo sulla pena, così da esplicitare il rinnovato giudizio di adeguatezza e proporzionalità della pena entro i nuovi limiti definiti dalla sentenza costituzionale. Il giudice dell’esecuzione che operi un intervento correttivo in senso conservativo dell’originaria sanzione irrogata è tenuto a esplicitare compiutamente in virtù di quali parametri la pena originariamente determinata risulti ancora conforme al disvalore del fatto e funzionale al reinserimento sociale del condannato, pur in un quadro edittale ridefinito in melius motivazione rafforzata . Il giudice dell’esecuzione, pur a seguito del primo annullamento con rinvio, non ha operato correttamente. Osserva la S.C. che il giudice dell’esecuzione, pur avendo disposto una riduzione della pena base, in conformità a quanto statuito nella sentenza di annullamento, ne ha operato una rideterminazione in misura superiore al nuovo minimo , senza giustificare adeguatamente il discostamento. Infatti, la nuova commisurazione della pena base in misura superiore al minimo è stata giustificata mediante un improprio richiamo al riconoscimento delle attenuanti generiche in sede di cognizione e del contenuto aumento compiuto in sede di continuazione”, sovrapponendo i diversi piani dei profili circostanziali del fatto e della pluralità dei reati a quello della necessaria rinnovata valutazione di adeguatezza della pena. La giustificazione dell’esercizio del potere discrezionale di rivalutazione è illogica e non esprime la necessaria riconsiderazione dei fatti, come accertati nella sentenza irrevocabile, rispetto al nuovo quadro sanzionatorio di qui un nuovo annullamento con rinvio.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 8 – 26 giugno 2020, n. 19371 Presidente Palla – Relatore Tudino Ritenuto in fatto 1.Con l’ordinanza impugnata, il Giudice per le indagini preliminari di Roma - giudice dell’esecuzione, decidendo in sede di rinvio in seguito all’annullamento, statuito da questa Corte con sentenza n. 49107/2019, ha rideterminato la pena, irrogata ad T.A.R. ex art. 438 cod. proc. pen. con sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma dell’8 maggio 2018, irrevocabile, in riferimento al reato di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 1, per la detenzione illecita di 280,59 gr. di cocaina, di Ketamina e marijuana. 2. Con la sentenza di annullamento indicata, la Prima Sezione di questa Corte ha censurato l’ordinanza del giudice dell’esecuzione che, pur a fronte della sentenza della Corte costituzionale n. 40/2019 - che, come noto, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73 nella parte in cui prevedeva la pena edittale minima della reclusione pari ad anni otto, anziché ad anni sei, per fatti non lievi aventi ad oggetto sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alle tabelle I e III previste dall’art. 14 cc. dd. droghe pesanti D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 - aveva ritenuto la sanzione applicata al T. conforme alla cornice edittale vigente e congrua rispetto alla concreta condotta, in tal senso valorizzando la quantità di sostanza stupefacente e le modalità dell’azione, ed assumendo come le circostanze del concreto contesto rendessero equa una pena base sensibilmente superiore ai minimi edittali. Ha, contrariamente, osservato come, a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 1 in relazione alle droghe cc.dd. pesanti, l’illegalità della sanzione discenda automaticamente dalla circostanza oggettiva della diversità tra quadro sanzionatorio vigente al momento di conclusione dell’accordo processuale sulla pena e quadro normativo ripristinato a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 40/2019. Nella delineata prospettiva, la sentenza di annullamento ha sottolineato come non sia sufficiente nè il richiamo alla conformità formale della pena originariamente applicata, in relazione alle cornici sanzionatorie vigenti, al momento del fatto e della originaria decisione di merito, nè l’evocazione di affermati criteri di adeguatezza ed equità della pena applicata, criteri che si fondano su ragionamenti puramente nominali. Il nucleo essenziale dello scrutinio va, al contrario, compiuto rinnovando il giudizio di proporzione sostanziale tra sanzione edittale e portata lesiva della condotta tenuta in concreto, in applicazione del principio di adeguatezza tra trattamento sanzionatorio e quadro normativo di riferimento restaurato . Donde, nel caso di specie, la pena inizialmente applicata si era modellata in ragione di una forbice edittale che prevedeva all’indomani della decisione della Corte costituzionale 32/2014 una pena minima di anni otto di reclusione e su tale limite edittale si era conformato il giudizio espresso dal giudice di merito. La riduzione del minimo anzidetto, per effetto della declaratoria di incostituzionalità, avrebbe, invece, imposto una rinnovazione autonoma del giudizio sanzionatorio, rapportandolo, nella ponderazione della lesività della condotta, al minimo edittale ripristinato di anni sei di reclusione , sicché il Giudice dell’esecuzione avrebbe dovuto indicare le ragioni per le quali, pur riducendosi il minimo edittale, nel paradigma legale dell’incriminazione da otto anni a sei anni di reclusione avesse stimato, comunque, equa la pena base indicata in origine, in termini non eccessivamente superiori alla soglia minima di anni otto di reclusione . Nè si è ritenuto decisivo il richiamo a criteri nominali, in quanto utilizzati, anche in origine, dal giudice di merito, prima che mutasse la cornice edittale nella sua soglia minima attuale di anni sei di reclusione e prima, dunque, che la pena si riducesse nel minimo di anni due di reclusione. Il Giudice a quo avrebbe dovuto, pertanto, tenere in considerazione l’anzidetta riduzione e spiegare la ragione per la quale, pur a fronte di un sostanziale mutamento valutativo da parte del legislatore, nel definire la forbice di pena modificandosi il minimo edittale da otto a sei anni si giudicasse ancora congrua una pena che era stata ritenuta tale e adeguata allorquando la soglia minima del trattamento penale per quel fatto era stata fissata in termini decisamente più alti. 3. Con l’ordinanza impugnata, il giudice dell’esecuzione ha rimodulato la pena base per il più grave reato di detenzione a fini di spaccio di sostanza stupefacente del tipo eroina in anni sette di reclusione, applicando la diminuzione per le attenuanti generiche e l’incremento per la continuazione, ed ha rideterminato la pena finale, con la diminuente per il rito abbreviato, in anni tre e mesi quattro di reclusione ed Euro 12.000 di multa. 4. Avverso l’ordinanza del Giudice dell’esecuzione di Roma ha proposto ricorso l’imputato, per mezzo del difensore, Avv. Francesco Compagna, articolando un unico motivo, con il quale deduce violazione di legge in riferimento a plurimi profili. Il ricorrente - premessa la ricostruzione del calcolo della pena censura la determinazione del trattamento sanzionatorio sia in riferimento alla pena base, commisurata oltre il minimo edittale, diversamente da quanto ritenuto dal giudice della cognizione, con motivazione peraltro illogica, involgente i diversi piani delle attenuanti e della continuazione, che in ordine alla diminuzione ex art. 62-bis c.p., operata in misura inferiore rispetto a quanto statuito nel giudizio di cognizione. 5. Con requisitoria scritta in data 24 aprile 2020, il Procuratore generale presso questa Corte ha concluso per l’inammissibilità del ricorso. Considerato in diritto Il primo, assorbente, rilievo è fondato. 1.Il giudice dell’esecuzione non ha adeguatamente giustificato la rimodulazione della pena base in misura superiore al nuovo limite edittale. 1.1. Nell’annullare l’originario provvedimento di conferma del trattamento sanzionatorio applicato con la sentenza irrevocabile, la Prima Sezione di questa Corte ha chiarito, nel quadro dei principi ermeneutici tracciati dagli interventi della Consulta sulla cornice edittale delineata dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, come, in relazione alle droghe cc. dd. pesanti, l’illegalità della sanzione discenda automaticamente dalla circostanza oggettiva della diversità tra quadro sanzionatorio vigente al momento di conclusione dell’accordo processuale sulla pena e quadro normativo ripristinato, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 40/2019, precisando come non sia, pertanto, sufficiente nè il richiamo alla conformità formale della pena originariamente applicata, in relazione alle cornici sanzionatorie vigenti al momento del fatto e della originaria decisione di merito, nè l’evocazione di affermati criteri di adeguatezza ed equità della pena applicata, criteri che si fondano su ragionamenti puramente nominali, mentre il nucleo essenziale dello scrutinio va, al contrario, compiuto rinnovando il giudizio di proporzione sostanziale tra sanzione edittale e portata lesiva della condotta tenuta in concreto, in applicazione del principio di adeguatezza tra trattamento sanzionatorio e quadro normativo di riferimento restaurato. 1.2. Con la sentenza indicata, come noto, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1, nella parte in cui prevedeva la pena minima edittale della reclusione nella misura di anni otto, e non già di sei, per le condotte descritte nel medesimo articolo aventi a oggetto le sostanze stupefacenti e psicotrope di cui alle tabelle I e III previste dall’art. 14 dello stesso testo normativo cc. dd. droghe pesanti . Ne discende come in ordine alle pene irrogate in data antecedente a detta pronuncia - conformemente a quanto conseguito alla declaratoria di illegittimità del trattamento sanzionatorio in materia di droghe leggere , pronunciata con la sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014 debbano trovare applicazione i principi fissati dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 42858 del 29/05/2014, Gatto, Rv. 260697. Secondo tale insegnamento, quando, successivamente alla pronuncia di una sentenza irrevocabile di condanna, interviene la dichiarazione di illegittimità costituzionale di una norma penale diversa da quella incriminatrice, incidente sulla commisurazione del trattamento sanzionatorio, e quest’ultimo non sia stato interamente eseguito, il giudice dell’esecuzione deve rideterminare la pena in favore del condannato, anche se il suo provvedimento correttivo non abbia contenuto predeterminato, potendo egli avvalersi di penetranti poteri di accertamento e di valutazione, fermi restando i limiti fissati dalla pronuncia di cognizione, in applicazione di norme diverse da quelle dichiarate incostituzionali. L’intervento in sede esecutiva ai fini di siffatta rideterminazione presuppone la preliminare verifica della sussistenza di un interesse, concreto ed attuale, che ricorre non solo quando la pena non sia stata ancora interamente espiata, ma anche ove essa possa essere imputata alla condanna per altro titolo, secondo i principi dettati dall’art. 657 c.p.p., sempre che la detenzione in eccesso sia sofferta dopo la consumazione del reato in relazione al quale si chiede di applicare la fungibilità Sez. 6, n. 27403 del 10/06/2016, Rv. 267365 . 1.2. Alla stregua di quanto ancora precisato dalle Sezioni Unite di questa Corte nelle pronunce rese in materia di correzione del trattamento sanzionatorio a seguito della già citata sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014, l’intervento incidente sull’entità della pena, al fine di renderne l’esecuzione in linea con i parametri legali sanciti dalla dichiarazione di illegittimità, si impone anche quando l’entità della pena in concreto fissata sia collocabile all’interno del range edittale corrispondente a quello costituzionale Sez. U.,n. 33040 del 26/02/2015, Jazouli, Rv. 264205 Sez. U., n. 37107 del 26/02/2015, Marcon, Rv. 264857 . Anche in tal caso, infatti, la misurazione della responsabilità è stata operata attraverso un processo valutativo ancorato, sotto il profilo della quantificazione in concreto, a punti di riferimento, costituiti dalla forbice edittale avuta allora presente in sede di cognizione, costituzionalmente non accettabili, di modo che la commisurazione finale è rimasta sempre patologicamente alterata. La sentenza Jazouli, d’altro canto, ha esplicitamente escluso che per lo stesso fatto, inquadrato nei nuovi limiti edittali scaturiti dalla dichiarazione di incostituzionalità, il giudice possa operare la rideterminazione partendo dalla stessa pena base individuata in origine. Nella delineata prospettiva, questa Corte ha già avuto modo di evidenziare come, nel caso delle droghe pesanti e tenuto conto della particolare incidenza della dichiarazione di illegittimità costituzionale solo sul minimo del trattamento sanzionatorio, il vulnus evidenziato potrà essere escluso unicamente quando la pena originariamente irrogata si sia attestata nel massimo o in misura prossima al massimo Sez. 1, n. 2036 dell’11 dicembre 2019 - dep. 2020, Selistha, Rv. 278198 , ovvero in misura notevolmente superiore al minimo e prossima al valore medio rispetto alla cornice edittale previgente Sez. 1, n. 51305 del 20/11/2019, Xeba, Rv. 277923 , giacché, in siffatte ipotesi, tenuto conto del mantenimento inalterato del massimo edittale, non sussiste quella condizione di sproporzione e di inadeguatezza della pena, rilevabile nei casi puniti con la reclusione nel minimo edittale pari ad otto anni, che ne impone un adeguamento al nuovo limite. In altri termini, al di fuori di tali ipotesi, in sede di esecuzione, se da un lato non ci si può esimere dall’apportare una correzione sanzionatoria in melius, dall’altro - conformemente a quanto riconosciuto dalla sentenza Gatto in tema di ampiezza dell’intervento valutativo in sede di rimodulazione della pena illegale - va escluso che debbano operare rigidi criteri di riduzione di tipo matematico-proporzionale, ovvero automatismi che replichino pedissequamente le opzioni di cognizione. 1.3. Invero, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, al giudice dell’esecuzione va riconosciuto un ampio potere discrezionale ai fini della rideterminazione di cui trattasi, esercitabile secondo i parametri fissati dagli artt. 132 e 133 c.p., tenuto conto del contenuto del giudicato, che segna i contorni oggettivi e soggettivi del fatto e del loro disvalore, secondo gli accertamenti intervenuti in sede di cognizione Sez. 3, n. 36357 del 19/05/2015, Rv. 264880 Sez. 2, n. 29431 del 08/05/2018, Rv. 273809 Sez. 1, n. 53019 del 04/12/2014, Rv. 261688 Sez. 1, n. 52981 del 8/01/2014, Rv. 261688 . In tali casi, viene a definirsi, nel procedimento di esecuzione, un vero e proprio incidente di cognizione, circoscritto alla rideterminazione della pena, che il giudice dovrà discrezionalmente commisurare, alla luce dei parametri normativi evocati e secondo i dati cristallizzati nella sentenza irrevocabile, esplicitando nella motivazione gli indicatori valutati in riferimento al nuovo perimetro sanzionatorio. E dell’esercizio di siffatto potere discrezionale il giudice dovrà dar conto in motivazione, articolando un percorso giustificativo tanto più persuasivo quanto più si discosti dal minimo edittale e dai parametri sanzionatori vigenti all’epoca in cui si è formato l’accordo sulla pena, sì da esplicitare il rinnovato giudizio di adeguatezza e proporzionalità della sanzione penale entro i nuovi limiti definiti dall’intervento della Consulta. In altri termini, al giudice dell’esecuzione che, restituito nella piena cognizione sanzionatoria, operi un intervento correttivo in senso conservativo dell’originaria sanzione irrogata, è richiesta una motivazione rafforzata, che espliciti compiutamente in virtù di quali parametri, evincibili dalla sentenza irrevocabile, la pena originariamente determinata risulti ancora conforme al disvalore del fatto e funzionale al reinserimento sociale del condannato, pur in un quadro legale ridefinito in melius. 2. A siffatti principi il giudice dell’esecuzione non si è attenuto. 2.1. Pur avendo disposto una riduzione della pena base, in conformità a quanto statuito nella sentenza di annullamento, il giudice dell’esecuzione ne ha operato una determinazione in misura superiore al nuovo limite minino, senza giustificare adeguatamente il relativo discostamento. Dal testo dell’ordinanza impugnata risulta, difatti, come la nuova commisurazione della pena base in misura superiore al minimo, diversamente da quanto statuito nella sentenza irrevocabile, sia stata giustificata mediante un anodino ed improprio richiamo al riconoscimento delle attenuanti generiche in sede di cognizione e del contenuto aumento compiuto in sede di continuazione , sovrapponendo i diversi piani dei profili circostanziali del fatto e della pluralità dei reati a quello della rinnovata valutazione di adeguatezza della pena, invece non rappresentata. Donde l’esercizio del potere discrezionale di ri valutazione della pena resta affidato ad una giustificazione illogica e perplessa, che non esprime la necessaria riconsiderazione dei fatti, come accertati nella sentenza irrevocabile, rispetto al nuovo quadro sanzionatorio. In tal guisa, è stata determinata, per il più grave reato in continuazione, una pena che, da un lato, evidenzia una sproporzione per eccesso rispetto al giudizio di gravità formulato dal legislatore, compromettendo la funzione rieducativa della pena Sez. 1, n. 3280 del 12/11/2019 - dep. 2020 e che, dall’altro, finisce per rivelarsi frutto di un’abdicazione alla rinnovazione del giudizio valutativo, non esplicitando il provvedimento impugnato, con rafforzato grado di persuasività, quali elementi, nel ridefinito quadro edittale, giustifichino quell’apprezzamento di proporzionalità ed adeguatezza, già espresso nel minimo in riferimento al limite incostituzionale, che costituisce condizione necessaria per assicurare il rispetto del principio della personalità della responsabilità penale. La commisurazione originariamente effettuata in sede cognitiva ha costituito, difatti, il frutto dell’esercizio di una valutazione esplicatasi nell’ambito di un range edittale, tra il minimo e il massimo, diverso da quello ripristinato dalla Consulta, così da rendere necessaria una rivalutazione piena di siffatto profilo ed una conseguente, appagante giustificazione, invece non rappresentata nel provvedimento impugnato. 2.2. La fondatezza della prima censura assorbe la questione proposta in riferimento all’entità della diminuzione determinata per effetto della concessione delle attenuanti generiche, dovendosi demandare al giudizio di rinvio la rinnovazione dell’intera valutazione in ordine alla commisurazione della pena attraverso la discrezionale rideterminazione sia della pena-base, che della diminuzione per le menzionate attenuanti, quantificando in concreto siffatta diminuzione alla luce del sopravvenuto mutamento della cornice edittale quale nuovo indicatore astratto del disvalore del fatto V. Sez. 1, n. 4085 del 26/11/2019 - dep. 2020, Greganti, Rv. 278186, N. 50693 del 2019 Rv. 277865, N. 48373 del 2017 Rv. 271268 . 3. L’ordinanza impugnata deve essere, pertanto, annullata con rinvio per nuovo esame da parte del giudice dell’esecuzione, ai fini della rideterminazione della pena conformemente ai criteri sopra enunciati. P.Q.M. annulla il provvedimento impugnato con rinvio per nuovo esame al giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Roma.