Angherie e percosse in casa: le parole di madre e padre inchiodano il figlio

Definitiva la condanna dell’uomo per i comportamenti tenuti in casa ai danni degli anziani genitori con cui convive. Decisive le dichiarazioni della madre e del padre, confermate, peraltro, dalla testimonianza di un agente di polizia giudiziaria e dalle parole di un’altra figlia.

Angherie, violenze, percosse – certificate da inequivocabili lividi – questa la triste condizione vissuta da un marito e una moglie, entrambi anziani , presi di mira dal figlio – che convive con loro – e poco propensi a denunciarlo. Alla fine, però, i pessimi comportamenti tenuti a casa dall’uomo emergono in modo netto, grazie ai racconti fatti dalla mamma – e alle parole più caute utilizzate dal padre –. Legittima perciò la sua condanna per il reato di maltrattamenti in famiglia. Cassazione, sentenza numero 19361, sezione sesta penale, depositata il 25 giugno . Ricostruita la triste vicenda, l’uomo sotto processo viene condannato, prima in Tribunale e poi in Appello, per la vita da incubo – fatta di percosse, violenze, angherie – a cui ha sottoposto gli anziani genitori con cui convive pur avendo quasi 50 anni. Per i giudici di merito è sacrosanto parlare di maltrattamenti in famiglia . Questa visione viene contestata, ovviamente, dall’uomo. In particolare, in Cassazione, il suo difensore punta il dito soprattutto sulla acquisizione del verbale delle dichiarazioni rese dalla madre dell’imputato nel corso delle indagini preliminari . Su questo fronte i giudici di secondo grado hanno giustificato l’acquisizione delle dichiarazioni in questione in quanto, al momento in cui furono rese, la donna – affetta da Alzheimer – sarebbe stata in condizioni psichiche tali da comprendere e riferire i fatti nella loro esatta portata e non vi sarebbe stato nulla che potesse far presagire il successivo rapido decadimento delle capacità cognitive della dichiarante . Per il legale, invece, è stato compiuto un grosso errore, limitandosi i giudici ad esaminare quelle dichiarazioni solo sul piano della attendibilità, laddove il profilo che avrebbe dovuto essere considerato era quello relativo al se fosse prevedibile che quelle dichiarazioni non sarebbero state più ripetibili . In questa ottica il legale aggiunge che l’Alzheimer è una malattia notoriamente degenerativa che si evolve conducendo alla totale demenza e quindi si è compiuto un errore affermando che non fosse prevedibile il progressivo peggioramento delle condizioni di salute della teste . Peraltro, un perito, sentito in dibattimento per accertare la capacità a testimoniare della donna, ha espresso un giudizio negativo sulla capacità di questa di riferire correttamente già all’epoca in cui fu sentita dalla polizia giudiziaria, avvisando che la patologia si sarebbe aggravata in una condizione di grado sicuramente patologico e rilevante ma non in quella situazione di grave sfacelo cognitivo che è stata osservata attualmente e quindi, osserva il legale, alla data di assunzione delle sommarie informazioni, la diagnosi era di decadimento cognitivo di grado moderato, lentamente evolutivo”. E peraltro le condizioni della donna al momento in cui fu sentita nel corso delle indagini erano , secondo il legale, note all’autorità giudiziaria perché informata dal medico di famiglia e perché di esse si erano accorti anche gli ufficiali di polizia giudiziaria al momento dell’assunzione dell’atto di indagine . Non a caso, osserva ancora il legale, il medico di famiglia della anziana coppia e l’ispettore di polizia giudiziaria che assunse le dichiarazioni della donna hanno confermato che ella era in difficoltà nel riferire . Oltre a mettere in discussione l’attendibilità della donna, il difensore richiama anche le dichiarazioni rilasciate dal padre del suo cliente. Su questo fronte egli sostiene che l’anziano genitore, allorché fu sentito dalla polizia giudiziaria, ha negato i fatti contestati al figlio , eppure per i giudici di merito dette dichiarazioni hanno una limitata valenza probatoria in quanto condizionate dalla volontà di non accusare il figlio . Per chiudere la linea difensiva, infine, il legale richiama proprio le dichiarazioni del medico di famiglia , il quale ha riferito di non avere riscontrato sulla donna segni di violenza e di non aver mai raccolto lamentele da parte della coppia sul comportamento del figlio . Infruttuosa però la decisione di portare il caso in Cassazione. Per i giudici del ‘Palazzaccio’, difatti, va confermata la condanna dell’uomo per il reato di maltrattamenti in famiglia perpetrato ai danni dei genitori. I magistrati chiariscono che, al di là della questione relativa all’acquisizione ed alla utilizzabilità probatoria delle dichiarazioni rese dalla madre dell’imputato , il giudizio di penale responsabilità prescinde dalle dichiarazioni in questione . A questo proposito viene ricordato che il padre dell’imputato, a cui era stato chiesto di fornire una spiegazione sul vistoso livido sotto l’occhio destro e dei lividi sul dorso di entrambe le mani , pur affermando testualmente tante cose non si raccontano i lividi sulle mani sono perché a volte sono caduto”, confermò le dichiarazioni della moglie. Siamo sposati da oltre sessant’anni e penso che lei abbia detto le cose che penso io. Io non devo dire niente , ebbe modo di dichiarare. Ciò smentisce, osservano i giudici, l’assunto difensivo secondo cui la responsabilità penale sarebbe stata affermata solo sulla base delle decisive dichiarazioni della madre dell’imputato , poiché anche il padre , pur nella cautela dell’eloquio di un genitore, riferì non solo che quei lividi chiari – notati sulle sue mani e sotto l’occhio – non avevano origine naturale, ma erano conseguenti a cose che non si potevano raccontare, ma, soprattutto, aggiunse di confermare i fatti raccontati dalla moglie , che, invece, aveva compiutamente descritto il contesto in cui collocare i fatti oggetto del processo , cioè le continue minacce, aggressioni e violenze subite dal figlio, ma anche le percosse e le reali origini dei lividi sui quali il marito aveva glissato . Evidente, quindi, il peso specifico delle dichiarazioni accusatorie da parte del padre dell’imputato , confermate, peraltro, da un agente di polizia giudiziaria che ha riferito di essere intervenuto in una occasione per strada e di aver trovato l’uomo che gridava ed inveiva nei riguardi della sorella, non presente, pretendendo denaro , e dai racconti della sorella dell’imputato, la quale ha fatto riferimento ad una aggressione personale subita dal fratello ed ha ribadito, per averlo appreso dalla madre, la triste condizione dei genitori, le angherie da questi subite, le violenze ed i lividi, questi ultimi peraltro constatati di persona .

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 28 novembre 2019 – 25 maggio 2020, n. 19361 Presidente Tronci – Relatore Silvestri Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza con cui Ce. Ro. è stato condannato per il reato di maltrattamenti in famiglia in danno dei genitori conviventi. 2. Ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell'imputato articolando due motivi. 2.1. Con il primo si deduce violazione di norme processuali previste a pena di inutilizzabilità e vizio di motivazione il tema attiene alla acquisizione del verbale delle dichiarazioni rese da Pa. An., madre dell'imputato, nel novembre del 2015 nel corso delle indagini preliminari. La Corte avrebbe giustificato l'acquisizione delle dichiarazioni in questione in quanto, al momento in cui furono rese, la donna sarebbe stata in condizioni psichiche tali da comprendere e riferire i fatti nella loro esatta portata e non vi sarebbe stato nulla che potesse far presagire il successivo rapido decadimento delle capacità cognitive della dichiarante. Assume il difensore invece che il verbale contenente le dichiarazioni sarebbe stato acquisito in violazione dell'art. 512 cod. proc. pen. La Corte avrebbe errato nel limitarsi ad esaminare quelle dichiarazioni solo sul piano della attendibilità, laddove il profilo che avrebbe dovuto essere considerato era quello relativo al se fosse prevedibile che quelle dichiarazioni non sarebbero state più ripetibili in tal senso, si aggiunge che l'Alzheimer, da cui sarebbe stata affetta la donna, sarebbe una malattia notoriamente degenerativa che si evolve conducendo alla totale demenza la motivazione sarebbe errata nella parte in cui si è affermato che non fosse prevedibile il progressivo peggioramento delle condizioni di salute della teste. Il perito, dott. La., sentito in dibattimento per accertare la capacità a testimoniare della donna, aveva espresso un giudizio negativo sulla capacità di questa di riferire correttamente già all'epoca in cui fu sentita dalla polizia giudiziaria, avvisando che la patologia si sarebbe aggravata in una condizione di grado sicuramente patologico e rilevante ma non in quella situazione di grave sfacelo cognitivo che è stata osservata attualmente . Alla data di assunzione delle sommarie informazioni, la diagnosi era quindi di decadimento cognitivo di grado moderato, lentamente evolutivo cosi il ricorso che riporta parte della relazione peritale . Si aggiunge che le condizioni della donna al momento in cui fu sentita nel corso delle indagini sarebbero state note all'Autorità giudiziaria perché informata dal medico di famiglia e perché di essere si erano accorti anche gli ufficiali di polizia giudiziaria al momento dell'assunzione dell'atto di indagine. 2.2. Con il secondo motivo si lamenta vizio di motivazione quanto al giudizio di penale responsabilità fondato sulle convergenti dichiarazioni della stessa Pa. con quelle del di lei marito, Ce. Gi., anch'esse rese nel corso delle indagini preliminari e poi acquisite ai sensi dell'art. 512 cod. proc. pen. Si sostiene che Ce., allorché fu sentito dalla polizia giudiziaria, avrebbe negato i fatti contestati al figlio, ma secondo i giudici di merito dette dichiarazioni avrebbero avuto una limitata valenza probatoria in quanto condizionate dalla volontà di non accusare l'imputato. Nonostante un motivo di appello che evidenziava come non potesse farsi discendere da dette dichiarazioni il giudizio di penale responsabilità del ricorrente, la Corte avrebbe omesso di motivare ed indicare in quali punti le dichiarazioni avrebbero avuto una valenza accusatoria nei riguardi del ricorrente. Sotto altro profilo, si deduce vizio di motivazione anche in relazione al formulato giudizio di attendibilità delle dichiarazioni rese da Pa. An., della quale si è già detto, senza tuttavia fornire risposta rispetto alle considerazioni formulate nei motivi di appello anche in questo caso si riportano le dichiarazioni del perito relative alle condizioni della donna al momento in cui furono rese quelle dichiarazioni. Si fa riferimento anche alle dichiarazioni dibattimentali rese dal medico di famiglia e dallo stesso ispettore di polizia giudiziaria che assunse quelle dichiarazioni e che in giudizio avrebbe confermato che la donna fosse in difficoltà nel riferire, giungendo a contraddirsi negando circostanze fattuali certe. La motivazione sarebbe errata anche per quel che concerne i riscontri che avrebbero assistito le due dichiarazioni dei genitori e che consisterebbero nelle dichiarazioni di Ce. Lo. e Sp. Pa., che si sarebbero in realtà limitati a riferire quanto appreso dalla stessa Pa. senza aggiungere fatti da loro direttamente percepiti Ce. si sarebbe peraltro limitata a riferire di aver appreso dalla madre che l'imputato si comportava in modo brusco senza aggiungere alcunché Ce. e Sp. sarebbero stati sentiti ai sensi dell'art. 197 bis cod. proc. pen. e, quindi, le loro dichiarazioni avrebbero dovuto a loro volta essere confermate da riscontri, nella specie inesistenti. L'assunto secondo cui l'imputato avrebbe maltrattato i propri genitori contrasterebbe inoltre con tutte le altre risultanze probatorie si fa riferimento alle dichiarazioni del medico di famiglia, dott. Nava, che avrebbe riferito di non avere riscontrato su Pa. segni di violenza e di non aver mai raccolto lamentele da parte dei genitori dell'imputato sul comportamento di questi. Si fa ancora riferimento alle dichiarazioni rese da Se. Si. e Ve. Gi., la prima, nipote delle persone offese, ed il secondo, infermiere che per lungo tempo aveva frequentato la casa. Considerato in diritto 1. Il ricorso, i cui motivi possono essere esaminati congiuntamente, è infondato. 2. Al di là della questione, sbrigativamente risolta dalla Corte di appello, relativa all'acquisizione ed alla utilizzabilità probatoria delle dichiarazioni rese da An. Pa., madre dell'imputato, il giudizio di penale responsabilità formulato nei confronti dell'imputato prescinde dalle dichiarazioni in questione. In particolare, dalla sentenza di primo grado emerge che il 28.11.2015 Gi. Ce., padre dell'imputato, a cui era stato chiesto di fornire una spiegazione sul vistoso livido sotto l'occhio destro e dei lividi sul dorso di entrambe le mani , pur affermando testualmente tante cose non si raccontano I lividi sulle mani sono perché a volte sono caduto , confermò quello detto da mia moglie Siamo sposati da 61 anni e penso che lei abbia detto le cose che penso io. Io non devo dire niente . Dunque, l'assunto difensivo secondo cui la responsabilità penale sarebbe stata affermata solo sulla base delle decisive dichiarazioni della madre dell'imputato non è esatta perché anche il padre di questi, pur nella cautela dell'eloquio di un genitore, riferì non solo che quei lividi chiari - notati sulle sue mani e sotto l'occhio - non avevano origine naturale , ma erano conseguenti a cose che non si potevano raccontare, ma, soprattutto, aggiunse di confermare i fatti raccontati dalla moglie, che, invece, aveva compiutamente descritto il contesto in cui collocare i fatti oggetto del processo, le continue minacce, aggressioni e violenze subite dal figlio, ma anche le percosse e le reali origini dei lividi sui quali il marito aveva glissato. Dunque, chiare dichiarazioni accusatorie da parte del padre dell'imputato, peraltro confermate, - in tutto o in parte - secondo la ricostruzione fattuale dei Giudici di merito a da quelle del teste di Polizia giudiziaria Leotta, che aveva riferito di essere intervenuto in una occasione per strada e di aver trovato il ricorrente che gridava ed inveiva nei riguardi della sorella, non presente, pretendendo denaro b da quelle di Ce. Pa., sorella dello stesso imputato, che ha fatto riferimento ad una aggressione personale subita dal fratello ed ha ribadito, per averlo appreso dalla madre, la triste condizione dei genitori, le angherie da questi subite, le violenze ed i lividi, questi ultimi peraltro constatati di persona c dalle dichiarazioni chiare ed univoche di Sp. Pa., marito di Ce. Pa. si tratta di dichiarazioni, che pur apprese dalla madre dell'imputato, riscontrano quelle solo indirettamente riferite da Gi. Ce. . Rispetto a tale quadro di riferimento, i giudici di merito hanno correttamente motivato, spiegando le ragioni per cui le altre dichiarazioni assunte, pur in astratto favorevoli all'imputato, assumono una valenza accessoria e, comunque, non sono in grado di inficiare il quadro probatorio accusatorio. Né è stato anche solo ipotizzata in astratto l'esistenza di un interesse inquinante da parte dei testimoni e, soprattutto, da parte di Ce. Pa. e Sp. Pa Ne consegue l'infondatezza del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Cosi deciso in Roma, il 28 novembre 2019.