Abbracci e toccamenti: lei non gradisce, lui condannato

Respinta la tesi difensiva, mirata a ridimensionare l’episodio e sostenere la tesi della mera violenza privata. Decisivo il racconto della vittima, che ha subito toccamenti non voluti e al di fuori di un contesto di condivisa affettuosità.

Abbracci e toccamenti non graditi. Esclusa l’ipotesi più lieve, cioè la violenza privata. Evidente per i giudici, alla luce del racconto della vittima, la violenza sessuale . Cassazione, sentenza n. 18456/20, sezione terza penale, depositata il 17 giugno . Protagonista negativo della vicenda un uomo di oltre 35 anni che approccia in malo modo una ragazza di oltre 20 anni. In particolare, nel contesto della propria abitazione , l’uomo ha preso in braccia la ragazza, poi l’ha abbracciata e le ha messo le mani nelle tasche, e infine le ha dato un bacio sulla guancia. Tutti comportamenti non graditi dalla ragazza, che gli aveva anche detto di non volere alcun bacio. Proprio le parole della vittima sono sufficienti, secondo i Giudici di merito, per condannare l’uomo, ritenuto colpevole di violenza sessuale , consistente in toccamenti, ai danni di una giovane, incapace di reagire di fronte ad una condotta improvvisa e non prevedibile . L’uomo contesta ovviamente la condanna pronunciata in appello e mette in discussione, tramite il proprio avvocato e col ricorso in Cassazione, il valore della versione offerta dalla ragazza. Su questo fronte il legale osserva che la persona offesa ha raccontato che l’uomo aveva accompagnato lei e la sorella a casa per portare le borse che lei lo aveva seguito a casa per avere in regalo un pesciolino mentre lui era andato a prendere un contenitore per il pesciolino, lei si era avvicinata all’acquario per vedere i pesciolini e in quel frangente l’uomo l’aveva presa in braccio fingendo di metterla nell’acquario, poi l’aveva abbracciata e messo le mani nelle tasche, e quindi le aveva dato un bacio sulla guancia . In sostanza, non è vero che la ragazza aveva respinto l’uomo e, aggiunge il legale, non è emerso dalle sue dichiarazioni un netto rifiuto né imbarazzo . Per l’uomo va messa in discussione l’ attendibilità della ragazza , che, peraltro, aveva accettato di essere presa per mano ma poi aveva ritenuto inappropriato che lui l’avesse presa in braccio . E sempre in questa ottica il legale sottolinea che la persona offesa non aveva palesato il proprio disagio o disappunto, ma si era fatta prendere per mano, aveva seguito l’uomo in casa, si era lasciata prendere in braccio, non aveva detto nulla, non si era allontanata né si era lamentata . Impossibile, quindi, sempre secondo il legale, parlare di costrizione o violenza , anche perché la ragazza si era rifiutata di ricevere un bacio sulla bocca ma aveva ricevuto un bacio sulla guancia . E successivamente la giovane donna aveva consentito che l’uomo la accompagnasse ancora, mentre, invece, se ci fosse stata violenza, la persona offesa si sarebbe dovuta allontanare di corsa , e invece ella aveva percorso la strada in compagnia dell’uomo, in tutta tranquillità . Inoltre, la ragazza ha pianto durante la testimonianza , a distanza di due anni dai fatti mentre, all’epoca della presunta violenza, dopo esser rimasta impietrita, terrorizzata, bloccata, ha permesso alla persona che le aveva fatto del male di accompagnarla a casa, di intrattenersi in sua compagnia . In sostanza, secondo il legale non vi è stata una manifestazione di assenza del consenso da parte della ragazza, e comunque si può parlare di mera violenza privata, non certo di violenza sessuale . Le obiezioni difensive non convincono però i Giudici della Cassazione , che confermano la condanna così come pronunciata in appello. Inattaccabile, in sostanza, il racconto della ragazza in ordine ai toccamenti lascivi subiti , e a questo proposito per i magistrati il fatto che il giorno dopo, avendo rivisto l’uomo, la ragazza ha deciso di raccontare tutto alla madre ed alla sorella è indicativo del turbamento ed imbarazzo subiti. Tra primo e secondo grado la persona offesa ha reso delle dichiarazioni scevre da intenti ritorsivi e calunniosi , né sono stati ravvisati profili di incapacità della giovane a percepire quanto avvenisse attorno a lei o a rappresentarlo correttamente . Infine, non sono emersi elementi di ambiguità nella condotta della ragazza che , osservano i giudici, ha subito i toccamenti non voluti ed al di fuori di un contesto di condivisa affettuosità . Legittima quindi la condanna per violenza sessuale , poiché la violenza privata , ipotizzata dal legale, ricorre invece quando la violenza fisica o morale prescinde dalla concupiscenza sessuale .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 4 marzo – 17 giugno 2020, n. 18456 Presidente Liberati – Relatore Macrì Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 31 maggio 2019 la Corte d'appello di Torino ha confermato la sentenza in data 21 settembre 2017 del Tribunale di Biella che aveva condannato Ol. Ca. Lo. alle pene di legge per il reato di violenza sessuale, consistente in toccamenti, ai danni di una giovane, incapace di reagire o di reagire con efficacia di fronte ad una condotta improvvisa e non prevedibile, in Biella il 2 ottobre 2014. 2. Con il primo motivo di ricorso l'imputato deduce il vizio di motivazione, in termini di travisamento della prova dichiarativa. La persona offesa aveva raccontato che lui aveva accompagnato lei e la sorella a casa per portare le borse e che lei lo aveva seguito a casa per avere in regalo un pesciolino mentre lui era andato a prendere un contenitore per metterlo dentro, lei si era avvicinata all'acquario per vedere i pesciolini lui quindi l'aveva presa in braccio fingendo di metterla nell'acquario, poi l'aveva abbracciata e messo le mani nelle tasche, quindi le aveva dato un bacio sulla guancia non era vero che c'erano stati due baci e non era vero che lo aveva respinto. Aggiunge che non era emerso dalle dichiarazioni un netto rifiuto ed imbarazzo. Lamenta che i Giudici di merito avevano omesso qualsiasi riferimento in ordine all'attendibilità della persona offesa, perché era impossibile che avesse preso la busta con l'acqua ed il pesciolino e l'avesse al contempo sollevata. Evidenzia che la ragazza, che aveva accettato di essere presa per mano, aveva ritenuto inappropriato che lui l'avesse presa in braccio, e lo scherzo l'aveva pietrificata. La denunciante aveva dichiarato di non sapere come si comportavano i ragazzi, di non aver mai avuto un ragazzo, anzi di avere un ragazzo a distanza, di vivere sola con le sorelle prendendosi cura della sorella più piccola ed andando da sola a fare la spesa a distanza di km 5. Sostiene che era rilevante il fatto che la persona offesa non aveva palesato il suo disagio o disappunto, ma si era fatta prendere per mano, lo aveva seguito in casa, si era lasciata prendere in braccio, non aveva detto nulla non si era allontanata né si era lamentata, quindi non v'era stata alcuna costrizione o violenza. Al rifiuto di ricevere un bacio sulla bocca, aveva ricevuto un bacio sulla guancia. Insiste sul fatto che i Giudici avevano frainteso le dichiarazioni. Aggiunge che, successivamente, la giovane donna aveva consentito che lui l'accompagnasse per mettere il pesciolino nell'acquario. Se le cose fossero andate, come descritto, la persona offesa si sarebbe dovuta allontanare di corsa al contrario, aveva percorso la strada in sua compagnia, in tutta tranquillità e si era ulteriormente intrattenuta per sistemare l'acquario. Inoltre, aveva dichiarato di aver fatto finta di nulla davanti alla sorella. Osserva che la ragazza aveva pianto durante la testimonianza a distanza di 2 anni dai fatti e, nell'imminenza degli stessi, dopo esser rimasta impietrita, terrorizzata, bloccata, avrebbe permesso a chi le aveva fatto del male di accompagnarla a casa, di intrattenersi in sua compagnia e di non dire nulla alla sorella. Censura la motivazione nella parte in cui aveva affermato che le sostanziali differenze tra le dichiarazioni della persona offesa, della madre e della sorella erano delle semplici sbavature, quando invece le testimonianze si contraddicevano grossolanamente, perché la sorella aveva detto che lui aveva chiesto il permesso di prenderla in braccio, mentre la denunciante aveva riferito di un'azione improvvisa. La madre poi aveva raccomandato alle figlie di muoversi sempre insieme, mentre la persona offesa si era recata da sola a casa sua. Lamenta che i Giudici di merito avevano pretermesso la valutazione del fatto che non vi era stata una manifestazione di assenza del consenso . Sostiene che non si trattava di violenza sessuale, ma di violenza privata. Evidenzia che, contraddittoriamente, la Corte territoriale aveva prima descritto un fatto tentato per poi giungere alla conferma della condanna per il reato consumato. Considerato in diritto 3. Il ricorso è manifestamente infondato perché consiste in generiche censure di fatto già adeguatamente vagliate e disattese dai Giudici di merito con motivazione solida e razionale. La Corte territoriale ha confermato la sentenza di primo grado ritenendo credibile il racconto della ragazza in ordine ai toccamenti lascivi subiti. Il fatto che il giorno dopo, avendo rivisto l'uomo, aveva deciso di raccontare tutto alla madre ed alla sorella era indicativo del turbamento ed imbarazzo subiti. Le sbavature dei racconti delle tre donne hanno avuto ad oggetto particolari ritenuti dai Giudici trascurabili. La persona offesa, di anni 21 al momento della deposizione, ha reso delle dichiarazioni scevre da intenti ritorsivi e calunniosi né sono stati ravvisati profili di incapacità della giovane a percepire quanto avvenisse attorno a lei o a rappresentarlo correttamente. Non sono emersi elementi di ambiguità nella condotta della ragazza che ha subito i toccamenti non voluti ed al di fuori di un contesto di condivisa affettuosità. Corretta pertanto è la qualificazione giuridica del fatto, non sussistendo gli estremi dell'adombrata violenza privata che ricorre invece quando la violenza fisica o morale prescinde dalla concupiscenza sessuale. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.