Le modalità di presentazione a giudizio dell’imputato seguono il principio tempus regit actum

Il richiamo quod poenam ai reati per i quali l’articolo 550, comma 1, c.p.p. impone che si proceda con citazione diretta a giudizio va effettuato in relazione al trattamento sanzionatorio previsto nel momento dell’esercizio dell’azione penale, indipendentemente dalla pena in concreto applicabile in fase decisoria in base alla lex mitior.

La Corte di Cassazione, con la pronuncia numero 18297/2020, depositata il 16 giugno u.s., si pronuncia in tema di modalità di esercizio dell’azione penale con riguardo ai criteri edittali da seguire. Il caso. Il G.U.P. presso il Tribunale di Palermo, investito della richiesta di rinvio a giudizio di un soggetto accusato del reato di cui all’art. 4, comma 4- bis , l’.13 dicembre 1989, numero 401, presuntivamente commesso nel giugno del 2018, emetteva ordinanza di trasmissione degli atti al Pubblico Ministero ex art. 33-sexies c.p.p. ritenendo che trattasi di reato perseguibile mediante citazione diretta a giudizio di cui all’art. 550 c.p.p Avverso tale ordinanza propone ricorso per Cassazione il Procuratore della Repubblica, denunciando l’abnormità dell’ordinanza impugnata per violazione degli articolo 4, 416 e 550 c.p.p., atteso che l’azione penale sarebbe stata opportunamente esercitata con richiesta di rinvio a giudizio in ragione della novella normativa intervenuta col d.l. 28 gennaio 2019, numero 4, convertito con modificazioni nella l.28 marzo 2019, numero 26, con la quale è stata innalzata la pena detentiva da tre a sei anni per il reato di esercizio abusivo di gioco e scommesse. Il ricorso è fondato. La doglianza prospettata dal rappresentante della Pubblica Accusa coglie nel segno. I Giudici di Legittimità della Terza Sezione accolgono il ricorso. È di tutta evidenza, infatti, che il reato in contestazione – che al momento della data di presunta commissione integrava una contravvenzione – per opera delle modifiche legislative intervenute nel 2019 reca una forbice edittale tale da farlo assurgere al rango di delitto, per di più perseguibile attraverso il filtro di garanzia dell’udienza preliminare. Ai fini di siffatta operazione, infatti, deve seguirsi il principio che governa il diritto processuale secondo cui tempus regit actum e non quello della irretroattività sfavorevole in tema di successione di leggi penali nel tempo . Pertanto, con la pronuncia in commento, gli Ermellini affermano che il richiamo quod poenam ai reati per i quali l’art. 550, comma 1, c.p.p. impone che si proceda con citazione diretta a giudizio in relazione al trattamento sanzionatorio previsto nel momento dell’esercizio dell’azione penale , indipendentemente dalla pena in concreto applicabile in fase decisoria in base alla lex mitior. Nel caso di specie, dunque, il G.U.P. procedente ha pronunciato un provvedimento abnorme, qualificandosi in tali termini non solo l’atto decisorio avulso dal sistema normativo, ma anche quello che comporta la stasi del processo e l’impossibilità di proseguirlo. Pertanto, la Corte di Cassazione annulla l’ordinanza impugnata e dispone la trasmissione degli atti all’Ufficio G.I.P. del Tribunale di Palermo.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 4 marzo – 16 giugno 2020, n. 183297 Presidente Liberati – Relatore Reynaud Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 17 ottobre 2019, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Palermo, investito della richiesta di rinvio a giudizio di C.C. in ordine al reato di cui alla L. 13 dicembre 1989, n. 401, art. 4, comma 4-bis, commesso il omissis , ritenendo trattarsi di reato per cui si procede con citazione diretta a giudizio ex art. 550 c.p.p., ha disposto l’a trasmissione degli atti al pubblico ministero ai sensi dell’art. 33 sexies c.p.p 2. Avverso detta ordinanza, ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica, rilevandone l’abnormità per violazione degli artt. 4, 416 e 550 c.p.p., sul rilievo che l’azione penale era stata esercitata con richiesta di rinvio a giudizio del 16 maggio 2019, allorquando la pena detentiva prevista per il reato contestato era divenuta quella della reclusione da tre a sei anni in forza della modifica attuata con D.L. 28 gennaio 2019, n. 4, art. 27, comma 6, lett. a , conv., con modiff., in L. 28 marzo 2019, n. 26. Poiché in materia di norme processuali vale il principio tempus regit actum, la pena da considerarsi ai fini della scelta delle modalità di esercizio dell’azione penale era quella, più grave, stabilita dalla citata novella , che imponeva pertanto la celebrazione dell’udienza preliminare, trattandosi peraltro di rito maggiormente garantito. L’illegittima regressione del processo era dunque da considerarsi quale atto abnorme, come tale ricorribile per cassazione. Considerato in diritto 1. Il ricorso è ammissibile e fondato. Va premesso che, secondo il preferibile orientamento di questa Corte, condiviso dal Collegio, è abnorme, in quanto determina una indebita regressione del procedimento, l’ordinanza del giudice dell’udienza preliminare che, investito di richiesta di rinvio a giudizio, disponga la restituzione degli atti al pubblico ministero sull’erroneo presupposto che debba procedersi con citazione diretta a giudizio Sez. 5, n. 35153 del 19/04/2016, Branca, Rv. 267766 Sez. 3, n. 51424 del 18/09/2014, Longhi, Rv. 261397 . In tali casi, di fatti, il provvedimento - pur in astratto frutto di un potere conferito dalla legge al giudice - determina uno stallo nel procedimento Sez. 3, n. 25204 del 08/05/2008, Lunetto, Rv. 240246 , dovendo, altrimenti, il pubblico ministero porre in essere un atto viziato da nullità, vale a dire l’esercizio dell’azione penale con citazione diretta a giudizio per un reato che prevede la celebrazione dell’udienza preliminare. In particolare, le Sezioni unite di questa Corte hanno posto in luce come sussista abnormità, c.d. funzionale, quando l’atto, pur non essendo estraneo al sistema normativo, determini la stasi del processo e l’impossibilità di proseguirlo così, in motivazione, Sez. U, n. 25957 del 26/03/2009, Toni e a., Rv. 243590 , potendosene ravvisare un sintomo nel fenomeno della c.d. regressione anomala del procedimento ad una fase anteriore così, in motivazione, Sez. U, n. 5307/2008 del 20/12/2007, Battistella v. anche Sez. 2, n. 7320/2014 del 10/12/2013, Fabozzi, Rv. 259158 Sez. 2, n. 29382 del 16/05/2014, Veccia, Rv. 259830 Sez. 2, n. 2484/2015 del 21/10/2014, Tavoloni e a., Rv. 262275 . E si è al proposito precisato che l’abnormità funzionale, riscontrabile, come si è detto, nel caso di stasi del processo e di impossibilità di proseguirlo, va limitata all’ipotesi in cui il provvedimento giudiziario imponga al pubblico ministero un adempimento che concretizzi un atto nullo rilevabile nel corso futuro del procedimento o del processo. Solo in siffatta ipotesi il pubblico ministero può ricorrere per cassazione lamentando che il conformarsi al provvedimento giudiziario minerebbe la regolarità del processo negli altri casi egli è tenuto ad osservare i provvedimenti emessi dal giudice così, in motivazione, Sez. U, n. 25957 del 26/03/2009, Toni e a., Rv. 243590 . 2. Ad avviso del Collegio, nel caso di specie ricorre questa situazione, poiché, qualora il pubblico ministero esercitasse l’azione penale con citazione diretta a giudizio, porrebbe in essere un atto nullo, con le conseguenze previste dall’art. 550 c.p.p., comma 3, trattandosi di reato per il quale, al momento della richiesta di rinvio a giudizio correttamente avanzata ex art. 416 c.p.p., era prevista, come tuttora lo è, la celebrazione dell’udienza preliminare. Il provvedimento impugnato non reca, sul punto, alcuna motivazione, limitandosi all’apodittica affermazione giusta la quale il reato per cui si procede rientra nella previsione di cui all’art. 550 c.p.p. . La particolarità del caso di specie - ben delineata dal pubblico ministero ricorrente - induce a ritenere che il giudice abbia inteso considerare che il reato contestato, al momento della sua commissione, rientrava tra quelli per i quali si doveva procedere con citazione diretta a giudizio, non dando invece rilievo al fatto che così non era più nel momento di avvenuto esercizio dell’azione penale. Di fatti, il reato di cui alla L. n. 401 del 1989, art. 4, comma 4-bis, all’epoca della sua commissione, era qualificato come contravvenzione, mentre - con il già citato D.L. n. 4 del 2019, conv., con modiff., in L. n. 26 del 2019 - è stato trasformato in delitto, punito con la pena della reclusione da tre a sei anni e con la multa da 20.000 a 50.000 Euro. Allorquando, il successivo 16 maggio 2019, è stata esercitata l’azione penale con richiesta di rinvio a giudizio, per il reato ascritto occorreva dunque procedere alla celebrazione dell’udienza preliminare. 3. Rileva, al riguardo, il Collegio che, in materia processuale, vale il principio tempus regit actum cfr., ex multis, Sez. U, n. 44895 del 17/07/2014, Pinna, Rv. 260927 Sez. U, n. 27919 del 31/03/2011, Ambrogio, Rv. 250196 , sicché ai fini dell’applicazione del disposto di cui all’art. 550 c.p.p., comma 1, che, per quanto qui interessa, prevede che il pubblico ministero eserciti l’azione penale con la citazione diretta a giudizio quando si tratta di contravvenzioni o di delitti puniti con la pena della reclusione non superiore nel massimo a quattro anni o con la multa, sola o congiunta alla predetta pena detentiva - occorre avere riguardo ai reati siccome qualificati delitti o contravvenzioni e puniti al momento in cui viene esercitata l’azione penale, indipendentemente da quale fosse, sul punto, la legge vigente al momento della commissione del fatto. Il diverso principio giusta il quale, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile, se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo art. 2 c.p., comma 4 ha infatti valenza esclusivamente sostanziale, come chiaramente mostra la sedes materiae. In via generale, del resto, e prescindendosi doverosamente dal caso di specie, l’individuazione della legge più favorevole non è sempre agevole e spesso postula una valutazione in concreto cfr., ad es., Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rovinelli, Rv. 276970 Sez. 4, n. 6369 del 16/12/2016, dep. 2017, Notaroberto e aa., Rv. 268890 Sez. 3, n. 3385 del 17/11/2016, dep. 2017, Rv. 268805 che mal si presta alla gestione delle regole processuali, le quali necessitano invece di univoca, ed immediata, individuazione. Proprio a tal fine, del resto, l’art. 550 c.p.p., comma 1, precisa che per la determinazione della pena si osservano le disposizioni dell’art. 4 cit. codice di rito, vale a dire quelle per la determinazione della competenza, giusta le quali si ha riguardo alla pena stabilita dalla legge per ciascun reato consumato o tentato e non si tiene conto della continuazione, della recidiva e delle circostanze del reato, fatta eccezione delle circostanze aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale regole astratte e formali, di semplice individuazione. 4. Nel richiedere il rigetto del ricorso, nella sua requisitoria scritta il procuratore generale ha invocato un recente precedente di questa Corte, reso in caso, definito analogo, in cui sarebbe stato applicato un principio contrario a quello qui affermato. La massima ufficiale di quella decisione riporta il principio che è in linea con quanto più sopra ritenuto - secondo cui, in tema di successione di leggi processuali nel tempo, non opera il principio di retroattività della legge più favorevole Sez. 5, n. 35588 del 03/04/2017, P., Rv. 271207 , ma si annota altresì che in quel caso era stata giudicata legittima la citazione diretta a giudizio dell’imputato del reato di stalking commesso prima della modifica normativa che, aumentando il limite edittale della pena, ha introdotto la necessità dell’udienza preliminare. Leggendo la sentenza, tuttavia, si comprende come quel caso fosse diverso da quello qui in esame, posto che v. § 3.4. l’azione penale era stata esercitata con citazione diretta nell’ottobre 2011, ben prima che il trattamento sanzionatorio del reato di cui all’art. 612 bis c.p. fosse inasprito con. D.L. 14 agosto 2013, n. 93, conv., con modiff., in L. 15 ottobre 2013, n. 119 sì da rendere necessaria la celebrazione dell’udienza preliminare. Il fatto che, in quel procedimento, l’esercizio dell’azione penale fosse intervenuto per il reato di violenza privata aggravato e che solo in corso di dibattimento - successivamente alla citata modifica normativa - fosse stato suppletivamente contestato anche il reato di atti persecutori ha indotto la Corte a ritenere inapplicabile la previsione di cui all’art. 521 bis c.p.p., comma 1, nella specie invocata, anche sul rilievo che, nel momento in cui l’azione penale era stata esercitata, per il reato di atti persecutori era prevista la citazione diretta a giudizio ed era alla pena in allora prevista per quel reato che occorreva guardare al fine di individuare, secondo il criterio del tempus regit actum, se dovesse essere celebrata l’udienza preliminare. È ben vero - come rileva il procuratore generale nella requisitoria scritta - che nella motivazione della sentenza § . 11 si fa altresì riferimento al fatto l’esercizio dell’azione penale con citazione diretta a giudizio avrebbe costituito inevitabile conseguenza dell’applicazione della legge sostanziale più favorevole al reo , ma si tratta di argomentazione addotta ad abuntantiam, che non fa premio sulla più corretta, concorrente, ratio decidendi quale sopra delineata. 5. La notazione, semmai, rende ragione del fatto - di cui il Collegio è ben consapevole - che il problema giuridico qui discusso non è di agevole soluzione e, ciclicamente posto all’attenzione di questa Corte, non ha sempre portato a conclusioni univoche. Non ci si nasconde, ad es., che, con riguardo all’applicazione dell’art. 4 c.p.p., l’indirizzo interpretativo di questa Corte aveva preso una direzione diversa da quella qui indicata in occasione della legge che, inasprendo il trattamento sanzionatorio con riguardo al reato di usura, aveva indirettamente determinato lo spostamento di competenza per materia dal pretore al tribunale. In allora, di fatti, si era ripetutamente affermato il principio secondo cui l’intervenuto aumento, ai sensi del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, art. 11 quinquies, comma 1 introdotto dalla legge di conversione , conv., con modiff., in L. 7 agosto 1992, n. 356, della pena edittale stabilita per il reato di usura, con conseguente attribuzione della competenza per materia al tribunale e non più al pretore, non incide sulla determinazione della competenza medesima per quanto attiene i reati anteriormente commessi, i quali, non potendo essere puniti, in applicazione della regola di cui all’art. 2 c.p., comma 3, con pena superiore a quella prevista all’epoca della loro commissione reclusione fino a due anni e multa , continuano a rientrare, secondo la regola generale di cui all’art. 7 c.p.p., comma 1, nella competenza del Pretore Sez. 1, n. 794 del 05/02/1997, Tralucco, Rv. 206972 Sez. 1, n. 1751 del 22/03/1995, Lopez e aa., Rv. 201618 Sez. 1, n. 5559 del 17/12/1993, dep. 1994, Tibando, Rv. 196115 . Diversamente, il principio qui affermato si pone invece in linea con quanto in altre occasioni osservato e ritenuto da questa Corte interpretando l’art. 4 c.p.p. nel caso di successione di leggi che, modificando il trattamento sanzionatorio, incidano, per un verso, sulle regole processuali nella specie, quelle sulla competenza per materia e, per altro verso, sul principio dell’applicabilità della lex mitior se a quest’ultimo proposito deve trovare applicazione il principio codificato nell’art. 2 c.p., le regole processuali sulla competenza come sulle modalità di esercizio dell’azione penale e sul rito conseguentemente applicabile dipendono invece dal principio del tempus regit actum. Con riguardo alla legge con cui era stato modificato il trattamento sanzionatorio del reato di guida in stato d’ebbrezza e si era determinata la competenza per il giudizio in capo al tribunale anziché al giudice di pace, il maggioritario orientamento di questa Corte contra, Sez. 1, n. 28545 del 16/06/2004, Murtas, Rv. 228854 , poi confermato da una pronuncia delle Sezioni unite che aveva definitìvamente risolto il contrasto Sez. U, n. 3821 del 17/01/2006, Timofte, Rv. 232592 , aveva, appunto, affermato che, in applicazione del principio tempus regit actum che governa la successione nel tempo delle norme processuali, la competenza per materia in relazione al reato di guida in stato di ebbrezza va determinata sulla base della normativa in vigore al momento in cui il pubblico ministero esercita l’azione penale, non assumendo alcun rilievo, in mancanza di una disciplina transitoria ad hoc , il momento di consumazione del reato Sez. 1, n. 26787 del 06/07/2005, Mezzalana, Rv. 231845 , ferma restando l’applicazione da parte del giudice competente delle disposizioni sanzionatorie più favorevoli al reo, in considerazione della data di consumazione del reato, ai sensi dell’art. 2 c.p., comma 3, Sez. 1, n. 12148 del 02/03/2005, Norcini, Rv. 231844 . Nella motivazione della citata decisione della Sezioni unite, richiamandosi il principio generale secondo il quale la legge non dispone che per l’avvenire essa non ha effetto retroattivo art. 11 preleggi, comma 1 , si afferma che a questa regola non si sottraggono le disposizioni del diritto processuale penale, salvo che il legislatore non abbia previsto apposite norme transitorie, atte a regolare il passaggio dalla vecchia alla nuova disciplina Sez. U, n. 3821 del 17/01/2006, Timofte, in motivazione . Dandosi atto che la regola suddetta condensata con riferimento alla materia processuale nel brocardo latino tempus regit actum - pur essendo universalmente riconosciuta, è di difficile applicazione quando deve essere riferita a situazioni che non si esauriscono in un determinato momento, ma perdurano nel tempo , la decisione limpidamente afferma che la legge processuale non contempla i reati e non dispone rispetto a questi, ma provvede soltanto per l’avvenire, cioè per tutti i procedimenti e per tutti gli atti processuali da compiersi nel momento in cui entra in vigore, salve le eccezioni stabilite dalla legge medesima. Con la conseguenza che è erroneo parlare di retroattività delle leggi processuali allorquando esse vengono applicate a fatti commessi prima della loro entrata in vigore tale pretesa retroattività si riferisce infatti ai reati, e cioè a cosa in ordine alla quale la legge processuale non dispone mentre le norme sono irretroattive rispetto ai procedimenti e agli atti processuali, che costituiscono il vero oggetto delle loro disposizioni Sez. U, n. 3821 del 17/01/2006, Timofte, in motivazione . Benché, nel caso esaminato dalla decisione da ultimo citata, la conclusione raggiunta fosse obiettivamente agevolata dal fatto che lo spostamento della competenza dipendeva non soltanto dall’intervenuto inasprimento della pena, recando la nuova legge anche un’espressa attribuzione il D.L. 27 giugno 2003, n. 151, conv. in L. 1 agosto 2003, n. 214, nel modificare l’art. 186 C.d.S. inasprendo la sanzione per chi guida in stato di ebbrezza dispose contestualmente che per l’irrogazione della pena è competente il tribunale , reputa il Collegio che gli argomenti più sopra esposti inducano a preferire la tesi secondo cui, per quanto qui interessa, il richiamo quod poenam ai reati per i quali l’art. 550 c.p.p., comma 1, impone che si proceda con citazione diretta a giudizio vada effettuato in relazione al trattamento sanzionatorio previsto nel momento dell’esercizio dell’azione penale, indipendentemente da quale eventualmente sarà - peraltro, soltanto all’esito del giudizio e soltanto laddove lo stesso dovesse concludersi nel senso dell’affermazione di penale responsabilità - l’individuazione del trattamento sanzionatorio applicabile in base alla lex mitior. 6. L’ordinanza impugnata deve pertanto essere annullata senza rinvio, con trasmissione degli atti al Tribunale di Palermo, Ufficio g.i.p., per il seguito di competenza. P.Q.M. Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata e dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Palermo, Ufficio g.i.p Si dà atto che il presente provvedimento è sottoscritto dal solo presidente del collegio per impedimento dell’estensore, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, art. 1, comma 1, lett. a .