Furto con strappo: l’azione violenta è esercitata sulla cosa e non sulla persona

La condotta tipica del delitto di furto con strappo si realizza quando la violenza è immediatamente rivolta verso la cosa e solo in via indiretta verso la persona che la detiene, anche se, a causa della relazione fisica intercorrente tra cosa sottratta e possessore, può derivare una ripercussione indiretta e involontaria sulla vittima.

Lo ha affermato la Suprema Corte con sentenza n. 17953/20 depositata l’11 giugno. La Corte d’Appello confermava la sentenza di condanna nei confronti dell’imputata che aveva tentato di impossessarsi di una collanina d’oro strappandola dal collo della persona offesa. Proposto ricorso per cassazione , la ricorrente deduce in particolare la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione della sentenza in relazione alla qualificazione giuridica del fatto . Secondo la ricorrente, infatti, non si tratterebbe di furto con strappo , bensì di furto con violenza di cui al combinato disposto degli artt. 624 e 625, n. 2, c.p Ebbene, la Cassazione rileva immediatamente che il furto con strappo si verifica allorquando il soggetto attivo compie un determinato gesto per superare la forza di coesione inerente alla normale relazione fisica tra possessore e cosa sottratta la violenza nel furto con strappo è rivolta immediatamente verso la cosa. Si tratta dunque di un’azione violenta esercitata sulla cosa e non sulla persona , con la conseguenza che ai fini della configurazione dello strappo si prescinde dalla violenza che ne è conseguita sulla persona. Pertanto, nel dichiarare il ricorso fondato, la Cassazione afferma il principio di diritto con il quale chiarisce che si configura il furto con strappo quando la violenza è immediatamente rivolta verso la cosa e solo in via del tutto indiretta verso la persona che la detiene, anche se, a causa della relazione fisica intercorrente tra cosa sottratta e possessore, può derivare una ripercussione indiretta e involontaria sulla vittima .

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 7 febbraio – 11 giugno 2020, n. 17953 Presidente Zaza – Relatore Sessa Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 10.07.2019 la Corte di Appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale della medesima città del 28.03.2019 che aveva condannato F.D. alla pena di mesi dieci e giorni venti di reclusione ed di Euro 300 di multa per il reato di cui all’art. 56 c.p. e art. 624 bis c.p., comma 2 per avere tentato di impossessassi della collanina d’oro della persona offesa strappandogliela dal collo ma non riuscendo nell’intento per cause indipendenti dalla propria volontà . 2.Avverso la suddetta sentenza ricorre per Cassazione l’imputata, tramite il difensore, articolando i seguenti tre motivi. 2.1. Col primo deduce la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione emergente dal testo della sentenza impugnata e da quella di primo grado in relazione alla qualificazione giuridica del fatto. Il reato nel caso di specie non è quello di furto con strappo di cui all’art. 624 bis c.p., comma 2, bensì il furto con violenza di cui al combinato disposto dell’art. 624 c.p. e art. 625 c.p., n. 2. Lo strappo di cui all’art. 624 bis è infatti una condotta connotata da un qualche grado di violenza, seppur esercitata sulla cosa e non sulla persona, direttamente finalizzata allo spossessamento del bene tuttavia, è altresì necessario che tale condotta si riverberi sulla persona Cass. Pen., sez. V, sent. n. 44976 del 26.10.2016 . Orbene, nel caso di specie il riverbero sulla persona viene escluso dalla stessa sentenza di primo grado laddove si afferma che la persona offesa non si accorse di nulla pag.1 . Dunque la Corte di Appello, per rigettare le doglianze della difesa in punto di qualificazione giuridica del fatto, ha dato motivazione contraddittoria rispetto alla sentenza di primo grado. 2.2. Col secondo motivo deduce la mancanza e contraddittorietà della motivazione in relazione al diniego dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6. La Corte territoriale non ne ha ravvisato la sussistenza affermando che il giudice avrebbe già valutato il risarcimento alla persona offesa, riconoscendo per tale condotta, le circostanze attenuanti generiche pag. 4 . Tuttavia, tale motivazione contrasta con quanto emerge dalla sentenza di primo grado, laddove il Tribunale di Milano non fa alcun riferimento al risarcimento del danno, ma esclusivamente e genericamente a condotta parzialmente riparatoria , legando tale affermazione alla lettera di scuse trasmessa alla persona offesa unitamente ad un assegno di Euro 500,00. 2.3. Col terzo motivo deduce mancanza e contraddittorietà della motivazione in relazione alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena. Il ricorrente lamenta che la Corte di Appello di Milano, nel respingere anche l’ultimo motivo di appello, non abbia considerato in alcun modo il contegno processuale tenuto dall’imputata, la quale oltre ad aver ammesso l’addebito, si è scusata ed ha anche risarcito il danno. La formulazione di una prognosi non favorevole in ordine alla futura astensione da analoghi reati è stata peraltro svolta in considerazione del fatto che l’imputata ha a suo carico numerosi procedimenti pendenti tuttavia, si tratta appunto di procedimenti e non di processi nè di condanne , quando invece sulla base della mera pendenza di un procedimento non è lecito, per ciò solo, svolgere una valutazione negativa, senza soppesare nè considerare minimamente gli altri elementi favorevoli. Se infatti l’obbligo di motivazione non impone al giudice territoriale di riferirsi espressamente a tutti gli elementi valutabili nell’assumere una decisione, è altrettanto vero che quando gli elementi omessi sono così numerosi, la mancata menzione degli stessi si traduce in mancanza di motivazione. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato e merita pertanto il rigetto. 1.1. Quanto al primo motivo si osserva che secondo la giurisprudenza costante di questa Corte il cd. furto con strappo si verifica allorquando il soggetto attivo deve compiere un determinato gesto - lo strappo appunto - per superare la forza di coesione inerente alla normale relazione fisica tra possessore e cosa sottratta - come nel caso della collanina appesa al collo -, in tal caso lo strappo costituisce quindi il mezzo attraverso il quale si realizza la sottrazione si configura, in altri termini, il delitto di furto con strappo quando la violenza sia immediatamente rivolta verso la cosa, seppur possa avere ricadute sulla persona che la detiene. Sussiste, invece, l’aggravante della violenza sulle cose ogniqualvolta il soggetto, per commettere il reato, fa uso di energia fisica provocando la rottura, il guasto, il danneggiamento, la trasformazione della cosa altrui o determinandone il mutamento nella destinazione ovvero fa uso di energia fisica diretta a vincere la resistenza che la natura o la mano dell’uomo hanno posto a riparo o difesa della cosa altrui ex multis, Sez. 5, Sentenza n. 53984 del 26/10/2017 Rv. 271889 - 01 laddove, peraltro, nel caso di specie non risulta neppure che l’azione abbia determinato la rottura del bene sottratto circostanza questa che ove verificatasi avrebbe peraltro potuto al più ulteriormente aggravare il fatto ma giammai incidere sulla qualificazione qui operata . Ne discende che la sensazione provata dalla vittima che potrebbe peraltro nel caso di specie non esseri accorta di quanto accaduto per i motivi più disparati non è rilevante perché ciò che rileva ai fini dell’integrazione del reato di furto con strappo è che l’azione si sia, appunto, risolta in uno strappo ovvero in quell’azione necessaria per superare la forza di coesione inerente alla normale relazione fisica tra possessore e cosa sottratta, tant’è che ove esso trasmodi in un atto di violenza che non si eserciti esclusivamente sulla cosa, ma si estenda anche, in via accessoria, al soggetto passivo, al fine di vincerne la resistenza a fargli subire lo spossessamento, si configura il ben diverso delitto di rapina cfr. tra le più recenti, Sez. 2, n. 16899 del 21/02/2019 Rv. 276558 - 01 . Lo strappo pur connotato da un qualche grado di violenza è comunque un’azione esercitata sulla cosa e non sulla persona con la conseguenza che per la sua configurazione si prescinde dalla violenza che ne è conseguita sulla persona che in ipotesi potrebbe anche mancare assumendo essa piuttosto rilievo ad altri fini, quale quello della distinzione rispetto ad altra fattispecie criminosa - perché la ratio del furto con strappo rispetto al furto semplice risiede nella insidiosità della condotta tipica che si realizza attraverso un atto violento esercitato su di un oggetto, improvvisamente strappato di dosso o di mano alla vittima. La condotta tipica si concreta, in altri termini, nel sottrarre la cosa di mano o di dosso alla persona, riducendone la resistenza con un colpo improvviso più o meno violento sulla res. Alla luce delle considerazioni sopra esposte si può quindi affermare il seguente principio di diritto Si configura il furto con strappo quando la violenza è immediatamente rivolta verso la cosa e solo in via del tutto indiretta verso la persona che la detiene, anche se, a causa della relazione fisica intercorrente tra cosa sottratta e possessore, può derivare una ripercussione indiretta e involontaria sulla vittima . 1.2. L’infondatezza del secondo motivo traspare dalla stessa sua formulazione nel senso che è la stessa ricorrente a prospettare che il giudice si sarebbe già espresso in termini di condotta parzialmente riparatoria , giustamente valorizzata ai fini della concessione delle circostanze attenuanti generiche e non ai fini della integrazione dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., comma 1, n. 6 il cui riconoscimento, secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, presuppone che la riparazione del danno - mediante le restituzioni o il risarcimento - sia integrale e avvenga prima del giudizio cfr. ex multis, Sez. 3, n. 25326 del 19/02/2019, Rv. 276276 - 01 . 1.3. Anche il terzo motivo è palesemente infondato. Ed invero, si osserva che, in tema di sospensione condizionale della pena, da un lato, il giudice di merito, nel valutare la concedibilità del beneficio, non ha l’obbligo di prendere in esame tutti gli elementi richiamati nell’art. 133 c.p., potendo limitarsi ad indicare quelli da lui ritenuti prevalenti in senso ostativo alla sospensione Sez. 4, n. 48013 del 12/07/2018 - dep. 22/10/2018, M, Rv. 27399501 , dall’altro, che anche i fatti di cui ai procedimenti pendenti possono rilevare, d’altronde anche le stesse modalità del fatto sub iudice possono indurre ad escludere il beneficio cfr. Sez. 2, Sentenza n. 19298 del 15/04/2015, Rv. 263534 - 01 . In ogni caso che nella valutazione della prognosi sfavorevole ai fini dell’applicazione della sospensione condizionale della pena rientrino non soltanto le sentenze di condanna, ma anche i precedenti giudiziari di cui all’art. 133 c.p. è la stessa disposizione di cui all’art. 164 c.p., comma 1 a prevederlo facendo essa riferimento alle circostanze di cui all’art. 133 cit. ai fini della formulazione della prognosi che il giudice deve compiere, norma quella di cui all’art. 133 c.p. che espressamente considera, al comma 2, anche i precedenti giudiziari oltre che penali. A tali parametri normativi e giurisprudenziali si è attenuta la Corte di Appello nel rigettare, con motivazione congrua e quindi qui insindacabile sotto il profilo del merito, la censura sollevata al riguardo anche in appello, per cui ne consegue la manifesta infondatezza del motivo qui riproposto, che non si è confrontato nè con la sentenza impugnata nè con la giurisprudenza di questa Corte. 2. Dalle ragioni sin qui esposte deriva il rigetto del ricorso, cui consegue, per legge, ex art. 606 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese di procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.