Niente redditi e scorta facilmente deteriorabile: esclusa l’ipotesi dell’uso personale

Confermata la condanna per un giovane, beccato, assieme a un coetaneo, a portar con sé un sacchetto di plastica contenente marijuana da cui erano ricavabili oltre mille e ottocento dosi medie singole. Impensabile ipotizzare che i quasi 200 grammi di sostanza stupefacente fossero destinati a fungere da scorta personale.

Ufficialmente privo di redditi per questo è poco plausibile l’ipotesi che la droga in suo possesso – sufficiente a produrre oltre mille e ottocento dosi – sia destinata a un uso esclusivamente personale . Consequenziale la condanna Cassazione, sentenza n. 16611/20, sez. III Penale, depositata il 3 giugno . Ricostruita facilmente la vicenda due giovani, in sella a un motorino, mostrano segni di preoccupazione alla vista dei carabinieri. In particolare, uno dei due getta via un sacchetto di plastica, subito raccolto dai militari, i quali non possono far altro che prendere atto del contenuto quasi 200 grammi di marijuana . Inevitabile il processo per i due giovani. Solo uno di loro, però, porta la questione in Cassazione, pur avendo visto ‘alleggerita’, tra primo e secondo grado, la pena. In particolare, il GUP del Tribunale lo ha sanzionato con due anni di reclusione e 1.000 euro di multa, ridotti in Appello a quattordici mesi di reclusione e 800 euro di multa. Nessun dubbio, però, per i giudici di merito sulla concretezza della condotta illecita tenuta dal giovane, e consistita, come detto, nella detenzione illecita di quasi 200 grammi di marijuana, pari a oltre mille e ottocento dosi. Il difensore prova però a ridimensionare la condotta del proprio cliente, sottolineando in Cassazione che egli ha ammesso, sia al momento dell’arresto, sia in sede di convalida, che la sostanza stupefacente era destinata a uso esclusivamente personale, avendola acquistata in quantità tale da avere una scorta ed evitare di doverla comprare più volte . E in questa ottica il legale aggiunge che in realtà il giovane lavora in nero presso la pizzeria del suocero, per cui ha delle entrate non ufficiali che gli consentono acquisiti anche non esigui di droga . E secondo il difensore, infine, il tentativo di disfarsi della sostanza stupefacente alla vista delle forze dell’ordine è valutabile come un riflesso condizionato, poiché egli era stato trovato in possesso di una sostanza di cui era vietata la vendita , mentre è ben più significativo che nel momento in cui era stato fermato dalle forze dell’ordine, il giovane non aveva una quantità di denaro tale da desumere il compimento di attività illecite e all’esito delle successive perquisizioni domiciliari non sono stati effettuati sequestri di stupefacenti o di strumenti idonei al loro confezionamento . Per chiudere il cerchio, infine, viene evidenziato dal legale che il giovane ha continuato ad assumere stupefacenti anche durante la sottoposizione a misura cautelare e in pendenza del processo e ciò rendeva non necessaria altra documentazione attestante la sua condizione di assuntore, invero desumibile anche dalla produzione di un verbale elevazione di sanzione amministrativa per detenzione per uso di marijuana . Inutili si rivelano le obiezioni proposte dal legale del giovane. Dalla Cassazione, difatti, arriva la conferma della condanna . Decisivo il richiamo al contenuto del sacchetto di plastica rinvenuto dai carabinieri. Difatti, all’esito delle analisi chimiche si è accertato che si trattava di 194,80 grammi di marijuana, con un contenuto medio di principio attivo del 23,33%, da cui erano ricavabili 1.817 dosi medie singole logico, quindi, secondo i giudici, arrivare alla affermazione della penale responsabilità del giovane in ordine al delitto di detenzione illecita di sostanze stupefacenti , soprattutto perché l’elevato dato ponderale era sintomatico della finalità di spaccio . Assolutamente inverosimile, quindi, la tesi difensiva di un acquisto per uso personale, stante le modeste condizioni economiche del giovane, che ha presentato richiesta di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, dichiarando nell’istanza che il suo nucleo familiare era composto da altre sei persone oltre a lui stesso . Peraltro, la condizione di disagio economico non può ritenersi superata dalle deduzioni difensive, assertive e generiche, circa presunti guadagni in nero del giovane , chiariscono dalla Cassazione. Peraltro, è valutato come significativo il comportamento del giovane che, al cospetto dei militari, ha tentato in modo maldestro di disfarsi del sacchetto con lo stupefacente, atteggiamento questo poco compatibile con l’eventuale buonafede di un semplice assuntore . E a questo proposito i giudici aggiungono che la stessa qualità di consumatore abituale di droga non è stata adeguatamente provata, ad esempio con certificazioni del Sert o con adeguate analisi, fermo restando che l’eventuale veste di assuntore, pur a volerla ritenere dimostrata, non vale certo a escludere la condotta finalizzata allo spaccio . E poi, concludono i giudici, è oggettivamente inverosimile che il giovane abbia investito tutte le scarse risorse nella sua disponibilità per acquistare un quantitativo così elevato di marijuana – pari a 1.817 dosi –, la cui efficacia psicotropa, nella prospettiva del procacciamento di una scorta per uso personale, sarebbe stata peraltro destinata a deteriorarsi in breve tempo .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 4 marzo – 3 giugno 2020, n. 16611 Presidente Liberati – Relatore Zunica Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 5 dicembre 2017, il G.U.P. presso il Tribunale di Palermo, per quanto in questa sede rileva, condannava Ma. Fo. alla pena, condizionalmente sospesa, di anni 2 di reclusione ed Euro 1.000 di multa, in quanto ritenuto colpevole del reato di cui all'art. 73 del D.P.R. n. 309 del 1990, riconosciuta la fattispecie di lieve entità, reato a lui contestato per avere, in concorso con Lu. Pu., detenuto illecitamente 194,80 grammi netti di sostanza stupefacente di tipo marijuana, con un contenuto medio di principio attivo del 23,33%, da cui erano ricavabili 45,44 grammi di THC puro, corrispondenti a 1.817,84 dosi medie singole, fatto accertato in Palermo l'8 giugno 2017. Con sentenza del 31 maggio 2019, la Corte di appello di Palermo, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, rideterminava la pena a carico di Fo. in anni 1, mesi 2 di reclusione ed Euro 800 di multa, confermando nel resto la sentenza del G.U.P. 2. Avverso la sentenza della Corte di appello palermitana, Fo., tramite il suo difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando un unico motivo, con cui la difesa contesta la formulazione del giudizio di colpevolezza dell'imputato, osservando che questi, sia al momento dell'arresto, sia in sede di convalida, aveva ammesso che la sostanza stupefacente era di esclusiva proprietà sua e del coimputato e che era destinata a uso esclusivamente personale, avendola acquistata in quantità tale da avere una scorta ed evitare di doverla comprare più volte a tal proposito, la difesa precisa che in realtà Fo. lavora in nero presso la pizzeria del suocero, per cui ha delle entrate non ufficiali che gli consentono acquisiti anche non esigui di droga. Quanto al tentativo dell'imputato di disfarsi della sostanza stupefacente alla vista delle Forze dell'ordine, la difesa sostiene che tale comportamento era un riflesso condizionato, atteso che egli era stato trovato in possesso di una sostanza di cui era vietata la vendita, apparendo invece ben più significativo che, nel momento in cui era stato fermato dalle Forze dell'ordine, il ricorrente non aveva una quantità di denaro tale da desumere il compimento di attività illecite, mentre, all'esito delle successive perquisizioni domiciliari, non sono stati effettuati sequestri di stupefacenti o di strumenti idonei al loro confezionamento. Peraltro, l'imputato ha continuato ad assumere stupefacenti anche durante la sottoposizione a misura cautelare e in pendenza del processo, il che rendeva non necessaria altra documentazione attestante la sua condizione di assuntore, invero desumibile anche dalla produzione di un verbale elevazione di sanzione amministrativa, ex art. 75 del D.P.R. n. 309 del 1990, per detenzione per uso personale dello stesso tipo della sostanza stupefacente per cui si procede. Considerato in diritto Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza. 1. Contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, il giudizio di colpevolezza dell'imputato non presenta infatti vizi di legittimità rilevabili in questa sede. E invero le due sentenze di merito, le cui motivazioni sono destinate a saldarsi per formare un apparato argomentativo unitario, hanno compiuto un'adeguata disamina delle fonti dimostrative acquisite, valorizzando in particolare gli esiti dell'attività di indagine svolta dai Carabinieri di San Lorenzo, che, l'8 giugno 2017, fermavano in Palermo due giovani a bordo di un motoveicolo che procedeva contromano, uno dei quali, poi identificato in Ma. Fo., al momento del controllo, si disfaceva di un sacchetto di plastica che veniva raccolto dai militari e al cui interno veniva rinvenuta della sostanza stupefacente. All'esito delle analisi chimiche, veniva accertato che si trattava di 194,80 gr. di marijuana, con un contenuto medio di principio attivo del 23,33%, da cui erano ricavabili 45,44 gr. di THC puro, corrispondenti a 1.817,84 dosi medie singole. Orbene, alla stregua di tali risultanze investigative, i giudici di merito sono pervenuti alla coerente conclusione dell'affermazione della penale responsabilità dell'imputato in ordine al delitto di detenzione illecita di sostanze stupefacenti, osservando, in maniera non illogica, che l'elevato dato ponderale fosse sintomatico della finalità di spaccio perseguita dall'imputato, oltre che dalla persona in sua compagnia, non essendo verosimile la tesi difensiva di un acquisto per uso personale, stante le modeste condizioni economiche di Fo., che ha presentato richiesta di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, dichiarando nell'istanza, della cui veridicità non si ha motivo di dubitare, che il suo nucleo familiare era composto da altre 6 persone oltre a lui stesso. Né la condizione di disagio economico dell'imputato può ritenersi superata dalle deduzioni difensive, assertive e generiche, circa presunti guadagni in nero dell'imputato, deduzioni che, evidentemente proprio perché ritenute prive di alcun contenuto specifico, non hanno indotto i giudici di merito a procedere alla trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica per le valutazioni di competenza in ordine al reato di cui all'art. 95 del D.P.R. n. 115 del 2012. In ogni caso, in sede di convalida dell'arresto, i due giovani fermati hanno fornito indicazioni del tutto vaghe circa le modalità dell'acquisto a loro dire finalizzato al consumo personale, parlando di una compravendita avvenuta nella zona di Falsomiele da una persona a loro sconosciuta, risultando ben più significativo il comportamento di Fo. che, al cospetto dei militari, ha tentato in modo maldestro di disfarsi del sacchetto con lo stupefacente, atteggiamento questo poco compatibile con l'eventuale buona fede di un semplice assuntore. E del resto, come rimarcato nelle sentenze di merito, la stessa qualità di Fo. di consumatore abituale di droga non è stata adeguatamente provata, ad esempio con certificazioni del Sert o con adeguate analisi, fermo restando che l'eventuale veste di assuntore, pur a volerla ritenere dimostrata, non vale certo a escludere la concorrente condotta dell'imputato finalizzata allo spaccio. La circostanza dunque che, in occasione del controllo del 13 settembre 2017, sia stata rinvenuta della marijuana, è stata ritenuta ragionevolmente neutra, a fronte di un quadro probatorio rivelatosi solido ed esaustivo, tanto più ove si consideri che, come sottolineato nella sentenza impugnata, è oggettivamente inverosimile che Fo. abbia investito tutte le scarse risorse nella sua disponibilità per acquistare un quantitativo così elevato di marijuana non va dimenticata in tal senso la qualità del principio attivo e ricavabilità di 1.817 dosi medie singole , la cui efficacia psicotropa, nella prospettiva del procacciamento di una scorta per uso personale, sarebbe stata peraltro destinata a deteriorarsi in breve tempo. 2. In definitiva, in quanto sorretta da considerazioni razionali, la valutazione del materiale probatorio operata prima dal G.U.P. e poi dalla Corte territoriale resiste alle obiezioni difensive, che invero si sostanziano nella proposta di una lettura alternativa delle fonti probatorie, che tuttavia non può trovare ingresso in questa sede, dovendosi richiamare in proposito l'affermazione di questa Corte cfr. Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482 , secondo cui, in tema di giudizio di cassazione, a fronte di un apparato argomentativo privo di profili di irrazionalità, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito. 3. Alla stregua di tali considerazioni, il ricorso di Fo. deve essere dichiarato pertanto inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ex art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento Tenuto conto infine della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.