Cartucce, fucili e problemi: quando l’eredità non è una…tavola blu

L’erede che entra nella disponibilità di armi è tenuto a rinnovare la denuncia di esse, gravando su di lui gli stessi obblighi che gravavano sul suo dante causa anche in caso di accettazione con beneficio di inventario.

Gli Ermellini con la sentenza n. 15199/20, depositata il 15 maggio si sono occupati di una vicenda di contenuto davvero particolare che può riassumersi così a seguito del decesso del proprio coniuge, la vedova decide di dar corso ad accettazione dell’eredità con beneficio di inventario. Nel patrimonio relitto sono ricompresi due fucile ed alcune cartucce. La vedova non effettua le comunicazioni previste dall’articolo 697 del codice penale e, per detta omissione, viene tratta a giudizio e condannata. Il reato viene dichiarato prescritto dalla Corte di Cassazione ma i Giudici decidono di esplorare nel dettaglio tutte le sfaccettature di una fattispecie davvero insolita stimolati da un ricorso che mi sento di definire ficcante, suggestivo e, per quel che mi concerne, assolutamente interessante sotto il profilo giuridico. La norma incriminatrice è costituita dall’articolo 697 del c.p. che recita chiunque detiene armi o caricatori soggetti a denuncia ai sensi dell'articolo 38 del testo unico di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, e successive modificazioni, o munizioni senza averne fatto denuncia all'Autorità, quando la denuncia è richiesta, è punito con l'arresto da tre a dodici mesi o con l'ammenda fino a 371 euro. Chiunque, avendo notizia che in un luogo da lui abitato si trovano armi o munizioni, omette di farne denuncia all'autorità, è punito con l'arresto fino a due mesi o con l'ammenda fino a 258 euro”. La sentenza non indica nello specifico l’imputazione sollevata nei confronti della ricorrente ma la pena lei irrogata fa ritenere che la contestazione sollevata fosse attinente al primo comma della norma. Intervenuto il decesso del proprio marito, la signora ha, come detto, dato corso alla procedura prevista dall’articolo 490 del codice civile . La norma così dispone L'effetto del beneficio d'inventario consiste nel tenere distinto il patrimonio del defunto da quello dell'erede. Conseguentemente 1 l'erede conserva verso l'eredità tutti i diritti e tutti gli obblighi che aveva verso il defunto, tranne quelli che si sono estinti per effetto della morte 2 l'erede non è tenuto al pagamento dei debiti ereditari e dei legati oltre il valore dei beni a lui pervenuti 3 i creditori dell'eredità e i legatari hanno preferenza sul patrimonio ereditario di fronte ai creditori dell'erede. Essi però non sono dispensati dal domandare la separazione dei beni, secondo le disposizioni del capo seguente, se vogliono conservare questa preferenza anche nel caso che l'erede decada dal beneficio d'inventario o vi rinunzi.” Il primo alinea della disposizione indica quale effetto della disciplina quello di tenere distinti i patrimoni dell’erede e del de cuius. Quindi, l’aver rinvenuto fucili e pistole all’interno del patrimonio relitto non può, in prima battuta ed ai sensi della primo alinea, far ritenere che detti beni fossero ormai entrati a far parte del patrimonio dell’erede che, ovviamente, non aveva ancora accettato l’eredità. Di qui, il primo motivo di doglianza del ricorrente che assumeva l’estraneità dei beni rispetto al patrimonio dell’erede e, conseguentemente come fosse impossibile identificare in capo al ricorrente medesimo la situazione giuridica tipica. Gli Ermellini, al fine di compiere la propria attività ermeneutica, fanno leva sul disposto del numero 1 della norma che indica come l'erede conserv i verso l'eredità tutti i diritti e tutti gli obblighi che aveva verso il defunto” Dunque l’erede, in forza di detti obblighi, una volta rinvenuti nel patrimonio relitto, i beni mobili, armi, assoggettati, ad obbligo di denuncia, sarebbe tenuto a presentare il richiesto atto presso le competenti autorità di pubblica sicurezza, pena l’applicazione nei suoi confronti del disposto dell’articolo 697 c.p Ora, la lettura proposta dai Giudici della prima sezione penale appare a prima vista convincente seguendo però la mia natura, non posso non rilevare come la norma si riferisca ad obblighi dell’erede verso il defunto e non già verso i terzi. Ma se il defunto aveva effettuato la prescritta denuncia alle competenti autorità circa la detenzione delle armi, quali obblighi ulteriori aveva l’erede con beneficio di inventario nei confronti del de cuius? Certo quello di conservare, custodendolo, il patrimonio ma non certamente di effettuare denuncia. La Corte di Cassazione fa leva proprio sul concetto di custodia del patrimonio e sul ruolo di custode del medesimo attribuito all’erede con beneficio di inventario in virtù del numero 1 dell’articolo 490 del codice civile. Se l’erede è custode del patrimonio significa che egli ne ha la disponibilità materiale e, quindi, non può esimersi dall’obbligo di denuncia. Ma la custodia del patrimonio indica la disponibilità materiale del medesimo? L’assioma appare a prima vista corretto e, pertanto, certamente accettabile ed applicabile al caso di specie ma, ma c’è un però che mi par doveroso sottolineare. L’erede con beneficio di inventario non può disporre del patrimonio relitto anzi, ove ne disponesse, decadrebbe dal beneficio. Il numero 3 dell’articolo 490 cod. civ. indica infatti i due caso in cui la dichiarazione di accettazione con beneficio di inventario perde efficacia, rilevandoli nella rinunzia dell’erede o nella decadenza dal beneficio. L'erede decade dal beneficio d'inventario, se aliena o sottopone a pegno o ipoteca beni ereditari, o transige relativamente a questi beni senza l'autorizzazione giudiziaria e senza osservare le forme prescritte dal codice di procedura civile, ovvero se compie sui beni oggetto dell’eredità gli atti tipici di chi ne abbia la disponibilità ”. Ma disponibilità e detenzione sono concetti differenti. La detenzione è il potere di mero fatto esercitato su una cosa da un soggetto detentore che non ha l'intenzione di compiere un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale il detentore, cioè, ha un mero animus detinendi, e non un animus possidendi, in quanto riconosce che sulla cosa insiste un diritto reale altrui. Dunque, il detentore sa di non né avere la disponibilità né il possesso dei beni, ma sa che detti beni sono, in virtù di un mero rapporto fattuale, sottoposti al suo potere. Ritornando al caso di specie, fucili e munizioni erano detenute, in virtù del semplice fatto che si trovavano nell’immobile dell’erede dalla ricorrente che, sapeva, di non poterne in alcun modo disporre proprio in ragione della scelta effettuata in tema di accettazione del patrimonio relitto. Così argomentando non si può che riconoscere la correttezza della decisione assunta dai giudici della prima sezione della Corte di Cassazione che, però. La colpevolezza se è vero che sussiste un rapporto di detenzione tra l’erede beneficiato e i beni oggetto dell’eredità non può dirsi, che non via sia possibilità di errore scriminante ex articolo 47 c.p. Dicono i Giudici che l’errore in cui potrebbe al più incorsa essere la ricorrente non rientrerebbe tra le casistiche disciplinate dall’articolo 47 posto che, così si legge nella sentenza resa, deve essere considerato errore sulla legge penale, come tale inescusabile, sia quello che cade sulla struttura del reato, sia quello che incide su norme, ad integrazione della fattispecie criminosa, dovendosi intendere per legge diversa dalla legge penale, ai sensi dell’articolo 47 cod. pen., quella destinata in origine a regolare rapporti giuridici di carattere non penale e non esplicitamente incorporata in una norma penale o da questa non richiamata, neppure implicitamente.” In tutta franchezza mi pare che la norma dettata in tema di accettazione con beneficio di inventario sia proprio norma destinata in origine a regolare rapporti di carattere non penale e non esplicitamente incorporata in norma penale od a questa richiamata. Il che avrebbe, a mio modesto avviso, dovuto condurre ad accoglimento del ricorso sul punto. Altro aspetto interessante della vicenda è quello collegato alla meritevolezza della sanzione penale . La condotta posta in essere dalla ricorrente poteva dirsi essere meritevole di sanzione penale? Si può ravvisare nella stessa condotta quel minimo di offensività richiesta affinché venga posto in pericolo il bene giuridico protetto dalla norma? Può dirsi che la mancata denuncia effettuata nel corso di una procedura complessa, effettuata anche, o meglio, esclusivamente a mezzo di Notaio, con tutto ciò che detta circostanza significa in tema di pubblicità degli atti e di qualifica soggettiva degli intervenuti, abbia davvero posto in pericolo il bene giuridico protetto? La Pubblica Autorità ha mai davvero perso il controllo circa l’effettiva e concreta posizione” fisica delle armi? Si tratta di quesiti cui la Corte non fornisce risposta e che restano, magari anche per inadeguatezza del commentatore, aperti. Sono quesiti che peraltro, attengono alla stessa essenza della sanzione penale, della necessità di irrogare pena e della funzione rieducativa della stessa e che si pongono ben oltre la vicenda concreta. Ultimo punto che mi pare debba essere affrontato è quello relativo all’applicabilità dell’articolo 5 del codice penale nella riscrittura” fattane dalla Corte Costituzionale. La ricorrente certamente ha dovuto, e ne danno atto anche gli Ermellini, avvalersi di consulenti esterni” certamente dotati di competenze, in tema giuridico, di gran lunga superiori alle sue. Quid iuris se, come sembra, nessuno dei consulenti” quantomeno il Notaio all’atto della redazione dell’inventario ha segnalato alla ricorrente l’obbligatorietà di proporre denuncia di detenzione delle armi? Può dirsi si versi in stato di ignoranza incolpevole ? La risposta che fornisce la Corte non è appagante posto che essa la riconduce, ancora una volta, alla fattispecie dell’errore sulla norma che, invece e sempre a mio modesto avviso, è lettura della fattispecie astratta non corrispondente al fatto concreto. Fatto concreto che in un sistema come il nostro costituisce fondamenta e presupposto per l’applicazione di ogni fattispecie tipizzata dal Legislatore. L’esito del processo è condensato nella massima che si può ricavare dalla pronuncia l’erede che entra nella disponibilità di armi è tenuto a rinnovare la denuncia di esse, gravando su di lui gli stessi obblighi che gravavano sul suo dante causa anche in caso di accettazione con beneficio di inventario”.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 21 febbraio – 15 maggio 2020, n. 15199 Presidente Mazzei – Relatore Cairo Ritenuto in fatto 1. La Corte d’appello di Firenze, con la sentenza in epigrafe, confermava la decisione emessa dal Tribunale di Siena, il 26/7/2016, nei confronti di B.L. che era stata condannata, alla pena di mesi cinque giorni 15 di reclusione ed Euro 450 di multa, per la detenzione illegale di due fucili e di 85 cartucce a pallini unificati i fatti ex art. 81 cpv. c.p. e, concesse le circostanze attenuanti generiche, era stata inflitta la pena anzidetta con i doppi benefici, assolvendo l’imputata dal reato relativo alla detenzione di 6 cartucce a palla calibro 12. I giudici di merito ritenevano B.L. colpevole dei reati anzidetti, poiché ella aveva la disponibilità della casa all’interno della quale erano custodite le armi, luogo ove viveva con il marito, T.A. , prima del suo decesso. La Corte d’appello osservava che B.L. aveva omesso un atto doveroso per legge la denuncia all’autorità di P.S. della disponibilità delle armi , atto diverso dall’inventario dei beni a fini ereditari. La conseguenza era che non si sarebbe potuto recuperare il fatto alla disciplina dell’errore. Se vi fosse stato errore questo sarebbe caduto sulla norma di legge e, trattandosi di un errore di diritto, non avrebbe avuto efficacia scusante. 2. Ricorre per cassazione B.L. e deduce, con il ministero del suo difensore di fiducia, i seguenti motivi. 2.1. Lamenta la violazione di legge e il vizio di motivazione. Afferma di aver accettato l’eredità con beneficio d’inventario e di aver appurato al momento della redazione dell’inventario anzidetto che vi erano tra i beni anche due fucili. L’accettazione con il beneficio anzidetto determinava che i due patrimoni - quello del de cuius e quello dell’erede - restassero separati. 2.2. Con il secondo motivo deduce la violazione degli artt. 5, 47 e 43 c.p. si imponeva, dunque, assoluzione per mancanza di dolo, indotta da errore di fatto che aveva determinato un errore sul fatto. 2.3. Con il terzo motivo lamenta il mancato rilievo della prescrizione in relazione al capo B della rubrica. La contravvenzione contestata in data OMISSIS si era prescritta il OMISSIS , anteriormente all’emissione della sentenza di merito che era del 27/9/2019. 2.4. Con il quarto motivo deduce la violazione del divieto di reformatio in peius di cui all’art. 597 c.p. viola il divieto anzidetto la decisione che pur dichiarando la prescrizione di un reato unificato per continuazione non diminuisce corrispondentemente la pena. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato limitatamente al terzo motivo sul mancato rilievo della prescrizione, oltre che alla quarta ragione di censura, con cui si è dedotta la violazione del principio di cui all’art. 597 c.p.p., sul divieto di reformatio in peius. Infondati sono, viceversa, gli altri motivi di doglianza. 1.1. Tale è, innanzitutto, quello sviluppato sull’intervenuta accettazione dell’eredità con il beneficio di inventario, che manterrebbe separati i patrimoni dell’erede e del de cuius. L’istituto, nel diritto civile, esclude la cd. confusione dei patrimoni, tra i titolari in successione, in funzione dei rispettivi assetti debitori. Esso mantiene, in ragione del principio di separazione, una diversificazione persistente tra le due entità economiche. Si mira, cioè, a garantire le rispettive categorie di creditori dell’erede e del soggetto nei cui confronti si apre la successione . La finalità è, infatti, quella di assicurare che i due patrimoni assolvano la rispettiva funzione di garanzia, ai sensi dell’art. 2740 c.c., in maniera separata. Essa accettazione, tuttavia, è limitata, per quanto qui rileva, al solo ambito civilistico art. 490 c.c. non trova, cioè, applicazione in un campo diverso, come quello penale e, soprattutto, nella materia della disciplina e della legislazione sul controllo delle armi. Non si modificano, dunque, nè risultano assorbiti gli obblighi che gravano sul soggetto-erede, che nel patrimonio del suo dante causa rinvenga armi. Costui è egualmente tenuto alle relative denunce e richieste di autorizzazione e comunicazione di detenzione da inoltrare alla competente Autorità. Non basta, allora, la sola accettazione con beneficio di inventario a sollevare l’erede dagli obblighi specifici e ulteriori che gli derivano dalle caratteristiche di quei beni, compresi nella successione, in ragione del rapporto materiale di disponibilità delle armi che, comunque, si genera. In altri termini, l’accettazione anzidetta, non assimila il patrimonio indicato ad una res nullitatis, ma lo separa semplicemente ai fini della responsabilità debitoria di tipo civilistico, evitando l’effetto della confusione che potrebbe danneggiare, per effetto dell’unificazione, mortis causa, i creditori dell’erede o quelli del soggetto in capo al quale si apre la successione. Da ciò discende che l’erede, pur accettante con beneficio d’inventario, ai fini penali, avendone la disponibilità materiale, non può esimersi dagli obblighi di denuncia e di comunicazione verso le Autorità pubbliche, in relazione ad esse armi, comunque, pervenutegli in successione, oggetti che egli detiene, presso il suo domicilio o in altri luoghi nella disponibilità. Nè può ritenersi che, con l’accettazione con beneficio d’inventario, il chiamato all’eredità non divenga erede. Al contrario diviene tale, ma i suoi poteri sul patrimonio del defunto non sono quelli pieni che gli sarebbero derivati dall’accettazione pura e semplice. Con l’accettazione beneficiata, infatti, l’erede diviene l’amministratore del patrimonio del de cuius, patrimonio che amministra nel suo interesse e in quello dei creditori e dei legatari proprio perché egli gestisce pur sempre cose proprie. L’art. 491 c.c. ne prevede, infatti, la responsabilità per l’amministrazione per colpa grave. 1.2. Quanto al tema dell’errore e dell’esclusione dell’elemento psicologico del reato si sviluppano in ricorso argomenti che non valgono a disarticolare il ragionamento posto a fondamento della decisione. In tema di errore di cui all’art. 47 c.p., il dubbio su una circostanza di fatto che costituisce elemento essenziale della fattispecie criminosa non è di per sé sufficiente ad escludere il dolo in quanto dubbio ed errore sono categorie diverse. Mentre l’errore determina il convincimento circa l’esistenza di una situazione che non corrisponde alla realtà, chi agisce nel dubbio è, al contrario, consapevole di potersi esporre a violare la legge, cosicché il compimento dell’azione comporta l’accettazione del rischio nella causazione dell’evento, concretizzando così una forma di responsabilità a titolo di dolo eventuale Sez. 3, 37837 del 06/05/2014, M. e altri, Rv. 260257 . Ebbene, per la specifica vicenda processuale deve annotarsi che l’art. 47 c.p. dispone che l’errore su norma extrapenale esclude la punibilità quando ha cagionato un errore sul fatto che costituisce reato comma 3 . Deve essere considerato errore sulla legge penale, come tale inescusabile, sia quello che cade sulla struttura del reato, sia quello che incide su norme, nozioni e termini propri di altre branche del diritto, introdotte nella norma penale ad integrazione della fattispecie criminosa, dovendosi intendere per legge diversa dalla legge penale , ai sensi dell’art. 47 c.p., quella destinata in origine a regolare rapporti giuridici di carattere non penale e non esplicitamente incorporata in una norma penale o da questa non richiamata, neppure implicitamente. L’ignoranza dovuta a errore nell’interpretazione della norma penale non può essere considerata inevitabile quando tale interpretazione sia tutt’altro che confusa e caotica, non sia oggetto di particolari difficoltà, e l’errore circa l’esistenza e la portata della disposizione incriminatrice possa essere evitato con la normale diligenza. Applicazione in tema di inadempimento dell’obbligo di denuncia di un’arma comune da sparo Sez. 1,n. 3601 del 28/09/1992, rv. 192538 . La reiterazione della denuncia della disponibilità delle armi è sorretta da motivi di ordine pubblico che esigono che sia garantita all’Autorità la chiara conoscenza, oltre che del luogo di detenzione, della persona del detentore dell’arma. Costui, invero, deceduto il primo e originario denunciante, ben potrebbe essere persona priva dei requisiti psico-fisici che consentono la disponibilità di armi e munizioni. Correttamente, pertanto, la Corte distrettuale ha ritenuto che colui che viene in possesso di armi o munizioni, pure per successione ereditaria, è tenuto agli obblighi della denuncia prevista dalla legge anche quando tale obbligo sia stato assolto dal suo dante causa . Da ciò consegue la responsabilità dell’erede in caso di omessa denuncia della disponibilità delle armi cfr. in termini Cass. Sez. l , sent. n. 11595 del 23.10.1986, Squillacioti Sez. 1 , sent. n. 1210 dell’11.2.1984, Colocucci Sez. 1 , sent n. 11158 del 19.12.1981, Francesca . Nella vicenda oggetto d’esame non v’è un errore su norma extrapenale che si riverbera sul fatto, provocando un errore sul fatto-reato. La B. ha, infatti, agito accettando l’eredità con beneficio d’inventario e ha sostanzialmente apposto il beneficio anzidetto all’accettazione, al fine di produrre gli effetti tipici di essa accettazione e di tenere separati civilisticamente i due patrimoni. Ciò con lo scopo di non rischiare di subire, all’evidenza, aggressioni patrimoniali, da parte dei creditori del de cuius e così dimostrando di essere a conoscenza piena della finalità dell’istituto e del perimetro della sua operatività. Lo scopo dell’accettazione non era, pertanto, quello di legittimare la detenzione dell’arma, aspetto che connota la struttura del fatto e rispetto al quale non si è prodotto alcun errore sul fatto che costituisce reato ai sensi dell’art. 47 c.p., comma 3. Nè risulta che, nel caso di specie, possa parlarsi di un dubbio sulla applicabilità del beneficio di inventario. Ciò proprio per il tipo di accettazione posta in essere che imponeva formalità costitutive atto pubblico e adempimenti necessari, come l’inventario, aspetti che non avrebbero potuto indurre equivoco sul contenuto dell’atto, sulla sua finalità e sui suoi effetti. L’azione posta in essere era caratterizzata, pertanto, da rappresentazione e volizione del fatto tipico e, pertanto, da dolo, essendosi l’imputata rappresentata e avendo voluto, nella sostanza, una condotta pienamente conforme alla detenzione dell’arma stessa senza aver richiesto e ottenuto autorizzazione dalla pubblica Autorità. Nessun dubbio sussiste, pertanto, sulla tipicità e sulla relativa volizione. Nè occorre per la sussistenza della colpevolezza la coscienza anche del cd. profilo di antigiuridicità della fattispecie o di antisocialità dell’azione. Là dove la ricorrente avesse ignorato l’obbligo di denuncia o non avesse conosciuto i doveri che gravano sul soggetto anche iure ereditario che entra nella disponibilità delle armi, si sarebbe comunque generato un errore su norma penale o su disposizione strutturalmente implicata da essa, che ne Connota la tipicità, e che risulta ininfluente, ai sensi dell’art. 5 c.p Persiste, dunque, l’aspetto doloso e ogni affermato errore o situazione di dubbio non risultano ricorrenti e, in diritto, non generano esclusione della punibilità ai sensi dell’art. 47 c.p. non incidendo sul dolo nel senso anzidetto. Si tratta, del resto, di un dolo generico, e cioè della coscienza e della volontà della condotta ovvero dell’avere l’arma a disposizione per un tempo apprezzabile, mentre a nulla rilevano i motivi dell’azione v. Cass., Sez. 1, sent. n. 12911 del 19.12.2000, Bortoluzzi Sez. 1, sent. n. 13662 del 28.10.1998, Borsellino . Da quanto premesso discende che l’erede che entra nella disponibilità di armi Sez. 1, Sentenza n. 15880 del 16/01/2007 Rv. 236207, Massime precedenti Conformi N. 5292 del 1998 Rv. 210569 Massime precedenti Vedi N. 13062 del 1987 Rv. 177296, N. 13662 del 1998 Rv. 212354, N. 18013 del 2004 Rv. 227978 è tenuto a rinnovare la denuncia di esse e che gravano su di lui gli stessi obblighi che gravavano sul suo dante causa. Ciò, per quanto detto,vale anche nel caso di accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario. 1.3. È fondata, viceversa, la questione relativa alla mancata dichiarazione di prescrizione della contravvenzione ascritta. Nonostante se ne faccia cenno in motivazione, infatti, non si è indicata la relativa statuizione di estinzione in dispositivo. La Corte territoriale, in ogni caso, nell’esaminare la questione e nel dichiarare la prescrizione ha, comunque, ritenuto di ridurre l’entità della pena inflitta in primo grado mesi cinque giorni 15 di reclusione ed Euro 450 di multa , pena stimata adeguata e proporzionata ai fatti. È pacifica l’estinzione della contravvenzione per prescrizione, essendo decorso alla data di emissione della decisione di secondo grado il termine massimo di anni cinque. È, poi, corretto il rilievo in ricorso secondo cui, escluso un fatto-reato, che era stato originariamente unificato per continuazione, va rideterminata la pena inflitta poiché, in difetto, si realizza un indebito aumento della pena inizialmente inflitta, ciò pur in difetto dell’impugnazione del Pubblico Ministero. Ritenuta, dunque, l’estinzione per prescrizione della contravvenzione richiamata si sarebbe dovuta eliminare la pena relativa pari a giorni 5 di reclusione ed Euro 50 di multa, inflitta in aumento per il delitto in relazione al quale è stata fissata la pena base, con conseguente rideterminazione di essa sanzione, pari a mesi cinque giorni dieci di reclusione ed Euro 400 di multa. Alla luce di quanto premesso la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio limitatamente al reato di cui al capo B , perché estinto per prescrizione e, per l’effetto, va ridetermina la pena per il reato di cui al capo A, nella misura testè indicata di mesi cinque giorni dieci di reclusione ed Euro quattrocento di multa. Nel resto il ricorso va rigettato. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo B perché estinto per prescrizione e, per l’effetto, ridetermina la pena per il reato di cui al capo A, in mesi cinque giorni dieci di reclusione ed Euro quattrocento di multa. Rigetta nel resto il ricorso.