Investe un pedone: rispettare il limite di velocità non salva l’automobilista

Confermata la condanna per un uomo, ritenuto colpevole di omicidio colposo. Col suo investimento ha dato il ‘la’ alla catena di eventi che ha poi portato alla morte del pedone. Evidente per i Giudici la condotta imprudente tenuta alla guida, considerate le condizioni atmosferiche e della strada, e questa visione non può essere messa in discussione alla luce del rispetto del limite di velocità.

Rispettare il limite di velocità – fissato a 50 chilometri orari, in questo caso – non è sufficiente per eliminare la responsabilità dell’automobilista che investe un pedone , dando il via a una catena di eventi che ne causerà la morte Cassazione, sentenza n. 14515/20, sez. IV Penale, depositata oggi . Contesto del terribile episodio è una strada della Capitale. Siamo nel marzo del 2007 quando, all’altezza di un incrocio, una vettura investe una donna che sta attraversando la strada utilizzando le strisce pedonali. L’automobilista si ferma e si appresta a scendere dalla vettura per prestare soccorso, si presume, alla donna, che, però, ferma al centro della carreggiata, viene centrata e trascinata da un’altra macchina e muore a causa delle gravissime lesioni riportate. Così l’automobilista colpevole dell’investimento della donna si ritrova sotto processo per omicidio colposo. Ricostruito l’incidente, i giudici di merito ritengono evidente la responsabilità dell’automobilista , che non ha prestato adeguata attenzione alla presenza della donna – evidente anche grazie all’utilizzo di un ombrello – né ha tenuto una condotta di guida prudente, soprattutto tenendo conto della scarsa visibilità – visto l’orario 18.45 –, della pioggia e del manto stradale bagnato. Per il legale dell’automobilista, però, la lettura data all’episodio non è corretta, soprattutto tenendo presente che la velocità della vettura guidata dal suo cliente era di 36 chilometri orari, nettamente inferiore al limite indicata su quella strada, cioè 50 chilometri orari. Per i Giudici della Cassazione, invece, è corretta la linea seguita sia in Tribunale che in appello in sostanza, è evidente la condotta imprudente e negligente del conducente , idonea a cagionare la morte del pedone – che si trovava davanti a lui e che aveva già impegnato l’attraversamento della strada –, non avendo egli proceduto con un’andatura adeguata alle condizioni della strada ed a quelle atmosferiche, trovandosi a percorrere un tratto di strada in centro abitato, in prossimità di un attraversamento pedonale, in presenza di un asfalto reso viscido dalla pioggia e con scarsissima visibilità, stante l’ora 18.45 . Irrilevante , invece, secondo i magistrati il fatto che la velocità fosse nei limiti dei 50 chilometri orari , perché proprio le condizioni atmosferiche e della strada la rendevano comunque eccessiva e non prudenziale . E peraltro il pedone era visibile al momento dell’impatto perché la aveva l’ombrello aperto . E il richiamo difensivo alla presenza sulla strada di cassonetti che avrebbero limitato la visuale dell’automobilista si rivela un boomerang per i giudici, difatti, la limitata visuale avrebbe dovuto indurre il conducente a ridurre la velocità . E in questa ottica viene aggiunto che non può essere ignorata la regola prudenziale e cautelare fondamentale che deve presiedere al comportamento del conducente, sintetizzata nell’obbligo di attenzione che questi deve tenere al fine di avvistare il pedone sì da potere porre in essere efficacemente i necessari accorgimenti atti a prevenire il rischio di un investimento . Ciò si traduce in tre obblighi comportamentali quello di ispezionare la strada dove si procede o che si sta per impegnare quello di mantenere un costante controllo del veicolo in rapporto alle condizioni della strada e del traffico quello, infine, di prevedere tutte le situazioni che la comune esperienza comprende, in modo da non costituire intralcio o pericolo per gli altri utenti della strada, in particolare, per i pedoni .

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 6 febbraio – 12 maggio 2020, n. 14515 Presidente Di Salvo – Relatore Dawan Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza con cui il Tribunale di Roma ha ritenuto St. Ma. responsabile del reato di cui all'art. 589 cod. pen., in danno di Mi. Er. Roma, 19/03/2007 . 2. Il fatto, per come ricostruito nelle sentenze di merito il 19/03/2007, intorno alle 18.45, l'imputato, alla guida della propria autovettura Hyundai Atos, percorreva via omissis , con direzione via omissis . Giunto all'altezza del civico omissis di via omissis , in prossimità dell'incrocio con via omissis , investiva Mi. Er., che stava attraversando la strada da destra verso sinistra rispetto alla direzione di marcia tenuta dallo St Sulla base dei fotogrammi acquisiti e relativi ai danni riportati dalla carrozzeria della Hyundai, era possibile evincere come detta auto avesse colpito il pedone - che stava attraversando sulle strisce pedonali - con la parte frontale anteriore. La donna andava così ad impattare sul cofano dell'auto, sbatteva contro il parabrezza e cadeva a terra nel centro della carreggiata. Mentre lo St. accostava il proprio veicolo sulla destra, apprestandosi a scendere, sopraggiungeva, nel suo stesso senso di marcia, l'autovettura Toyota Avensis, condotta da Di Di. An. che, non accortosi della presenza della Mi., ne investiva il corpo steso a terra trascinandolo per alcuni metri. 3. Avverso la prefata sentenza ricorre il difensore dell'imputato, sollevando due motivi. Con entrambi, deduce contraddittorietà e/o illogicità della sentenza impugnata 1 per avere questa ritenuto fondata la ricostruzione del sinistro così come operata dal consulente del pubblico ministero, ancorché questa presentasse evidenti profili di inverosimiglianza, senza tenere conto delle opposte valutazioni tecniche fornite dal consulente della difesa, per il quale, in particolare, la velocità tenuta dalla St., al momento dell'incidente, era di 36/km/h. Di fronte alle difformi conclusioni delle anzidette consulenze, la Corte territoriale non ha proceduto alla richiesta rinnovazione istruttoria per l'espletamento di una perizia, senza neanche spiegarne le ragioni 2 per avere aderito alla ricostruzione del sinistro del consulente dell'accusa, nonostante vi fossero evidenti errori in ordine alle possibili cause della morte del pedone. Si evidenzia come il consulente del pubblico ministero abbia travisato le prove laddove ha ritenuto che il corpo della vittima fosse stato sbalzato a circa 20 metri di distanza a seguito dell'impatto con la Hyundai, anziché del successivo investimento ad opera della Toyota. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 2. Esso invoca, da parte di questa Corte, una diversa ricostruzione del fatto. Si tratta di rilievi che non possono essere sottoposti al vaglio del giudice di legittimità perché, pur presentandosi formalmente come denunce di legittimità, tendono ad ottenere un riesame dei fatti, al fine di una ricostruzione alternativa degli stessi rispetto a quella correttamente prescelta dal giudice di merito. I profili di valutazione della prova e di ricostruzione del fatto, invero, sono riservati alla cognizione del giudice di merito, le cui determinazioni, al riguardo, sono insindacabili in cassazione ove siano sorrette, come nel caso in disamina, da motivazione congrua, esauriente ed idonea a dar conto dell'iter logico-giuridico seguito dal giudicante e delle ragioni del decisum. In tema di sindacato del vizio di motivazione, infatti, il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all'affidabilità delle fonti di prova, bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni, a preferenza di altre [Sez. U., sent. n. 930 del 13/12/1995, dep. il 29/01/1996 , Clarke, Rv. 203430]. 3. Ciò premesso, quanto al primo motivo, la sentenza impugnata ha legittimamente fatto proprie le argomentazioni del Tribunale, il quale aveva ritenuto provata la responsabilità dell'imputato sulla base delle prove orali e documentali raccolte nel corso del dibattimento, consistite nell'esame dell'operante intervenuto nell'immediatezza e dei rispettivi consulenti tecnici, nonché nei rilievi fotoplanimetrici redatti dalla polizia stradale. Secondo il primo giudice, era stata la condotta imprudente e negligente del prevenuto a cagionare la morte del pedone - che si trovava davanti a lui e che aveva già impegnato l'attraversamento della strada - , non avendo egli proceduto con un'andatura adeguata alle condizioni della strada ed a quelle atmosferiche, trovandosi a percorrere un tratto di strada in centro abitato, in prossimità di un attraversamento pedonale, in presenza di un asfalto reso viscido dalla pioggia e con scarsissima visibilità, stante l'ora 18.45 . La Corte distrettuale afferma essere privo di rilievo il fatto che la velocità dell'imputato fosse nei limiti dei 50 km/h e/o di poco inferiore, perché proprio le condizioni appena ricordate la rendevano comunque eccessiva e non prudenziale. Inoltre, continua la sentenza di appello, il pedone era visibile al momento dell'impatto perché la signora Mi. aveva l'ombrello aperto. Diversamente da quanto assume il ricorrente, la Corte del merito ha preso in considerazione anche la ricostruzione del sinistro effettuata dal consulente della difesa, il quale, dopo aver evidenziato la presenza di cassonetti che limitavano la visuale dello St., ha sostenuto che il prevenuto nulla avrebbe potuto fare per evitare l'investimento. Sul punto, la sentenza impugnata correttamente osserva che la limitata visuale avrebbe, semmai, dovuto indurre l'imputato a ridurre la velocità e che, comunque, la ricostruzione operata dal predetto consulente non è fondata atteso che essa appare in contrasto con lo stato dei luoghi e dei mezzi rinvenuti e descritti nei termini di cui sopra ed in particolare con i danni riportati dalla vettura condotta dallo St. . Peraltro, a suffragare la ricostruzione operata dai giudici di merito vi sono anche, sostiene l'impugnata sentenza, le risultanze dell'esame autoptico che concludevano per lesioni topograficamente e quali-quantitativamente compatibili con un investimento di pedone , secondo le modalità sopra descritte. Giova ricordare che, oltre a quelle generiche di prudenza, cautela ed attenzione, le norme che presiedono al comportamento del conducente del veicolo sono principalmente rinvenibili nell'art. 140 cod. strada, che pone, quale principio generale informatore della circolazione, l'obbligo di comportarsi in modo da non costituire pericolo o intralcio per la circolazione ed in modo che sia in ogni caso salvaguardata la sicurezza stradale, e negli articoli seguenti, laddove si sviluppano, puntualizzano e circoscrivono le specifiche regole di condotte. Tra queste ultime, di rilievo, con riguardo al comportamento da tenere nei confronti dei pedoni, sono quelle stabilite, dettagliatamente, nell'art. 191 cod. strada, che trovano il loro corrispondente nel precedente art. 190, il quale, a sua volta, stabilisce le regole comportamentali cautelari e prudenziali che deve rispettare il pedone. In questa prospettiva, è evidente la regola prudenziale e cautelare fondamentale che deve presiedere al comportamento del conducente, sintetizzata nell' obbligo di attenzione che questi deve tenere al fine di avvistare il pedone si da potere porre in essere efficacemente i necessari accorgimenti atti a prevenire il rischio di un investimento. Il dovere di attenzione del conducente, teso all'avvistamento del pedone, trova il suo parametro di riferimento oltre che nelle regole di comune e generale prudenza nel richiamato principio generale di cautela che informa la circolazione stradale e si sostanzia, essenzialmente, in tre obblighi comportamentali quello di ispezionare la strada dove si procede o che si sta per impegnare quello di mantenere un costante controllo del veicolo in rapporto alle condizioni della strada e del traffico quello, infine, di prevedere tutte le situazioni che la comune esperienza comprende, in modo da non costituire intralcio o pericolo per gli altri utenti della strada, in particolare, per i pedoni Sez. 4, n. 40908 del 13/10/2005, Tavoliere, Rv. 232422 . Si tratta di obblighi comportamentali posti a carico del conducente anche per la prevenzione di eventuali comportamenti irregolari dello stesso pedone, vuoi genericamente imprudenti tipico il caso del pedone che si attarda nell'attraversamento, quando il semaforo, divenuto verde, ormai consente la marcia degli automobilisti , vuoi in violazione degli obblighi comportamentali specifici, dettati dall'art. 190 cod. strada. Il conducente, infatti, ha, tra gli altri, anche l'obbligo di prevedere le eventuali imprudenze o trasgressioni degli altri utenti della strada e prepararsi a superarle senza danno altrui [Sez. 4, n. 1207 del 30/11/1992 dep. 05/02/1993 , Cat Berrò, Rv. 193014]. 3.1. Deve essere parimenti disattesa la doglianza relativa alla mancata motivazione del diniego della invocata rinnovazione istruttoria. Occorre ricordare che, nel giudizio di appello, la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale di cui all'art. 603, comma 1, cod. proc. pen., è subordinata alla verifica dell'incompletezza dell'indagine dibattimentale e alla conseguente constatazione del giudice di non poter decidere allo stato degli atti senza rinnovazione istruttoria. Tale accertamento è rimesso alla valutazione del giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità se correttamente motivata [Sez. 6, n. 48093 del 10/10/2018, G., Rv. 274230 Sez. 4, n. 4981 del 05/12/2003 dep. 06/02/2004 , P.G. in proc. Ligresti ed altri, Rv. 229666]. Ciò detto, si rileva che, sul punto, la sentenza impugnata, per le ragioni testé illustrate, è giunta ad una valutazione di completezza dell'istruttoria svolta e, pertanto, di assoluta superfluità della richiesta rinnovazione istruttoria volta ad un esame incrociato dei rispettivi consulenti di parte o all'espletamento di una nuova perizia. 4. Il secondo motivo deve ritenersi assorbito. 5. La sentenza della Corte di appello di Roma ha, dunque, preso in esame tutte le deduzioni difensive ed è pervenuta alle proprie conclusioni attraverso un itinerario logico-giuridico in alcun modo censurabile, sotto il profilo della razionalità, e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in questa sede. 6. In conclusione, il ricorso, per le ragioni più sopra esposte, deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma che si ritiene congruo quantificare in Euro duemila in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende. Si dà atto che il presente provvedimento è sottoscritto dal solo presidente del collegio per impedimento dell'estensore, ai sensi dell'art. 1, comma 1, lett. a , del d.p.c.m. 8 marzo 2020.