Tanto pre-sofferto (cautelare) per nulla?

Le contestazioni penali a catena” ex art. 297 c.p.p. non consentono l’elusione dei termini massimi custodiali ex 303 c.p.p. va tuttavia computato l’intero pre-sofferto cautelare o solo quello relativo alle fasi omogenee? Tocca alle Sezioni Unite.

Così la Cassazione, sez. prima, con l’ordinanza n. 14396/20, depositata l’11 maggio. Gli effetti delle contestazioni penali a catena sui termini cautelari. Come noto, in presenza di contestazioni penali a catena ex art. 297, comma 3, c.p.p. opera l’istituto della retrodatazione delle misure cautelari personali – fino al tempo di esecuzione o di notifica della prima ordinanza – al fine di evitare il superamento dei limiti massimi fissati ex art. 303 c.p.p., ad esempio, per la custodia cautelare in assenza di retrodatazione opererebbe il cumulo materiale dei periodi custodiali afferenti a ciascun reato . L’istituto mira a disinnescare la prassi di alcune Procure di chiedere in tempi distinti l’emissione di più ordinanze in relazione allo stesso fatto o a più fatti connessi ai sensi del terzo comma cit. I requisiti della retrodatazione. Chiara la ragione garantista dell’istituto – contrarre quanto più la compromissione delle libertà personali ex art. 13 della Costituzione – ed altrettanto inequivoci, almeno per la giurisprudenza prevalente, i requisiti tecnici accedenti all’applicazione dell’istituto occorre si tratti del medesimo fatto, seppur diversamente circostanziato o qualificato, ovvero la connessione ex art. 12, lett. b e c, c.p.p. – di concorso, di continuazione e di tipo teleologico - fra fatti diversi ed, inoltre, la desumibilità dagli atti dei fatti di cui alle nuove contestazioni già prima del rinvio a giudizio per il primo fatto contestato. Verificati quei requisiti, i termini decorrono dal giorno in cui è stata eseguita la prima ordinanza e sono commisurati alla contestazione più grave. Pochi dubbi sulla nozione di desumibilità dagli atti” della nuova contestazione. La desunzione costituisce l’argine ad un uso disinvolto della concatenazione fra contestazioni da parte delle Procure che potrebbero avere l’interesse di dilungare oltre termini l’applicazione delle misure al sottoposto riesumando fatti di cui avrebbero già potuto avere conoscenza . Non va confusa con la mera conoscenza o conoscibilità dei fatti, quei dati indiziari – già idonei a consentire la richiesta di emissione di una misura cautelare – erano già noti ab initio – al tempo dell’emissione della prima ordinanza -. Il dubbio sta nell’individuare i termini esatti della retrodatazione , l’avanzamento di fase esclude il pre-sofferto dal computo dei termini massimi? Ed ecco il dubbio mosso alle Sezioni Unite. La prima soluzione andrebbero computati nel calcolo solo i periodi custodiali sofferti per le fasi omogenee del diverso procedimento - quelle indicate dalle lettere a , b , b-bis , c dell’art. 303 c.p.p. - escludendo gli eventuali precedenti c.d. pre-sofferto che risulterebbero indifferenti alla retrodatazione si tratta ovviamente della soluzione peggiorativa per il sottoposto. La seconda soluzione – attenta a non vanificare gli scopi garantistici dell’istituto e quindi più favorevole per il sottoposto – attrae nel calcolo qualunque c.d. pre-sofferto compreso quello relativo a fasi non omogenee . D’altronde, suggeriscono i giudici, l’art. 297 c.p.p. mira a concentrare i percorsi custodiali relativi a diverse contestazioni penali di cui sono già noti ab initio i fatti e la cui frammentazione nel tempo per responsabilità delle Procure non può gravare a carico del sottoposto superando i termini custodiali massimi ex art. 303 c.p.p

Corte di Cassazione, sez. I Penale, ordinanza 3 marzo – 11 maggio 2020, n. 14396 Presidente Siani – Relatore Casa Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza resa in data 7.10.2019, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli rigettava l'istanza avanzata nell'interesse di M.V., volta ad ottenere la declaratoria d'inefficacia della misura cautelare della custodia in carcere disposta dallo stesso G.I.P. in data 8.07.2019 nell'ambito del procedimento per il reato di tentato omicidio commesso in danno di B.G. ed il connesso reato in materia di armi, non ravvisando nel caso di specie i presupposti di cui all'art. 297 c.p.p., comma 3, con riferimento ad altra ordinanza cautelare emessa, in precedenza, nell'ambito di diverso procedimento nel quale venivano contestati all'indagato il reato di partecipazione ad associazione di stampo camorristico ed estorsione. Osservava, al riguardo, il Giudice adito che tra i reati contesati nei due procedimenti non era possibile ravvisare un rapporto di connessione qualificata, non essendo ipotizzabile e, comunque non essendovi prova, che al momento della sua adesione al sodalizio camorrista, in cui dal OMISSIS aveva rivestito un ruolo apicale, il M. si fosse già rappresentato e avesse programmato l'azione di fuoco nei confronti del B., avvenuta nel OMISSIS in un momento di fibrillazione del clan. Mancava la connessione anche ai sensi dell'art. 12 c.p.p., lett. c , non ravvisandosi una strumentalità tra la commissione del reato di tentato omicidio e l'integrazione del reato associativo. Si rientrava, perciò, nell'ipotesi di più ordinanze emesse in diversi procedimenti per reati non legati da connessione qualificata, per i quali la retrodatazione operava in presenza del duplice presupposto che i fatti di cui alla seconda ordinanza fossero desumibili dagli atti al momento dell'emissione della prima ordinanza e che la separazione dei procedimenti potesse ritenersi una scelta discrezionale del P.M. Quest'ultimo presupposto, ad avviso del G.I.P., era senz'altro carente, considerato che non era emerso alcun intento del P.M. di separare i due procedimenti, avendo avuto il procedimento per tentato omicidio una sua autonoma ragion d'essere e suoi tempi distinti dovuti alla necessità di acquisire i riscontri alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, riscontri che erano stati raccolti e compendiati nelle informative n. 3272/2018 del 4.06.2018 e n. 7538/2018 del 5.12.2018. 2. Pronunciandosi sull'appello proposto ex art. 310 c.p.p. dall'interessato avverso la suddetta ordinanza, il Tribunale del riesame di Napoli confermava il provvedimento reiettivo impugnato, condividendo in toto la motivazione addotta dal G.I.P. Ribadiva il Collegio partenopeo che nel caso in esame non vi era prova che, al momento dell'adesione del M. al sodalizio camorristico, nel OMISSIS , fosse stato programmato, anche solo nelle sue linee essenziali, l'omicidio del B., destinatario di un agguato perpetrato nel OMISSIS e deliberato dai vertici del clan solo poco prima. Dunque, nessuna connessione qualificata tra i reati era dato ravvisare. D'altro canto, anche a voler ritenere che sufficienti elementi di riscontro alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia sul punto fossero già desumibili dalla prima informativa di Polizia giudiziaria del 4.06.2018, sarebbe mancato l'ulteriore presupposto della separazione dei procedimenti come frutto di una scelta discrezionale del P.M., atteso che la trattazione disgiunta delle vicende delittuose trovava ragione nel fatto che per il tentato omicidio si era proceduto sin dall'inizio separatamente a carico di ignoti e che le indagini nel primo procedimento si erano concluse prima di quelle svolte nel procedimento successivo. In ogni caso, l'appello avrebbe dovuto essere rigettato poichè il Tribunale non era stato messo in grado di conoscere - non avendo la difesa esposto argomentazioni al riguardo, nè allegato elementi a sostegno - quanto fosse durata, nel primo procedimento, la permanenza in stato custodiale dell'indagato nella fase delle indagini preliminari. Trattavasi di un dato rilevante, alla stregua dell'orientamento prevalente di legittimità, secondo cui la retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, ai sensi dell'art. 297 c.p.p., comma 3, avrebbe imposto - per il computo dei termini di fase e la conseguente valutazione circa l'avvenuto decorso del termine stesso, già al momento della seconda ordinanza - di frazionare la globale durata della custodia cautelare, imputando solo i periodi relativi a fasi omogenee cita Sez. 6, n. 50761 del 12/11/2014, Nespolino, Rv. 261700 . Nel caso in esame, considerato che la prima ordinanza risultava essere stata eseguita il 1 ottobre 2018 e che il decreto che disponeva il giudizio immediato era datato 12.12.2018 rilevato che il provvedimento coercitivo emesso nel secondo procedimento risultava eseguito in data 22.07.2019 e che il decreto che disponeva il giudizio immediato era stato emesso il 15.10.2019, anche sommando i due periodi era chiaro che il termine di un anno previsto dall'art. 303 c.p.p., comma 2, n. 3 , non risultava scaduto, per cui, per tale assorbente motivo, l'appello avrebbe dovuto essere comunque rigettato. 3. Ha proposto ricorso per cassazione l'interessato, per il tramite del difensore, denunciando, dopo un'articolata premessa in fatto ricognitiva delle scansioni procedurali susseguitesi, erronea applicazione delle norme processuali penali e vizio di motivazione in relazione al combinato disposto degli artt. 297 e 303 c.p.p I Giudici del riesame, dopo aver fatto proprie le considerazioni del G.I.P. sulla inesistenza, fra i fatti oggetto delle due ordinanze, di connessione qualificata, avevano omesso ogni valutazione sulla possibilità che l'intero materiale indiziario fosse nella disponibilità della Pubblica accusa già quando si chiese nei confronti del M. l'emissione della prima ordinanza cautelare. Quanto al primo tema, il Tribunale partenopeo non aveva dato risposta adeguata al rilievo difensivo per il quale all'indagato, secondo il tenore del capo d'imputazione sul reato associativo, era stato attribuito anche lo specifico compito di attuare tutte le repressioni possibili nei confronti delle fazioni nemiche per il controllo egemonico del territorio, escludendo la connessione qualificata con motivazione apparente. Quanto al secondo argomento, il Tribunale, nel negare la desumibilità dagli atti posti a fondamento della prima ordinanza degli elementi sui quali si era basata l'ordinanza successiva, aveva dapprima puntualizzato che il materiale d'indagine all'epoca del primo provvedimento era incompleto per le omissioni apposte ai verbali delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia R.S., E.P. junior e V.A. e per le necessarie indagini da svolgersi da parte della Polizia giudiziaria competente al riguardo. In seguito, il Tribunale aveva respinto le tesi difensive perchè la scelta di emettere due ordinanze non era dovuta al libero arbitrio del P.M., quanto al fatto che per il delitto di tentato omicidio si era proceduto sin dall'inizio separatamente in un fascicolo a carico di ignoti e che le indagini del primo procedimento non si erano ancora concluse prima di quelle svolte nel presente . Al di là della scarsa intelligibilità della motivazione, doveva osservarsi, in ossequio ai principi affermati in materia dalla Suprema Corte, che proprio l'apposizione degli OMISSIS ad una parte degli atti dichiarativi denotava in modo chiaro che il P.M. aveva avuto a disposizione contenuti informativi completi, che avrebbe potuto valutare appieno al fine di avanzare la richiesta cautelare, attività non compiuta a causa delle sue legittime scelte, ma la cui discrezionale omissione, al verosimile scopo di tutelare la segretezza delle indagini, non poteva ricadere a sfavore dell'indagato, interessato a reclamare la predecorrenza dei termini di custodia cautelare ai sensi dell'art. 297 c.p.p., comma 3. Quanto alla originaria iscrizione in un autonomo fascicolo della notizia di reato per il delitto di tentato omicidio, non avevano pregio le asserzioni del Tribunale, stante il fatto che tali iscrizioni avvengono sempre per mano dell'inquirente e che questi avrebbe certamente potuto riunire le due procedure. Infine, destituita di fondamento era l'affermazione del Tribunale secondo cui l'appello della difesa doveva essere respinto perchè i Giudici non avrebbero potuto apprendere quanto fosse durata, nella fase delle indagini del primo procedimento, la permanenza in stato custodiale dell'indagato, posto che solo tale porzione temporale, per il noto principio della frazionabilità, poteva computarsi in relazione all'omologo periodo del secondo procedimento. Sul punto, la difesa del M. riteneva di aderire al diverso e più recente orientamento giurisprudenziale secondo il quale, in ipotesi di pluralità di ordinanze applicative di misure cautelari per fatti connessi, la retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare ex art. 297 c.p.p., comma 3, non doveva essere effettuata frazionando la durata globale della custodia e imputandovi solo i periodi relativi a fasi omogenee in tal senso si cita Sez. 6, n. 3058 del 28/12/2016, dep. 2017, Golia, Rv. 269285 . In caso tale orientamento non venisse condiviso dal Collegio adito, la difesa del ricorrente chiedeva rimettersi la questione alle Sezioni Unite. Considerato in diritto 1. Il ricorso va rimesso alle Sezioni Unite. 2. Occorre premettere, sul tema centrale della retrodatazione in presenza di contestazioni a catena, dedotto dal ricorrente, che, quanto alla ratio dell'istituto, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 204 del 2012, ha, ancora da ultimo al fine di puntualizzare la differenza fra gli istituti della retrodatazione, in presenza di contestazioni a catena, ex art. 297 c.p.p., e della sospensione della custodia cautelare, ex art. 304 c.p.p. , chiarito che esso tende ad evitare che, rispetto a una custodia cautelare in corso, intervenga un nuovo titolo che, senza adeguata giustificazione, determini di fatto uno spostamento in avanti del termine iniziale della misura . . L'introduzione di parametri certi e predeterminati nella disciplina delle contestazioni a catena risponde all'esigenza di configurare limiti obiettivi e ineludibili alla durata dei provvedimenti che incidono sulla libertà personale sentenza n. 89 del 1996 , in assenza dei quali si potrebbe espandere la restrizione complessiva della libertà personale dell'imputato, tramite il cumulo materiale - totale o parziale - dei periodi custodiali afferenti a ciascun reato sentenza n. 233 del 2011 . La disciplina delle contestazioni a catena , dunque, si caratterizza per una rigidità indispensabile a scongiurare il rischio di un'espansione, potenzialmente indefinita, della restrizione complessiva della libertà personale, ed è in nome di questa rigidità che la disciplina delle contestazioni a catena non tollera alcuna imponderabile valutazione soggettiva degli organi titolari del potere cautelare . 2.1. La Corte di cassazione nella decisione di Sez. U, n. 45246 del 19/07/2012, P.M. in proc. Polcino, Rv. 253549 ha ribadito che i principi applicativi della norma di cui all'art. 297 c.p.p., comma 3, sono stati definiti dagli interventi della Corte costituzionale sentenze n. 408 del 2005 e n. 233 del 2011 e della stessa Corte di legittimità Sez. U, n. 21957 del 22/3/2005, Rahulia Sez. U, n. 14535 del 19/12/2006, dep. 2007, Librato, Rv. 235909-10-11 e possono così sintetizzarsi a nel caso di emissione nello stesso procedimento di più ordinanze che dispongono nei confronti di un imputato una misura custodiale per lo stesso fatto, diversamente circostanziato o qualificato, o per fatti diversi, legati da concorso formale, da continuazione o da connessione teleologica, commessi anteriormente all'emissione della prima ordinanza, la retrodatazione della decorrenza dei termini delle misure disposte con le ordinanze successive opera automaticamente, ovvero senza dipendere dalla possibilità di desumere dagli atti, al momento dell'emissione della prima ordinanza, l'esistenza degli elementi idonei a giustificare le successive misure art. 297 c.p.p., comma 3, prima parte b nel caso in cui le ordinanze cautelari adottate nello stesso procedimento riguardino invece fatti diversi tra i quali non sussiste la connessione qualificata prevista dall'art. 297 c.p.p., comma 3 la retrodatazione opera solo se al momento dell'emissione della prima erano desumibili dagli atti elementi idonei a giustificare le misure applicate con le ordinanze successive c il presupposto dell'anteriorità dei fatti oggetto della seconda ordinanza coercitiva, rispetto all'emissione della prima, non ricorre allorchè il provvedimento successivo riguardi un reato di associazione nella specie di tipo mafioso e la condotta di partecipazione alla stessa si sia protratta dopo l'emissione della prima ordinanza d quando nei confronti di un imputato sono emesse in procedimenti diversi più ordinanze custodiali per fatti diversi in relazione ai quali esiste una connessione qualificata, la retrodatazione prevista dall'art. 297 c.p.p., comma 3, opera per i fatti desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio nel procedimento in cui è stata emessa la prima ordinanza e nel caso in cui le ordinanze cautelari adottate in procedimenti diversi riguardino invece fatti tra i quali non sussiste la suddetta connessione e gli elementi giustificativi della seconda erano già desumibili dagli atti al momento della emissione della prima, i termini della seconda ordinanza decorrono dal giorno in cui è stata eseguita o notificata la prima solo se i due procedimenti sono in corso davanti alla stessa autorità giudiziaria e la loro separazione può essere frutto di una scelta del pubblico ministero f la disciplina stabilita dall'art. 297 c.p.p., comma 3, per la decorrenza dei termini di durata della custodia cautelare, si applica anche nell'ipotesi in cui, per i fatti contestati con la prima ordinanza, l'imputato sia stato condannato con sentenza passata in giudicato anteriormente all'adozione della seconda misura Corte Cost., sent. n. 233 del 2011 . 2.2. Con riguardo, in particolare, al concetto di desumibilità dagli atti , presupposto che legittima il ricorso all'istituto della retrodatazione, la giurisprudenza ha chiarito che esso non va confuso con la mera conoscenza o conoscibilità di determinati fatti Sez. 2, n. 4669 del 2/12/2005, dep. 2006, Virga, Rv. 232991 Sez. 6, n. 12676 del 20/12/2006, dep. 2007, Barresi, Rv. 236829 Sez. 4, n. 44316 del 3/07/2007, Dalipay, Rv. 238348 Sez. 4, n. 2649 del 25/11/2008, dep. 2009, Endrizzi, Rv. 242498 fra le successive v. Sez. 6, n. 54452 del 06/11/2018, Tedde, Rv. 274752 Sez. 3, n. 48034 del 25/10/2019, Di Biase, Rv. 277351 02 . Se la ratio dell'istituto consiste nell'evitare un prolungamento artificioso dei termini di custodia cautelare, è evidente che la retrodatazione può teoricamente ipotizzarsi, e l'istituto concretamente operare in funzione di garanzia, solo se il secondo provvedimento custodiale già poteva concretamente essere adottato al momento dell'emissione della prima ordinanza e ciò può affermarsi soltanto nei casi in cui già vi era un quadro indiziario di tale gravità e completezza, conoscibile dall'autorità giudiziaria procedente e apprezzabile in tutta la sua valenza probatoria, da integrare tutti i presupposti legittimanti l'adozione della misura. Interpretazione, quest'ultima, peraltro avallata dalla Corte costituzionale che, nel dichiarare l'illegittimità costituzionale dell'art. 297 c.p.p., comma 3, nella parte in cui non si applica anche a fatti diversi non connessi, quando risulti che gli elementi per emettere la nuova ordinanza erano già desumibili dagli atti al momento della emissione della precedente ordinanza , ha affermato che la durata della custodia cautelare deve dipendere da un fatto obiettivo rispettoso, dunque, del canone dell'uguaglianza e della ragionevolezza quale quello dell'acquisizione di elementi idonei e sufficienti per adottare i diversi provvedimenti cautelari sent. n. 408 del 2005 richiamata da Sez. U, n. 45246 del 2012, cit. . 2.3. Va aggiunto che tutti i suddetti presupposti di applicazione della retrodatazione ex art. 297 c.p.p., comma 3, costituiscono una quaestio facti la cui soluzione è rimessa, di volta in volta, all'apprezzamento del giudice di merito Sez. 5, n. 44606 del 18/10/2005, Traina, Rv. 232797 Sez. 6, n. 12676 del 20/12/2006, dep. 2007, Barresi, Rv. 236829 Sez. 4, n. 9990 del 18/01/2010, Napolitano, Rv. 246798 cfr. altresì Sez. 1, n. 42442 del 26/09/2013, Gatto, Rv. 257379 , e in quanto tale richiede l'esame e la valutazione degli atti ed una ricostruzione dei fatti, mentre il giudice di legittimità deve solo verificare che il convincimento espresso in sede di merito sia correttamente e logicamente motivato. 3. Ciò posto, deve rilevarsi che la fattispecie esaminata dai Giudici del riesame ha avuto ad oggetto due ordinanze emesse in procedimenti diversi a carico di M.V., seppur pendenti dinanzi alla stessa Autorità Giudiziaria di Napoli il primo, per i reati di cui agli artt. 416-bis c.p. partecipazione al clan camorrista M. a far data dal OMISSIS e art. 629 c.p. condotta consumata nel OMISSIS , con ordinanza cautelare eseguita in data 1.10.2018 il secondo, per i reati di tentato omicidio e porto abusivo di armi, aggravati dalla L. n. 203 del 1991, art. 7 ora art. 416-bis.1 c.p. , commessi il OMISSIS , con provvedimento cautelare emesso in data 8.07.2019, eseguito il 22 successivo. In ipotesi del genere, si è detto, la retrodatazione opera a condizione che i fatti oggetto della seconda ordinanza fossero desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio intervenuto per i fatti contestati con la prima ordinanza, purchè si tratti di fatti legati da connessione qualificata connessione ai sensi dell'art. 12, comma 1, lett. b e c , limitatamente ai casi di reati commessi per eseguire gli altri, c.p.p. . Quando, invece, si tratti di fatti oggetto di procedimenti diversi non legati da connessione qualificata, la retrodatazione opera se sussistono contemporaneamente queste due condizioni a i fatti oggetto della seconda ordinanza erano desumibili dagli atti prima dell'adozione della prima ordinanza b la separazione dei procedimenti è il frutto di una scelta del P.M. 4. Il Tribunale distrettuale ha escluso, nel caso di specie, i presupposti della retrodatazione ex art. 297 c.p.p., comma 3, non ravvisando nè la connessione qualificata - in termini di reato continuato - tra fatti diversi oggetto delle due ordinanze cautelari emesse in procedimenti diversi, nè la desumibilità dagli atti degli elementi giustificativi della seconda al momento della emissione della prima, e negando, infine, che la separazione dei procedimenti potesse essere frutto di una scelta del pubblico ministero. Tuttavia, mentre, con riferimento al primo dei presupposti indicati, la motivazione del Collegio partenopeo può giudicarsi adeguata, non altrettanto è a dirsi per gli altri due il che determina, per quanto si dirà, la rilevanza della questione di diritto, posta dal ricorrente, la cui soluzione va demandata al vaglio delle Sezioni Unite. 4.1. Va rammentato che, in tema di misure cautelari, la continuazione tra reato associativo mafioso e reati-fine, aggravati dalla finalità mafiosa, rilevante, ai sensi dell'art. 297 c.p.p., ai fini della retrodatazione del dies a quo della custodia cautelare, si configura solo quando i reati fine sono stati già programmati, quanto meno nelle loro linee essenziali, sin dal momento della costituzione del sodalizio criminoso tra le più recenti, Sez. 5, n. 49224 del 6/06/2017, Anastasio, Rv. 271477 . Di tale principio i Giudici territoriali hanno fatto corretta applicazione nell'escludere la sussistenza del vincolo della continuazione tra i fatti oggetto dei due procedimenti, evidenziando che l'adesione del M. all'associazione è stata contestata a partire dal OMISSIS e che il tentato omicidio di B.G. ed il connesso reato in materia di armi furono commessi nel OMISSIS , peraltro in un momento di particolare fibrillazione del clan camorrista, e, dunque, occasionati da una situazione contingente e improvvisa da qui la logica conclusione che nel momento genetico del vincolo associativo l'adesione all'associazione e l'omicidio non potessero essere stati oggetto di unitaria programmazione, della quale mancava, effettivamente, la prova. Generiche e meramente assertive, sul punto, si appalesano le censure mosse in ricorso, destinate, perciò, ad essere valutate come inammissibili. 4.2. Il provvedimento impugnato non giustifica in modo altrettanto adeguato la ritenuta insussistenza degli altri due presupposti della invocata retrodatazione, fra l'altro strettamente connessi sul piano logico. Il Tribunale del riesame non ha dato una convincente risposta alla censura difensiva, che ha evidenziato come in relazione sia al reato associativo, contestato, con l'accessorio episodio estorsivo, nel primo procedimento, sia al tentato omicidio e al porto abusivo di armi, contestati nel secondo procedimento, le uniche fonti di prova indiziaria emergessero dalle propalazioni offerte dai collaboranti R.S., E.P. e V.A. nel corso degli interrogatori dai medesimi resi - come riconosciuto dallo stesso Tribunale antecedentemente alla emissione della prima ordinanza cautelare nei confronti del M Con riguardo alle informative di P.G. n. 3272/18 del 4.06.2018 e n. 7538/18 del 5.12.2018 nelle quali, a detta del G.I.P., sarebbero state compendiati i riscontri del narrato dei collaboranti, la difesa aveva obiettato, quanto alla prima, che essa era addirittura antecedente alla richiesta di emissione della prima misura cautelare avanzata dal P.M. 16.09.2018 , e, quanto alla seconda, che essa riassumeva attività d'indagine volta ad acquisire elementi di riscontro delle dichiarazioni del solo collaboratore E.P., costituiti esclusivamente dall'accertamento di una circostanza il luogo di residenza del M. indicato dal propalante, ossia via OMISSIS della quale, tuttavia, l'organo dell'accusa era già a conoscenza dalla data di esecuzione della prima ordinanza cautelare 1.10.2018 , notificata proprio all'interno della indicata abitazione. Rispetto a tali pertinenti obiezioni, non può reputarsi sufficiente, sul piano logico, la risposta fornita dal Collegio de libertate a pag. 6 del provvedimento, laddove si limita a giudicare inefficace l'argomento difensivo relativo al riscontro acquisito in sede di esecuzione della prima ordinanza, e perciò successivamente alla sua emissione . Tale laconica valutazione non spiega, infatti a il carattere decisivo, nel contesto indiziario complessivo costituito dalle dichiarazioni di ben tre collaboratori di giustizia, pacificamente assunte in data antecedente alla emissione della prima ordinanza cautelare, rivestito dall'acquisizione di un solo elemento circostanziale di riscontro delle dichiarazioni di un solo collaborante E. b la necessità di tale elemento di riscontro alla luce di una giurisprudenza di legittimità che ha da tempo affermato la valenza di riscontro reciproco di plurime dichiarazioni, eventualmente anche de relato , rese da collaboratori di giustizia chiamanti in correità o in reità Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, Aquilina e altri, Rv. 255143 v. anche Sez. 1, n. 7643 del 28/11/2014, dep. 2015, Villacaro e altro, Rv. 262309 Sez. 1, n. 41238 del 26/06/2019, Vaccaro, Rv. 277134 . Dopo tale insoddisfacente affermazione, l'organo del riesame indebolisce vieppiù la motivazione sul punto, inserendovi un elemento di perplessità e contraddizione, introdotto dall'uso della locuzione concessiva anche a voler prescindere da ciò , osservando che quand'anche si volesse ritenere la desumibilità dalla prima informativa di Polizia giudiziaria degli elementi di riscontro alle dichiarazioni del collaboratore sul punto, mancherebbe l'ulteriore presupposto rappresentato dalla circostanza che la separazione dei due procedimenti possa essere il frutto di una scelta del Pubblico ministero, considerato che la trattazione disgiunta trovava ragione nel fatto che per il reato di tentato omicidio si era proceduto sin dall'inizio separatamente in un fascicolo originariamente iscritto a carico di ignoti e che le indagini nel primo procedimento si erano concluse prima di quelle svolte nel presente . Il ragionamento esposto appare fallace, perchè, se si ammette la sussistenza del requisito della desumibilità dagli atti, al momento della emissione della prima ordinanza, degli elementi indiziari posti a fondamento della seconda, non si può affermare, se non con una sorta di petizione di principio, che la separazione dei procedimenti non è stata frutto di una scelta del P.M., valorizzando dati formali, quali le modalità d'iscrizione della notizia di reato che, appunto, rimandano a una precisa iniziativa del titolare dell'accusa. A questo punto, il Tribunale conclude affermando che, in ogni caso quindi, anche a voler prescindere dalla sussistenza degli ultimi due presupposti di cui si è parlato , la questione va risolta applicando il principio della cd. frazionabilità , enunciato da Sez. 6, n. 50761 del 12/11/2014, Nespolino, cit., in forza del quale la retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, ai sensi dell'art. 297 c.p.p., comma 3, impone - per il computo dei termini di fase e la conseguente valutazione circa l'avvenuto decorso del termine stesso, già al momento dell'emissione della seconda ordinanza - di frazionare la globale durata della custodia cautelare, imputando solo i periodi relativi a fasi omogenee . In applicazione di tale principio, considerato che la prima ordinanza venne eseguita in data 1.10.2018 e che il decreto che dispone il giudizio immediato venne emesso il 12.12.2018 che la seconda ordinanza venne eseguita il 22.07.2019 e che il giudizio immediato venne disposto il 15.10.2019, osservano i Giudici dell'incidente cautelare che, anche sommando i due periodi è chiaro che il termine di un anno previsto dall'art. 303 c.p.p., comma 2, n. 3 , non risulta scaduto, per cui, per tale assorbente motivo, l'appello dovrebbe essere, in ogni caso, rigettato . Proprio per il tenore dell'ultimo, ma assorbente, passaggio argomentativo del Tribunale di Napoli, deve reputarsi rilevante la questione di diritto evocata in ricorso, atteso che il ricorrente ha chiesto applicarsi, per la soluzione del caso di specie, l'opposto principio affermato, più di recente, da Sez. 6, n. 3058 del 28/12/2016, dep. 2017, Golia, Rv. 269285, secondo il quale, in ipotesi di pluralità di ordinanze applicative di misure cautelari per fatti connessi, la retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, di cui all'art. 297 c.p.p., comma 3, non deve essere effettuata frazionando la globale durata della custodia cautelare ed imputandovi solo i periodi relativi a fasi omogenee. 5. Ritiene il collegio che, in ordine alla soluzione della questione di diritto evocata in ricorso, sussista contrasto nella giurisprudenza di questa Corte. 5.1. La pronuncia posta a base dell'ordinanza in esame Sez. 6, n. 50761 del 12/11/2014, Nespolino, cit. nella specie, in cui la seconda ordinanza era stata emessa nel corso delle indagini preliminari, la Corte ritenne corretta la decisione impugnata che, al fine di stabilire se fosse decorso il termine di durata previsto per detta fase, aveva computato del periodo complessivo di durata della custodia cautelare sofferta solo le frazioni di tempo relative, nei due procedimenti, alle indagini preliminari aderisce all'indirizzo ermeneutico, secondo il quale, in ipotesi di pluralità di ordinanze applicative di misure cautelari per fatti connessi, la retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, ai sensi dell'art. 297 c.p.p., comma 3, impone, ai fini del calcolo dei termini di fase, di frazionare la globale durata della custodia cautelare, imputandovi solo i periodi relativi a fasi omogenee in tal senso, anche Sez. 6, n. 15736 del 6/2/2013, Guacho Carpio, Rv. 257204 Sez. F, n. 47581 del 21/8/2014, Di Lauro, Rv. 261262 in quest'ultima vicenda, in particolare, la Corte ritenne che, al fine di verificare l'eventuale decorso del termine di durata previsto per la fase delle indagini preliminari, il periodo di custodia cautelare sofferto in altro procedimento dovesse essere computato esclusivamente per la parte compresa tra il momento dell'arresto e quello di emissione del decreto che disponeva il giudizio sempre nel medesimo senso si sono pronunciate Sez. 1, n. 19230 del 30/11/2015, dep. 2016, Zappalà Sez. 1, n. 36340 del 16/03/2016, Antille . 5.2. A questo orientamento se ne contrappone uno di segno diverso, emerso più di recente in seno alle medesime Sezioni Sesta e Quarta. Con la sentenza n. 3058 del 28/12/2016, dep. 2017, cit., richiamata dal difensore dell'odierno ricorrente, la Sesta Sezione ha, infatti, ritenuto che, in ipotesi di pluralità di ordinanze applicative di misure cautelari per fatti connessi, la retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, di cui all'art. 297 c.p.p., comma 3, non deve essere effettuata frazionando la globale durata della custodia cautelare ed imputandovi solo i periodi relativi a fasi omogenee. In quella vicenda processuale, l'interessato, premessa la sussistenza di una connessione qualificata tra i reati contestati nelle due diverse ordinanze cautelari de quibus in procedimenti diversi, nonchè la possibilità per il P.M. procedente di desumere alla data dell'emissione della prima misura gli elementi indiziari in base ai quali era stata emessa la seconda misura, aveva dedotto l'erronea applicazione del criterio del calcolo del termine con riferimento alle fasi omogenee , che avrebbe vanificato la disciplina codicistica ispirata alla ratio di evitare l'artificiosa protrazione della custodia cautelare con frazionate contestazioni in costanza di custodia applicata per la più datata misura. La Sesta Sezione ha osservato che Il passaggio di fase nel procedimento nel quale è stato emesso il primo titolo custodiate nella retrodatazione influisce . soltanto nei limiti di cui all'art. 297, comma 3, seconda parte dovendo la stessa operare solo se i fatti per i quali è stata emessa la seconda misura, legati da connessione qualificata, erano già desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio. Ma non può certo determinare la diluizione dei termini di custodia cautelare. Attraverso frazionati passaggi di fase dei procedimenti, che dovevano procedere riuniti, si verrebbe a vanificare quella che il Giudice delle leggi ha identificato come la fondamentale garanzia sottesa alla regola della retrodatazione, che è quella che si è sopra evidenziata della necessità di concentrare in un unico contesto temporale le vicende cautelari, destinate a dar luogo a simultanei titoli custodiali perchè relative a quelle situazioni tipizzate dalle Sezioni Unite, cfr. Sez. U, n. 14535 del 19/12/2006, dep. 2007, Librato . Se è questa la finalità del meccanismo di cui all'art. 297 c.p.p., comma 3, non è certo il mero scomputo del solo presofferto per la fase omogenea a realizzare la garanzia prevista dal legislatore, proprio perchè, alla base dell'istituto, vi è la constatazione che i diversi titoli cautelari dovevano essere emessi simultaneamente, dando luogo ad un medesimo percorso cautelare, indipendentemente dalle scelte del pubblico ministero in ordine all'eventuale separazione dei relativi procedimenti penali . Nel medesimo senso, la Quarta Sezione, con sentenza n. 36088 del 6/06/2017, Gerbaj, Rv. 270759, ha successivamente ribadito, in dichiarata adesione alla predetta decisione, che, in ipotesi di pluralità di ordinanze applicative di misure cautelari per fatti connessi, la retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, di cui all'art. 297 c.p.p., comma 3, non deve essere effettuata frazionando la globale durata della custodia cautelare ed imputandovi solo i periodi relativi a fasi omogenee. Nella stessa direzione si è orientata l'ulteriore pronuncia di Sez. 6, n. 21177 del 12/02/2019, Gorgoni, n. m 6. L'illustrato contrasto è stato, per la verità, già portato una prima volta all'attenzione delle Sezioni Unite, con ordinanza di Sez. 2, n. 19100 del 2/05/2018, Giorgi, che aveva invocato l'intervento regolatore, ai sensi dell'art. 618 c.p.p., formulando il seguente quesito Se, in ipotesi di pluralità di ordinanze applicative di misure cautelari per fatti connessi, la retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, di cui all'art. 297 c.p.p., comma 3, deve essere effettuata frazionando la durata globale della custodia cautelare, ed imputandovi solo i periodi relativi a fasi omogenee . Nella citata ordinanza è stato evidenziato che le Sezioni Unite non si sono mai direttamente interessate della questione, essendosi limitate ad affermare . che l'esigenza di riallineare fattispecie cautelari, che, pur dovendo nascere in un unico contesto temporale . , si siano sviluppate in tempi successivi, diluendo i termini di durata della custodia cautelare - che costituisce ratio della regola della retrodatazione dei termini di custodia cautelare . - sussiste non solo in presenza di fatti oggetto del medesimo procedimento che per la loro connessione, sono destinati ad essere trattati congiuntamente , ma anche di fatti, oggetto di procedimenti diversi, che, essendo connessi e noti prima del rinvio a giudizio, avrebbero dovuto essere riuniti nello stesso procedimento, ovvero che di fatti, per i quali non sussiste la connessione qualificata ma che per scelta del pubblico ministero non siano stati riuniti nello stesso procedimento Sez. U, n. 14535 del 19/12/2006, dep. 2007, Librato, Rv. 235909 . Ha ricordato, inoltre, la medesima ordinanza di rimessione, che, secondo quanto affermato da Sez. U, n. 21957 del 22/03/2005, Rahulia, cit., in motivazione, con riguardo ai casi nei quali la riunione dei procedimenti non è più possibile, per la scelta del pubblico ministero di procedere con la fase del giudizio per i reati oggetto della ordinanza più risalente, il pubblico ministero può evitare la scadenza dei termini per i suddetti reati, laddove sia necessario altro tempo per completare le indagini per i reati relativi alla seconda ordinanza cautelare, ma non può impedire di far operare il meccanismo della retrodatazione, in quanto l'autorità giudiziaria non può scegliere momenti diversi dai quali far decorrere i termini delle relative misure quando si trova in presenza di più fatti per i quali i provvedimenti restrittivi potrebbero essere adottati contemporaneamente . 7. Sulla rimessione del ricorso nei termini esposti, il Supremo Consesso, tuttavia, con la sentenza n. 48109 del 19/07/2018, ha rilevato, in via preliminare, l'inammissibilità dell'impugnazione di G.A., ciò che ha precluso la valutazione della questione di diritto devolutagli, in considerazione del fatto che . il reato associativo nel presente procedimento è contestato al ricorrente quale commesso con condotta perdurante sino alla data odierna , quindi in epoca successiva alla esecuzione della prima ordinanza di custodia di custodia per i reati in materia di armi ed intestazione fittizia . Si è evidenziato, nella richiamata decisione, che il tema della contestazione a catena in riferimento a reati associativi, aventi natura permanente, con la eventualità della prosecuzione del reato anche dopo la esecuzione della prima ordinanza, momento dal quale si intende fare decorrere il termine di custodia della ordinanza concatenata , è già stato valutato dalle Sezioni Unite e si richiama, in particolare, il seguente brano della sentenza n. 14535 del 10/4/2007, Librato, cit., ribadendo, anche alla luce di conformi decisioni delle Sezioni semplici, che deve condividersi l'affermazione della giurisprudenza prevalente . che la retrodatazione prevista dall'art. 297 c.p.p., comma 3, presuppone che i fatti oggetto dell'ordinanza rispetto alla quale operare la retrodatazione siano stati commessi anteriormente all'emissione della prima ordinanza e tale condizione non sussiste nell'ipotesi in cui l'ordinanza successiva abbia ad oggetto la contestazione del reato di associazione di stampo mafioso con descrizione del momento temporale di commissione mediante una formula cosiddetta aperta, che faccia uso di locuzioni tali da indicare la persistente commissione del reato pur dopo l'emissione della prima ordinanza . . E' solo rispetto a condotte illecite anteriori all'inizio della custodia cautelare disposta con la prima ordinanza che può ragionevolmente operarsi la retrodatazione di misure adottate in un momento successivo, come si desume dalla lettera dell'art. 297 c.p.p., comma 3, che prende in considerazione solo i fatti diversi commessi anteriormente alla emissione della prima ordinanza . 8. Ciò detto, atteso che la posizione del M. non è sovrapponibile a quella del G., in quanto, nel suo caso, diversamente dall'altro, i delitti contestati con la seconda ordinanza tentato omicidio e violazione della legge sulle armi sono stati pacificamente commessi anteriormente alla emissione della prima ordinanza, è necessario - persistendo il contrasto sull'interpretazione dell'art. 297 c.p.p., comma 3, - sottoporre di nuovo alle Sezioni Unite la questione di diritto già devoluta dalla Seconda Sezione, estendendola, peraltro, anche alla ipotesi di inesistenza di connessione qualificata tra i fatti oggetto dei due diversi procedimenti, che caratterizza la vicenda del M. per come adeguatamente argomentato dal Tribunale del riesame di Napoli. 9. Deve, per completezza, rilevarsi che l'indagato ha senz'altro interesse alla sollecitata decisione, essendo contestualmente attinto da due ordinanze che hanno disposto in suo danno la misura cautelare della custodia in carcere una, emessa l'8.07.2019 nel presente procedimento, in cui, per quanto emerge dal provvedimento impugnato, risulta essere stato disposto giudizio immediato in data 15.10.2019 per i reati di tentato omicidio e porto illegale di armi in concorso, aggravati dall'art. 416-bis.1 c.p. commessi il OMISSIS l'altra, antecedente, eseguita in data 1.10.2018 nel separato procedimento, in cui risulta emesso decreto di giudizio immediato in data 12.12.2018 per i reati di associazione per delinquere di stampo camorrista denominata clan M., con condotta perdurante, ed estorsione commesso nel OMISSIS . La misura applicata nell'ambito del presente procedimento potrebbe, infatti, secondo uno degli orientamenti emersi, essere dichiarata inefficace. 10. In conclusione, ribadita l'esistenza dell'illustrato contrasto giurisprudenziale in ordine alla questione dedotta dal ricorrente con uno dei motivi posti a fondamento del chiesto annullamento dell'ordinanza impugnata, si impone l'intervento regolatore delle Sezioni Unite, ai sensi dell'art. 618 c.p.p., sulla seguente questione di diritto Se, in ipotesi di pluralità di ordinanze applicative di misure cautelari, emesse in diversi procedimenti, sia per fatti connessi, sia per fatti non legati da connessione, la retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, di cui all'art. 297 c.p.p., comma 3, deve essere effettuata frazionando la durata globale della custodia cautelare, ed imputandovi solo i periodi relativi a fasi omogenee . Si dà atto che, in coincidenza con la data dell'odierna udienza, la Sezione Quarta ha depositato l'ordinanza n. 8546 del 19.2.2020, con la quale ha rimesso analoga questione alle Sezioni Unite, seppure limitata all'ipotesi di connessione qualificata fra i fatti oggetto dei diversi procedimenti. P.Q.M. Rimette il ricorso alle Sezioni Unite.